1. Introduzione. [1]
Nel precedente articolo su PROTEO (Carchedi, 2001) ho preso
in esame sia il procedimento della trasformazione in Marx (cioè la
trasformazione dei valori in prezzi) che le critiche che sono state mosse. Per
ciascuna di queste, ho sostenuto che sono ingiustificate e infondate.
Specificamente, per quanto riguarda la critica più influente, quella della
circolarità, ho proposto che la correttezza sia di metodo che di computo della
procedura di Marx emergono chiaramente se si reintroduce la dimensione temporale
nell’analisi economica. L’argomento è semplice e può essere capito da
chiunque non sia un economista ortodosso, cioè da chiunque non si sia vincolato
(sia consciamente che inconsciamente) ad una percezione della realtà che
cancella il tempo. La ragione è che l’introduzione del tempo disintegra l’assunto
basilare su cui si basa l’economia ortodossa, cioè l’assunto dell’equilibrio.
L’equilibrio, a sua volta, è una costruzione puramente ideologica senza alcun
contenuto scientifico il cui solo scopo è di giustificare l’esistenza del
capitalismo. Questo punto sarà sviluppato più sotto. Qui è sufficiente
menzionare che, a causa del suo contenuto ideologico, l’economia ortodossa è
condannata a teorizzare un’economia senza tempo e quindi ad essere
teoricamente irrilevante. Da questo punto di vista, ogni posizione (che si
autodefinisca marxista o no) che accetta il quadro di riferimento senza tempo
entro cui si sviluppano sia la critica dell’approccio di Marx sia le
(presumibilmente corrette) soluzioni (di un problema inesistente) cadono
essenzialmente nell’economia ortodossa piuttosto che in quella marxista.
In quanto segue, elaborerò alcuni argomenti di cui ho già
trattato nel mio articolo precedente in questa rivista e introdurrò nuovi
elementi di analisi. Discuterò anche alcuni dei più recenti contributi
italiani su questi argomenti. Ovviamente, questa non può essere una rassegna
compiutamente comprensiva. Ciò non è lo scopo di questo articolo. Piuttosto,
il suo scopo è di passare in rassegna questi contributi da una prospettiva
teorica che, mentre diventa sempre più influente all’estero, è in sostanza
ignorata in Italia. Allo stesso tempo, con quest’articolo si avrà l’opportunità
di rispondere ad alcune critiche recenti che sono state mosse all’approccio
qui presentato, l’approccio temporale, sia all’estero sia in Italia. Dato
che elaborerò il mio precedente articolo, una conoscenza di quel testo
faciliterebbe la comprensione di questo. Tuttavia, nel corso di questo lavoro,
farò un breve riassunto per coloro che non hanno avuto l’opportunità di aver
familiarizzato col mio precedente articolo.
2. Gli aspetti basilari della trasformazione in Marx
Incominciamo da alcune pertinenti definizioni di Marx. Il
lettore mi scuserà se inizierò con alcune citazioni. Però, dato che si
attribuiscono a Marx concetti che non sono i suoi, una chiarificazione delle
definizioni è necessaria.
Quando si producono merci, si usano sia il lavoro umano sia i
mezzi di produzione. Consideriamo il lavoro. Nel capitalismo, i lavoratori
operano per i proprietari dei mezzi di produzione. In altre parole, i lavoratori
espletano la loro attività in relazioni di produzione capitalistiche. In
secondo luogo, i lavoratori spendono energia umana. Questa ha un doppio aspetto.
È una spesa di energia umana in un modo specifico, concreto. Per esempio, il
lavoro di un calzolaio è irriducibilmente diverso da quello di un ingegnere.
Questo viene chiamato lavoro specifico, o concreto. Esso crea l’aspetto
tipico (le caratteristiche specifiche, concrete) della merce che è chiamato il
suo valore d’uso. Per esempio un paio di scarpe è tipicamente diverso
da un aeroplano. Allo stesso tempo, i lavoratori spendono la loro energia umana,
la loro forza lavoro, indipendentemente da quello che fanno. Da questo punto di
vista il lavoro è semplicemente “una spesa del cervello umano, nervi e
muscoli” (Marx, 1967a, p.44, mia traduzione, G.C.). Per esempio, tutti
consumano calorie indipendentemente dalla loro attività specifica. Questo è
chiamato lavoro astratto perché astrae dalla specificità di ciascun
lavoro. Questo lavoro astratto è il valore della merce. Quindi, ogni momento di
lavoro è sia concreto sia astratto e ogni merce è sempre
sia un valore d’uso sia un valore.
