I diversi modelli del capitalismo internazionale si confrontano sulle strategie di privatizzazione
Rita Martufi
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FRANCIA
La Francia si è distinta, rispetto agli altri Stati Europei,
per il massiccio intervento di nazionalizzazioni che ha caratterizzato
questo paese per oltre cinquanta anni. E’ opportuno ricordare che l’intervento
pubblico si è attuato in tre diversi periodi: le prime grandi nazionalizzazioni
si sono avute nel 1936 ad opera del fronte popolare, seguite dalle nazionalizzazioni
del dopoguerra avvenute nel 1946 (si ricorda la Renault e l’Air France), ed
infine nel 1982 con il governo socialista si è avuto il trasferimento al settore
pubblico di grandi imprese industriali (quali la Saint Gobain, la Rhone Poulenc)
e finanziarie (Suez, Paribas). L’obiettivo dell’intervento pubblico è stato
quello di consentire al paese una rapida ricostruzione dopo le due guerre e
di modernizzare la struttura produttiva nel modo più efficiente possibile, salvaguardando
e rafforzando l’interesse collettivo.
Il caso della Francia presenta degli aspetti molto particolari:
si è avuta, infatti, in periodi di tempo molto ravvicinati l’alternanza di due
strategie di governo opposte fra loro. Da un lato il programma del governo socialista
che ha dato il via ad un intenso programma di nazionalizzazioni (ad opera del
Ministro Mauroy); dall’altro, a breve distanza di tempo, la politica del governo
di Chirac che ha avviato un esteso processo di privatizzazioni e di abbattimento
delle garanzie sociali collettive.
Nel 1986, infatti, il quadro politico della Francia è mutato
con la vittoria dei partiti del centro-destra; il presidente Mitterand si è
trovato a dover governare con una maggioranza ostile e ciò ha avuto, tra l’altro,
come conseguenza l’avvio del processo di privatizzazione e il rafforzamento
delle componenti ed istituzioni del capitale più marcatamente ad indirizzo antipopolare
e a liberismo selvaggio. Considerato il fatto che la costituzione francese all’art.34
impone che per vendere una proprietà dello Stato è obbligatorio varare una legge,
nel 1986 sono state emesse due leggi che indicavano le norme e le modalità per
privatizzare 65 imprese nell’arco di cinque anni. Va rilevato, però, che quasi
tutte le imprese privatizzate appartenevano ai settori bancari e finanziari
in quanto la costituzione francese impedisce il passaggio ai settori privati
di aziende considerate di pubblica utilità. Infatti la legge del 2 Luglio 1986
stabilisce dei principi secondo i quali “... l’impresa non deve essere fornitrice
di pubblica utilità, salvo parere favorevole di delega del Consiglio Costituzionale;
l’impresa non deve di fatto operare in condizioni di monopolio, avendo riguardo
tanto alla concorrenza effettiva quanto alla potenziale struttura del mercato,
ove non regolamentato” [1].
Per garantire la massima trasparenza nel processo di privatizzazione
la legge, oltre ad istituire una Commissione di vigilanza di sette esperti nominati
dal Governo ed in carica per cinque anni, ha realizzato la costituzione di un
cosiddetto “nocciolo duro” di azionisti con lo scopo di garantire l’impresa
da scalate ostili da parte di privati. In ogni operazione di vendita, infatti,
agli investitori stranieri non poteva essere destinato più del 20%, il 10% del
capitale doveva essere riservato ai dipendenti ed il residuo 70% era ripartito
tra il nucleo stabile e l’offerta pubblica ai risparmiatori francesi; era previsto,
infine, un limite di sottoscrizione per ciascun investitore del 5%.
Va evidenziato che non essendo state privatizzate le imprese
che gestivano servizi pubblici di prima necessità, l’impatto sul mercato dell’intero
processo di vendita si è rivelato molto più leggero se confrontato con quello
di altri paesi (ad esempio la Gran Bretagna).
Nel 1986 si è avuto l’avvio del vero e proprio processo di
privatizzazione con la vendita della società Saint Gobain, seguita dalla holding
finanziaria Paribas nel gennaio 1987, dal Credit Commercial de France, dalla
Compagnie Gènèrale d’Electricitè e dalla Sociètè Gènèrale e dalla Suez. Si è
avuta poi la privatizzazione della Compagnie Gènèrale de Construction Tèlèphoniques
(Cgct), della rete televisiva TF1 (Sociètè Nationale de Programme Tèlèvision
Française 1), della Matra (azienda che produce sistemi di difesa, radiotelefoni
ed altre apparecchiature elettroniche), della Caisse Nationale de Crèdit Agricole
e dell’Institute de Dèveloppment Industriel (queste due ultime imprese non comparivano
nell’elenco delle 65 imprese da privatizzare in base alla legge del 1986). Per
una panoramica dei dati generali sul processo di privatizzazione francese si
veda la Tab.11.
