In ogni caso il processo di privatizzazione, sia d’impresa
sia del welfare, ad inizio anni ’80 accentua un percorso attuativo con tempi,
modalità e forme differenti.
Va ricordato, allora che il concetto di privatizzazione può
essere inteso in modi diversi.
Da un lato vi è la privatizzazione sostanziale [1] nel caso in cui la gestione dell’impresa viene assunta totalmente
dai privati, ossia si attua una vero e proprio trasferimento della proprietà
dall’azienda pubblica al settore privato. In questo caso le privatizzazioni,
attuate attraverso una cooperazione tra pubblico e privato, consentono allo
Stato di garantire un servizio, limitando il suo ruolo a semplice regolatore
delle prestazioni offerte dall’operatore privato. La principale differenza tra
la privatizzazione sostanziale e le altre forme di privatizzazione si può rilevare
nel fatto che in questo caso il privato diviene a tutti gli effetti titolare
della proprietà. Sono diversi i motivi che possono indurre a questa scelta:
oltre all’aumento delle entrate del bilancio pubblico e al contenimento del
debito pubblico, vi può essere anche la volontà di decentrare l’economia, oppure
di limitare l’attività in un determinato settore ritenuto non redditizio ed
efficiente.
La privatizzazione sostanziale si caratterizza rispetto
alle altre tecniche per una maggiore complessità decisionale, che si collega
ad una più elevata complessità procedurale.
La prima fase del processo di privatizzazione sostanziale è
la selezione delle attività oggetto di cessione. Le attività cedute,
infatti, devono essere le più idonee in funzione agli scopi che la privatizzazione
si pone e agli effetti che ne possono derivare; se la cessione delle attività
è parziale, ad esempio, non deve verificarsi un aumento dei costi necessari
per la gestione delle attività rimaste, né una riduzione di quelle residue in
portafoglio.
In secondo luogo si procede ad una verifica dei presupposti
giuridici della privatizzazione; è necessario infatti che vi sia una libera
trasferibilità dei diritti di proprietà. La transazione ha, quindi, come oggetto
i diritti di proprietà, il sistema dei controlli e degli incentivi, che dopo
la cessione divengono di pertinenza dei mercati finanziari (ci si riferisce
alla natura dei finanziamenti, alla tenuta dei documenti di bilancio e compilazione
di quelli contabili).
La terza fase del processo di privatizzazione è rappresentata
dalla verifica dei presupposti economici della cessione; in questo senso
si prefigurano a priori interventi di risanamento economico-finanziario diventano
necessari per rendere ottime le condizioni dello scambio.
Vi sono poi una serie di fasi successive che risultano essere
interdipendenti tra loro e che attengono all’entità del valore della
proprietà da vendere, all’individuazione delle tecniche di cessione e
alla definizione del tempo necessario per la vendita.
Va rilevato che il trasferimento della proprietà può essere
totale o parziale ed interessare una quota di maggioranza o di minoranza; la
scelta tra le due alternative dipende dall’interesse che ha lo Stato di mantenere
o meno un controllo sulle attività cedute.
E’ chiaro inoltre che la possibilità di cessione di un’impresa
pubblica, o anche di un servizio o attività pubblica, dipende dalla sua performance
economica attuale e/o attesa: un’impresa sana dal punto di vista economico avrà
molte più opportunità di essere ceduta di un’altra che invece si trova in condizioni
di perdita e con poche possibilità di efficienza remunerativa; spesso però anche
un’impresa poco “allettante” può rappresentare un investimento ad ampie possibilità
di rientro e di espansione se il compratore è convinto di poter realizzare sinergie
con la propria attività originaria, tali da permettere forti incrementi di redditività
complessiva.
Le modalità scelte per la vendita condizionano la tecnica
di valutazione dell’impresa: nell’ipotesi di collocamento azionario, ad
esempio, il valore dell’azienda è fissato facendo ricorso ai metodi diretti
di valutazione. Si utilizzano così criteri classici del mercato mobiliare, anche
se questi non sempre rappresentano un appropriato riferimento. I criteri di
valutazione utilizzati nella vendita diretta di solito sono metodi di valutazione
analitica (criteri di tipo reddituale, patrimoniale e finanziario).
