3. Il “Nuovo Sindacalismo”
Il ciclo di scioperi dei metalmeccanici che sarebbe entrato
nella storia come il “nuovo sindacalismo”, si protrae, nella regione dell’ABC
paulista, dal 1978 al 1985, inaugurando un nuovo periodo per il sindacalismo e
per l’intera società brasiliana. Gli scioperi avvengono in un contesto di
crisi economica, di compressione salariale e d’iniziale pressione per una
politica di “apertura”. Spinto da rivendicazioni salariali e dalla
necessità di miglioramenti nelle condizioni di lavoro, il movimento sfida il
regime autoritario e finisce per diventare l’elemento decisivo per la fine
della dittatura militare.
Questo movimento osa sfidare il potere autoritario spingendo
i lavoratori, organizzati in commissioni e nuclei di gruppi di fabbrica, ad
esternare le loro rivendicazioni e il loro scontento sulla pubblica piazza.
Questi scioperi sono segnati da grandi innovazioni sul piano organizzativo: la
partecipazione delle basi, i fondi per gli scioperi a livello nazionale, l’articolazione
con i movimenti popolari e le organizzazioni di quartiere danno supporto ai
lavoratori affinché resistano ai metodi repressivi del governo.
Il sindacalismo comincia a differenziarsi dai periodi
precedenti assumendo caratteristiche di movimento di massa. Nelle campagne
salariali, le assemblee realizzate nello stadio di calcio di Vila Euclides a San
Bernardo raccolgono 60.000 lavoratori. Le celebrazioni per il Primo Maggio del
1980, segnate dalla tensione per gli scontri tra manifestanti e polizia
militare, riuniscono 100.000 persone nel Paço Municipal di San Bernardo. Oltre
ai lavoratori compaiono in queste manifestazioni le leadership politiche ed
intellettuali dell’opposizione e i settori liberali contrari al regime
militare.
Questa nuova generazione di sindacalisti, nel difendere un
sindacalismo indipendente dallo Stato e autonomo rispetto ai partiti politici,
mette le basi per un nuovo modello sindacale e per una nuova azione, diventando
il protagonista principale della collettività. Mentre la crisi economica
penalizza i lavoratori, la società intera si prepara a nuovi passi verso la
democrazia. I metalmeccanici, nel pieno della loro recente riorganizzazione,
puntano ad un sindacalismo di confronto che si esprima in un’intensa attività
di scioperi. Gli scioperi continuano a segnare le campagne salariali degli anni
seguenti e soltanto nel 1985 se ne contano 900. In questi scioperi, oltre alle
dispute salariali, c’è un contenuto politico che esprime la necessità di un
riscatto della propria dignità e di un desiderio d’affermazione dell’identità
collettiva di fronte alla proprietà, al governo e alla stessa società.
Il movimento dei metalmeccanici dell’ABC, rafforzato dalla
pressione di tutti quei settori ansiosi di vedere la fine della dittatura,
persuade rapidamente tutta la società brasiliana. I vecchi sindacati cambiano
il loro scenario attraverso la lotta delle opposizioni sindacali, per sloggiare
gli “interventores” collocati dai governi militari alla direzione delle
varie entità. La riorganizzazione dei lavoratori del settore privato stimola il
movimento associativo delle cosiddette classi medie salariate che cominciano ad
organizzarsi in sindacati. I funzionari pubblici, cui era stata proibita la
possibilità d’accesso alla sindacalizzazione dalla legge del 1931, danno
nuova vita alle loro vecchie associazioni, dotandole di pratiche sindacali.
Sorsero anche i Movimenti Sociais Urbanos, sottoforma di Associações de
Bairros, Conselhos Comunitários, Movimentos Contra a Carestia ecc. Tutta la
società civile si organizza, cercando particolari forme per rivendicare quanto
a lungo negato.
I funzionari pubblici portano all’interno dei sindacati
importanti settori della burocrazia statale. In un paese dove l’accesso all’educazione
era stato, da sempre, un problema per gli strati sociali più bassi, l’ingresso
della classe media che include i professori della scuola pubblica, da ai
sindacati la possibilità di arricchirsi con scambio d’esperienze concrete: il
sapere implicito, con il sapere scolastico. I funzionari pubblici, ancor prima d’ottenere
il diritto alla sindacalizzazione che arriva soltanto con la Costituzione del
1988, s’inseriscono nella dinamica sindacale dei lavoratori del settore
privato, dando inizio ad una giornata di scioperi per motivi salariali e
politici che avrà ripercussioni su tutta la società.