Nel
1988, a causa del cambiamento del governo, si è avuto un arresto del programma
di privatizzazione che di fatto ha portato a termine circa la metà delle operazioni
previste.
Va ricordato che il governo francese ha introdotto due meccanismi
per consentire il controllo dello Stato nei settori privatizzati: le noyau
dur e l’action spècifique.
L’action spècifique può essere paragonata alla golden
share inglese ed in sostanza permette al Governo di porre un veto a chiunque
intende acquistare una quota superiore al 10% del capitale azionario; l’azione
specifica aveva una durata massima di cinque anni, trascorsi i quali diventava
un’azione ordinaria.
Con la “noyau dur” (il nocciolo duro) si è voluta
garantire la stabilità delle imprese attraverso l’acquisto di una quota del
capitale (dal 20 al 30%) da parte di 10-20 grandi azionisti, ciascuno dei quali
possiede una quota oscillante tra lo 0,25 e il 5% del capitale. Gli azionisti
componenti il nocciolo duro, scelti dal Ministro delle Finanze, detengono una
posizione privilegiata di controllo e per compensare questo privilegio pagano
un prezzo superiore a quello pagato nell’offerta pubblica; la maggiorazione
oscilla tra il 2 e il 10% del prezzo dell’offerta.
L’introduzione del noyau dur rappresenta una grande innovazione
tecnica ed istituzionale delle privatizzazioni francesi; infatti
“Innovazione tecnica, perché è stato introdotto un meccanismo
di vendita in due tempi che si è collocata a metà strada tra le privatizzazioni
popolari, in cui l’intero capitale è stato ceduto ad una miriade di piccoli
azionisti (caso più frequente in Inghilterra), e le vendite ai privati, in cui
un’azienda di Stato è stata ceduta ad un solo azionista. Ma anche l’innovazione
istituzionale, poiché il nucleo duro ha espresso una precisa strategia di intervento
pubblico sulla costituzione del nucleo azionario; ha prefigurato un assetto
desiderabile della proprietà di grandi gruppi privati, ha posto limiti, anche
dopo la privatizzazione, alle leggi del mercato. In questo senso , le privatizzazioni
francesi ( a differenza di quelle inglesi) hanno rappresentato altra cosa che
non un semplice passaggio dal dominio dello stato a quello di Borsa” [2].
In definitiva, quindi, in Francia l’assetto proprietario si
è configurato in termini molto diversi rispetto a quello britannico; in Inghilterra
infatti, si è avuta una massiccia partecipazione delle famiglie attraverso investitori
istituzionali mentre in Francia la proprietà si è concentrata soprattutto sotto
il controllo di banche e imprese.
Va sottolineato un dato fondamentale: le privatizzazioni francesi
non hanno stravolto le strategie aziendali delle imprese pubbliche, ritenute
soddisfacenti, ma hanno invece cercato di equilibrare il più possibile il rapporto
tra il settore privato e il settore pubblico.
Negli anni ‘90 è ripreso il processo di privatizzazione che
si era interrotto nel 1988; l’obiettivo è stato di ultimare le vendite di tutte
le imprese che non erano state concluse nel programma precedente.
In questa fase sono state alienate grandi banche come la Banque
Nationale de Paris, la Credit Lyonnais, imprese di assicurazione come la Nap
e la Gan, ed altri grandi colossi come la Rhone Poulenc e la Pèchiney. Nel programma
di vendita sono state inserite anche imprese, escluse precedentemente perché
operanti in regime di monopolio, come l’Air France. Questo programma di privatizzazione
che ha preso l’avvio effettivo nel 1993 (con la legge del 19 Luglio,n.923),
è stato caratterizzato dalla rapidità delle operazioni di vendita; dal momento
della decisione di vendita al collocamento sul mercato, infatti, si è previsto
di non superare i tre mesi di tempo.
In questa fase il governo, pur non rinunciando al nocciolo
duro, ha cercato di indirizzare la maggior parte delle vendite al pubblico,
con l’intento di creare una sorta di azionariato diffuso ( che si avvicini
a quello inglese).
