Rubrica
L’analisi-inchiesta

Copyright - Gli articoli si possono diffondere liberamente citandone la fonte e inserendo un link all'articolo

Autore/i

Maria Rosaria Del Ciello
Articoli pubblicati
per Proteo (3)

Collaboratrice e ricercatrice rivista “Proteo”

Argomenti correlati

Enti locali

Privatizzazioni

Pubblica amministrazione

Servizi pubblici

Nella stessa rubrica

Le privatizzazioni dei servizi nella Pubblica Amministrazione e negli enti locali
Maria Rosaria Del Ciello

 

Tutti gli articoli della rubrica: analisi-inchiesta(in tutti i numeri di Proteo)


Home
Autori
Rubriche
Parole chiave

 

 

 

Le privatizzazioni dei servizi nella Pubblica Amministrazione e negli enti locali

Maria Rosaria Del Ciello

Formato per la stampa
Stampa

5. Conclusioni

"In base alla riflessione marxiana gli unici tipi di società che veramente non conoscono una distinzione fra privato e pubblico sono le società semplici (cd. Primitive) e le società che Marx chiama "modo di produzione asiatico. Tutti gli altri tipi di società conoscono, in qualche modo, una sfera privata (del particolare) e una sfera pubblica) (...). Nella formazione sociale capitalista, infine, la comunità (considerata da Marx essenzialmente come forma di proprietà degli individui che lavorano in modo associato) viene radicalmente distrutta, ed emerge l’anarchia del mercato, che conosce soltanto il singolo borghese, il proprietario capitalista isolato, che produce ed agisce privatisticamente dietro l’impulso del movente del profitto. Siamo qui all’atomizzazione della società in attori puramente individuali, che agiscono secondo un calcolo esclusivamente utilitaristico tendente alla massimizzazione del benessere privato" [1].

Il problema dei servizi pubblici è la proprietà pubblica delle aziende che erogano il servizio ed il connesso diritto ad esercitare il servizio in regime di monopolio. La soluzione proposta è quindi quella di privatizzare le aziende pubbliche e introdurre la concorrenza, sicuri che in tal modo si avranno servizi pubblici efficienti, ad un prezzo più basso, maggiormente aderenti alle esigenze del "cittadi-no/cliente" e di alta qualità. Questa impostazione produce comportamenti finalizzati a raggiungere livelli sempre maggiori di competizione, individuando un sistema in cui il mercato sembra essere l’istituzione più aderente.

Le ideologie di stampo neoliberista vedono nella natura decentralizzata delle decisioni economiche di un settore privato e nell’ambiente competitivo in cui vengono prese l’humus necessario per l’affermazione di una efficiente allocazione delle risorse. Da questo punto di vista l’intervento statale può essere giustificato solo da qualche forma di fallimento del mercato. L’intervento del governo è richiesto quando i benefici del processo decisionale collettivo pesano più della perdita del processo decisionale decentralizzato individuale ed è spesso giustificato da:

a) protezione dell’industria e di gruppi vulnerabili;

b) mercato del credito sottosviluppato;

c) esternalità positive legate all’educazione, alla salute, alle infrastrutture;

d) ruolo redistributivo del settore pubblico [2].

La logica dell’intervento statale deve avere radici nell’assunto che in alcune aree il mercato funzioni poco o male, o che la società si proponga altri obiettivi oltre l’efficienza economica, come per esempio la distribuzione della ricchezza. Tra le cause possibili di fallimento del mercato c’è quella dell’esistenza di beni pubblici [3]. Possiamo quindi stabilire tre requisiti necessari ai fini di in un intervento statale nell’economia:

1. La maggior parte dei mercati non sono pienamente concorrenziali, per cui non si raggiunge un risultato efficiente;

2. L’efficienza che è la principale caratteristica dei mercati concorrenziali, è solo una delle componenti del benessere sociale;

3. Il funzionamento del mercato può essere considerato non auspicabile poiché ricompensa un tipo di comportamento ritenuto socialmente indesiderabile. Il mercato favorisce la competitività e l’etica della sopravvivenza del più forte a spese dell’iniziativa cooperativa e dei valori competitivi.