Il criterio patrimoniale, non particolarmente significativo ai fini di una valutazione,
si basa sulla determinazione del valore del patrimonio netto attraverso la considerazione
del valore dell’avviamento dell’impresa; i criteri reddituali e finanziari,
invece sono più adatti in quanto sono basati su informazioni attuali e prospettiche
di reddito (nel primo caso) e di cassa ( nel secondo caso).
Oltre la privatizzazione sostanziale, vanno poi considerate
le cosiddette forme “deboli” di privatizzazione. Queste sono così chiamate
in quanto l’attività dell’impresa viene solo modificata per consentire una gestione
più vicina alle compatibilità del mercato (rispettando cioè criteri di economicità,
efficienza, profitto, competitività). Si parla in questo caso di privatizzazione
indiretta. [2] Questa categoria riguarda tutte le forme di privatizzazione
che mirano alla trasformazione delle formule di gestione delle imprese pubbliche
lasciando però inalterato, almeno per quanto riguarda i pacchetti di controllo,
il profilo degli assetti proprietari.
Tra i principali interventi di privatizzazione indiretta vanno
ricordati :
1) L’apertura del monopolio alla concorrenza
Questo tipo di privatizzazione attua la rimozione delle barriere
istituzionali sulle quali il monopolio basa la sua esistenza. Questo permette
ai privati di intervenire nel mercato con l’obiettivo di migliorare l’efficienza
dell’offerta e l’attuazione di contemporanee opportunità di profitto per le
imprese entranti. Nella realtà questa modalità è stata utilizzata nel campo
delle public utilities, in modo che la scelta del consumatore possa essere
attuata attraverso un confronto qualità/prezzo del servizio offerto da operatori
diversi; al momento del consumo in sostanza l’utente si trova a scegliere fra
l’offerta pubblica, libera e quella privata , a pagamento.
2) la Deregolamentazione
Questa modalità di privatizzazione consiste in qualsiasi tentativo
di ridurre le limitazioni indesiderate alla condotta privata. Si tratta
quindi di una liberalizzazione dei mercati e l’eliminazione dei “privilegi”
posti a favore dell’impresa pubblica; si tratta, in pratica, di un abbattimento
di regole che definivano le condizioni di ingresso o di comportamento economico
in un determinato comparto produttivo a vantaggio del settore pubblico o di
privati che operano in regime di quasi-monopolio o comunque in situazioni che
ostacolano la libera concorrenza.
La deregolamentazione prende in considerazione l’abolizione
del regime dei controlli dei prezzi, dei divieti di accordi tra imprese, delle
licenze ed autorizzazioni. La modalità della deregulation si è sviluppata
soprattutto negli Stati Uniti negli anni ’70 con l’obiettivo di massimizzare
l’efficienza allocativa del mercato, eliminando restrizioni che erano
considerate dannose alla concorrenza. In questa situazione è proprio attraverso
l’intervento dello Stato che ritenta di garantire la concorrenza (intervento
antitrust) e sanare i difetti del mercato libero e non regolamentato.
3) La modificazione delle modalità di prelievo del corrispettivo
per l’acquisto di beni e servizi
Le condizioni necessarie per l’apertura del mercato alla
competizione vengono create con la sostituzione del pagamento diretto
all’atto del consumo a quello indiretto attraverso l’imposizione fiscale.
Un altro strumento utilizzato per questo scopo è rappresentato dal “voucher”(o
“buono”), attraverso il quale lo Stato rimborsa l’utente del prezzo pagato
per un servizio; gli utenti potranno in questo caso utilizzare i loro buoni
per coprire parte del costo o per comprare il servizio privatamente.
4) La privatizzazione incrementale
Questa tecnica consiste nel conferimento a privati di parte
del capitale azionario, al fine di utilizzare tali nuove fonti di capitale per
l’incremento degli investimenti, effettuando così delle operazioni utili
al potenziamento delle attività. In questo caso l’operatore pubblico deve impegnarsi
a sottoscrivere degli aumenti di capitale delle proprie aziende e deve riservare
una parte consistente di emissioni agli operatori privati.
5) La privatizzazione fredda
In questo caso vengono introdotti degli obiettivi di tipo
privatistico nella gestione delle aziende pubbliche, attuando nel contempo
una conseguente trasformazione delle tecniche di conduzione delle imprese stesse.
