Sindacati, fondi pensione e mercati finanziari: bilancio e limiti delle strategie nord-americane. Quale valore d’esempio per i sindacati in Europa?
Catherine Sauviat
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Introduzione: i sindacati nei mercati di capitale
I sindacati nord-americani da qualche anno si sono mobilitati
per la questione dei “soldi dei lavoratori” e del loro utilizzo. Questo
capitale, accumulato in fondi pensione (FP) in previsione del pensionamento dei
lavoratori e investito nei mercati finanziari, è considerato come un salario
differito: i sindacati ne richiedono per questo il controllo, se non esclusivo
almeno in accordo con i lavoratori, affinché gli investimenti derivanti dal
risparmio finanziario non compromettano gli interessi dei lavoratori che
rappresentano (ristrutturazioni, licenziamenti, privatizzazioni di servizi
pubblici, etc.).
Negli Stati Uniti, l’AFL-CIO ne ha fatto il fulcro della
sua strategia dalla metà degli anni ‘90 (ap Roberts, 1999; Sauviat e Pernot,
2000). In Canada, il Congrès du Travail du Canada (CTC) ha sollevato la
questione già dal 1986 e negli anni ‘90 ha riaffermato la sua volontà di
esercitare un controllo sugli investimenti nei FP, con lo scopo di sostenere le
priorità del movimento sindacale canadese, tra cui la creazione di nuovo
impiego (Baldwin, 1998). Queste iniziative nordamericane non sono rimaste
isolate. In Europa, il Trade Union Congress britannico (TUC) è presente
in questa questione e la Confederazione Internazionale dei Sindacati Liberi
(CISL) si è recentemente dedicata a questo tema, cercando di allargare sul
piano internazionale il campo di azione sindacale (Sauviat, 2001). Anche l’Internazionale
dei Servizi Pubblici (ISP), a gennaio di quest’anno, ha affidato ad una
trentina dei suoi esponenti il compito di riflettere sulle modalità di una
cooperazione sindacale a livello internazionale (Concialdi, 2001). La
Confederazione Europea dei Sindacati (CES) è rimasta fin’ora relativamente in
disparte su questo tema.
Queste differenti iniziative sono state intraprese
principalmente tra gli anni ‘80 e ‘90, e sono state caratterizzate, nella
maggior parte dei paesi, da una generale riduzione della capacità d’intervento
del sindacalismo (declino dei sindacati e degli scioperi, della negoziazione
collettiva, etc.). Inoltre sono state più radicali dove si è sviluppato un
regime pensionistico capitalizzato, costituendo spesso un “pilastro”
fondamentale per le pensioni dei lavoratori delle grandi imprese ma non per
tutti i lavoratori. Questi regimi pensionistici contribuiscono anche ad
alimentare, in maniera consistente, la liquidità dei mercati finanziari, mentre
i loro gestori procedono regolarmente all’acquisto e alla vendita di titoli.
Non è un caso se l’iniziativa di questa mobilitazione è partita dai
sindacati americani: infatti gli introiti dei FP americani rappresentano il 71%
dell’attivo dei FP a livello mondiale (OCDE, 2000) e una capitalizzazione di
borsa che da sola è pari alla metà di quella mondiale.
Tuttavia i sindacati non sono riusciti, negli Stati Uniti
ancor meno che in altri paesi, ad imporre un rapporto di forza durevole in loro
favore, sia nella negoziazione tra imprese e lavoratori, sia a livello politico
nei confronti dello Stato. Negli Stati Uniti ciò è imputabile all’incapacità
dei sindacati di esercitare un efficace rapporto di forza sul terreno
tradizionale dell’organizzazione e della negoziazione collettiva, oltre che
all’insufficiente pressione (con la conseguente ricerca nuove strategie d’azione)
esercitata nel far modificare il quadro legislativo antisindacale o nel fare
votare al Congresso una serie di grandi riforme sociali.
La stessa questione comincia ad essere posta oggi in Europa
all’interno di quei paesi in cui questo rapporto di forza è ben differente e
dove il risparmio capitalizzato nell’impresa guadagna terreno: così l’IG
Metall e la federazione padronale Gesamtmetall hanno annunciato, nel
quadro della riforma delle pensioni votata in Germania nel maggio 2001 che
introduce una parte di capitalizzazione nelle pensioni, l’intenzione di creare
un FP di settore, amministrato pariteticamente. Il sindacato metallurgico ha
condizionato la sua partecipazione all’accordo all’esigenza di una gestione
non solamente paritaria ma anche “etica” degli investimenti del futuro FP.
