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Per la critica del capitalismo

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Guglielmo Carchedi
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Professore Università di Amsterdam

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L’arte del fare confusione

Guglielmo Carchedi

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1. Introduzione. [1]

Nel precedente articolo su PROTEO (Carchedi, 2001) ho preso in esame sia il procedimento della trasformazione in Marx (cioè la trasformazione dei valori in prezzi) che le critiche che sono state mosse. Per ciascuna di queste, ho sostenuto che sono ingiustificate e infondate. Specificamente, per quanto riguarda la critica più influente, quella della circolarità, ho proposto che la correttezza sia di metodo che di computo della procedura di Marx emergono chiaramente se si reintroduce la dimensione temporale nell’analisi economica. L’argomento è semplice e può essere capito da chiunque non sia un economista ortodosso, cioè da chiunque non si sia vincolato (sia consciamente che inconsciamente) ad una percezione della realtà che cancella il tempo. La ragione è che l’introduzione del tempo disintegra l’assunto basilare su cui si basa l’economia ortodossa, cioè l’assunto dell’equilibrio. L’equilibrio, a sua volta, è una costruzione puramente ideologica senza alcun contenuto scientifico il cui solo scopo è di giustificare l’esistenza del capitalismo. Questo punto sarà sviluppato più sotto. Qui è sufficiente menzionare che, a causa del suo contenuto ideologico, l’economia ortodossa è condannata a teorizzare un’economia senza tempo e quindi ad essere teoricamente irrilevante. Da questo punto di vista, ogni posizione (che si autodefinisca marxista o no) che accetta il quadro di riferimento senza tempo entro cui si sviluppano sia la critica dell’approccio di Marx sia le (presumibilmente corrette) soluzioni (di un problema inesistente) cadono essenzialmente nell’economia ortodossa piuttosto che in quella marxista.

In quanto segue, elaborerò alcuni argomenti di cui ho già trattato nel mio articolo precedente in questa rivista e introdurrò nuovi elementi di analisi. Discuterò anche alcuni dei più recenti contributi italiani su questi argomenti. Ovviamente, questa non può essere una rassegna compiutamente comprensiva. Ciò non è lo scopo di questo articolo. Piuttosto, il suo scopo è di passare in rassegna questi contributi da una prospettiva teorica che, mentre diventa sempre più influente all’estero, è in sostanza ignorata in Italia. Allo stesso tempo, con quest’articolo si avrà l’opportunità di rispondere ad alcune critiche recenti che sono state mosse all’approccio qui presentato, l’approccio temporale, sia all’estero sia in Italia. Dato che elaborerò il mio precedente articolo, una conoscenza di quel testo faciliterebbe la comprensione di questo. Tuttavia, nel corso di questo lavoro, farò un breve riassunto per coloro che non hanno avuto l’opportunità di aver familiarizzato col mio precedente articolo.

 

2. Gli aspetti basilari della trasformazione in Marx

Incominciamo da alcune pertinenti definizioni di Marx. Il lettore mi scuserà se inizierò con alcune citazioni. Però, dato che si attribuiscono a Marx concetti che non sono i suoi, una chiarificazione delle definizioni è necessaria.

Quando si producono merci, si usano sia il lavoro umano sia i mezzi di produzione. Consideriamo il lavoro. Nel capitalismo, i lavoratori operano per i proprietari dei mezzi di produzione. In altre parole, i lavoratori espletano la loro attività in relazioni di produzione capitalistiche. In secondo luogo, i lavoratori spendono energia umana. Questa ha un doppio aspetto. È una spesa di energia umana in un modo specifico, concreto. Per esempio, il lavoro di un calzolaio è irriducibilmente diverso da quello di un ingegnere. Questo viene chiamato lavoro specifico, o concreto. Esso crea l’aspetto tipico (le caratteristiche specifiche, concrete) della merce che è chiamato il suo valore d’uso. Per esempio un paio di scarpe è tipicamente diverso da un aeroplano. Allo stesso tempo, i lavoratori spendono la loro energia umana, la loro forza lavoro, indipendentemente da quello che fanno. Da questo punto di vista il lavoro è semplicemente “una spesa del cervello umano, nervi e muscoli” (Marx, 1967a, p.44, mia traduzione, G.C.). Per esempio, tutti consumano calorie indipendentemente dalla loro attività specifica. Questo è chiamato lavoro astratto perché astrae dalla specificità di ciascun lavoro. Questo lavoro astratto è il valore della merce. Quindi, ogni momento di lavoro è sia concreto sia astratto e ogni merce è sempre sia un valore d’uso sia un valore.