L’opposizione al “vecchio sindacalismo” designa un
nuovo movimento. L’emergenza per un sindacalismo combattivo ed autentico
attrae l’attenzione del pensiero accademico che forgia l’idea di rottura tra
passato e presente, generando due temporalità diverse: “vecchio” e
“nuovo” sindacalismo. Passato ormai del tempo, ad un’osservazione
più prudente, si capisce che parte delle analisi, prodotte nell’entusiasmo
della novità, colorano di tinte più forti il movimento nascente, oscurando le
tracce importanti del sindacalismo precedente, che è invece parte integrante di
quello rinnovato. Proprio riconoscendo che non c’è una rottura assoluta e
neanche una continuità reale, gli studiosi affermano unanimemente che questo è
stato un momento di flessione nella storia del sindacalismo brasiliano.
Il “nuovo sindacalismo” si distingue per la
critica pratica alla legislazione sindacale precedente. In questa si ritrova una
generazione giovane, vincolata a settori di punta dell’economia, che inaugura
una nuova agenda, creando una diversa forma di relazione con lo stato, con la
proprietà, e con l’insieme della società.
In termini ideologici il “nuovo sindacalismo” è
composto di tre matrici differenti: quella sindacale, quella della chiesa
popolare e quella della sinistra. Riunisce lavoratori senza esperienza di
militanza politica, lavoratori vincolati al movimento della chiesa cattolica
ispirata alla Teologia da Libertação e gli originari membri dei partiti
tradizionali della sinistra e delle sue ramificazioni. Queste matrici si trovano
unite sulla questione della struttura sindacale, e nel criticare le strategie in
vigore nel periodo 1945-1964, il cui “cupulismo” subordinava il movimento
sindacale agli interessi della borghesia nazionale.
In un contesto politico di ricerca di soluzioni istituzionali
per il regime dittatoriale in crisi, i lavoratori s’impongono come elemento
imprescindibile per il nuovo arrangiamento politico ed istituzionale che darà
luogo al processo d’apertura politica del paese. Quest’inserimento si
distingue da quello degli anni ‘30 in cui i lavoratori vengono accettati come
interlocutori, purché si sottomettano alle imposizioni della legislazione che
definisce i limiti della loro presenza e della loro azione. Inoltre, si
distingue anche da quello del periodo 45-64, in cui i lavoratori subiscono l’esperienza
di un inserimento soggetto alle ingiunzioni politico-partitiche dell’egemonia
del PC. In questo nuovo contesto i lavoratori chiedono di poter sottoporre le
proprie richieste e rendono effettive le loro pratiche in modo autonomo dal
rapporto con lo Stato e in maniera indipendente dai partiti politici.
L’incontro all’interno del “nuovo sindacalismo”,
tra l’area intellettuale e quella dei salariati è uno dei punti di partenza
del processo che ha portato, negli anni a seguire, alla nascita della Central
Única dos Trabalhadores (CUT) e alla fondazione del Partido dos Trabalhadores
(PT), entrambi tributari di un’esperienza sindacale che, grazie all’introduzione
di nuovi soggetti politici e di nuove pratiche nella sfera pubblica, ha
provocato profondi cambiamenti nell’ambito pubblico brasiliano.
4. Dal “nuovo sindacalismo” al sindacalismo rinnovato
Con il ritorno del paese ad un regime democratico e con la
rinascita di un movimento sindacale con una nuova configurazione politica ed
organizzativa, in Brasile inizia la discussione sulla riforma dei rapporti di
lavoro. Le proposte di cambiamento danno origine ai lavori della Costituente che
si conclude con l’emanazione della Costituzione del 1988, anche detta “cidadã”.
La nuova Costituzione accondiscende alle nuove richieste di libertà del diritto
allo sciopero. Nel frattempo però mantiene due importanti pilastri di sostegno
della vecchia struttura sindacale: l’unicità sindacale e l’imposta
sindacale obbligatoria, dando al nuovo sistema sindacale brasiliano una forma
che è l’espressione della coesistenza di tracce della vecchia struttura
corporativa e aspetti di una nuova concezione. Esempio di ciò sono la
pluralità sindacale al culmine della sua struttura attraverso le Centrais
Sindacais e il mantenimento del monopolio della rappresentanza alla base del
sistema, con un sindacato unico su base territoriale e suddiviso per categorie
professionale.
