I diversi modelli del capitalismo internazionale si confrontano sulle strategie di privatizzazione
Rita Martufi
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AUSTRIA
Anche in questo Paese il programma di privatizzazioni ha origini
lontane: già nel 1942 l’intero settore bancario è passato ai privati, mentre
nel 1972 c’è stata la cessione del pacchetto di maggioranza della Siemens AG
all’impresa madre tedesca. Vi è stata inoltre una notevole espansione delle
“concessioni”, soprattutto per quel che riguarda le imprese municipalizzate.
Il programma del partito conservatore (OVP) si è incentrato
su due fasi : nella prima si è trattato di attuare una privatizzazione parziale
che ha interessato soprattutto i settori del credito e dei trasporti e nella
quale lo Stato si è conservato una sorta di controllo sulle imprese; nella seconda
fase poi si attua una privatizzazione totale che riguarda soprattutto le aziende
del settore turistico.
Il progetto del partito socialista sulle privatizzazioni non
è molto diverso da quello dei conservatori, sia sulle modalità da seguire sia
per la sua attuazione anche in termini di scelte politico-economiche generali.
Alcune differenze si possono trovare sugli obiettivi da raggiungere: i socialisti,
infatti, tendono ad attuare, almeno nella intenzioni, una democrazia sociale
che si ispira alla gestione comune dei mezzi di produzione da parte dei diversi
operatori sociali ed economici. In questo senso anche la privatizzazione del
settore pubblico deve garantire una reale rappresentatività delle varie figure
sociali attraverso il mantenimento del controllo da parte dello Stato; un modello
cioè compartecipativo ispirato al capitalismo renano nipponico.
Fino agli anni’80, comunque, il settore pubblico nell’economia
austriaca ha rappresentato una quota considerevole del sistema produttivo (la
percentuale era del 24% in termini di prodotto interno lordo); i campi di applicazione
erano soprattutto quelli delle infrastrutture, dei trasporti, e delle telecomunicazioni.
In questi ultimi anni è stato avviato un nuovo programma di
privatizzazione che riguarderà in particolare società del settore bancario ed
energetico (BankAustria ed OMV).
SVEZIA
In questo paese il processo di privatizzazione è stato abbastanza
limitato; dal 1982 al 1989 il passaggio dal settore pubblico al settore privato
delle imprese si è svolto soprattutto nei settori industriale e bancario.
L’intero programma di privatizzazione ha realizzato entrate
molto modeste (la cifra si aggira tra i 4 e i 5 miliardi di corone). Tra le
principali imprese privatizzate in modo parziale vanno ricordate la SSAB (settore
acciaio), la Luxor ( settore elettronico), la Procordia (settore farmaceutico
e alimentare), la Kabivitrum di Stoccolma (settore farmaceutico) e due banche
(la Pk Banken e la Nordbanken). Tutte le vendite hanno riguardato investitori
istituzionali, con la sola eccezione della Luxor che è stata ceduta alla Nokia
finlandese.
Nel 1990 è stato riformato l’assetto delle aziende pubbliche
con la creazione di una holding di Stato, la Fortia, a cui è passata la proprietà
di queste imprese. Lo scopo di questa operazione è stato sia quello di ottenere
elevati introiti (circa 30 miliardi di corone) sia quello di realizzare un nuovo
programma di privatizzazione con portata più estesa (su 60 imprese pubbliche
35 avevano la possibilità di essere alienate totalmente). Il forte disavanzo
pubblico di questo paese spinge il Governo a cercare nuove entrate e quindi
rende necessaria l’attuazione di questo nuovo processo di privatizzazione, allineandosi
così alle tendenze volute delle grandi istituzioni internazionali del capitale.
Le imprese interessate a questo programma sono state aziende
manifatturiere, gruppi industriali ed alcune banche. Ancora oggi è in atto il
piano di dismissione iniziato nel 1990 e, oltre alle imprese già menzionate,
riguarda il 100% del patrimonio pubblico della Gotabank (banca), della Luftfartsrerket
(aereoporti), della Televerkel (telecomunicazioni), e della Celsius (tecnologia).
NORVEGIA
Anche questo paese non si è distinto per un significativo programma
di privatizzazioni; finora sono state cedute solo quote di minoranza di società
operanti nei settori petrolifero ed ingegneristico (Conberg, Statoil e Snoore).
E’ comunque prevista la vendita rispettivamente del 70 e del
100 per cento delle banche DNB e Christiana.
PORTOGALLO
L’obiettivo di “liberare” l’economia del paese dal potere delle
imprese straniere ha portato il governo portoghese ad accrescere notevolmente
la presenza del settore pubblico nel sistema produttivo; questa situazione si
è protratta fino alla metà degli anni ’80.