Quindi la partecipazione dello Stato alla riallocazione delle risorse è giustificabile perché in alcune situazioni (quella dei beni e servizi pubblici è da sottolineare) sono necessarie contemporaneamente:

- Equità, in quanto viene incoraggiata una distribuzione più equa di beni e servizi tra i membri della società;

- Efficienza, poiché si promuove l’efficienza in situazioni di fallimento del mercato.

Il prodotto tipico dell’amministrazione pubblica cioè quei beni e servizi che hanno effetti su tutta la collettività è formato da beni pubblici; rendere disponibili tali beni è uno dei principali scopi dell’intervento pubblico e, nello specifico, dell’identificazione di meccanismi atti ad ottimizzare le scelte collettive [4].

"Creare le condizioni per una concorrenza efficace non è compito facile e la privatizzazione e la deregulation indiscriminate rappresentano scorciatoie tutt’altro che raccomandabili. È possibile allargare gli spazi per l’operare di imprese private, ma anche nulla garantisce che il mercato lasciato a se stesso dia luogo a soluzioni economicamente ed allocativamente efficienti per gran parte dei servizi pubblici" [5].

"In tutti i paesi del capitalismo occidentale contemporaneo abbiamo di fronte non semplicemente una maggior complessità sociale ma anche novità radicali come ad esempio processi di privatizzazione per quanto riguarda i consumi di cittadinanza. Sinteticamente matura con grande accelerazione nella condizione del lavoro e nella condizione sociale una nuova "questione sociale" in tutti i paesi dell’occidente capitalistico e la necessità di una nuova politica sociale che vada al di là dell’antica dicotomia Stato/Mercato: politica che assuma come fondamento il diritto all’inserimento, come obiettivo permanente l’integrazione, come dimensione la persona e la territorialità, come cultura un’idea di cittadinanza non puramente lavoristica, come modalità l’economia sociale e cooperativa, come perno il ruolo del pubblico come stratega, come consumo il passaggio dai consumi privati di massa ai consumi sociali, ai cosiddetti beni relazionali" [6].

"Secondo un documento del FMI", ci fa notare il Giannone, "il perseguimento di una politica dell’equità favorisce direttamente o indirettamente lo sviluppo economico. Ed infatti una maggior spesa per la salute o per l’istruzione più che con la concessione di sussidi o l’applicazione di imposte progressive, rafforza nel lungo andare lo sviluppo economico che a sua volta contribuisce ad alleviare la povertà. Infine, non vi è dubbio che interventi governativi intesi a diminuire la diseguaglianza della distribuzione dei redditi rafforzano la coesione sociale e diminuiscono i rischi di conflitti sociali. È anche vero però che questa politica ha bisogno di un largo sostegno, senza escludere, inoltre, che alcuni interventi governativi come, ad esempio, la privatizzazione, accrescano nel breve termine la disoccupazione o peggiorino la distribuzione delle risorse" [7].

