Introduzione
Il movimento associativo dei lavoratori nasce in Brasile all’inizio
del secolo e sin da allora è caratterizzato da discontinuità temporale e
asimmetria geografica. Storicamente la dinamica del processo d’industrializzazione
ha portato alla concentrazione di classi di lavoratori in determinate regioni
influenzando direttamente la composizione del panorama sindacale del paese. A
periodi d’intensa attività del movimento sindacale si sono alternati momenti
di contrazione organizzativa, conseguenza soprattutto di regimi autoritari. Da
ciò s’intuisce la coesistenza di un sindacalismo combattivo con pratiche
sindacali d’assistenzialismo, dai connotati dell’ufficialità o puramente
burocratici. Questa grande diversità rende difficoltoso definire il
sindacalismo brasiliano e ci spinge ad evitare generalizzazioni affrettate che,
oltre a trascurare le differenze, comporterebbero il rischio di produrre analisi
che non agevolano affatto la comprensione del fenomeno sindacale brasiliano.
In questo articolo intendo sottolineare le congiunture più
significative vissute dal movimento sindacale brasiliano, in modo da
evidenziarne la diversità interna e le sue specificità. Soltanto evidenziando
le differenze sarà possibile, tutto sommato, far emergere i suoi punti di forza
e percepire le sue tendenze. Come filo conduttore delle traiettorie del
movimento sindacale brasiliano utilizzeremo la legislazione sindacale, strumento
privilegiato per la percezione delle sue matrici costitutive e parametro
fondamentale per la comprensione delle differenti posizioni assunte dai
principali protagonisti.
1. Dal Libero Sindacalismo alla Repressione Sindacale
I primi sindacati sorgono in Brasile alla fine del secolo
passato, spesso influenzati dall’esperienza organizzativa apportata nel Paese
dagli emigranti europei. La formazione della classe lavoratrice brasiliana è
segnata da un “peccato originale”: la presenza contemporanea nelle
fabbriche del lavoro libero e del lavoro coercitivo dello schiavo. La schiavitù
è abolita soltanto nel 1888. Questo marchio d’origine avrà ripercussioni
decisive sulla conformazione del lavoro nella società brasiliana.
L’associazionismo della fine del secolo XIX e della prima
decade del XX si esprime anche sottoforma di società previdenziali, unioni
operaie e associazioni di varia denominazione e a carattere prevalentemente
assistenziale. I primi testi giuridici di regolamentazione del lavoro, non
entrano in vigore in tutti i paesi, poiché la loro valenza è spesso limitata
allo stato della federazione o alla categoria ai quali è rivolta.
Fino agli anni ‘30 i sindacati erano stati liberi, autonomi
e indipendenti dallo Stato. Era compito dei lavoratori definire la forma della
loro organizzazione, i criteri d’adesione e le modalità di funzionamento. Nel
marzo del 1931, nel contesto della Rivoluzione del 1930 che aveva portato
Getulio Vargas al potere, viene promulgato il Decreto 19.770, la legge della
Sindacalizzazione. Joaquin Pimenta; uno degli autori afferma che il Decreto “fu
una specie di carta costituzionale che, poiché ripristinava e garantiva il
diritto d’associazione dei lavoratori, ampliava il modello tradizionale di
sindacato che, aldilà dell’istituzione, il cui statuto era basato anche sulle
norme del diritto privato, forniva un contributo ulteriore allo Stato nella
soluzione di problemi direttamente legati agli interessi di classe”
(Pimenta, 1949, p. 189).