In Francia questa questione è stata posta da alcune parti sindacali, la CFDT,
in occasione della riforma sul risparmio salariale e sul suo sviluppo.
Nel rinviare ad una successiva analisi le esperienze, vecchie
ma limitate, del movimento sindacale nordamericano, si anticipano quelle che
sono le principali tematiche che verranno affrontate: a) la creazione e l’utilizzo
di strumenti finanziari in funzione dei bisogni dei lavoratori (i fondi d’investimento
sindacali); b) l’interesse più recente dei sindacati per gli investimenti “etici”
o “socialmente utili” nei confronti dei quali sono rimasti, e restano
ancora, relativamente diffidenti; c) l’impegno ugualmente recente in materia
di attivismo azionario che consiste per i sindacati nel diretto coinvolgimento
nella gestione dei FP con una rivendicazione dei loro diritto di “proprietari”.
L’idea alla base di queste iniziative è che i “soldi dei lavoratori”
debbano essere impiegati per fini sociali e utili alla comunità stessa dei
lavoratori. Questa strategia può servire da trampolino di lancio per la
riconquista sindacale e l’affermazione di un potere allargato?
Si cercherà di mettere in evidenza la portata, i limiti e le
contraddizioni di un tale impegno. Ci si domanderà quali vie sono state aperte
da questa nuova forma di cooperazione sindacale internazionale, agendo sui
mercati finanziari piuttosto che sull’azione o sulla negoziazione collettiva.
Questa forma d’intervento si sviluppa come supporto privilegiato alle nuove
pratiche sindacali internazionali che sembrano soppiantare o sostituire i
tentativi più vecchi “d’internazionalismo sindacale”, elaborati con l’esperienza
limitata dei consigli di gruppo mondiali degli anni ‘60 e ‘70 o con quelle
più recenti legate alla costruzione di comitati di gruppo europei e dei diritti
d’informazione e di consultazione dei lavoratori (Rehfeldt, 1993 e 2001).
Potrà questo processo rigenerare il sindacalismo e
permettere il riequilibrio dei rapporti di forza a vantaggio del lavoro,
accrescendo il suo potere decisionale e i suoi margini di manovra di fronte ad
un capitale sempre più globalizzato e sempre più libero nei suoi movimenti?
1. I sindacati nordamericani e la gestione dei fondi pensione (FP)
Il risparmio proveniente dagli attivi accumulati nel quadro
dei FP in vista del finanziamento delle pensioni dei lavoratori si è sottratto
per molto tempo, e ancora si sottrae, al controllo dei beneficiari. Questo
risparmio istituzionale che si è accresciuto molto nel corso degli anni ‘80 e
‘90, è concentrato nelle mani di gestori di risparmio collettivo molto
potenti (gestori indipendenti, gestori di fondi mutualistici, filiali di banche
o compagnie d’assicurazione, etc.), professionisti nella gestione di attivi,
scelti per la maggior parte delle volte dal datore di lavoro (impresa o
amministrazione). Così i sindacati non hanno che un ruolo marginale nella
gestione di questi fondi, anche se i regimi pensionistici a capitalizzazione
costituiscono un elemento centrale nella negoziazione collettiva. Da questo
punto di vista, la situazione in Canada si è evoluta in maniera diversa da
quella americana, dando maggior spazio ed influenza ai sindacati. È l’espressione
di un rapporto di forza sindacati/lavoratori e di una capacità d’intervento
più favorevole, che rappresenta traiettorie divergenti nei due sindacalismi,
malgrado tradizioni comuni e una forte influenza del sistema delle relazioni
professionali americane su quelle canadesi (Costa, 1999).
1.1 L’esclusione dei sindacati dalla gestione dei FP negli Stati Uniti
I FP, generalmente costituiti sotto forma di consorzi
indipendenti dall’impresa o dall’amministrazione dalla quale provengono,
amministrano le quote di parte delle pensioni versate dai datori di lavoro e/o
dai lavoratori, investendole sui mercati finanziari. Ma l’influenza sindacale
è strettamente legata allo statuto dei FP. Da questo punto di vista, si
distinguono tradizionalmente tre tipi di FP negli Stati Uniti: i FP del settore
pubblico (Stato e collettività locali: tra i primi datori di lavoro ad esser
sorti), i FP di datori di lavoro del settore privato, la cui espansione risale
soprattutto agli anni ‘50 e ‘60 e i FP misti, chiamati anche FP Taft-Hartley
o anche, dal 1947, FP sindacali. Insieme, concentrano oggi circa 7.700 miliardi
di dollari americani d’attivo e contribuiscono al 23% della capitalizzazione
di borsa americana.
