Le tendenze macroeconomiche del processo di ristrutturazione capitalistica
Luciano Vasapollo
Rita Martufi
Quarta parte: Le dinamiche evolutive dei processi di internazionalizzazione
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Ed ancora: il trattato di Maastricht si è occupato del problema
dell’immigrazione solo per l’ordine e la sicurezza (droga, terrorismo, criminalità);
non si vuole, invece, cercare di porre un freno al traffico di manodopera clandestina,
allo sfruttamento e al razzismo; non ci si è preoccupati di garantire agli immigrati
assistenza sanitaria o legale; quello che è compatibile con il polo europeo
della competizione globale è il massimo sfruttamento della manodopera immigrata,
come esercito salariale di riserva immediatamente disponibile a condizioni sempre
più al ribasso e usabile come massa di manovra per rendere sempre più precarizzata
e ricattabile l’intera forza-lavoro, locale e non. Va ricordato che dagli anni
ottanta l’offerta di manodopera, ad esempio di Turchia, Marocco e Tunisia è
aumentata di oltre 5.800.000 unità; il mercato di lavoro locale di questi paesi
ha fornito 2.600.000 posti di lavoro lasciando fuori oltre 3.000.000 di persone.
Va rilevato che la disoccupazione è presente ovunque nei paesi
europei; la competizione globale dell’economia e la sfrenata concorrenza, in
cui si bada ad aumentare la produttività del lavoro, e del capitale riducendo
i costi soprattutto del lavoro sta provocando una riduzione dei salari, dei
contributi sociali, della spesa sociale insomma dell’intero Welfare State; la
politica dominante il trattato di Maastricht è di assoluto neoliberismo, di
puro mercato e al primo posto vi è la crescita del profitto dell’impresa e la
trasformazione del Welfare State nel Profit State, nello Stato delle compatibilità
d’impresa.
Di questi temi si è già trattato nelle precedenti parti dell’analisi-inchiesta,
ne è emerso che la privatizzazione del pubblico impiego, dell’istruzione, della
sanità creano nuova precarietà e aumentano i problemi delle fasce più deboli
della società, sempre meno garantite, aumentano il differenziale sociale ed
economico finalizzando i processi redistributivi sempre più verso il capitale
o meglio verso il profitto non reinvestito produttivamente.
E’ necessario ricordare che circa l’85% del reddito mondiale
va al 23% della popolazione mondiale; ogni giorno muore un milione di donne
a causa di problemi che interessano l’apparato riproduttivo; un miliardo e trecento
milioni di persone sono in uno stato di assoluta indigenza dovendo vivere con
meno di un dollaro al giorno; 200 milioni di bambini vivono in strada come manovalanza
disponibile per la malavita; oltre un miliardo di persone adulte non sa leggere
e scrivere; il reddito di oltre il 20% della popolazione mondiale è sceso dal
2,3% all’1,2%, le quote medie di reddito tra le persone più ricche e quelle
più povere è cambiato dal 30 a 1 del 1960 al 65 a 1 di oggi.
Se a questo quadro si aggiunge la situazione ambientale dovuta
a processi produttivi che non si pongono minimamente nell’ottica di una seria
e reale compatibilità socio-ambientale, ci si rende conto della “triste realtà”
nella quale viviamo, una triste realtà che si chiama sfrenata competizione globale
finalizzata al profitto. Va ricordato infatti, che l’anidride carbonica è cresciuta
di oltre il 35% nel ventesimo secolo, la temperatura della superficie terrestre
diventa sempre più calda, il buco dell’ozono cresce in misura doppia di quella
prevista; ogni giorno circa 150 specie di animali e vegetali sono destinati
all’estinzione mentre, dal 1990 ad oggi, ogni anno viene annientata una tribù
amazzonica; ogni anno scompaiono 19 milioni di ettari di foreste, delle circa
3000 tonnellate di petrolio estratte ogni anno un milione finisce disperso nel
Mediterraneo; la popolazione aumenta di 93 milioni l’anno dei quali 88 sono
del Terzo Mondo.
Se si analizzano più da vicino i paesi dell’UE va ancora ricordato
che, ad esempio, l’inquinamento delle acque sotterranee (in particolare di nitrati)
è più che triplicato in trenta anni e in molti posti si beve acqua con contenuto
di nitrati più alto di quello fissato dalle direttive; va poi aggiunto che la
metà delle popolazioni dell’UE vive in luoghi che non hanno impianti di depurazione;
occorre tenere presente che una quantità considerevole di rifiuti prodotti ogni
anno sono nocivi e tossici. Nonostante tutto ciò il trattato di Maastricht non
si riferisce molto all’ambiente rimandando soprattutto alle direttive dei singoli
Stati membri; quello che si pensa è soltanto che i lavoratori anche sul piano
della protezione dagli infortuni e dalla nocività della produzione non siano
affatto protetti, anzi anche i lavori cosiddetti a protezione dell’ambiente
diventano a forte contenuto precario, non normato ad alto carico di mobilità
e flessibilità peggiorando così la protezione del danno per tutti i cittadini.
In sostanza, comunque, dalla firma del trattato di Maastricht
non si sono avuti miglioramenti poiché la disoccupazione è cresciuta, lo sviluppo
economico rallenta e lo Stato sociale è in crisi, e anzi si trasforma in Profit
State, la competizione globale danneggia le condizioni di vita complessive,
come si è avuto modo di evidenziare nelle precedenti parti dell’analisi-inchiesta,
e tutto ciò non ha portato neppure a sviluppo in termini di assetti macroeconomici
capitalistici. Anzi la contrazione della crescita appare chiara se si analizzano
i dati di contabilità nazionale , gli indicatori del commercio estero ed altri
selezionati indicatori economici di competitività esplicativi dei processi di
internazionalizzazione; tali indicatori e aggregati macroeconomici sono stati
già evidenziati nelle altre parti dell’analisi-inchiesta e qui di seguito si
presentano alcune tabelle di aggiornamento (vedi Tabb. da 1 a 9).