La legislazione sindacale formalizzata dal governo Vargas s’ispirava
alla Carta del Lavoro italiana. In conformità al suo marchio corporativistico,
cercava di ridurre i conflitti sociali intrinseci alla relazione
capitale-lavoro, definendo i due settori complementari. In termini legali la
struttura sindacale si caratterizza per i suoi principi d’unicità sindacale,
organizzazione in rami d’attività e subordinazione allo Stato. Il decreto
definiva la creazione di un sindacato su base territoriale e per categoria
professionale, in una struttura dove ogni settore d’attività poteva
comunicare con i suoi simili soltanto verticalmente, non essendo permessa la
creazione di una struttura intersindacale. In termini visivi possiamo pensare ad
una figura piramidale così rappresentata: un Sindacato con base locale, una
Federazione con base regionale e una Confederazione con base nazionale che
riuniscono lavoratori di uno stesso ramo d’attività. In cima alla piramide lo
Stato, attraverso il Ministero del Lavoro, forniva i presupposti materiali per l’esistenza
dei sindacati, con la trattenuta per l’imposta sindacale, e definiva al tempo
stesso i limiti della sua azione.
Il panorama sindacale brasiliano è profondamente alterato
dalla Legge sulla Sindacalizzazione. In termini legali, i sindacati passano da
figure di diritto privato a figure di diritto pubblico, integrate nel
dispositivo statale dall’imposta sindacale. La fondazione d’entità
sindacali è subordinata alla copertura dei requisiti definiti dal Ministero del
Lavoro, preposto alla promulgazione della Carta Sindacale, strumento legale d’espressione
dell’atto di creazione dei sindacati. Le istituzioni dei lavoratori riservano
allo Stato la funzione d’arbitro, svuotando il potenziale conflittuale che
caratterizzava la relazione capitale-lavoro e trasferendolo nell’ambito della
giustizia nel lavoro. Il perno fondamentale della nuova legislazione è l’incorporazione
subordinata dei lavoratori allo spazio pubblico.
Nello stesso periodo nasce la legislazione sociale che, come
la legislazione sindacale, entra in vigore su tutto il territorio nazionale,.
“Soltanto durante l’anno 1931 furono elaborate sei proposte di leggi
sociali (Horário de Trabalho; Regulamentação do Trabalho Feminino e do
Trabalho de Menores; Convenções Coletivas de Trabalho; Juntas de Conciliação
e Julgamento e Salário Mínimo) e furono promulgate due leggi - quella sulla
Sindacalizzazione e quella sulla Nazionalizzazione del Lavoro” (Gomes,
1979, p.224). In termini economico-sociali lo Stato passa a regolare il costo
della rigenerazione della forza lavoro attraverso il Salario Minimo, mentre sul
piano politico cerca di controllare le forme d’inserimento di questi nuovi
protagonisti sociali.
La promulgazione della legislazione sociale passa alla storia
ufficiale come una “donazione” del governo Vargas, sebbene le
risoluzioni legali rispondessero alle richieste storiche dei lavoratori,
espresse durante la Prima Repubblica con rivendicazioni e scioperi (1889-1930).
D’altro canto, il governo definiva norme e condizioni per l’accesso ai
diritti, estromettendo da questi i lavoratori associati a sindacati non
ufficializzati dallo Stato. Pertanto, il decreto di sindacalizzazione associato
ai decreti che fornivano le norme della legislazione sociale, per assicurare il
diritto d’associazione e rappresentazione dei lavoratori, definisce anche le
condizioni di accesso a questi diritti e, in ultima istanza, i limiti dell’accesso
alla cittadinanza per la popolazione lavoratrice.
Di fronte al movimento associativo la Legge sulla
Sindacalizzazione rappresenta un paradosso: infatti, nel momento stesso in cui
elimina la libertà d’organizzazione, l’indipendenza e l’autonomia dei
sindacati, questa legislazione rende però possibile l’organizzazione
sindacale dei lavoratori, fino ad allora ostacolata dall’intolleranza dei
padroni e dall’intensa repressione esercitata. Le frazioni senza esperienza
organizzativa invocano la legalità affinché il governo fornisca al sindacato i
mezzi per affrontare la resistenza dei padroni. Da parte loro i vecchi sindacati
che rifiutano l’ufficializzazione di fronte allo Stato, cercano di attrarre
nuovi aderenti e adoperarsi per ottenere, con organismi soggetti alle norme
ufficiali, l’adesione dei lavoratori.