Quando si punta il dito contro i processi di privatizzazione non si vuole certo negare la validità di alcune affermazioni, come ad esempio quella che vuole il trend di cambiamento dei prossimi anni centrarsi sullo sviluppo anche della qualità delle infrastrutture, sviluppo che costituisce senz’altro un elemento chiave per la sopravvivenza del sistema economico [8]. Così come è vero che l’inefficienza delle infrastrutture causata da mancato sviluppo e da inadeguata manutenzione costituisce un grave deficit per un Paese e riflette anche una scarsità di investimenti di capitale, di solito in prevalenza pubblico; la Pubblica Amministrazione chiamata istituzionalmente ad assicurare servizi per lo sviluppo della società ha un peso fondamentale nella determinazione dei costi di transazione, intesi questi ultimi come costi del processo di negoziazione per procurarsi le risorse (umane, finanziarie, tecnologiche, temporali e spaziali) ritenute indispensabili per realizzare gli obiettivi scelti [9]. Viene però spontaneo chiedersi se la qualità e l’efficienza passino solo e necessariamente attraverso un approccio "privato" delle gestioni o se, invece, accanto ad esse non debba considerarsi appunto un terzo fattore: quella politica dell’equità a cui accennava Giannone. Una lettura del DPEF 2000-2004 non fa poi altro che aumentare i dubbi e le riflessioni quando afferma che "il Governo ipotizza che una parte significativa dei nuovi investimenti in infrastrutture di interesse pubblico nel 2002, 2003 e 2004 possa essere finanziata direttamente da capitale privato" e continua "migliorare l’efficienza e la qualità dei servizi è possibile liberalizzando e privatizzando i mercati nei settori aereo, marittimo, ferroviario e autostradali". Questa tendenza a livello centrale non fa altro che propagarsi alle strutture decentrate di gestione locale che abbagliate dall’ottica di una concorrenza che tutto può e tutto rimedia, perde di vista quell’elemento fondamentale dell’equità, a danno di un welfare che dovrebbe realizzare un reale sistema di protezione sociale che si fa carico dei vari disagi sociali, anche e soprattutto a partire dai servizi basilari della collettività. Vero è che la concorrenza è un processo di "distruzione creativa" caratterizzato dal ruolo di nuovi imprenditori e nuovi imprese, ma tale attività innovativa si associa a costi crescenti degli investimenti in ricerca e sviluppo e ad un’elevata rischiosità dei progetti, portando al predominio delle imprese più grandi e all’innalzamento di barriere all’entrata [10]. Una politica per l’efficienza dei servizi pubblici non è poi senza costi: l’efficienza allocativa infatti richiede infatti una struttura tariffaria uniforme e non rispettosa dei costi marginali effettivi. Eventuali fini redistributivi andrebbero in tal caso perseguiti con altre forme intervento che aumenterebbero i costi totali [11].

Per questo si può affermare che i processi di privatizzazione hanno costituito lo strumento più efficace di distruzione dei servizi sociali e ciò è avvenuto purtroppo anche con il consenso di gran parte dell’opinione pubblica che, bollando come incapaci, parassiti e nulla facenti i lavoratori ha accolto con favore la concessione al privato della gestione diretta dei servizi pubblici.


[1] Donati Pierpaolo, Pubblico e privato. Fine di un’alternativa?, Nuova universale Cappelli, 1978.

[2] Huther J., Roberts S., Shah A., Public expenditure reform under adjustement lending. Lessons from World bank experiences, WORLD BANK discussion paper n. 382, 1997.

[3] Stokey Edith, Zeckhauser Richard, Introduzione all’analisi delle decisioni pubbliche, FORMEZ, 1988.

[4] Stokey Edith, Zeckhauser Richard, Introduzione all’analisi delle decisioni pubbliche, FORMEZ, 1988.

[5] Antonio Di Majo (a cura), "Le politiche di privatizzazione in Italia. 3° Rapporto CER/IRS sull’industria e la politica industriale italiana", Il Mulino, 1989.

[6] Agostini Luigi, "Welfare locale - Assessorato sociale - Sindacato", Impresa Sociale, 46/1999.

[7] Giannone Antonino, "La convergenza delle economie delle regioni italiane", Studi e Note di Economia, 2/2000.

[8] Billia Gianni, "Un sistema lento condiziona la competitività", L’Impresa, 4/1998.

[9] Billia Gianni, "Un sistema lento condiziona..., op. cit.

[10] "Concorrenza, sviluppo e sistema bancario", intervento di Antonio Fazio, Bollettino Economico della Banca d’Italia, n. 35, 2000.

[11] Antonio Di Majo (a cura), "Le politiche di privatizzazione in Italia. 3° Rapporto CER/IRS sull’industria e la politica industriale italiana", Il Mulino, 1989.