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Luciano Vasapollo
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Docente di Economia Aziendale, Fac. di Scienze Statistiche, Università’ “La Sapienza”, Roma; Direttore Responsabile Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico-Sociali (CESTES) - Proteo.

Rita Martufi
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Consulente ricercatrice socio-economica; membro del Comitato Scientifico del Centro Studi Trasformazioni Economico Sociali (CESTES) - PROTEO

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Le tendenze macroeconomiche del processo di ristrutturazione capitalistica
Luciano Vasapollo, Rita Martufi

 

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Le tendenze macroeconomiche del processo di ristrutturazione capitalistica

Luciano Vasapollo

Rita Martufi

Quarta parte: Le dinamiche evolutive dei processi di internazionalizzazione

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Va considerato che quasi i tre quarti delle multinazionali italiane con attività produttiva all’estero è rappresentato da imprese di piccole e medie dimensioni, anche se in termini di addetti totali all’estero il loro contributo è del 13,5% e in termini di imprese estere partecipate è del 37% (dati relativi al 1997). A conferma di ciò si ricorda che negli anni tra il 1990 e il 1996 il numero delle imprese di piccola e media dimensione che ha esteso la propria attività a livello internazionale è aumentato di due volte e mezzo. La gran parte di queste imprese concentra la propria attività nei settori specialistici quali quelli della elettronica e meccanica strumentale oppure in settori tradizionali quali metallo, tessile, cuoio, calzature e prodotti in legno.

Se si esamina la destinazione geografica va detto che le piccole e medie imprese italiane si sono indirizzate soprattutto verso i paesi dell’Europa Centrale ed Orientale; le grandi imprese multinazionali invece si sono orientate più verso i paesi dell’Europa Occidentale e del Nord America.

Ed ancora : la distribuzione geografica delle imprese multinazionali italiane è molto polarizzata; le piccole e medie imprese italiane con partecipazioni estere, infatti, appartengono per oltre l’80% all’Italia settentrionale a fronte di un 15 dell’Italia centrale e di un 5 dell’Italia Meridionale. (Cfr. Tab.23)

E’ interessante poi confrontare dal punto di vista delle dimensioni aziendali le imprese italiane che hanno realizzato IDE nell’industria e imprese esportatrici che appartengono ai settori dell’industria e dei servizi. (Cfr. Tab.24)

Di solito sono più interessate a processi di delocalizzazione le imprese con dimensioni medio-grandi; il nostro Paese si indirizza in questo processo soprattutto verso i paesi dell’Unione Europea, l’America Latina e l’Europa Orientale; la Tab.25 che indica la percentuale degli addetti delle imprese partecipate infatti, dimostra quanto scritto precedentemente.

Va rilevato poi che il nostro Paese si caratterizza per le specializzazioni settoriali nei comparti tradizionali (soprattutto manifatturiero, quali tessile, abbigliamento).

Il Traffico di Perfezionamento Passivo (TPP), (ossia l’esportazione momentanea di parti del prodotto in un altro paese affinché sia lavorato e poi reimportato) nel settore manifatturiero consente di trarre un vantaggio dal costo basso della manodopera; si ricorda che la Comunità Economica Europea dal 1975 ha permesso ai paesi che effettuano un TPP vari benefici tariffari per agevolare questo processo.

Una ricerca dell’Eurostat ha rilevato che, ad esempio, negli anni 1988-93 l’Italia in particolare ha avuto una rapida evoluzione di importazioni in traffico di perfezionamento passivo nell’abbigliamento (si è passati da uno 0,4% del 1988 al 9,4% del 1993).(Cfr. Tab.26)

Si è già detto che nel nostro Paese sono state soprattutto le imprese medio-grandi ad avviare un processo di delocalizzazione produttiva internazionale anche con carattere di filiera; le piccole imprese, infatti, per quanto riguarda i settori tradizionali hanno quasi sempre seguito le grandi aziende e si sono indirizzate soprattutto verso i paesi dell’Europa Orientale; i settori di alta tecnologia invece offrono maggiori opportunità alle imprese medio-piccole.

Risulta che le imprese italiane che hanno realizzato IDE nell’industria a fine 1997 erano per due terzi di grandi dimensioni (ossia con più di 250 addetti) mentre più del 92% delle imprese esportatrici era nel 1966 di dimensioni piccole; oltre il 40% delle esportazioni era controllato da grandi imprese con un valore del 96% del fatturato da IDE. Se si considerano invece le aziende che hanno avviato delle attività produttive all’estero (controllate totalmente o in partecipazione con altri) si nota che dal 1991 il numero delle multinazionali è cresciuto di oltre il 60%; questa crescita è stata facilitata dal coinvolgimento di imprese di piccole e medie dimensioni anche se va rilevato che l’incidenza delle grandi rimane prevalente in quanto ad esse è possibile riferire più del 67% del totale delle partecipazioni estere, il 96% del fatturato totale estero e l’88% dei relativi addetti.

La distribuzione geografica degli investimenti ha visto una quota di oltre il 42% delle imprese partecipate nell’Europa Occidentale; vi è poi l’Europa Orientale con una quota del 20%, l’Asia con il 13%, l’America Settentrionale con il 10% e l’America Latina con l’8%. (Cfr. Graf. 3)

E’ interessante ora mostrare alcuni dati ricavati da una ricerca effettuata dal CNEL nel 1997. La Tab.27 che segue evidenzia la dinamica evolutiva delle imprese italiane con almeno uno stabilimento produttivo all’estero: si nota, infatti, che nel 1996 vi sono 622 imprese che hanno partecipazioni in 1842 imprese industriali estere, hanno un fatturato di 156.841 miliardi di lire e occupano 595.547 addetti.