Si noti che il valore è creato durante la produzione e che
la sua grandezza (ore di lavoro) misura quel valore. Il valore quindi esiste
già al livello della produzione. Tuttavia esso non è ancora valore sociale,
riconosciuto come tale dalla società; in altre parole è valore sociale ma solo
potenzialmente. Diventa valore sociale realizzato e quindi appare come valore
sociale, solo quando le merci in cui quel lavoro (valore) è incorporato sono
vendute. È solo con la vendita che il valore potenzialmente sociale diventa
valore realizzato socialmente. Marx è chiaro: “Dato che i produttori vengono
in contatto reciproco solo quando essi scambiano i loro prodotti, il carattere
specificamente sociale del lavoro di ciascun produttore non si rivela
che nell’atto dello scambio” (1967a, p.73, enfasi mia, traduzione mia,
G.C.). La MEGA è ancor più esplicita “Da die Producenten erst in
gesellschaftlichen Kontakt treten durch den Austausch ihere Arbeitsprodukte, erscheinen
auch die specifisch gesellschaftlichen Charactere ihrer Privatarbeiten erst
innerhalb diese Austausches“ (1987, p. 104, enfasi mia, G.C.).
Questa nozione di lavoro astratto è stata distorta in vari
modi, la maggior parte dei quali sarà discussa più avanti. Per alcuni, il
lavoro astratto come tale (si noti bene, non il suo carattere sociale) è solo
potenzialmente presente nella sfera della produzione, cioè diventa valore solo
al momento dello scambio. Per altri il lavoro astratto non esiste per nulla
nella sfera della produzione, neanche potenzialmente: il valore ha la sua
origine nella sfera della circolazione, al momento dello scambio e attraverso lo
scambio. Per una terza categoria di Autori, il lavoro diventa astratto e quindi
valore perché è lavoro salariato, cioè lavoro oppresso e alienato. E poi ci
sono coloro che abbandonano del tutto il concetto di lavoro astratto e lo
sostituiscono con quello del lavoro concreto come la pietra fondamentale della
teoria del valore. Questa sostituzione può essere fatta sia apertamente (come
nella teoria sraffiana che verrà discussa nella sezione 5) sia furtivamente. In
quest’ultimo caso il lavoro astratto è considerato come lavoro concreto
semplice o dequalificato, come lavoro concreto senza qualità. Questa posizione
dimostra un’inconsapevolezza della irriducibile differenza tra lavoro astratto
e lavoro concreto: nessun ammontare di dequalificazione del lavoro concreto può
ridurlo a lavoro astratto. Il lavoro astratto astrae per definizione dalle
specificità dei lavori concreti, indipendentemente da quanto essi possano
essere dequalificati. [2] Ovviamente, se la
nozione marxiana di lavoro astratto è rimpiazzata da uno di questi concetti
alternativi, contraddizioni sorgeranno nella teoria del valore lavoro di Marx e
quella teoria sarà distorta. La porta è quindi aperta a ‘correzioni’ d’ogni
tipo e colore.
Un esempio di alcune di tali distorsioni si può trovare in
Napoleoni, la cui influenza sul marxismo italiano nel periodo dopo la seconda
guerra mondiale è stata decisiva. Per Napoleoni, il concetto marxiano del
lavoro astratto da una parte “è dedotto da un esame dello scambio come tale;
d’altra parte viene considerato come ‘lavoro che è opposto al capitale’ o
come lavoro salariato” (1975, p.99, traduzione mia, G.C.). Incominciamo dal
lavoro astratto che ha le sue origini nello scambio. Se, come abbiamo visto, per
Marx il carattere sociale del lavoro appare solo attraverso lo scambio,
quel carattere sociale deve esistere già allo stato potenziale al livello della
produzione. È quindi del tutto ingiustificato sostenere che le relazioni
sociali “non esistono tra le persone nella misura in cui esse lavorano”
(1975, p.102). Si può essere di questa opinione ma è inammissibile attribuirla
a Marx la cui teoria è basata sul carattere sociale delle relazioni di produzione.