Si noti che il valore è creato durante la produzione e che la sua grandezza (ore di lavoro) misura quel valore. Il valore quindi esiste già al livello della produzione. Tuttavia esso non è ancora valore sociale, riconosciuto come tale dalla società; in altre parole è valore sociale ma solo potenzialmente. Diventa valore sociale realizzato e quindi appare come valore sociale, solo quando le merci in cui quel lavoro (valore) è incorporato sono vendute. È solo con la vendita che il valore potenzialmente sociale diventa valore realizzato socialmente. Marx è chiaro: “Dato che i produttori vengono in contatto reciproco solo quando essi scambiano i loro prodotti, il carattere specificamente sociale del lavoro di ciascun produttore non si rivela che nell’atto dello scambio” (1967a, p.73, enfasi mia, traduzione mia, G.C.). La MEGA è ancor più esplicita “Da die Producenten erst in gesellschaftlichen Kontakt treten durch den Austausch ihere Arbeitsprodukte, erscheinen auch die specifisch gesellschaftlichen Charactere ihrer Privatarbeiten erst innerhalb diese Austausches“ (1987, p. 104, enfasi mia, G.C.).

Questa nozione di lavoro astratto è stata distorta in vari modi, la maggior parte dei quali sarà discussa più avanti. Per alcuni, il lavoro astratto come tale (si noti bene, non il suo carattere sociale) è solo potenzialmente presente nella sfera della produzione, cioè diventa valore solo al momento dello scambio. Per altri il lavoro astratto non esiste per nulla nella sfera della produzione, neanche potenzialmente: il valore ha la sua origine nella sfera della circolazione, al momento dello scambio e attraverso lo scambio. Per una terza categoria di Autori, il lavoro diventa astratto e quindi valore perché è lavoro salariato, cioè lavoro oppresso e alienato. E poi ci sono coloro che abbandonano del tutto il concetto di lavoro astratto e lo sostituiscono con quello del lavoro concreto come la pietra fondamentale della teoria del valore. Questa sostituzione può essere fatta sia apertamente (come nella teoria sraffiana che verrà discussa nella sezione 5) sia furtivamente. In quest’ultimo caso il lavoro astratto è considerato come lavoro concreto semplice o dequalificato, come lavoro concreto senza qualità. Questa posizione dimostra un’inconsapevolezza della irriducibile differenza tra lavoro astratto e lavoro concreto: nessun ammontare di dequalificazione del lavoro concreto può ridurlo a lavoro astratto. Il lavoro astratto astrae per definizione dalle specificità dei lavori concreti, indipendentemente da quanto essi possano essere dequalificati. [2] Ovviamente, se la nozione marxiana di lavoro astratto è rimpiazzata da uno di questi concetti alternativi, contraddizioni sorgeranno nella teoria del valore lavoro di Marx e quella teoria sarà distorta. La porta è quindi aperta a ‘correzioni’ d’ogni tipo e colore.