Negli ultimi decenni l’intensa attività di
ristrutturazione dei settori dell’economia è stata motivo di cambiamenti nel
modello di gestione e regolamentazione del lavoro. La ricerca della
competitività sui mercati globali ha comportato, come fattore determinante, la
flessibilità del mercato del lavoro, favorendo ideali contrari alla
regolamentazione statale e contrattuale della forza lavoro. Sebbene questa fosse
la tendenza generale, la natura e la portata di questi mutamenti hanno
cominciato ad essere discussi in ogni paese a partire da un insieme d’elementi
intrinseci al particolare contesto dei rapporti di lavoro costituiti
storicamente e sono il risultato di diversi arrangiamenti istituzionali, sociali
e culturali. “Oltre alla pura forza di mercato il contratto di lavoro
coinvolge sempre istituzioni formali ed informali che regolano l’insieme delle
norme contrattate” (Pessanha e Morel, 1999).
Il tema della flessibilità dei rapporti di lavoro è
applicato in ogni paese a partire dagli elementi di una cultura politica che si
esprime negli accordi, nelle mediazioni e nel grado di sostegno e copertura
della legislazione. In Brasile questo dibattito incontra una tradizione
profondamente normativa ed interventista, limite fondamentale nei rapporti di
lavoro nel paese. In maniera episodica, a partire dal contesto di
democratizzazione degli anni ‘80, lavoratori, imprenditori e governo
cominciano a dare prova della volontà di effettuare profondi cambiamenti nella
legislazione, in materia di lavoro e di sindacati. Al centro di questa
discussione si trova il ruolo dello Stato e il suo rapporto con il sistema di
lavoro. Questo dibattito non si rifletterà soltanto sul rapporto tra Stato e
lavoratori, ma definirà anche la posizione proposta a questi ultimi all’interno
di un nuovo “patto” tra Stato e società.
Durante gli anni ‘90 i profondi mutamenti registrati nel
mondo del lavoro raggiungono i sindacati brasiliani, portandoli verso una crisi
dalla quale scaturiranno importanti trasformazioni del movimento sindacale erede
del “nuovo sindacalismo”. Due decenni dopo essere diventato il “protagonista
collettivo” più importante nella società brasiliana, questo
sindacalismo, autore del rinnovamento della tradizione sindacale, deve
scontrarsi con la necessità di cambiare ancora gli orientamenti e le pratiche,
ridefinendo la sua stessa identità.
Il cambiamento strategico porta il “nuovo sindacalismo” a
dare priorità alla negoziazione con la proprietà, a discapito del sindacalismo
di confronto che lo aveva distinto. Il passaggio da un sindacalismo di confronto
e conflitto ad uno di negoziazione genera un forte dibattito all’interno della
CUT, rendendo protagonista la corrente minoritaria che si oppone alla direzione.
Responsabile dell’introiezione nei gruppi di salariati d’una cultura
sindacale aggressiva e conflittuale, l’esperienza sindacale di questi ultimi
20 anni si cristallizza come tradizione e mostra resistenza ai mutamenti che il
nuovo quadro esige.
I mutamenti nell’azione sindacale si scontrano con la
mancanza di una tradizione nella negoziazione della società brasiliana. In
Brasile, la struttura sindacale aveva sostituito la negoziazione tra lavoratori
ed imprenditori con la Justiça do Trabalho, come forma per evitare il
conflitto. Il “nuovo sindacalismo” è stato responsabile della
rottura di questo modello e della creazione di spazi politici ed istituzionali
che avevano reso possibile la partecipazione dei sindacati alle negoziazioni. In
questo scenario, caratteristico degli anni ‘80, con un’elevata inflazione e
con una recessione delle attività produttive, un tipo di sindacalismo
conflittuale che si esprimeva con grandi e numerosi scioperi, era stato decisivo
per le negoziazioni. Questo quadro, con la crisi dell’impiego degli anni ‘90,
è stato nuovamente e significativamente alterato rendendo il sindacato più
fragile e riducendo il numero degli scioperi.
Il cambiamento di strategia, dal confronto alla negoziazione,
sposta alcuni settori del sindacalismo al di fuori dei limiti delle
rivendicazioni corporative, collocandoli in posizioni attive d’intervento sul
piano più generale della società. Importanti gruppi del movimento sindacale
brasiliano sono coinvolti in dibattiti sul sistema pubblico dell’Educazione e
sul Programa de Qualificação Profissional. Questi partecipano a livello
nazionale sia al Conselho Tripartite che gestiva il Fundo de Amparo ao
Trabalhador (FAT) sia al Conselhos Estaduais. La presenza di gruppi sindacali ai
Conselhos de Saúde a livello federale, statale e municipale, al Conselho
Curador do FGTS e al Conselho de Administração do Banco Nacional de
Desenvolvimento Econômico e Social (BNDES), evidenziano un sindacalismo in
grado di intervenire nelle dispute sulla gestione dei fondi pubblici e sulla
formulazione di politiche pubbliche che riguardano tutta la società.
