Le tendenze macroeconomiche del processo di ristrutturazione capitalistica
Luciano Vasapollo
Rita Martufi
Quarta parte: Le dinamiche evolutive dei processi di internazionalizzazione
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In questo senso le imprese di piccola e media dimensione sono
diventate le protagoniste di un sistema di “specializzazione flessibile” con
un modello alternativo a quello della grande produzione di massa, coniugando
la ricerca di risorse e materie prime, di lavoro specializzato e a basso prezzo
e di disponibilità immediatamente fruibile di forti concentrazioni di risorse
del capitale intangibile.
Il decentramento produttivo costituisce in sostanza un fenomeno
opposto alla concentrazione territoriale della produzione e quindi l’abbandono
delle aree più centrali demandando a queste l’assemblaggio produttivo e il comando
del ciclo, poichè il decentramento è anche una deconcentrazione tecnica con
conseguente scomposizione dei cicli produttivi.
Ed è proprio a seguito di questi fenomeni di decentramento
che si è arrivati a parlare di delocalizzazione attraverso le dinamiche degli
IDE che riguardano l’acquisizione e trasferimento all’estero di alcune fasi
della produzione, di interi stabilimenti, di investimenti tecnici-materiali
e di natura immateriale. Queste acquisizioni e trasferimenti possono avere carattere
temporaneo nel caso in cui vengano trasferiti semilavorati che poi saranno reimportati
dopo alcune fasi di lavorazione, ma comunque si tratta sempre di delocalizzazioni
di natura produttiva e non commerciale.
Se si considerano, in generale, i livelli degli Investimenti
Diretti Esteri (IDE) va rilevato che negli ultimi anni hanno raggiunto dei livelli
molto elevati; basti pensare che i flussi in uscita hanno registrato un incremento
del 27% tra il 1996 e il 1997 arrivando quasi a 425 miliardi di dollari. (Cfr.
Tab.11)
Va evidenziato che la crescita media annua si è mantenuta nel
corso degli anni novanta al di sopra del livello del PIL, delle esportazioni
e degli investimenti interni lordi. Le Tabb.12,13,14 e 15
evidenziano che le economie dei paesi industrializzati nel 1997 hanno investito
oltre il 90% del totale dei flussi degli IDE a livello mondiale e ne hanno catturato
oltre il 60%. Va rilevato che Stati Uniti, Giappone e UE assorbono l’83,5% dei
flussi in entrata e l’83,7% di quelli in uscita; è importante raffrontare gli
IDE in termini di flussi e di stock con alcuni selezionati indicatori economici
per individuarne il peso macroeconomico relativo.
La Tab. 16 evidenzia i flussi degli IDE per aree
economiche negli anni 1992-1997; si nota con immediatezza che Giappone, Stati
Uniti e Regno Unito hanno avuto valori molto elevati soprattutto nel 1997 dei
flussi in uscita (rispettivamente 26 miliardi di dollari il Giappone, 115 gli
USA e 58 il Regno Unito); da evidenziare il dato relativo ai Paesi in Via di
Sviluppo: dal 1992 al 1997 sono passati da un valore di 21 ad un valore di 61;
hanno cioè triplicato gli IDE in uscita. Anche se si guardano gli IDE in entrata
si evidenziano forti incrementi per USA, UE, Cina e per i Paesi in via di Sviluppo
che sono passati da 51 a circa 150 miliardi di dollari nel 1997.
Gli IDE dei paesi europei sono molto cresciuti in questi anni
; la tabella evidenzia ancora che soprattutto nel 1997 si è avuto un aumento
degli IDE verso i paesi dell’Europa centrale ed orientale ( o paesi dell’est).
Nei successivi Prospetti da 1 a 10 si può seguire l’andamento
degli IDE rispettivamente da e verso gli altri singoli paesi per i diversi paesi
considerati (USA, Giappone e Germania) e il totale per paese (Regno Unito, Francia,
Giappone, Germania e Stati Uniti). [1]
Nel parlare di internazionalizzazione inoltre occorre innanzitutto
distinguere tra l’orientamento al commercio internazionale e quello al
marketing internazionale; mentre il primo corrisponde alla cosiddetta
“internazionalizzazione passiva”, il secondo corrisponde all’”internazionalizzazione
attiva”. [2]
Passando ora ad esaminare il ruolo del commercio estero va
evidenziato che mentre gli Stati Uniti negli ultimi 15 anni hanno avuto una
energica crescita economica che ha causato un esteso deficit commerciale, i
paesi dell’Unione Europea hanno mantenuto il loro ruolo di prima potenza esportatrice.
Questi due elementi hanno provocato un contrasto commerciale sempre più aspro
tra Europa e America, contrasto che si individua soprattutto nelle importazioni
dei prodotti agricoli. La maggior parte degli scambi commerciali dei paesi dell’UE
avviene soprattutto a livello intra-area; gli Stati Uniti comunque rappresentano
ancora il principale partner commerciale, mentre si è avuto un incremento del
commercio con i paesi dell’Europa Centro-Orientale, del Medio Oriente e dell’America
Latina.
[1] Se i Grafici seguono un andamento rispetto
a valori negativi significa che prevalgono sempre gli investimenti (numeri negativi
perchè per il paese considerato denotano uscita in denaro) rispetto ai disinvestimenti
(numeri positivi perchè per il paese considerato denota entrata di denaro).
[2] Nel caso dell’internazionalizzazione passiva sono gli operatori economici
esteri (importatori, distributori, ecc.) che acquistano il prodotto nel proprio
paese.