Tuttavia la legislazione in vigore con il Decreto Sindacale
non assicura, di fatto, ai lavoratori il diritto all’organizzazione, che
continua ad essere oggetto di repressione da parte del patronato, recalcitrante
all’applicazione della legislazione sociale considerata un’intromissione
dello Stato nei propri affari privati. L’esigenza riconosciuta dal Ministero
del Lavoro di fornire sistematicamente informazioni uniformi a livello nazionale
sulle imprese, comporta delle abitudini amministrative viste dal patronato come
una perdita di tempo. L’impresa di quel periodo registra numerose denuncie di
lavoratori ai quali l’impresario rifiuta il rispetto delle leggi sociali e
sindacali (Ferriera, 2000).
Nel contesto di un riassetto delle forze politiche negli anni
‘30, i lavoratori utilizzano le entità sindacali come strumento di lotta per
rivendicazioni che vanno oltre l’universo manifatturiero. Attraverso i
sindacati esprimono le loro rivendicazioni per l’ottenimento di scuole,
abitazioni decenti, riserve d’acqua e posti di lavoro sicuri. Richieste si
basano sulla nozione dei diritti propri di una cittadinanza in costruzione.
Questa pratica evidenzia la tensione interna nella costruzione della
cittadinanza come risultato dell’accostamento di due progetti: l’attribuzione
di una cittadinanza definita nei suoi limiti dallo Stato e lo shock del
tentativo dei lavoratori di diventare cittadini oltre ogni limite d’attribuzione
e di tutela.
Paradossalmente in questo periodo insieme allo scossone
generato da questa legge si registra anche la formazione d’entità
intersindacali orizzontali. Le entità intersindacali, anch’esse non
autorizzate dalla legge, sono utilizzate dai sindacati per ottenere credito
nella lotta interna al movimento. L’inesistenza in un primo momento, di una
attività repressiva del governo contro le entità non ufficiali favorisce la
grande eterogeneità delle organizzazioni associative. Ciò permette la
coesistenza di sindacati ufficiali, sindacati indipendenti e intersindacati,
dove in molti casi le entità preesistenti, come le leghe, le unioni e le
associazioni, avevano una composizione interna molto varia (Ferriera, 1997).
Pertanto il processo di adeguamento delle entità sindacali
al modello ufficiale avviene gradualmente. All’inizio, i sindacati
indipendenti intensificano le loro strategie organizzative in maniera da
competere con i sindacati ufficiali e ottenere una maggiore legittimità all’interno
della classe lavoratrice. Ma poi, in considerazione del fatto che l’accesso ai
diritti sociali era riservato ai soli lavoratori vincolati alle entità
riconosciute dal Ministero del Lavoro, l’affiliazione o la permanenza dei
lavoratori in questi era molto difficile. Il movimento sindacale si rende conto
che non si tratta più di conquistare legittimità all’interno della classe
lavoratrice, ma di accedere alla legalità di fronte allo Stato. Questa
legalità gli avrebbe permesso di acquisire il monopolio della rappresentanza
dei lavoratori.
Nel frattempo il grande impulso all’ufficializzazione delle
entità libere avviene in occasione della convocazione dei delegati di classe
alla Costituente del 1934. L’obbligo, per i candidati alla delegazione, di
essere vincolati ad entità riconosciute dallo Stato, fa correre i sindacati all’accreditamento
presso il Ministero del Lavoro. Questo mutamento di strategia si riflette anche
nei cambiamenti in corso sul piano ideologico, nella misura in cui le correnti
anarchico-sindacaliste, contrarie ad ogni rapporto con lo Stato, cominciano a
perdere la loro egemonia all’interno del movimento sindacale del Partido
Comunista. Fondato nel 1922 e fino ad allora con una timida presenza sulla scena
sindacale, il PC comprende la possibilità di usufruire a proprio beneficio del
principio d’unicità sindacale e sceglie il movimento sindacale come terreno
principale d’azione.