Per quanto riguarda la CUT, la sostituzione del confronto
conflittuale con la negoziazione e l’incorporazione di nuovi elementi nell’agenda
sindacale, come l’enfasi posta dalla Central ai programmi di Qualificação
Profissional, incontrano una forte resistenza dei gruppi oppositori. Queste
correnti si oppongono a ciò che considerano una perdita di potere conflittuale
della Central. Secondo questi, dando priorità al campo di formazione
professionale, il CUT stava cambiando la propria identità e perdendo l’aggressività
della sua origine classista, pregiudicando la sua formazione sindacale e
politica, parte integrante del suo progetto strategico.
Parlare delle prospettive del sindacalismo brasiliano non è
prudente, considerati il grado d’eterogeneità della sua organizzazione, la
capacità d’azione, i concetti sindacali e la stessa importanza economica dei
settori produttivi, sebbene appaia chiaro che, specialmente i gruppi del
sindacalismo legati alla CUT, vivono attualmente una fase di transizione, nella
forma e nel contenuto delle rivendicazioni.
All’inizio degli anni ‘90 l’agenda sindacale è stata
modificata e attualmente possiamo identificare quattro grandi percorsi d’azione.
Il primo riguarda azioni che cercano di dare una risposta alla sfida del
cambiamento del piano di produzione e ai suoi effetti immediati nella crisi dell’impiego
e nella tendenza al precariato nel lavoro. Un secondo sforzo è rivolto al
dibattito sulla riforma della struttura sindacale e ai mutamenti nella
legislazione sul lavoro. Un terzo fronte d’azione s’incontra nel tentativo
di creare una nuova forma di struttura verticale e d’organizzazione nello
spazio del lavoro, con l’obiettivo di rafforzare il rapporto tra le basi e la
direzione.
Tuttavia è il quarto punto quello che ci richiama a maggiore attenzione,
ossia l’attività in aree che non sono di competenza specifica dei sindacati.
Gruppi sindacali della frangia della CUT, stanno sempre più uscendo dagli
interessi corporativi delle categorie che rappresentano e intervengono in
questioni riguardanti la società più in generale. Cercano collaborazioni con
le prefetture in campagne che hanno lo scopo di eliminare l’analfabetismo, che
propongono programmi per la costruzione di abitazioni popolari e per la
partecipazione ai numerosi Conselhos Públicos. Inoltre, intervengono in
campagne a difesa dei bambini e degli adolescenti, contro la discriminazione
razziale, a favore dell’ambiente e nel conseguimento della parità tra i
sessi. Questi cambiamenti nell’agenda sindacale sono stati motivo di grandi
discussioni. Gli atti dei congressi mostrano l’insoddisfazione di alcuni
gruppi per ciò che considerano una deviazione dalle funzioni proprie dei
sindacati. La questione della cittadinanza è stata al centro di questi
dibattiti, poiché legata all’agenda e alla dialettica sindacale.
5. Sindacati e Cittadinanza
In termini generali il quadro sindacale brasiliano somiglia a
quello che si osserva a livello internazionale. L’aumento della
disoccupazione, la competizione per il mantenimento del posto di lavoro, le
tensioni con coloro che mantengono un impiego più o meno fisso, l’eterogeneità
in ambito lavorativo, il crescente precariato, ostacolano la possibilità di una
effettiva solidarietà e indeboliscono i sindacati. La disoccupazione colpisce
direttamente il sindacato riducendo il numero di membri (anche potenziali) e la
loro fiducia nella sua efficacia ed inoltre, poiché sussiste una chiara
diversità di situazioni in coloro che lavorano, impedisce l’azione congiunta.
L’attività sindacale è meno incisiva nei settori più precari del mercato
del lavoro, con una bassa coesione e una ridotta capacità di negoziazione
collettiva. Inoltre questa si riduce per diverse ragioni anche tra i lavoratori
con maggiori qualifiche e capacità. Coloro che lavorano nel settore dei servizi
privati, tendenzialmente in crescita, sono tradizionalmente meno inclini a
aderire al sindacato.
Tuttavia l’attuale crisi del sindacalismo che riguarda
tutta la cosiddetta società occidentale, ha un carattere generale il cui
manifestarsi è però influenzato dalle peculiarità particolari e specifiche d’ogni
formazione storica. Pertanto il paragone tra le diverse esperienze
internazionali deve essere fatto con prudenza. Le traiettorie tracciate
anteriormente dai protagonisti di ciascuna formazione sociale hanno dato luogo
ad esperienze sindacali distinte, la cui specificità deve essere ricercata
negli elementi unici ed irripetibili caratterizzanti la storia d’ogni
società.
