Le tendenze macroeconomiche del processo di ristrutturazione capitalistica
Luciano Vasapollo
Rita Martufi
Quarta parte: Le dinamiche evolutive dei processi di internazionalizzazione
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Le imprese italiane partecipate dall’estero sono invece 1.630,
con l’intervento di 966 investitori esteri; il fatturato al 1995 delle imprese
partecipate è stato di 212.000 miliardi di lire mentre il numero degli addetti
è stato di 527.000 unità.
Se si esamina la distribuzione geografica delle partecipazioni
italiane all’estero si nota che mentre dalla seconda metà degli anni ottanta
fino al 1992 l’espansione delle imprese italiane si è indirizzata verso l’Europa
Occidentale seguita dal Nord America, a partire dal 1993 si è avuto un forte
incremento degli investimenti in Europa Orientale, in America Latina e nell’area
del Pacifico.
3. Ancora sulla concentrazione
Come si è già scritto in più punti delle precedenti parti dell’analisi-inchiesta
i due grandi sistemi di capitalismo internazionale sono rappresentati dal cosiddetto
modello renano (i cui principali esponenti sono il Giappone e la Germania) e
dal modello anglosassone (Stati Uniti e Gran Bretagna). Tra le molte differenze
esistenti tra questi due modelli è fondamentale nuovamente sottolineare quella
inerente il diverso grado di concentrazione proprietaria. Infatti mentre il
modello renano si caratterizza per la presenza di imprese che hanno a capo un
soggetto (spesso bancario) che ha in mano uno stock di azioni molto elevato
(nocciolo duro), nel modello anglosassone vi sono soggetti che molto di rado
hanno più del 5 % del capitale e quindi la proprietà delle imprese risulta essere
molto diffusa (Public Company) [1]. Va ancora ricordato che mentre nel modello
renano le banche assumono un ruolo principale poiché sono in sostanza i soggetti
che detengono il potere aziendale sia attraverso una proprietà diretta sia attraverso
una concentrazione dei diritti di voto, invece, nel modello anglosassone i livelli
di concentrazione sono molto bassi e quindi rivestono un ruolo predominante
i fondi pensione, i fondi di investimento, con solo apparenti forme di democrazia
economica attraverso l’azionariato diffuso.
Di seguito si mostra come, ad esempio, in Germania il livello
medio di concentrazione C1 [2] arriva al 61,5%
mentre è molto inferiore per gli Stati Uniti e la Germania (cfr. Tab.30).
E’ importante sottolineare fino a che punto e in che modo le
aziende sono “concentrate” nelle mani di pochi e quanto incide la proprietà
di un’impresa; per far ciò va rilevato in primo luogo che vi sono cinque tipi
di proprietari:
1) una famiglia o un soggetto individuale;
2) lo Stato;
3) un’istituzione finanziaria;
4) un’impresa;
5) una insieme misto (o miscellanea) ossia cooperative o
patti di voto, ecc.
E’ stato evidenziato molto spesso che vi è una netta separazione
tra proprietà e controllo di un’impresa, in quanto sempre più nel modello post-fordista
i proprietari di un’azienda non sono nella condizione di esercitare i propri
diritti; questo avviene sia quando la proprietà si dimostra disinteressata sia
quando il frazionamento delle azioni è così diffuso da rendere difficile la
costituzione di un gruppo di controllo.
La Tab.31 evidenzia molto chiaramente le varie tipologie
di concentrazione proprietaria.
Ed ancora se si guarda al Graf.5 seguente ci si accorge
che nel modello di Public Company si hanno valori di concentrazione proprietaria
dello 0,4% per il Canada, dello 0,18% per l’Australia e di appena lo 0,2% per
la Gran Bretagna e lo 0,19% per gli Stati Uniti. Questi paesi sono caratterizzati
da un mercato azionario molto veloce, da un’alta liquidità e da una legislazione
che pur dichiarando di tutelare i piccoli azionisti di fatto favorisce i processi
di finanziarizzazione dell’economia con la diffusione azionaria a favore dei
diversi tipi di fondi di investimento.
La Tab.32, invece, analizza un altro gruppo di paesi
che si caratterizzano per la struttura proprietaria basata sul modello di gruppo;
è facile notare le differenze rispetto alla prima fascia di paesi più portati
a preferire la struttura delle Public Company (per gruppo si intende “un’aggregazione
di imprese costituite in forma societaria legate fra loro da relazioni di controllo).
[3]
Ma è altresì chiaro che “sul piano formale il gruppo è una
forma giuridico-organizzativa alla quale i soggetti imprenditoriali possono
far ricorso per dar vita alle proprie iniziative produttive; sul piano sostanziale
si tratta di uno strumento per mobilitare e impiegare capitale” [4]
I gruppi si distinguono in gruppi patrimoniali, nei
quali la capogruppo gestisce solo il portafoglio e non esercita un’influenza
sulle singole società e gruppi finanziari nei quali la capogruppo gestisce
le strategie delle altre imprese e ne coordina le attività; vi sono infine i
gruppi industriali ed imprenditoriali nei quali la capogruppo cerca il
modo migliore per coordinare le attività delle altre imprese e le influenza
nelle loro strategie.
[1] Va ricordato che le Public Company sono imprese
caratterizzate dalla presenza alla guida delle imprese da manager assunti dagli
azionisti per gestire l’azienda; il principale strumento di controllo dei manager
è rappresentato dal consiglio di amministrazione che ha il potere di rimpiazzare,
se necessario i manager. Lo strumento più efficiente per osservare i manager
è il mercato del controllo azionario; infatti se il management non è efficace
il prezzo delle azioni scende.
[2] Ossia la media, per le aziende tedesche quotate,
dello stock più alto presente in queste aziende è del 61,5%.
[3] Cfr. F. Barca, P. Casavola, M. Perassi, “Controllo e gruppo natura economica
e tutela giuridica”, Banca d’Italia, temi di discussione, numero 201, Roma,
Luglio 1993.
[4] M. Donato,
G.Pala, “La catena e gli anelli”, ed.La città del Sole”, Napoli, 1999, pag.43.