1. Imperialismo, blocchi economici...
Da un punto di vista economico, l’imperialismo è l’appropriazione
sistematica di valore internazionale. Cioè, le imprese
capitalistiche nei paesi imperialisti si appropriano sistematicamente del valore
prodotto dalle imprese (ma anche dai produttori indipendenti) nei paesi
dominati. Tale appropriazione richiede sia condizioni economiche (per esempio,
una certa struttura delle economie dei paesi dominati, come vedremo più sotto)
che condizioni non-economiche (politiche, militari, giuridiche, istituzionali,
ecc.). Tuttavia, in quanto segue, ci si concentrerà soprattutto sulle
condizioni economiche.
L’appropriazione di valore che caratterizza l’imperialismo
economico odierno avviene in almeno quattro modi: (a) il rimpatrio di interessi
e profitti su investimenti diretti e indiretti esteri; (b) il pagamento di
interessi sui debiti esteri; (c) lo scambio diseguale inerente al commercio
internazionale [1]; e
(d) il signoraggio [2].
Ciascuna di queste forme di appropriazione meriterebbe un
trattamento approfondito a parte che però non è possibile fare in questa sede,
in quanto l’angolatura di questo articolo è diversa: gli aspetti
transnazionali dell’imperialismo (in questa sezione) al fine di avanzare
alcune ipotesi sulle caratteristiche delle odierne classi transnazionali (nella
prossima sezione).
Oggigiorno vi sono due caratteristiche che contraddistinguono
l’imperialismo odierno da quello più tradizionale. La prima è che,
accanto all’estensione da parte delle singole potenze imperialiste del loro
dominio su altre nazioni, vi sono anche relazioni imperialiste tra due blocchi
di nazioni. Uno è chiamato il blocco dominante o imperialista perché si
appropria sistematicamente di valore dall’altro blocco, che è chiamato quindi
il blocco dominato. L’attenzione in quanto segue sarà sui flussi
(appropriazione) sistematici di valore internazionale che sono dovuti all’esistenza
di blocchi piuttosto che di nazioni singole. Naturalmente, tale ultimo
aspetto ha la sua importanza, ma il focus qui è sul primo aspetto e sulle sue
conseguenze per la formazione delle classi transnazionali.
Tale appropriazione è resa possibile da una serie di
organismi internazionali: l’FMI e la Banca Mondiale regolano il credito
internazionale, l’OMC regola il commercio internazionale e le patenti, la NATO
controlla le risorse naturali (il petrolio, per esempio) con la minaccia o l’uso
effettivo della forza militare, e l’ONU le contraddizioni tra gli stati, a
vantaggio delle nazioni imperialiste nel loro insieme, e della nazione
egemonica in particolare. Tutto ciò avviene in maniera estremamente
contraddittoria, come gli ultimi avvenimenti attorno all’aggressione contro l’Iraq
hanno dimostrato.
L’attenzione prestata alle relazioni inter-imperialiste tra
blocchi non nega che gli stati nazionali abbiano le loro relazioni
inter-imperialiste fianco a fianco quelle tra i blocchi e non nega neppure che
gli stati nazionali abbiano ancora una grande importanza. [3] Al contrario, ciascuna nazione imperialista ha
le sue proprie relazioni imperialiste con altre nazioni, quelle dominate, e
ciascuno Stato ha ancora un ruolo economico, politico, ideologico e militare
indispensabile per la riproduzione delle relazioni imperialiste sia tra nazioni
che tra blocchi. Tuttavia, accanto alle relazioni imperialiste incentrate sulle
singole nazioni vi sono anche relazioni imperialiste incentrate sui blocchi.
Quanto segue si concentrerà su tali ultime relazioni.
