1. Introduzione
Nel corso degli anni ottanta i processi di privatizzazione
hanno caratterizzato la politica economica in tutta l’Europa occidentale, come
risposta alle politiche che avevano predominato nel lungo periodo successivo
alla seconda guerra mondiale e che avevano sottolineato l’intervento pubblico
nell’economia.
Così dopo i primi esperimenti effettuati dal Regno Unito e
da qualche altro paese (es.: la Francia) la privatizzazione di vecchi servizi
e di organizzazioni del settore pubblico è divenuta via via una caratteristica
distintiva della politica dell’Unione Europea durante tutti gli anni novanta.
Quando si parla di settore pubblico ci si riferisce alle Amministrazioni
pubbliche ossia al complesso delle Amministrazioni Centrali, degli enti previdenziali
e delle amministrazioni locali: in sostanza si tratta di amministrazioni che
producono beni e servizi non destinati alla vendita. Più precisamente
con il termine Pubblica Amministrazione si intende l’operatore che produce servizi
collettivi i quali, non formando oggetto di compravendita, non hanno un prezzo
di mercato, attuando inoltre la redistribuzione del reddito e della ricchezza
con operazioni di trasferimento o di erogazioni unilaterali in denaro o in natura
effettuate a beneficio degli altri operatori e settori [1].
Il conto economico consolidato delle Amministrazioni Pubbliche
comprende le principali voci di spesa e di entrata delle amministrazioni pubbliche
secondo il criterio della natura economica; a queste voci va poi aggiunto il
Risparmio pubblico (dato dalla differenza tra Entrate correnti e Uscite correnti),
l’Indebitamento netto (Entrate totali meno Uscite totali) e l’Avanzo Primario.
Le tabelle 1, 2, 3 e 4 mostrano chiaramente come le spese delle
Amministrazioni Pubbliche comincino a decrescere (dopo una crescita pressocchè
costante a partire dal 1960) a partire dal 1992. Viene da chiedersi il perché
di questa inversione di rotta nella gestione dell’economia nazionale e al proposito
possono essere individuati due motivi alla base della riduzione degli interventi
statali nell’economia:
1. Innanzitutto le direttive di "liberalizzazione selvaggia"
adottate dall’Unione Europea in materia di telecomunicazioni, ferrovie, trasporto
aereo, servizi postali, energia, tutte misure volte all’apertura dei mercati
nazionali alla concorrenza.
2. In secondo luogo la realizzazione dell’Unione economica e monetaria dell’Europa
che in virtù del principio di convergenza dettato dal trattato di Maastricht
ha spinto i governi a vendere beni statali e interessi nelle compagnie industriali [2].
I processi di trasformazione in corso quindi sono ampiamente
determinati dall’affermazione dell’ordinamento comunitario e del suo principio
fondante della concorrenza come elemento costitutivo del mercato unico europeo
esprimendo così "meglio di ogni altro intervento la necessità dei vari
modelli di capitalismo finanziario di mettere in discussione sul piano mondiale
le conquiste del movimento operaio" [3].
[1] Giuseppe Alvaro, Contabilità
nazionale e statistica economica, Cacucci editore, 1999.
[2] "Privatizzazioni
e relazioni industriali", in: http://www.geocities.com/Athens/2753/materiali/privrelind.htm.
Si vedano, anche per il seguito di questo lavoro, vari numeri
di PROTEO con gli articoli sulla P.A., privatizzazioni e federalismo, in particolare
di R. Martufi, A. Salerni e L. Vasapollo.
[3] Mauro Fotia, “Profit State e crisi
delle democrazie contemporanee”, Quaderni Cestes n. 4.