Un esempio di alcune di tali distorsioni si può trovare in Napoleoni, la cui influenza sul marxismo italiano nel periodo dopo la seconda guerra mondiale è stata decisiva. Per Napoleoni, il concetto marxiano del lavoro astratto da una parte “è dedotto da un esame dello scambio come tale; d’altra parte viene considerato come ‘lavoro che è opposto al capitale’ o come lavoro salariato” (1975, p.99, traduzione mia, G.C.). Incominciamo dal lavoro astratto che ha le sue origini nello scambio. Se, come abbiamo visto, per Marx il carattere sociale del lavoro appare solo attraverso lo scambio, quel carattere sociale deve esistere già allo stato potenziale al livello della produzione. È quindi del tutto ingiustificato sostenere che le relazioni sociali “non esistono tra le persone nella misura in cui esse lavorano” (1975, p.102). Si può essere di questa opinione ma è inammissibile attribuirla a Marx la cui teoria è basata sul carattere sociale delle relazioni di produzione. Nella misura in cui lavora, la gente entra in relazioni di produzione che sono sociali, di classe, e cioè i lavoratori con lavoratori e i capitalisti con i lavoratori.

Napoleoni sembrerebbe credere che nel capitalismo il lavoro non sia (immediatamente) sociale perché “il lavoro dell’individuo... è privato ed indipendente” (1975, p.103), ciò perché “i singoli lavoratori sono uniti nel lavoro di un lavoratore collettivo attraverso capitali particolari, ciascuno dei quali è distinto e opposto a ciascun altro in una competizione reciproca” (1975, p.110, traduzione mia, G.C.). Ma questo significa solamente che la produzione capitalista è anarchica. Non significa che la gente (gli agenti di produzione) non entrino in relazioni sociali mentre producono. Una produzione anarchica è sociale a causa delle relazioni di classe in cui entrano gli agenti di produzione. Napoleoni quindi conclude che, se il lavoro non è sociale nella sfera della produzione, “diventa sociale nella misura in cui è produttivo di moneta, cioè è reso sociale attraverso la forma valore assunta dal prodotto” (1975, pp.103-104, traduzione mia, G.C.). In parole semplici, il lavoro diventa sociale e quindi valore quando il prodotto è venduto. Questa tesi verrà criticata più avanti nella sezione 6.

Ma vi è un’altra nozione di lavoro astratto in Marx, perlomeno secondo Napoleoni. Questa è che “il lavoro è astratto nella misura in cui è lavoro salariato” (1975, p.105, traduzione mia, G.C.), cioè separato dai suoi mezzi di produzione, “ed è a causa di tale separazione che il lavoro è astratto, cioè separato dalla soggettività degli individui, e diventa una sostanza di cui gli individui, i lavoratori, non sono la personificazione” (1975, p.106, traduzione mia, G.C.). In breve, il lavoro è astratto perché è lavoro alienato. Ora, non vi è alcun dubbio che il lavoro nel capitalismo sia lavoro alienato. Ma questa non è la definizione di Marx del lavoro astratto. Questa definizione di lavoro astratto come lavoro alienato sarà criticata nella sezione 7. Per ora è sufficiente mettere in rilevo la differenza radicale tra la nozione di lavoro astratto di Marx e quella di Napoleoni. [3]

A questo punto è opportuno fare una considerazione metodologica della massima importanza. Questa sarà valida per tutto il presente articolo. Napoleoni, e lo stesso vale per molti degli Autori discussi in questo lavoro, supporta le sue interpretazioni con una quantità di citazioni di Marx. Naturalmente, le citazioni possono essere tolte dal loro contesto o piegate verso il proprio punto di vista. Personalmente credo che questo sia ciò che fa Napoleoni (alcuni esempi saranno dati nella sezione 7). Ma un tale esercizio filologico, sebbene importante in un contesto diverso, non è la strada che sarà seguita qui. Il punto decisivo è che l’approccio seguito in quest’articolo, e più in generale l’approccio temporale, riproduce tutti i risultati che sono stati contestati dai critici di Marx. Nel caso specifico del problema della trasformazione, riproduce le sue due uguaglianze fondamentali e cioè quella (1) tra il plusvalore totale e i profitti totali e (2) tra il valore totale e i prezzi totali. E questa è prova sufficiente che la lettura temporale non solo è quella corretta ma anche quella che funziona. L’approccio temporale sta ancora aspettando pazientemente la contro-prova, e cioè che le interpretazioni ‘alternative’ e le conseguenti ‘correzioni’ possono fare lo stesso. Nel frattempo, ritorniamo al lavoro astratto.