La seconda caratteristica è che questo sistema struttura
non solo le relazioni tra i due blocchi ma anche la composizione interna dei due
blocchi. Incominciamo con il blocco dominante. Mentre tutte le nazioni di questo
blocco partecipano, in misure differenti, all’appropriazione di plusvalore
internazionale, non tutte sono imperialiste. Tre categorie possono essere
individuate in questo blocco. La prima è data dagli Stati Uniti, il paese
egemone. Essi, come tutte le nazioni imperialiste, si appropriano
sistematicamente di plusvalore internazionale (in una varietà di modi) ma essi,
come nazione egemone, si differenziano dalle altre nazioni imperialiste per due
motivi interconnessi. Dato il loro maggiore potere economico, essi sia
appropriano sistematicamente dalle altre potenze imperialiste del plusvalore che
esse hanno sia creato o di cui si sono appropriate a loro volta. Il signoraggio
è d’importanza cruciale in questo contesto. Inoltre, gli USA possono imporre
sulle altre nazioni le condizioni sia economiche che non economiche per la
(riproduzione della) loro egemonia. La più importante di tali condizioni è l’imposizione
su altre nazioni di una struttura economica funzionale per gli interessi
Statunitensi. Le condizioni non-economiche includono: (a) la preponderanza
politica, cioè gli USA sono il punto di riferimento costante di ogni alleanza
all’interno del blocco dominante (e oltre); la superiorità militare, compresa
la loro dominazione all’interno di organizzazioni militari con altre
importanti nazioni; (c) il potere ideologico, per mezzo del quale altre nazioni
accettano (ciascuna a modo suo, in misure diverse, e con diversi gradi di
resistenza, secondo le circostanze) alcune delle caratteristiche cultural
funzionali per il dominio economico Statunitense. Di importanza vitale in questo
contesto è il controllo delle istituzioni di insegnamento e culturali e dei
mezzi di comunicazione (di massa). L’egemonia in un’area, per esempio quella
militare, può essere più forte che in un’altra (per esempio, quella
ideologica). L’egemonia in un’area (per esempio quella economica) può
essere sfidata più che in un’altra (per esempio quella militare). Ma è l’insieme
di queste condizioni non-economiche che rende possibile la riproduzione del
dominio economico. Questo insieme non è soltanto differenziato internamente
ma è anche soggetto ad un movimento e cambiamenti costanti. [4]
La seconda categoria del blocco dominante è data dalle altre
nazioni imperialiste. Da una parte, esse sono sullo stesso livello degli USA e
competono sia tra di loro che con gli USA, sia economicamente (per esempio
investendo nei loro reciproci territori o facendosi prestiti reciproci e quindi
appropriandosi vicendevolmente di plusvalore degli altri sotto forma di profitti
o interessi) che tecnologicamente (e quindi appropriandosi reciprocamente di
plusvalore attraverso lo scambio diseguale a seconda di quale paese si trovano i
settori più avanzati). Esse si appropriano anche di plusvalore internazionale
dalle nazioni dominate a causa della loro maggiore potenza economica e possono
imporre alle nazioni dominate le condizioni per la riproduzione di tale
appropriazione. Queste condizioni possono essere sia economiche (come lo scarico
di rifiuti industriali e del danno ecologico e dell’inquinamento sui paesi
dominati) che non-economiche (come per gli esempi di cui sopra). D’altra
parte, solo gli USA sono egemonici, cioè solo essi hanno i mezzi per l’appropriazione
sistematica di plusvalore sia dalle altre nazioni imperialiste che dalle nazioni
dipendenti. Queste nazioni possono concentrarsi in un blocco alternativo al
paese egemone ma ancora dipendente da esso, o possibilmente in una fase di
transizione, come nel caso della UE. Nella fase attuale, per la UE la dipendenza
non è più tanto economica quanto principalmente militare.
La terza categoria comprende le nazioni dominate,
non-imperialiste, all’interno del blocco dominante. Esse partecipano, a
causa della loro appartenenza a tale blocco, all’appropriazione di plusvalore
internazionale senza essere esse stesse nazioni imperialiste. Esse non
potrebbero appropriarsi sistematicamente di plusvalore internazionale se non
fossero membri del blocco dominante. Ma la loro appartenenza a tale blocco è
complessa. Alcune vi appartengono pienamente ed altre solo parzialmente, nel
senso che esse non traggono beneficio da tutti gli aspetti su cui tale dominio
è basato. In che misura esse traggano beneficio dalla loro appartenenza al
blocco dominante, è una questione empirica da risolvere attraverso una analisi
di ciascun caso specifico. Questo approccio è utile per un’analisi della UE.
La Germania, la Francia e l’Inghilterra appartengono al nucleo centrale
imperialista della UE e del blocco dominante mentre le altre nazioni della UE
appartengono al blocco dominante senza essere esse stesse nazioni imperialiste.
Queste ultime si beneficiano in misura diversa dalla loro appartenenza alla UE e
sono dipendenti dalle nazioni del nucleo centrale. Vi è quindi una gerarchia
interna che riflette le relazioni imperialiste all’interno della UE.