I FP del settore pubblico sono generalmente tra i più
potenti dal punto di vista dell’impatto finanziario, anche se non
rappresentano globalmente che il 40% del totale del valore dei FP (contro il 60%
dei FP del settore privato). Regolamentati dagli Stati, vengono di solito
gestiti da un consiglio d’amministrazione nel quale sono presenti
rappresentanti nominati dallo Stato ed altri eletti dai lavoratori. Questi
ultimi appartengono spesso ai sindacati, pur non agendo in loro rappresentanza;
inoltre, quando partecipano direttamente al consiglio d’amministrazione dei
fondi, sono praticamente sempre in minoranza.
Nei FP dei datori di lavoro del settore privato,
regolamentati da una legge federale del 1974 (ERISA), i sindacati si sono fatti
estromettere completamente dal controllo dei fondi, dagli stessi datori di
lavoro (Roberts, 1999).
Questa situazione non era stata preventivata dai sindacati.
Alla fine della seconda guerra mondiale, i grandi sindacati dell’industria in
continuo incremento avevano negoziato l’istituzione dei loro regimi
pensionistici con i datori di lavoro, cercando di controllarne la gestione. Del
resto, il controllo dei fondi pensione, era una delle principali poste in gioco
nello sciopero dei minatori del 1946, condotto da John Lewis. È proprio grazie
a questa offensiva sindacale e al New Deal in genere, che il sindacalismo
ha avuto il suo riconoscimento giuridico; ciò ha permesso il suo riconoscimento
negli gli ambienti imprenditoriali, che ha portato a far votare al Congresso la
legge Taft-Hartley nel 1947. Questa legge, chiamata dai sindacalisti Slave
Labor Act, vieta il controllo sindacale esclusivo dei FP (Roe, 1994).
Questa legge impone da quel momento una gestione paritaria,
allo scopo di bloccare il potere acquisito dai sindacati nella gestione dei loro
regimi pensionistici e più in generale il rischio di un influsso sindacale
crescente sulle imprese e sull’intera economia, formulato esplicitamente dalla
destra senatoriale dell’epoca.
I FP “sindacali” saranno di fatto controllati dai
sindacati, e non da piccoli datori di lavoro dispersi. Questi regimi si
concentrano tipicamente nei settori nei quali le imprese, medie o piccole,
offrono salari meno elevati rispetto alle grandi imprese (costruzioni, servizi e
trasporti) e quindi producono meno attivo dei regimi d’impresa. In questo
contesto, i sindacati non controllano direttamente che una piccola parte degli
attivi totali dei FP (circa il 6%), anche se esercitano un’influenza maggiore,
grazie alla loro presenza nei consigli di amministrazione dei FP pubblici nei
quali possono esercitare pressione e far sentire la loro voce (Ghilarducci,
1999; Calabrese, 1999).
Questo peso relativo, già debole, rischia di diminuire
ulteriormente, a causa del declino tendenziale dei regimi pensionistici a
prestazioni definite, ossia quelli nei quali il datore di lavoro si impegna a
versare un determinato livello di pensione ai suoi lavoratori.
Il loro declino si manifesta a beneficio dei piani d’accumulo
definiti, nei quali i lavoratori sopportano non solo il finanziamento della loro
pensione, ma anche il rischio finanziario legato all’alea dei mercati
(Roberts, 2000). Questo movimento, che opera principalmente in seno ai FP d’impresa,
sta guadagnando terreno nei confronti dei FP sindacali e di quelli del settore
pubblico.
Dunque, anche se la copertura dei FP dei lavoratori del
settore privato si è accresciuta fino a raggiungere il suo massimo negli anni
‘70, non è stata accompagnata da un rafforzamento del potere di controllo dei
sindacati in materia di gestione dei fondi. Ad eccezione della negoziazione
collettiva delle prestazioni pensionistiche, dove esiste una presenza sindacale,
questo “controllo” è rimasto, nell’insieme o nel gioco di una catena di
deleghe di responsabilità, di competenza dei datori di lavoro, fatta eccezione
per il settore, d’importanza minore in termini d’attivo, dei FP detti “sindacali”.