Il programma di privatizzazione ha preso il via infatti solo
dal 1987 con il governo socialdemocratico; pur restando di fatto in mano allo
Stato le azioni di maggioranza delle imprese che forniscono i servizi pubblici
primari (sono infatti state vendute solo quote di minoranza), si sono cedute
ai privati molte società operanti nei settori elettrici, della siderurgia, di
cantieristica, chimica ed informazione (Elettricità du Portugal, Siderurgica,
Quichigal, Setenove, LDN, RECORD).
SPAGNA
Il processo di privatizzazione è iniziato in Spagna nel 1986
ed ha interessato soprattutto il settore industriale e dei servizi. L’INI (Instituto
Nacional de Industria) [1]
ha venduto ad imprese private straniere la Seat e la Purolator mentre, il 38%
della Gesa ed il 98% della Endesa (ambedue operanti nel settore energetico)
sono state alienate attraverso il mercato mobiliare.
Il governo spagnolo ha preparato un nuovo programma di privatizzazioni
attraverso il quale mettere in vendita il gruppo bancario Argentina, l’Ence
(settore di prodotti forestali) e la Tebacalera (settore alimentare e tabacco).
Sono previste entrate per circa 160 miliardi di pesetas.
PAESI DELL’EUROPA CENTRO-ORIENTALE ED ALTRI
Il processo di privatizzazione in questi paesi ha risentito
molto della situazione politica e dei profondi mutamenti avvenuti in questi
ultimi anni. il passaggio da una situazione in cui fino a poco tempo fa la produzione
e gli scambi erano determinati da un sistema di pianificazione centralizzata
(il settore pubblico rappresentava più del 90% in termini di prodotto interno
lordo) fa assumere dei caratteri di assoluta unicità al processo di privatizzazione.
Va considerato che non è possibile effettuare confronti con
le situazioni esistenti negli altri paesi europei, soprattutto perché in questi
ultimi non si è trattato di riorganizzare i vari settori economici, quanto soprattutto
di ristrutturali in base alle nuove situazioni.
E’ interessante comunque mostrare, per gli anni 1988-1991,
una panoramica generale del totale delle privatizzazioni effettuate in Europa
anche per evidenziare le differenze esistenti tra i paesi dell’Europa occidentale
e quelli dell’Europa Orientale; va inoltre precisato che il grande numero di
privatizzazioni attuate nell’Europa Orientale sono da attribuirsi in gran parte
alle operazioni di vendita dell’ex Repubblica Democratica Tedesca (si vedano
la Tab.13 e il Graf. 20)
I
problemi che il processo di privatizzazione ha comportato nei paesi dell’Europa
Orientale sono molteplici e di vario genere: da un lato va considerato che le
entrate statali delle imprese pubbliche non sono più praticabili in un contesto
di mercato concorrenziale; è necessario quindi predisporre delle idonee misure
fiscali che vadano a compensare la perdita delle entrate monetarie. Va ricordato
poi che un rapido processo di privatizzazione attuato senza adeguati controlli
può avere conseguenze molto negative sul livello dell’occupazione e sulla valutazione
economica delle imprese pubbliche.
Le
tecniche di privatizzazione hanno privilegiato la vendita diretta ai
privati, pur se con modalità diverse da paese a paese. E’ necessario quindi
fare una breve panoramica dei vari paesi interessati a questo processo per comprendere
più compiutamente come, in che modo e se sono stati risolti i problemi derivanti
da questa “rivoluzione (o involuzione) economica e politica”.
CECOSLOVACCHIA
Lo Stato deteneva fino a pochi anni fa il 90% delle imprese
produttrici del Paese; il processo di privatizzazione ha quindi previsto la
destatalizzazione della maggior parte di queste aziende con esclusione solo
di quelle ritenute di interesse strategico nazionale.
Le principali leggi che hanno regolato il programma di privatizzazione
sono del 1990 e del 1991; lo scopo di queste norme è stato soprattutto quello
di diversificare il processo per le piccole e grandi imprese. Mentre la vendita
delle piccole imprese ha comportato poche difficoltà, maggiori sono stati i
problemi per la privatizzazione di grandi imprese; questo soprattutto perché
si è cercato di non vendere quote elevate del patrimonio statale agli stranieri
per paura di minare la struttura economica del paese.
Nel 1990 è stato approvata una legge che prevedeva la restituzione
ai privati di circa 70.000 imprese, grandi e piccole, espropriate tra il 1955
e il 1961.
Tra le principali cessioni vanno ricordate quelle della Skoda
(il 30% è stato venduto alla Volkswagen ed è prevista una ulteriore vendita
fino al 70% del valore complessivo dell’azienda automobilistica); della Sklounion
che opera nel settore della vetreria (il 70% è stato ceduto ad una società belga)
e di altre imprese nei settori dei detersivi (acquistati dagli Stati Uniti)
e del cemento (acquistati da società tedesche).