[5]
I blocchi dominanti e quelli dominati possono essere inoltre
suddivisi secondo un numero di criteri quali lo sviluppo economico, la
differenziazione strutturale, ecc. Essi possono essere anche suddivisi in un
numero di blocchi minori, per esempio in termini di flussi commerciali,
cooperazione o integrazione economica, ecc. Essi possono essere suddivisi in
aree geografiche nelle quali una o anche due nazioni sono predominanti (la
Russia nell’Eurasia, il Giappone e la Cina nell’Asia Orientale, il Brasile
nell’America Latina, ecc.). Ma per quanto riguarda un’analisi dell’imperialismo,
un’analisi empirica dovrebbe cominciare dalle suddette categorie. Bisogna
altresì tenere conto che la distinzione tra i due blocchi è analitica. In
realtà, non solo una nazione può passare da un blocco all’altro, ma anche
per alcune nazioni può essere non chiaro se esse appartengano o no al gruppo
imperialista o a quale delle tre categorie all’interno di tale blocco.
Consideriamo ora il blocco dominato. La sua struttura
economica è il risultato sia della appropriazione sistematica di plusvalore nel
passato che della più importante condizione economica per la continuazione di
tale appropriazione. Oggigiorno, vi sono tre possibili realtà che definiscono
questo blocco, secondo l’abilità delle nazioni dominate di resistere al
dominio imperialista. Primo, il centro cresce alle spese della nazione dominata
a tal punto che l’industria locale di quest’ultima non si sviluppa o è
perfino distrutta. Questo è il colonialismo classico. Oppure, alcune nazioni
del blocco dominato possono resistere tale dominio e avviarsi su una strada di
sviluppo dipendente. Oppure, in via eccezionale, una nazione dominata può
rompere le relazioni di dominio e diventare parte del blocco imperialista.
Questo cambiamento influisce sulla composizione interna dei due blocchi ma non
cancella né la loro esistenza né le loro differenze. Anche qui la differenza
è analitica. Nella realtà, le nazioni possono essere ibridi o forme in
transizione in cui alcune caratteristiche sono più pronunciate di altre.
Nel colonialismo, le colonie devono fornire le materie prime
al centro e importare i prodotti finiti da esso. La nazione imperialista ruba
alle colonie le materie prime e usa i loro mercati come sbocco per i propri
prodotti (industriali). Le risorse delle colonie sono spremute e l’industria
locale (nel caso che esista) è attaccata fino a quando stagna o sparisce. A
questo punto la capacità delle colonie di assorbire l’output del centro è
distrutta ed esse sono abbandonate al loro destino. Anche se l’industria
locale sopravvive, non vi è alcun rilevante processo di industrializzazione, di
sviluppo capitalistico, e di diversificazione strutturale.
Nel tipo di imperialismo a sviluppo dipendente, le nazioni
dipendenti possono raggiungere un certo grado di sviluppo economico capitalista
e di diversificazione. Tuttavia il capitale nelle nazioni dipendenti adatta la
propria produzione e più in generale la propria attività economica ai mercati
del centro (è volto alla esportazione) e diversifica la sua struttura interna
conformemente. Per di più, il centro esporta nelle nazioni dipendenti ciò che
queste ultime richiedono (includendo il capitale come aiuti e infrastrutture)
affinché il processo di dipendenza possa continuare. E infine le nazioni
dipendenti producono ciò di cui il centro ha bisogno usando tecniche a più
alta intensità di lavoro cosicché possa continuare il trasferimento di valore
attraverso lo scambio diseguale e la dipendenza tecnologica.
2. ...e classi transnazionali
Quanto detto sopra, anche se in forma estremamente succinta,
ha importanti ramificazioni per la struttura di classe emergente dall’imperialismo
contemporaneo. Proprio come la sezione precedente si è focalizzata su alcuni
aspetti dell’imperialismo sopranazionale (piuttosto che sull’imperialismo
nazionale), questa sezione si concentra su solo alcuni aspetti delle due classi
fondamentali nelle loro manifestazioni sopranazionali. [6] Incominciamo con la borghesia.
