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Per la critica del capitalismo

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Ernesto Screpanti
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Professore, Università di Siena

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Contratto di lavoro, regimi di proprietà e governo dell’accumulazione: verso una teoria generale del capitalismo (I)
Ernesto Screpanti

 

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Contratto di lavoro, regimi di proprietà e governo dell’accumulazione: verso una teoria generale del capitalismo (I)

Ernesto Screpanti

La prima parte di questo articolo è stata presentata nel numero precedente di Proteo

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Anche il secondo problema è stato risolto dall’evoluzione del capitalismo. I capitalisti, cioè i soggetti materiali dell’accumulazione, sono i “funzionari del capitale”, i manager delle imprese. Essi non sono più i proprietari dei mezzi di produzione, né fattualmente gli agenti degli azionisti. Nella misura in cui le imprese sono entità legalmente e collettivamente auto-possedute, essi sono dei funzionari delle imprese. Un’organizzazione può essere un soggetto formale, se tale è riconosciuta dalla legge; ma non può essere un soggetto materiale poiché in quanto organizzazione non ha una mente propria e non può prendere decisioni. La sua mente è la mente dei manager. Le sue decisioni e i suoi scopi sono le decisioni e gli scopi dei manager. E poiché questi ultimi, in virtù di un personale interesse al potere, alla paga e al prestigio, mirano alla crescita dell’impresa, si può dire che gli “scopi dell’impresa” coincidono con l’accumulazione del capitale. Per di più gli interessi personali dei manager non possono essere arbitrari: la loro attività è regolata da strutture di governo dell’accumulazione che disciplinano, selezionano e finanziano gli individui in modo tale che questi devono servire l’accumulazione del capitale. Solo i manager che definiscono correttamente i propri fini e li perseguono efficientemente sono selezionati e premiati.

Infine l’evoluzione del capitalismo ha anche contribuito a portare alla luce il contenuto reale della visione del capitale come “relazione sociale”. Marx dava due diversi significati a questo concetto. Da una parte lo intendeva nei termini della relazione di autorità costituita attraverso lo scambio di lavoro salariato, dall’altra come la relazione funzionale per cui il lavoro morto sussume quello vivo nel proprio processo di valorizzazione. Ma la relazione di autorità stabilita col contratto di lavoro nel capitalismo classico è ancora una relazione tra un datore di lavoro e un lavoratore personali, e conserva molti dei caratteri della hegeliana dialettica servo-padrone. Peggio ancora, non è una relazione d’autorità in senso stretto, cioè una relazione di potere costituita formalmente come funzione di una posizione entro una struttura gerarchica. Per di più, nella misura in cui non è il lavoro morto in quanto tale a sottoscrivere il contratto di lavoro, non si capisce come esso possa sussumere alcunché sotto se stesso. Nel capitalismo classico non è il lavoro morto, ma il suo proprietario privato a costituire la controparte che cerca di sussumere il lavoro vivo.

Tale difficoltà teorica viene dissipata non appena ci si rende conto che il lavoro morto non è altro che l’impresa capitalistica. Questa può realmente sussumere il lavoro vivo nel proprio processo di valorizzazione se è un soggetto legale auto-posseduto e dotato di capacità contrattuale: sussume i lavoratori assumendoli. E lo fa per mezzo del contratto di lavoro, il quale può essere ora inteso non come una transazione tra due persone, bensì come una istituzione che costituisce le relazioni sociali in cui l’impresa consiste. Entrando in un rapporto di lavoro, il lavoratore assume un obbligo a lavorare sotto il comando della controparte. Quest’ultima paga un salario in cambio della prerogativa di comando nel processo lavorativo. Ma è un’organizzazione. È strutturata nella forma di una gerarchia di posizioni funzionali dotate di autorità e vincolate da obblighi. La sua struttura reale è la struttura di relazioni sociali in cui consiste il capitale. L’impresa capitalistica si costituisce realmente con i contratti di lavoro che sottoscrive, poiché senza lavoratori non esiste come entità capace di auto-valorizzarsi. Sono le relazioni di potere costituite con questa istituzione che le danno vita. Come già osservato, l’impresa capitalistica è un nesso di contratti di lavoro. Così la relazione che lega il lavoratore al capitale non è una relazione tra persone. I funzionari dell’impresa che esercitano il comando sul lavoro non lo fanno nella forma di un potere personale, ma in virtù di un ruolo che gli è assegnato dall’organizzazione, cioè in una forma legittimata da una posizione d’autorità. Il loro potere è delegato legalmente dall’impresa, cosicché il lavoro morto risulta consistere realmente e formalmente nell’organizzazione. Ora è possibile capire qual è il senso profondo per cui il capitale è una relazione sociale: esso è il sistema di obbligazioni, prerogative e vincoli che regolano l’attività lavorativa nell’impresa capitalistica.

Conviene concludere con una ridefinizione e una esplicitazione. Una teoria generale del capitalismo deve essere una teoria minima. Poiché aspira ad essere applicabile a molte forme istituzionali specifiche, deve definire solo poche caratteristiche essenziali che sono comuni a tutte le forme. Sulla base dell’analisi sviluppata sopra, si può dire che tali caratteristiche essenziali si riducono a tre.

Innanzitutto, ogni relazione sociale nel capitalismo è una relazione di scambio, cioè una transazione tra soggetti che sono tutti egualmente dotati di libertà contrattuale. Ciò esclude le forme di vincoli di subordinazione personali, schiavitù, servitù, patria e maritale potestà e simili. Marx sviluppò questa idea a partire dall’assunzione che il capitalismo è un’”immane raccolta di merci” e che tutte le relazioni sociali che in esso si danno sono basate sullo scambio di merci. A dire il vero, quest’ultima tesi è eccessivamente restrittiva. Infatti esistono transazioni tra controparti autonome che non sono riducibili alla compravendita ma consistono in forme di contratti relazionali, cioè transazioni che costituiscono rapporti sociali e legali, come ad esempio i rapporti di mandato e fiduciari. E tuttavia la tesi di Marx coglie l’essenza del capitale.

In secondo luogo, il più importante contratto relazionale nel capitalismo è il contratto di lavoro, l’istituzione che genera l’obbligo operaio all’obbedienza nel processo lavorativo e, allo stesso tempo, costituisce l’impresa come una persona legale che è dotata dell’autorità necessaria per governare il processo lavorativo. Ovviamente l’obbedienza non è assoluta, sia perché le leggi, le consuetudini e i contratti fissano dei limiti all’autorità, e sia perché molti tipi di asimmetrie informative possono minare l’efficacia del comando e del controllo capitalistico del lavoro. La relazione d’autorità è comunque una condizione necessaria per lo sfruttamento capitalistico nel processo produttivo.

In terzo luogo, infine, una condizione sufficiente è che il plusvalore estratto venga usato per sostenere la valorizzazione e l’accumulazione del capitale. Perciò le decisioni d’investimento devono essere fuori della portata dei lavoratori. Quando ciò accade si può dire che il capitale è il motore primo dei processi di produzione e d’accumulazione. Una tale condizione può essere assicurata da diversi sistemi istituzionali. In effetti le differenze principali tra le varie forme di capitalismo risiedono nelle loro strutture di governo dell’accumulazione e, di conseguenza, nelle diverse figure sociali che svolgono il ruolo di funzionari del capitale. Ma resta vero che tutte le varie strutture di governo devono avere una proprietà in comune: la capacità di regolare l’uso del plusvalore per servire l’accumulazione del capitale.