Questa modalità non prevede il trasferimento di proprietà ma solo un
allargamento delle autonomie decisionali dell’impresa; inoltre attraverso la
deburocratizzazione del processo decisionale si ottiene una “maggiore
responsabilizzazione dei diversi soggetti agenti, una più elevata rispondenza
delle decisioni alle esigenze strategiche, un più pronto riadeguamento dell’orientamento
strategico dell’impresa alla modificazione delle variabili esterne...vi è poi
un ....allineamento delle politiche occupazionali, salariali e degli investimenti
alla condotta delle imprese private”. [3]
6) La privatizzazione formale
Questo metodo consente alle imprese di operare secondo le
regole del diritto privato pur avendo come principale azionista lo Stato
(es. trasformazioni in società per azioni), in modo di tentare di sfruttare
la migliore flessibilità funzionale dell’assetto privato (soprattutto riguardo
agli assetti proprietari e al capitale).
7) La privatizzazione funzionale
Nella privatizzazione funzionale risulta più marcata
la combinazione tra pubblico e privato; si attua, cioè, una immissione in ruolo
delle imprese private che diventano corresponsabili di settori di attività gestiti
in precedenza solo dall’operatore pubblico. Lo Stato, in pratica, delega interamente,
o parzialmente, una determinata attività al settore privato pur mantenendo la
responsabilità di controllo dei risultati.
Sono due le formule in cui trova applicazione la privatizzazione
funzionale: il franchising (concessione) e il contracting out
(appalto).
Con la prima vi è una assegnazione temporanea del monopolio
per la produzione, o la distribuzione, di un bene o servizio ad un determinato
soggetto economico che attraverso il compimento di una gara, sia risultato il
più idoneo a garantire la migliore combinazione qualità-prezzo oppure ad esprimere
il minore prezzo di offerta.
Il contracting out rappresenta in sostanza l’affidamento
in gestione ad operatori pubblici o privati (la scelta dipende da chi si aggiudica
la gara) di attività finanziate con fondi pubblici. Questa formula ha il pregio
di consentire un miglioramento di efficienza ed efficacia allocativa della spesa
pubblica.
Per raggiungere gli obiettivi della privatizzazione funzionale
(minimizzazione dei costi delle prestazioni offerte dall’operatore privato a
quello pubblico) è necessario gestire in modo corretto la gara di offerta per
evitare che un monopolio privato si sostituisca la monopolio pubblico; è necessario,
cioè, che la competizione tra i soggetti coinvolti nella gara sia il più possibile
trasparente per consentire di realizzare delle condizioni di parità tra i partecipanti.
E’ alla privatizzazione del welfare che molto spesso
viene applicata tale tecnica; infatti i principali settori nei quali si è avuta
l’effettiva applicazione della tecnica di privatizzazione funzionale sono soprattutto
l’assistenza sanitaria, il servizio all’educazione e l’attività di raccolta
dei rifiuti urbani.
Un altro aspetto importante da analizzare nei processi di privatizzazione
è sicuramente quello relativo alle varie tecniche di vendita; premesso
che vi sono diverse tipologie di dismissione è opportuno esaminare le più frequenti.
L’offerta pubblica di vendita
L’offerta pubblica è stata più volte ritenuta lo strumento
più idoneo alla creazione di un azionariato diffuso; va subito rilevato
però che questo metodo non consente di evitare la possibilità di grossi pacchetti
azionari concentrati nelle mani di pochi investitori se non è accompagnata da
un sistema di incentivi all’acquisto (emissione di titoli ad un prezzo inferiore,
dilazioni di pagamento, buoni sconto, azioni omaggio). L’offerta pubblica può
essere a prezzo fisso (offer for sale) nel caso in cui i titoli
siano venduti ad un prezzo unico, fissato prima dell’offerta; questo sistema
viene ritenuto il più idoneo al raggiungimento dell’obiettivo di allargamento
dell’azionariato. Vi è poi l’offerta pubblica con asta (tender offer)
che si caratterizza per la raccolta di tutte le domande di acquisto degli investitori
con prezzo superiore ad un minimo prefissato; in questo caso il prezzo (ad eccezione
del prezzo minimo, minimum tender price) viene definito dal mercato ed
è quello che permette di raggiungere un equilibrio tra domanda e offerta (striking
price).
La vendita diretta
La tecnica di vendita diretta risulta essere efficace nell’ottica
del raggiungimento di obiettivi strategici e riallocativi o finanziari;
questa modalità di cessione si caratterizza nell’alienazione di imprese pubbliche
ad un privato singolo, o ad un gruppo di privati, o a lavoratori e dirigenti;
la cessione attraverso la vendita diretta può interessare sia l’intera proprietà
sia una parte di essa.