Un’altra novità rispetto al programma di privatizzazione del
1986 riguarda il ruolo della Commissione di Vigilanza che ora, oltre a fissare
il prezzo minimo di trasferimento delle imprese, si pronuncia anche sulla scelta
dei possibili componenti il nucleo duro di controllo.
Va inoltre considerato che mentre nel 1986 il programma di
privatizzazioni era stato al centro di un dibattito molto sentito sul ruolo
dello Stato , nel 1993 la discussione ha riguardato soprattutto gli aspetti
prettamente finanziari delle privatizzazioni, le tecniche di attuazione e le
connesse implicazioni monetarie. [3]
GERMANIA
La scarsa presenza del settore pubblico nell’economia della
Germania ha caratterizzato questo Paese rispetto alle altre realtà europee;
la mancanza di un piano di nazionalizzazione dopo la seconda guerra mondiale
ha reso meno necessario l’avvio di un processo di privatizzazione. Ciò dipende
anche dal modello che il capitalismo tedesco si è dato.
In Germania, infatti, le imprese chiedono i finanziamenti alle
banche senza bisogno di ricorrere alla borsa o a finanziatori privati; basti
pensare che la Bertelsmann, il primo gruppo editoriale europeo non è quotato
in borsa. Tutto ciò è possibile perché le banche tedesche non sono limitate
da regole, sono “universali” in quanto possono agire nei settori più diversi,
sia concedendo crediti e raccogliendo depositi sia operando fusioni; in sostanza
riescono ad ottenere con i loro clienti rapporti basati su una costante collaborazione,
in modo da finanziare le imprese, assumendo in contropartita, oltre ad un ritorno
di redditività dei finanziamenti, anche un ruolo importante nei Consigli di
Amministrazione delle stesse, sia attraverso la proprietà di azioni sia attraverso
i voti degli azionisti che accendono dei conti nella stessa banca.
Gli incroci azionari agiscono però anche in senso contrario
in quanto spesso le imprese stesse possiedono una quota azionaria del capitale
delle banche; questa situazione fa si che, oltre a garantire una maggiore certezza
per il management determinata dalla stabilità degli azionisti, è possibile attuare
politiche di sviluppo a lungo termine, senza essere costretti a raggiungere
il massimo utile possibile in tempi brevi (come ad esempio avviene per gli speculatori
operanti in borsa che tendono ad ottenere il massimo vantaggio possibile in
pochi mesi).
Inoltre la fitta rete di incroci azionari garantisce all’intero
sistema una “chiusura verso l’esterno difficilmente penetrabile”; in sostanza
la Germania pur essendo aperta a ogni tipo di scambio commerciale è comunque
chiusa e difesa da ogni interferenza finanziaria da parte di investitori stranieri.
[4]
Il confronto dei dati con quelli della Francia, del Portogallo,
della Spagna e della Gran Bretagna fa risaltare il fatto che la Germania è il
paese con il numero minore di imprese privatizzate (Cfr. Tab.12 e Graf.15).
Un
vero e proprio processo di privatizzazione si è avuto verso la metà degli anni
’80; la politica seguita dal cancelliere Kohl ha dato l’avvio alla dismissione
di alcune imprese che operavano in alcuni settori dei servizi pubblici; ma è
nel 1990, con la riunificazione delle due Germanie che si assiste ad un vero
e proprio processo di riconversione economica ed industriale: la legge affida
al Treuhandanstalt il compito di vendere l’intero patrimonio dell’ex
Repubblica Federale Tedesca (di questo organo si parlerà più diffusamente in
seguito).
La dinamica della vendita di aziende si è sviluppata seguendo
due tipologie di azione: la privatizzazione sostanziale e la privatizzazione
formale.
Va ricordato innanzitutto che in Germania gran parte delle
imprese pubbliche non dipendeva dal governo centrale ma dalle amministrazioni
locali o regionali. La privatizzazione in questi casi è stata effettuata soprattutto
per trarne benefici istituzionali; il privato è stato invogliato a sostituirsi
al pubblico attraverso la costituzione di società soggette al diritto privato
ma con l’autorità pubblica quale azionista di maggioranza (privatizzazione formale).
In questo modo è stata affidata ai privati la gestione di ospedali, teatri,
strade, porti, mense scolastiche, ecc., iniziando così a rompere quella tradizione
“sociale e compartecipativa” del modello renano.
Nel caso invece di imprese soggette al controllo del governo
centrale si è attuata una privatizzazione sostanziale; la responsabilità
delle operazioni è stata affidata al Ministro delle Finanze (il quale aveva
un potere di veto sulla gestione della vendita).