Nella misura in cui lavora, la gente entra in relazioni di produzione che sono
sociali, di classe, e cioè i lavoratori con lavoratori e i capitalisti con i
lavoratori.
Napoleoni sembrerebbe credere che nel capitalismo il lavoro
non sia (immediatamente) sociale perché “il lavoro dell’individuo... è
privato ed indipendente” (1975, p.103), ciò perché “i singoli lavoratori
sono uniti nel lavoro di un lavoratore collettivo attraverso capitali particolari,
ciascuno dei quali è distinto e opposto a ciascun altro in una competizione
reciproca” (1975, p.110, traduzione mia, G.C.). Ma questo significa solamente
che la produzione capitalista è anarchica. Non significa che la gente (gli
agenti di produzione) non entrino in relazioni sociali mentre producono. Una
produzione anarchica è sociale a causa delle relazioni di classe in cui entrano
gli agenti di produzione. Napoleoni quindi conclude che, se il lavoro non è
sociale nella sfera della produzione, “diventa sociale nella misura in cui è
produttivo di moneta, cioè è reso sociale attraverso la forma valore assunta
dal prodotto” (1975, pp.103-104, traduzione mia, G.C.). In parole semplici, il
lavoro diventa sociale e quindi valore quando il prodotto è venduto. Questa
tesi verrà criticata più avanti nella sezione 6.
Ma vi è un’altra nozione di lavoro astratto in Marx,
perlomeno secondo Napoleoni. Questa è che “il lavoro è astratto nella misura
in cui è lavoro salariato” (1975, p.105, traduzione mia, G.C.), cioè
separato dai suoi mezzi di produzione, “ed è a causa di tale separazione che
il lavoro è astratto, cioè separato dalla soggettività degli individui, e
diventa una sostanza di cui gli individui, i lavoratori, non sono la
personificazione” (1975, p.106, traduzione mia, G.C.). In breve, il lavoro è
astratto perché è lavoro alienato. Ora, non vi è alcun dubbio che il lavoro
nel capitalismo sia lavoro alienato. Ma questa non è la definizione di Marx del
lavoro astratto. Questa definizione di lavoro astratto come lavoro alienato
sarà criticata nella sezione 7. Per ora è sufficiente mettere in rilevo la
differenza radicale tra la nozione di lavoro astratto di Marx e quella di
Napoleoni. [3]
A questo punto è opportuno fare una considerazione
metodologica della massima importanza. Questa sarà valida per tutto il presente
articolo. Napoleoni, e lo stesso vale per molti degli Autori discussi in questo
lavoro, supporta le sue interpretazioni con una quantità di citazioni di Marx.
Naturalmente, le citazioni possono essere tolte dal loro contesto o piegate
verso il proprio punto di vista. Personalmente credo che questo sia ciò che fa
Napoleoni (alcuni esempi saranno dati nella sezione 7). Ma un tale esercizio
filologico, sebbene importante in un contesto diverso, non è la strada che
sarà seguita qui. Il punto decisivo è che l’approccio seguito in quest’articolo,
e più in generale l’approccio temporale, riproduce tutti i risultati che
sono stati contestati dai critici di Marx. Nel caso specifico del problema
della trasformazione, riproduce le sue due uguaglianze fondamentali e cioè
quella (1) tra il plusvalore totale e i profitti totali e (2) tra il valore
totale e i prezzi totali. E questa è prova sufficiente che la lettura
temporale non solo è quella corretta ma anche quella che funziona. L’approccio
temporale sta ancora aspettando pazientemente la contro-prova, e cioè che le
interpretazioni ‘alternative’ e le conseguenti ‘correzioni’ possono fare
lo stesso. Nel frattempo, ritorniamo al lavoro astratto.