La differenza tra le nozioni di Marx del lavoro concreto e astratto è essenziale per l’approccio marxista. Marx stesso la considerava una delle sue più importanti scoperte. [4] Giocherà un ruolo insostituibile anche in quanto segue. Nel capitalismo il valore delle merci è dato dal nuovo lavoro astratto impiegato per la loro produzione più il lavoro astratto contenuto nei mezzi di produzione, cioè è dato dalla somma del lavoro nuovo più quello passato. Questo è il valore contenuto nelle merci. Solo il lavoro astratto è il valore di una merce. La prova sarà data più avanti nella sezione 3. Per semplicità, d’ora in avanti, lavoro indicherà lavoro astratto, a meno che non si specifichi diversamente.

È ora possibile fare una precisazione terminologica. Per lavoro si intende lavoro astratto erogato nelle relazioni di produzione capitalistiche. Il lavoro allo stato fluido, cioè mentre è erogato, crea valore durante l’atto della produzione, cioè prima di essere incorporato nella merce finita. Non è ancora valore. È valore potenzialmente contenuto nella merce perché la merce stessa è solo potenziale, perché non è ancora finita. Il lavoro diventa valore contenuto, è valore contenuto realizzato, quando il processo produttivo è condotto a termine e quindi il prodotto è completato. Questo lavoro realizzato, incorporato nella merce, è valore individuale e anche valore sociale potenziale; è la potenziale sostanza del valore sociale. Con la vendita del prodotto, il valore incorporato, o lavoro individuale, socialmente potenziale, diventa valore realizzato socialmente, o valore sociale. La sostanza del valore sociale si realizza, non è più potenziale, e assume la forma del valore, la forma monetaria. Quindi, il lavoro è valore individuale, perché è incorporato nella merce prima della sua vendita, e sostanza del valore sociale perché questo lavoro incorporato (valore individuale) è anche potenzialmente valore sociale che diventa valore sociale realizzato con la vendita della merce. È questo il senso dell’espressione, che incontreremo spesso in quanto segue, “il lavoro è (la sostanza del) valore”. [5]

Per ciascuna merce, il numero di ore di lavoro (sia nuovo che passato) che sono state necessarie per produrla è la misura quantitativa del valore contenuto in essa. Quanto maggiore il numero d’ore che sono state necessarie, tanto maggiore il valore contenuto. Queste ore possono essere suddivise in tre parti. Primo, i lavoratori devono riprodursi. Quindi, del totale delle ore del nuovo lavoro impiegato, una parte deve servire a riprodurli, cioè una parte deve essere ore necessarie per produrre quelle merci che compongono il paniere dei beni salariali. Questa prima componente del valore di una merce è chiamata valore necessario. Secondo, in un sistema capitalistico, i lavoratori lavorano sia per riprodurre se stessi sia per produrre i profitti dei capitalisti, cioè per riprodurre i capitalisti. Anche questa prova sarà data nella sezione 3. Questa seconda componente del valore delle merci è chiamata plus lavoro.


[1] I ringraziamenti dell’Autore vanno a A. Kliman e A. Ramos per gli utili commenti.

[2] Un argomento simile è proposto da Arthur (1999) con la differenza che la sua nozione di lavoro astratto differisce da quella di Marx. Questa nozione sarà criticata nella sezione 7.

[3] Napoleoni si sofferma anche sulla questione se vi sia una ‘ambiguità’ tra queste due diverse nozioni di lavoro astratto. Sia come sia, questa questione è aliena alla problematica di Marx.

[4] "I punti migliori nel mio libro sono: 1. (questo è fondamentale per capire tutti i FATTI) il doppio carattere del lavoro a seconda che sia espresso come un valore d’uso o come un valore di scambio, che è specificato nel Capitolo Primo...” (Marx, 1987b, p.407, traduzione mia, G.C.).

[5] Sono grato a C. Arthur i cui commenti critici (2001, pp.37-38) mi hanno spronato a definire il più chiaramente possibile i concetti di cui sopra.