Durante il periodo della dittatura dello “Stato Nuovo”
che ha era iniziata nel 1937, si va consolidando il processo d’adeguamento dei
sindacati alla legislazione ufficiale. La Costituente del 1937 mantiene
inalterata la legislazione sindacale. Il governo se ne serve per reprimere
duramente le organizzazioni sindacali indipendenti, obbligandole a adeguarsi ai
requisiti ufficiali. In questo periodo molte entità, non avendo più alcuna
possibilità di sopravvivenza al di fuori delle regole imposte dal Ministero del
Lavoro, completano l’adeguamento.
Concluso il processo d’assoggettamento dei sindacati allo
Stato, cambia la logica interna del movimento e ha inizio un nuovo periodo.
Ormai non si tratta più di gruppi di militanti, la cui azione è legittimata
dal consenso dei suoi pari e resa completa attraverso questa. Si tratta di
guadagnare la legalità come entità burocratica, ossia come agenzia vincolata
all’apparato statale. Il rapporto Stato-lavoratori si rivela più complesso,
tanto da portare all’introduzione d’elementi di controllo più raffinati e
ancor più dannosi della repressione diretta.
Il modello regolatore dello Stato nei rapporti di lavoro è
uno degli aspetti preponderanti della società brasiliana a partire dagli anni
‘30. La legislazione sindacale si rivela una delle istituzioni più durature
del paese. Sopravvivendo a mutazioni congiunturali significative, all’alternanza
tra periodi di autoritarismo e di democrazia, alla costituzione di un
significativo parco industriale e al processo di urbanizzazione che negli ultimi
30 anni aveva modificato profondamente la società brasiliana, la legislazione
sindacale arriva, fino ai giorni nostri, praticamente inalterata. Questa
longevità ha comportato la costituzione di una tradizione che continua a
segnare profondamente la società brasiliana.
2. Sindacati e democratizzazione
Nell’immediato dopoguerra i sindacati, a seguito del
processo di democratizzazione in corso nel paese, vivono un ciclo d’espansione.
Per quasi due decenni il movimento sindacale non solo sviluppa le sue strategie
organizzative, accrescendo il numero degli iscritti, ma interviene anche
intensamente nello spazio pubblico. In termini ideologici si consolida la
presenza e l’influenza del Partido Comunista all’interno del movimento
organizzato dei lavoratori. Alleandosi a sinistra con il Partido Trabalhista
Brasileiro (PTB), il PCB conquista la direzione d’importanti sindacati,
federazioni e confederazioni. Sul piano interno il PCB definisce le strategie
sindacali mentre su quello esterno conduce il movimento sindacale sulla scena
politica.
Inoltre pur non essendo previste dalla legislazione
sindacale, sorgono in questo periodo numerose entità intersindacali, come il
Pacto de Unidade e Ação (PUA), o il Movimento Unificado dos Trabalhadores
(MUT), che agiscono come Centrali Sindacali articolando e dirigendo il
movimento. Tra queste la più importante è la Central General dos Trabalhadores
(CGT) che nasce come direzione per gli scioperi ma che in seguito si trasforma
in una Centrale Sindacale con sedi statali in quasi tutto il paese.
È l’inizio degli anni ‘60 e la società brasiliana vive
un momento di mobilitazione a favore della realizzazione della cosiddetta “Reformas
de Base”: una riforma agraria, urbana, dell’educazione, ecc. I
lavoratori approfittano della congiuntura favorevole per esprimere le loro
rivendicazioni, provocando molti scioperi in tutto il paese. Il movimento
sindacale occupa l’arena politica dando impulso alle tesi “pecebistas” [i] dell’alleanza
con la borghesia nazionale. Le direzioni sindacali rimangono al centro della
crisi politica del governo di João Goulart che terminano con il colpo di stato
militare del 1964.
È importante fare notare che senza che si sia avuto alcun
cambiamento nella legislazione sindacale, si passa dal periodo di forte
repressione del Nuovo Stato (1937-1945) che in pratica mette al bando l’esistenza
del movimento sindacale, ad una situazione d’intensa mobilitazione espressa
nel continuo susseguirsi di scioperi, nella formazione di strutture orizzontali
e nella presenza di lavoratori sulla scena pubblica. Ciò che viene dimostrato
è l’estrema elasticità di una legislazione sindacale in grado di adeguarsi
alle diverse congiunture, fino a passare da un opposto all’altro senza la
necessità di essere modificata.