La vendita diretta in sostanza prevede due fasi: la preparatoria
e l’esecutiva; nella prima vengono valutati i potenziali acquirenti e
si definisce la procedura di vendita; nella fase esecutiva, invece, si procede
all’attuazione dell’operazione di vendita fino alla sua conclusione. Questa
modalità si può attuare sia attraverso una negoziazione bilaterale (trattativa
privata) sia attraverso una vendita per asta (asta competitiva);
mentre nel primo caso vi è un rapporto diretto tra l’operatore privato e quello
pubblico, nel secondo viene indetta un’asta nella quale l’impresa è venduta
al miglior offerente (avendo naturalmente fissato un prezzo minimo).
Joint-Venture
Un’altra tecnica di vendita è la costituzione di una joint-venture,
ossia di una società mista nella quale lo Stato cede solo una parte delle azioni
(si può cedere anche la maggioranza di controllo dell’azienda) ad uno o più
soci; i soci possono avere un ruolo di cofinanziatori oppure svolgere attività
di carattere operativo, o avere insieme le due funzioni, dipendendo questo dal
tipo di risorse messe a disposizione.
Il maggiore inconveniente di questo tipo di approccio al processo
di privatizzazione, è dato dalla durata in vita della stessa joint-venture;
tale durata è infatti , di solito limitata, dal momento che molto spesso intervengono
conflitti di gestione tra l’operatore pubblico e il privato o ancora per il
prevalere nei processi gestionali e strategico-decisionali di alcuni soci su
altri; questo è uno dei motivi per cui la scelta degli acquirenti dovrebbe essere
fatta con molta attenzione ed oculatezza al fine di garantire che tra gli stessi
non vi siano, almeno inizialmente, conflitti vari di interesse.
In base alle esperienze attuative già realizzatesi,
si possono altresì distinguere diverse tipologie operative di privatizzazione [4]:
1) Cessione del controllo ad un compratore strategico;
in Italia sono stati diversi i casi in cui si è adottata questa tecnica; basta
ricordare l’asta della Cementir vinta dal gruppo Caltagirone, la vendita dell’Alfa
Romeo alla Fiat da parte della Finmeccanica ed anche la vendita della Lanerossi
al gruppo Marzotto da parte dell’ENI.
2) Quotazione in Borsa di pacchetti di minoranza: esempi
di questo tipo di privatizzazione si possono trovare all’interno del gruppo
IRI, il quale ha effettuato la vendita di azioni della Stet, della SME ecc.,
conservandone il controllo pur avendo collocato in Borsa importanti pacchetti
di minoranza.
3) Creazione di “noccioli duri” e collocamento in Borsa:
un esempio è dato dalla modifica dell’assetto azionario di Mediobanca; nel 1988
infatti, è stata effettuata una operazione di parziale collocamento in Borsa
di quote delle tre banche di interesse nazionale ad un gruppo di investitori
privati appartenenti alla “migliore parte della finanza italiana”.
4) Privatizzazione totale in Borsa: in questo caso
il collocamento in Borsa riguarda il 100% del capitale di una società e si distingue
in due subtipologie caratterizzate dall’esistenza o meno della cosiddetta “golden
share”.
[1] Per
le varie forme di privatizzazione descritte si confronti Dossena G., “Le privatizzazioni
delle imprese. Modalità, problemi e prospettive”, EGEA, Milano, 1990, pag. 26
e segg.
[2] Si parla di privatizzazione indiretta, ad esempio, quando si
attua l’apertura del monopolio alla concorrenza, la privatizzazione dei rendimenti
pubblici, l’allineamento tra imprese pubbliche e private. Va ricordato che alcuni
studiosi sono propensi ad effettuare una distinzione più rigorosa tra le varie
tipologie di privatizzazione intendendo con questo termine solo l’alienazione
e la delega di imprese pubbliche; in questo senso sono escluse tutte le altre
forme indirette che apportano solo cambiamenti alla struttura gestionale delle
aziende.
[3] Cfr. Dossena G., “Le privatizzazioni...”,
op. cit., p.35-36.
[4] Cfr.Costamagna
C., “Privatizzazioni: l’obiettivo è la “public company”, Il Mulino 345”, Bologna
Anno XLII, gennaio-febbraio 1993, p. 103-104-105.