Ciò perché i fiduciari o i consorziati, che formano il consiglio d’amministrazione
dei FP, delegano spesso la gestione degli stessi a gestori specializzati e si
circondano di consulenti per determinare la politica di collocamento dei fondi.
Oggi più dell’80% della ricchezza dei FP sono collocati all’esterno. È il
caso della maggioranza di FP del settore privato: solo qualche FP del settore
pubblico amministra i propri fondi dall’interno, facendo eccezione a questa
regola.
1.2 I sindacati più inseriti nei FP nel Canada,
soprattutto nel Quebec
I regimi pensionistici a capitalizzazione coinvolgono oggi
circa il 40% dei lavoratori del Canada. Il tasso massimo di coinvolgimento è
stato raggiunto verso la fine degli anni 70 senza mai superare il 50%.
Regolamentati già dal 1919 dai governi federali, sono stati riconsiderati dalle
provincie a partire dagli anni 60: in particolare nell’Ontario e in Quebec tra
il 1965 e il 1966. Verso la metà degli anni ‘80 vengono effettuate nuove
riforme a protezione dei sottoscrittori di fondi: l’Ontario vota una nuova
legge nel 1987 e il Quebec nel 1990 (legge sui regimi complementari
pensionistici). Quest’ultima è applicata ai regimi pensionistici dei
lavoratori del settore privato e municipale e ad alcuni lavoratori del settore
parastatale, con l’esclusione di quelli governati da leggi specifiche ed
appartenenti ad un settore di competenza federale (funzione pubblica federale,
società degli Stati federali, difesa nazionale, banche, comunicazione e
trasporti interprovinciali e internazionali), ed inoltre a certe imprese di
settori considerati strategici (ex. miniere).
Con questa legge, il Quebec si distingue dall’Ontario e
dalle altre provincie: in seguito alla legge, l’amministrazione dei regimi
complementari non è più sotto l’autorità esclusiva dei datori di lavoro, ma
deve essere condivisa con i lavoratori. Tale legge esige in effetti la
costituzione di un comitato sulle pensioni, contraddistinto dalla presenza del
datore di lavoro, come amministratore del regime, oltre a quella minima di due
rappresentanti dei lavoratori (esclusi quelli molto piccoli con meno di cinque
partecipanti): uno che rappresenti i partecipanti attivi, l’altro quelli in
pensione. Nella realtà dei fatti il datore di lavoro ottiene la maggioranza dei
seggi, soprattutto nel settore privato. Nelle province anglofone l’assistenza
di tali comitati non è obbligatoria, salvo in certe giurisdizioni per i regimi
tra più imprese.
Questi regimi pensionistici sono lontani dal raggiungere il
peso finanziario dei loro omologhi americani, sia in termini assoluti che
relativi: alla fine del 1999 i FP canadesi valevano 665 miliardi di dollari
canadesi di attivo, appena il 13% della capitalizzazione borsistica canadese. Si
possono tuttavia suddividere, come negli Stati Uniti, a seconda che riguardino i
lavoratori del settore pubblico (amministrazione federale, provinciale e
locale), quelli delle imprese del settore privato o ancora di un settore
composto di piccole e medie imprese, come le costruzioni o i trasporti. In
compenso, sono i FP del settore pubblico che rappresentano, in Canada, la
maggior parte delle somme detenute dall’insieme dei FP (60%) e figurano ai
primi posti dei FP canadesi in termini di classificazione. Allo stesso modo la
proporzione di somme gestite internamente è maggiore in Canada che negli Stati
Uniti (un terzo del totale).