La differenza tra le nozioni di Marx del lavoro concreto e
astratto è essenziale per l’approccio marxista. Marx stesso la considerava
una delle sue più importanti scoperte. [4] Giocherà un ruolo insostituibile anche in
quanto segue. Nel capitalismo il valore delle merci è dato dal nuovo lavoro
astratto impiegato per la loro produzione più il lavoro astratto contenuto nei
mezzi di produzione, cioè è dato dalla somma del lavoro nuovo più quello
passato. Questo è il valore contenuto nelle merci. Solo il lavoro
astratto è il valore di una merce. La prova sarà data più avanti nella
sezione 3. Per semplicità, d’ora in avanti, lavoro indicherà lavoro
astratto, a meno che non si specifichi diversamente.
È ora possibile fare una precisazione terminologica. Per
lavoro si intende lavoro astratto erogato nelle relazioni di produzione
capitalistiche. Il lavoro allo stato fluido, cioè mentre è erogato, crea
valore durante l’atto della produzione, cioè prima di essere incorporato
nella merce finita. Non è ancora valore. È valore potenzialmente contenuto
nella merce perché la merce stessa è solo potenziale, perché non è ancora
finita. Il lavoro diventa valore contenuto, è valore contenuto realizzato,
quando il processo produttivo è condotto a termine e quindi il prodotto è
completato. Questo lavoro realizzato, incorporato nella merce, è valore individuale
e anche valore sociale potenziale; è la potenziale sostanza del valore
sociale. Con la vendita del prodotto, il valore incorporato, o lavoro
individuale, socialmente potenziale, diventa valore realizzato socialmente, o
valore sociale. La sostanza del valore sociale si realizza, non è più
potenziale, e assume la forma del valore, la forma monetaria. Quindi, il lavoro è
valore individuale, perché è incorporato nella merce prima della sua
vendita, e sostanza del valore sociale perché questo lavoro incorporato
(valore individuale) è anche potenzialmente valore sociale che diventa valore
sociale realizzato con la vendita della merce. È questo il senso dell’espressione,
che incontreremo spesso in quanto segue, “il lavoro è (la sostanza del)
valore”. [5]
Per ciascuna merce, il numero di ore di lavoro (sia nuovo che
passato) che sono state necessarie per produrla è la misura quantitativa del
valore contenuto in essa. Quanto maggiore il numero d’ore che sono state
necessarie, tanto maggiore il valore contenuto. Queste ore possono essere
suddivise in tre parti. Primo, i lavoratori devono riprodursi. Quindi, del
totale delle ore del nuovo lavoro impiegato, una parte deve servire a
riprodurli, cioè una parte deve essere ore necessarie per produrre quelle merci
che compongono il paniere dei beni salariali. Questa prima componente del valore
di una merce è chiamata valore necessario. Secondo, in un sistema
capitalistico, i lavoratori lavorano sia per riprodurre se stessi sia per
produrre i profitti dei capitalisti, cioè per riprodurre i capitalisti. Anche
questa prova sarà data nella sezione 3. Questa seconda componente del valore
delle merci è chiamata plus lavoro.
[1] I ringraziamenti dell’Autore vanno a A. Kliman e A.
Ramos per gli utili commenti.
[2] Un argomento simile è proposto da Arthur (1999) con la
differenza che la sua nozione di lavoro astratto differisce da quella di Marx.
Questa nozione sarà criticata nella sezione 7.
[3] Napoleoni si sofferma anche sulla questione se vi sia una ‘ambiguità’
tra queste due diverse nozioni di lavoro astratto. Sia come sia, questa
questione è aliena alla problematica di Marx.
[4] "I punti migliori nel mio libro
sono: 1. (questo è fondamentale per capire tutti i FATTI) il doppio
carattere del lavoro a seconda che sia espresso come un valore d’uso o come un
valore di scambio, che è specificato nel Capitolo Primo...” (Marx, 1987b,
p.407, traduzione mia, G.C.).
[5] Sono grato a C. Arthur i cui commenti critici (2001, pp.37-38) mi
hanno spronato a definire il più chiaramente possibile i concetti di cui
sopra.