Il programma di privatizzazione, avviato nel 1986, ha interessato
soprattutto il settore industriale ed alcuni settori del terziario (banche).
Le vendite hanno interessato solo una parte delle azioni detenute dallo Stato
per consentirgli di mantenere un certo controllo sulla proprietà [5];
l’unica eccezione si è avuta per la cessione della Volkswagen e della Veba nelle
quali è stata venduta l’intera quota pubblica.
Va ricordato che uno degli obiettivi del programma di privatizzazione
è stato il risanamento del bilancio statale finalizzato, almeno nell’apparenza,
all’unificazione europea; tutti i proventi realizzati dalle vendite sono stati
infatti utilizzati per la riduzione del debito pubblico.
Gli eventi degli anni pregressi, con la riunificazione della
Germania hanno causato un elevato indebitamento del bilancio pubblico; la principale
conseguenza di questo stato di cose ha portato ad intensificare il processo
di privatizzazione, finalizzato a “far cassa” per affrontare i costi della riunificazione
e per imporre l’esempio agli altri paesi europei di quale dovesse essere il
modello liberista dominante per l’intero continente. I settori di attività economica
maggiormente interessati alle privatizzazioni sono stati le banche, le assicurazioni,
le telecomunicazioni, l’energia elettrica.
L’unificazione della Repubblica Federale con l’ex Repubblica
Democratica, avvenuta nel 1990, ha portato all’unione di due realtà politico,
culturali, economico e sociali molto diverse; questa situazione ha fatto sì
che il processo di privatizzazione in Germania sia avvenuta molto bruscamente
soprattutto perché di fatto le imprese dell’est si sono trovate a sostenere
un confronto diretto con la concorrenza internazionale in un’ottica di mercato
non sempre regolamentato e di liberismo sfrenato.
“Il paradosso del caso tedesco sta oggi nel fatto che la
forza stessa dell’economia della Germania Occidentale, che si pensava potesse
produrre una transizione più morbida ( in confronto a quella dei vicini dell’Europa
centro-Orientale) si è rivelata, nel suo stadio iniziale, anche come fonte di
problemi. In particolare, lo spettacolare aumento della domanda dei beni di
consumo nei territori appena incorporati è stato affrontato in un primo tempo
con l’espansione della produzione da parte delle imprese della Germania Occidentale.
In tal modo, se nel lungo periodo potrebbe essere vero che il “fratello ricco”
salverà la situazione comprando imprese, nel breve periodo esso ha cominciato
col vendere prodotti ai suoi parenti più poveri e insoddisfatti. Non concorrenziali
sul mercato mondiale, incapaci di vendere beni sul mercato tedesco-occidentale,
ed ora non competitive sul loro territorio, le imprese della ex Germania Orientale
hanno visto i loro mercati evaporare nel giro di settimane. Senza ordini e senza
lavoro, milioni di dipendenti di queste imprese in via di fallimento hanno cominciato
a ricevere sussidi di disoccupazione mascherati sotto forma di “lavoro a orario
ridotto”,...Ma questo lavoro ad orario ridotto viene a cessare col 30 Giugno
1991.....” [6].
Ciò ha avuto come conseguenza principale una massiccio aumento
del numero dei disoccupati, di precari, di nuove povertà e marginalità. Questa
situazione ha avuto indirettamente delle ripercussioni anche nell’opera della
Treuhandanstalt, l’organo che ha gestito il processo di privatizzazione.
La Treuhandanstalt si è distinta da istituzioni simili sorte
negli altri Stati per l’elevato grado di autonomia e di potere che possiede
nella conduzione delle operazioni di vendita. Questo ente, oltre alla vera e
propria vendita di imprese pubbliche, e al decentramento delle varie strutture
aziendali troppo concentrate, provvede anche al risanamento delle imprese o
alla loro chiusura se queste vengono considerate senza prospettive. [7]
L’ente in oggetto è stato istituito con una legge del 1990,
con la quale in sostanza tutto il patrimonio produttivo della ex Repubblica
Democratica diventava di proprietà della Treuhandanstalt. Tutte le aziende che
non sono state chiuse o vendute sono rimaste sotto il controllo di questo ente
che provvede alla riorganizzazione anche attraverso eventuali sussidi. Questa
operazione d’intensa privatizzazione ha portato alla chiusura di oltre 2.300
aziende ritenute senza prospettive, mentre circa 1.200 imprese sono rimaste
sotto l’amministrazione della Treuhandanstalt.