Prima di tutto, vi è accanto alla borghesia nazionale, una borghesia
mondiale. Questa è data dalle borghesie nazionali non come tali ma nella
misura in cui esse (1) condividono interessi comuni nei confronti di altre
classi (2) sono coscienti di tali comuni interessi e (3) dispongono di strumenti
(legali, istituzionali, ecc.) per perseguire tali interessi e per limitarne la
natura contraddittoria. Queste borghesie si relazionano tra di loro in una
maniera gerarchica, e cioè le borghesie delle nazioni imperialiste sono
dominanti nei confronti di quelle degli altri paesi, con la borghesia
statunitense che ha il ruolo dominante. Sono gli interessi delle prime di cui si
prendono cura fondamentalmente istituzioni internazionali come l’ONU, la NATO,
il FMI, la Banca Mondiale, e il l’OCM. Queste istituzioni da una parte mediano
gli interessi delle borghesie nazionali (per incominciare, quelli delle
borghesie delle potenze imperialiste) al fine di facilitare l’emergere di
interessi comuni sopranazionali e dall’altra impongono tali interessi più o
meno apertamente su altre classi e nazioni.
Il termine ‘borghesia nazionale’ deve essere chiarito.
Contrariamente alla nozione che le borghesie sono nazionali perché sono esterne
l’una all’altra e separate l’una dall’altra, Poulantzas (1974) ha
sottolineato con forza che esse sono il risultato di una mutua interpenetrazione
di capitali, ciascuno con la sua base nazionale. Su questo Poulantzas ha
ragione. Tuttavia, Poulantzas pone l’accento sulla penetrazione da parte del
capitale USA di altri capitali e quindi sulla sua riproduzione all’interno di
quelle realtà nazionali. Questa è una descrizione parziale che corrispondeva
alla realtà dei primi anni 70 quando la penetrazione USA in Europa poteva
essere vista come la ‘nuova’ struttura della dipendenza Europea.
[1] Questa nozione di scambio diseguale non ha nulla a che vedere
con quella di Emmanuel (si veda Emmanuel, 1972). Come ho sottolineato in
Carchedi, 1991, “anche senza tener conto degli errori di calcolo (che rivelano
errori concettuali) ... [la nozione di scambio diseguale di Emmanuel, G.C.]
significa un trasferimento di valore dai capitalisti “e” i lavoratori di un
paese ai capitalisti e lavoratori di un altro paese. E questo è il punto
fondamentale di critica: Emmanuel sostituisce i capitali con i paesi”.
[2] Per una discussione del signoraggio statunitense nell’America
Latina, si veda Carchedi, 2000.
[3] Come sottolinea
giustamente Leo Panitch, 2000.
[4] Persino un
aspetto apparentemente innocuo come le modalità per fare un resoconto possono
nascondere relazioni imperialiste. Per esempio la Bank of International
Settlements (BIS) richiede che il tasso tra il capitale di una banca e i suoi
’primary loans’ (prestiti primari), chiamato il ’tasso di adeguatezza del
capitale’, non sia inferiore al 8%. Si consideri il Giappone. Visto che il
Giappone denomina i propri prestiti in dollari mentre il suo capitale è
denominato in yen, per rendere compatibili il numeratore e il denominatore del
tasso di adeguatezza del capitale, il capitale denominato in yen deve essere
convertito in dollari. Ora, in caso di un deprezzamento dello yen, il valore
convertito in dollari del capitale in yen si riduce e con esso è ridotto questo
tasso e quindi anche la capacità delle banche giapponesi di fare prestiti. Ma
si supponga che si renda necessario il deprezzamento dello yen al fine di
rivitalizzare l’economia. In tal caso, il credito deve essere ridotto proprio
quando dovrebbe essere aumentato. Questo vincolo potrebbe essere evitato se il
tasso fosse espresso in yen, cioè se i crediti fossero espressi in yen. Siccome
la BIS richiede che il tasso sia espresso in dollari, non solo il Giappone ma
tutte le altre nazioni sono svantaggiate, eccetto gli USA. Si veda Kwan, 1999.
[5] Contrariamente alla UE, il Giappone non può essere considerato come un reale
competitore degli USA. Il suo peso internazionale non è paragonabile a quello
della UE. Immediatamente prima dell’introduzione dell’Euro, la UE aveva un
PIL più o meno uguale a quello degli USA mentre quello del Giappone era solo la
metà. Il dollaro statunitense era usato per quasi la metà delle transazioni
internazionali mentre le monete dei paesi della UE erano usate per circa il 30%
e lo Yen giapponese per solo il 5% (Sabhasri, 1999). Per quanto riguarda le sue
relazioni con gli altri paesi asiatici, il Giappone non ha nulla che assomigli
anche lontanamente alle istituzioni Europee di prima della UEM.
[6] Non si considerano
quindi le classi medie, sia vecchie che nuove, i contadini, ecc. Sulle vecchie e
nuove classi medie si veda Carchedi, 1977. Sul lavoro manuale e mentale, si veda
Carchedi, 1883, 1991.