E’ stato inoltre predisposto un meccanismo attraverso il quale
circa il 50% delle azioni delle imprese privatizzate (oltre 1000 aziende pubbliche)
è stato distribuito quasi gratuitamente ai cittadini con età superiore ai
18 anni attraverso dei vouchers nominativi, imponendo dei vincoli
temporali ed economici relativi ai termini di mantenimento e di partecipazione
all’effettivo controllo d’impresa. E’ chiaro che questo strumento ha diminuito
molto le entrate complessive dello Stato, ma si è rivelato efficace soprattutto
perché la Cecoslovacchia non presentava un alto tasso di indebitamento.
POLONIA
Il programma di privatizzazioni in Polonia ha inizio nel 1989
nel momento in cui, a causa dei noti problemi politici esistenti, molti “apparatciki”
si sono ritrovati a diventare proprietari di molte aziende scorporate dalle
imprese statali. Il progetto del governo Mazowiecki di attirare gli investitori
stranieri offrendo loro delle imprese pubbliche sane ed appetibili, si è rivelato
infondato (soprattutto perché gli investitori stranieri hanno preferito di gran
lunga orientarsi verso l’Ungheria) e di fatto l’unico obiettivo raggiunto dal
Ministero per la Trasformazione della Proprietà è stato quello di liquidare
le imprese che in sostanza sono state quasi tutte cedute a leasing ai dipendenti.
In seguito il governo Walesa ha avviato un nuovo massiccio
programma di privatizzazione che nella prima fase ha puntato alla trasformazione
di 400 aziende ; va ricordato che il 10% delle azioni di queste imprese sono
andate a titolo gratuito ai Consigli Operai, mentre ogni cittadino polacco ha
ricevuto gratuitamente dei buoni azionari.
La differenza con lo schema cecoslovacco si rileva soprattutto
nel fatto che i cittadini polacchi, non potendo capitalizzare, ritirare o depositare
a terzi soggetti le proprie azioni delle imprese in sostanza assumono un ruolo
del tutto passivo nei confronti dell’intera operazione. Questo perché, nelle
intenzioni del Governo, anche se la proprietà passerà ai privati, di fatto si
vuole che la gestione economica delle imprese resti in mano a manager esperti.
In sostanza quindi in luogo del “capitalismo popolare” ad azionariato diffuso
e dei lavoratori, la realtà sta dimostrando come la Polonia abbia sposato un
modello di capitalismo che cerca di mantenere una elevata concentrazione della
proprietà. [2] Il programma
di privatizzazione in Polonia si è sviluppato all’interno di un più ampio e
massiccio piano di ristrutturazione industriale ed economica che ha coinvolto
l’intero Paese. Le agenzie che si sono occupate della privatizzazione infatti
hanno seguito due fasi : nella prima si è avuta una accurata analisi
del settore oggetto di privatizzazione e si è definito un percorso da seguire
per procedere alle vendite, nella seconda fase invece si è scelto lo strumento
più idoneo per conseguire gli obiettivi delineati nella prima fase. In questo
modo le vendite sono state effettuate con riferimento non alla singola azienda
ma piuttosto all’intero settore interessato.
La legge del 1990 ha delegato al Ministero per la Trasformazione
della Proprietà (MPT) il compito di occuparsi delle dinamiche di vendita. Il
piano originario però che prevedeva la cessione di 400 imprese si è ampliato
in modo straordinario essendo state identificate oltre 7000 imprese statali
come possibile oggetto di vendita.
Anche in questo paese è stato scelto di permettere una larga
partecipazione dei cittadini alle operazioni di vendita attraverso la distribuzione
di buoni di partecipazione gratuiti a tutti i cittadini. Va comunque ricordato,
però, che la gestione e il controllo sulla distribuzione e lo scambio di vouchers
in azioni delle società privatizzate avviene attraverso il Fondo d’Investimento
che rappresenta un “gestore delle proprietà “ istituito appositamente dallo
Stato.
Il processo di privatizzazione ha per il momento interessato
soprattutto le piccole imprese ( il 90% è stato già ceduto ai privati), mentre
le medie e grandi imprese sono state cedute seguendo i criteri ritenuti più
adatti dal Ministero per la Trasformazione della Società.
Questo programma di privatizzazioni ha incontrato dei problemi
nella sua attuazione anche perché gran parte dei lavoratori (Comitati dei Lavoratori
Autogestiti) non ha accettato l’istituzione del Fondi di Investimento e del
Ministero per la Trasformazione della Società ritenuti strutture troppo burocratiche
e poco trasparenti. Le lotte portate avanti dalla sinistra post-comunista hanno
consentito di ottenere per i dipendenti delle imprese privatizzate un’altra
quota delle azioni: il 10% gratis ed un 5% a prezzi preferenziali.
[1] Questo ente di gestione è del tipo dell’IRI italiano.
[2] Cfr. Stark D., “Le strategie di...”, op. cit.