La maggior parte delle cessioni è avvenuta attraverso vendita
diretta; le piccole imprese sono state cedute per oltre il 70% ai residenti
nelle provincie orientali. Va ricordato che dopo appena un anno dalla costituzione
della Treuhandanstalt circa il 90% delle 19.000 piccole imprese era stato ceduto
ai privati.
Sono inoltre state vendute 12.000 su 13.000 medie e grandi
imprese; circa il 4.6% di queste imprese è stato ceduto ad investitori stranieri
(soprattutto francesi e americani), mentre il 78,7% ha interessato investitori
istituzionali della Germania occidentale; il restante 16,7% delle privatizzazioni
si è svolto attraverso la tecnica del management buy-out. (vedi Graf.16)
Gli altri paesi dell’Europa Occidentale
E’ interessante a questo punto mostrare una panoramica delle
principali operazioni di privatizzazione effettuate in diversi Paesi dell’Europa
occidentale nel periodo che va dal 1988 al 1991.
Il confronto tra le altre varie realtà europee mostra chiaramente
quanto sia stato rilevante l’intero programma di vendite dal settore pubblico
ai privati per l’economia complessiva di questi Paesi; in particolare notare
i dati della Gran Bretagna e del Portogallo che risultano essere stati molto
influenzati dall’intero processo di privatizzazione. (Cfr. Graff. 17, 18,
19)
BELGIO
Da diversi anni in questo Paese sono stati dismessi ai privati
alcuni servizi del settore della salute, delle assicurazioni, e dell’istruzione;
di solito nei settori operanti in regime di monopolio è stata attuata la tecnica
della concessione per consentire il mantenimento, da parte dello Stato, del
controllo del monopolio e vincolare i privati sul grado di efficienza da seguire.
Nel
1993 il governo belga ha avviato un nuovo programma di privatizzazione con lo
scopo di contenere il deficit di bilancio ai fini dell’unificazione europea
secondo i parametri di Maastricht; sono state previste privatizzazioni nel settore
dell’energia (Distrigaz), del traffico aereo (Sabena) delle telecomunicazioni
(Belgacom) e bancario (Snci, Sni, Occh).
E’ stata invece conclusa la privatizzazione della Caisse Gènèrale
d’Epargne et de Retraite (CGER), una holding che controlla una società bancaria
(CGER Banque) e una società assicurativa (CGER Assurance). Questa holding è
stata ceduta al gruppo belga olandese Fortis; ambedue le imprese facenti capo
alla CGER sono state cedute per una quota pari al 49,9% con l’opzione di un
ulteriore 0,1%. E’ prevista inoltre la possibilità per la Fortis di comprare
un altro 9,8% delle due imprese; in questo modo vi sarebbe una eccezione al
veto posto dalla legge di impedire la cessione della maggioranza assoluta ai
privati.
OLANDA
Il programma di privatizzazioni in Olanda è iniziato nel 1988
con la vendita delle quote di minoranza della Hoogovens (settore siderurgico),
della Post Bank, dello Middenstandsbank (settore bancario) e del gruppo DSM
(settore chimico).
Pur essendo poco significativo in questo paese il fenomeno
delle vendite di imprese appartenenti al settore pubblico, va rilevato che,
negli anni ‘90, dopo aver ceduto le proprie partecipazioni alla Volvo (auto)
e alla Rom (cantieri) e Fokker (aerei), il Governo olandese sta preparando un
più articolato programma di privatizzazioni che interesserà soprattutto i settori
dell’edilizia e dei servizi essenziali come il gas, l’energia, le comunicazioni,
la sanità e i trasporti.
[1] Cfr. Dossena G., “Le privatizzazioni...”, op. cit. p.
202.
[2] Rampini
F. “Privatizzazioni in Francia”, Queste Istituzioni, n. 83-84, 1990, pag.51.
[3] Cfr. Bernini A.M. “Intervento...”, op. cit.
p.49.
[4] Cfr. Albert M, “ Capitalismo contro capitalismo”, Il Mulino/Contemporanea,
Bologna,1993, p.122 e segg.
[5] Così come
in Gran Bretagna si è istituita la golden share ed in Francia l’action spècifique,
anche in Germania si è mantenuta una quota pubblica anche se minoritaria.
[6] Cfr.Stark D., “Le strategie di privatizzazione nell’Europa Orientale”,
in “Stato e mercato”, numero 34, aprile 1992, pag.105.
[7] La Treuhandanstalt
ha nelle intenzioni un compito limitato, poiché al termine delle operazioni
di cessione questo organismo sarà sciolto; inoltre, pur essendo un ente autonomo,
è soggetto al controllo del Ministro delle Finanze Federale.