Il montante degli attivi accumulati nelle casse delle
pensioni sindacali o sui quali i sindacati esercitano di più la loro influenza
non è conosciuto esattamente. In Canada i sindacati controllano direttamente i
FP come i loro omologhi americani, esclusi quelli di piccola taglia (con attivo
inferiore ai 25 milioni di dollari canadesi) investiti in una cassa di gestione
comune e, in questo caso, non amministrati dai sindacati. Ma sono pochi quelli
che esercitano un ruolo attivo nella gestione dei loro FP (Quarter & al.,
2001). I sindacati sono ugualmente rappresentati in alcuni FP del settore
privato e, dagli anni ‘80, in un numero crescente di FP del settore pubblico (joint
trusteed funds), dove sono in grado di esercitare un controllo se non
esclusivo almeno congiunto, con la partecipazione ai comitati consultivi (come i
FP legati al sindacato del settore pubblico nella provincia dell’Ontario,
OPSEU). Sui 100 primi FP che concentrano l’84% del totale dei FP del Canada,
solo quattro sono interamente controllati dai sindacati. Quanto all’influenza
sindacale “elargita”, questa si estende su un terzo degli attivi dei regimi
professionali pensionistici, ossia a circa 200 miliardi di dollari canadesi
(Falconer, 1999). Questa situazione testimonia una condizione ben più
vantaggiosa del sindacalismo nel settore pubblico in Canada: il tasso di
sindacalizzazione qui è circa del 70%, contro il 38% degli Stati Uniti.
Ciò testimonia una cultura politica del compromesso e, allo
stesso tempo, d’innovazione sociale, che si spiega nel quadro di un
federalismo decentrato a vantaggio delle provincie del Canada e che si oppone
all’esperienza americana (Thèret, 1997).
1.3. Una gestione delegata, prudente e consuetudinaria dei FP sindacali nord
americani
I FP sindacali sono generalmente dei regimi a prestazioni
definite, ossia elargiscono pensioni in rapporto al salario e all’anzianità
lavorativa nel settore o nel mestiere. La maggior parte dei responsabili
sindacali, amministratori di questi fondi, sono poco ferrati in materia
finanziaria e poco disponibili a farsi coinvolgere nella gestione dei fondi.
Inoltre sono estremamente spaventati dall’eventualità di correre dei rischi
per il fatto che la legislazione punitiva li rende personalmente responsabili in
caso di cattiva gestione. Non possono atteggiarsi a rappresentanti dei
lavoratori, ma devono comportarsi come rappresentanti dei beneficiari dei fondi.
Qui il quadro giuridico non è affatto diverso nella sua filosofia, sia nel caso
si tratti degli Stati Uniti o del Canada: la legge ERISA allo stesso modo che il
common law canadese, ispirato dal corpo giuridico britannico, impone di
massimizzare il ritorno sugli investimenti per un dato livello di rischio, nell’interesse
esclusivo dei partecipanti e beneficiari al regime. E la giurisdizione
sviluppatasi in questi due paesi non lascia apparire grandi divergenze su questo
punto. In Canada una decisione giuridica del 1984, presa all’unanimità fa da
caposaldo: i consorzi devono dare la priorità ai rendimenti, su tutte le
altre questioni.
Così si spiega la tendenza dei consorzi sindacali a
gestire in modo abbastanza conservativo e spesso con gestioni vincolate, gli
investimenti. Ciò perché da un lato la legislazione spinge ad ottenere i
migliori rendimenti del mercato per i beneficiari dei regimi pensionistici e
dall’altro le pressioni dei gestori spingono per sviluppare una “politica d’investimenti
adeguata”. Questi fiduciari sono incitati a circondarsi d’esperti e di
consulenti di ogni genere, per assolvere alle loro obbligazioni fiduciarie
(consulenti che determinino il bisogno di finanziamento dei FP, stabiliscano la
strategia di collocamento dei fondi, scelgano i professionisti destinati a
gestire tali fondi e i revisori incaricati di verificare i conti, etc.).
I professionisti della pension industry si adoperano
per curare le relazioni con i consorzi sindacali e per mantenerli in uno
stato di “dipendenza permanente”. Questi professionisti esercitano spesso il
diritto di voto dei loro clienti nelle assemblee generali degli azionari,
secondo un loro arbitrario orientamento.
L’euforia borsistica degli anni ‘90 ha condotto i consorzi
sindacali a modificare la composizione dei portafogli dei FP in favore di
investimenti più rischiosi, come quelli in azioni, condizione sine qua non
dello sviluppo di un attivismo militante. Così sia il Western Conference of
Teamsters Pension trust, che è il più importante FP dei Teamsters,
sia i FP multi-datoriali degli Stati Uniti, fino al 1985 non avevano alcuna
azione in portafoglio. Oggi i due terzi del suo portafoglio (23 miliardi di
dollari americani di attivo) sono investiti in azioni.