Nella fase di democratizzazione degli anni ‘50 e ‘60
predomina l’impegno del movimento sindacale all’interno del quadro più
generale delle “grande politica”. Tuttavia, tenendo anche in considerazione
l’emergenza del CGT e il suo sforzo di ramificazione in tutto il paese, così
come il dilagare di scioperi provocati da numerosi ed importanti movimenti, la
pratica sindacale di quel periodo può essere caratterizzata come “cupulista”.
In questa, le direzioni politicizzate, definiscono all’interno del partito le
tattiche e le strategie d’azione che devono essere perseguite dalla base.
Decisioni che collocano i lavoratori al traino della politica partitica e delle
alleanze formulate dal PC in un quadro nazional-populista.
Durante questo periodo il movimento sindacale ottiene una
grande visibilità pubblica. Le aree conservatrici allarmate da ciò, denunciano
che è in corso l’instaurazione di una “República Sindacalista no Brasil”.
La situazione d’intensa mobilitazione è interrotta dal colpo di stato del
1964, che dà luogo ad un nuovo intervallo autoritario terminato soltanto negli
anni ‘80.
La dittatura militare reprime violentemente i lavoratori. Le
sedi sindacali sono violate, la leadership e i membri delle direzioni arrestati
e il governo militare nomina degli “interventores” [i] alla direzione dei sindacati. La CGT è sciolta, i
suoi dirigenti perseguiti, arrestati o eliminati. Centinaia di lavoratori urbani
e rurali che sopravvivono alle prime persecuzioni, temendo l’imminente
imprigionamento, entrano in “clandestinità” rimanendovi fino all’amnistia.
Il movimento sindacale è disarticolato e reso privo di carattere attraverso la
trasformazione dei sindacati in ripartizioni pubbliche, rivolte alla prestazione
di servizi per i lavoratori.
Nel 1968 con il riemergere degli scioperi metalmeccanici in
Contagem, le città di Minas Gerais e Osasco, della grande San Paulo,
sorprendono il paese con un atto di resistenza dei sindacati. Nell’impossibilità
di continuare la pratica sindacale di mobilitazione pubblica, i lavoratori
ricorrono ad organizzazioni silenziose ed interne ai Comitati di Fabbrica che
erano stati all’origine degli storici scioperi del 1968. Con un innovativo
modo di affrontare gli scioperi, i lavoratori occupano i complessi delle
fabbriche, mantenendosi al suo interno durante tutto lo svolgersi del movimento.
Il governo invia l’esercito e i carri armati per reprimere con estrema
violenza gli scioperanti. Il cattivo esito degli scioperi di Contagem e Osasco
segna la sconfitta del movimento sindacale, rinchiudendolo in un silenzio che
sarebbe stato infranto soltanto 10 anni più tardi nelle giornate dello sciopero
dell’ABC paulista.
La legislazione sindacale rimane inalterata anche durante
questo nuovo periodo d’autoritarismo. Per reprimere i sindacati i governi
militari ricorrono a dispositivi legali già esistenti. Si effettuano solo due
invasioni nel campo della legislazione sul lavoro. Aldilà della
regolamentazione sul valore del Salario Minimo, i governi autoritari definiscono
attraverso le leggi il livello di percentuale d’aggiustamento dei salari. Nel
1966 è istituito un Fundo de Garantia por Tempo de Serviço (FGTS), che
anticipa di 30 anni la rottura della stabilità nell’impiego. Composto di
quote, calcolate in base al salario dell’impiegato, da dover essere depositate
in una banca per gli impiegati, il FGTS intendeva liberare le imprese dai costi
di liquidazione, anticipando di più di 30 anni la flessibilità del lavoro in
Brasile.
[i] Ndt.
“pecebistas”: esponenti del PCB (Partido Comunista Brasileiro)
[i] Ntd: Sorta
d’ispettori o commissari.