Pertanto, l’intensità della crisi così come le strategie
usate dai sindacati per affrontarla, esprimono la specificità politico-sociale
di ciascuna società. Questa constatazione ci porta a riflettere sull’importanza
storica del sindacato in Brasile, come maestro di cittadinanza. In Brasile la
crisi sindacale sembra rivestirsi d’altri contenuti e significati. Le ricerche
che abbiamo realizzato dimostrano che per la gran parte dei lavoratori,
specialmente quelli con un livello basso di educazione scolastica e minori
qualifiche, il sindacato sembra un luogo dove, per la prima volta si acquistano
le nozioni di diritti e doveri, dove si vivono concretamente ideali di
appartenenza e sentimenti di esistenza collettiva e sociale.
Storicamente si può costatare che in Brasile la conquista
della cittadinanza [i] per i gruppi salariabili appare fortemente
legata alla questione del lavoro. L’inserimento nel mercato del lavoro formale
in Brasile serve da porta d’ingresso per ciò che può essere definito come il
processo di costruzione della cittadinanza nazionale: condividere diritti e
doveri garantiti, la cui esistenza è più percettibile in un contesto di lavoro
formale. Il mercato del lavoro brasiliano si caratterizza per la coesistenza tra
un mercato formale ristretto contraddistinto da bassi salari, da un fragile
vincolo impiegatizio e da una forza lavoro poco qualificata e un immenso mercato
del lavoro atipico fuori d’ogni inquadramento legislativo.
D’altro canto, in un paese in cui il lavoro, in particolare
quello non qualificato, è valorizzato negativamente, l’associazione tra
cittadinanza e lavoro ha diverse implicazioni che devono essere considerate. La
sfida posta ai settori salariati è stata la formazione di un’identità di
lavoratore, dove l’elemento che la identificasse - il lavoro - si riempisse di
una forte carica negativa. Ostacolata nella sua realizzazione sul piano più
generale della società quest’identità sarà cercata all’interno del
movimento associativo. I sindacati sono riusciti a dare ai lavoratori una
condizione d’autocoscienza e un contorno alla loro esistenza sociale.
Per spiegare questa specificità, alcuni autori (Bonfim,
1996; Cândido, 1987) identificano un certo “male originario” nella
formazione delle classi lavoratrici brasiliane. Per queste l’esperienza
storica della presenza del lavoro forzato degli schiavi, accanto al lavoratore
libero avrebbe segnato negativamente l’incipiente processo d’industrializzazione
capitalista e quindi i rapporti sociali nel lavoro: la dignità dei braccianti e
dei manovali, a modo di vedere di tali autori avrebbe avuto la sua origine,
secondo l’immaginario collettivo brasiliano, da una certa contaminazione del
lavoro libero, capitalista, da parte di quello degli schiavi.
Riflettendo sugli elementi che sono alla base della nostra
eredità sociale elitaria ed esclusivista, Antônio Cândido, afferma che (...)
“in quest’eredità coloniale, il tratto più funesto è il
conservatorismo” che “non si può dire ostinato, per essere in gran
parte incosciente ma che si può chiamare conservatorismo essenziale, più
affettivo che intellettuale” (Cândido, 1990; 27).
Il pensiero di questi autori ci sembra sufficientemente
suggestivo da dover considerare gli ostacoli nel nostro paese per l’incorporamento
dei lavoratori nell’ambito pubblico. La storia politica brasiliana ha
dimostrato largamente la presenza di uno spazio pubblico ridotto, delineato da
protagonisti individuali e collettivi oriundi e/o rappresentanti delle elite di
proprietari. In Brasile, paese la cui vita politica è stata storicamente
segnata dall’emarginazione sociale e dalla dominazione politica, dove la
cittadinanza e la democrazia si presentano come un processo caratterizzato da
fragilità e da discontinuità, i sindacati, più che in altri paesi, hanno
avuto e hanno tuttora, a nostro giudizio, un ruolo civilizzatore (Ferriera,
1997).
Le peculiarità della cultura politica brasiliana, danno un
nuovo valore al sindacato attribuendogli lo stato d’unica entità pubblica
dove i lavoratori possono esercitare la loro pluralità attraverso l’azione e
il dialogo. (Arendt, 1988). Questo sindacato ridimensionato guadagna un’importanza
centrale nella laboriosa costruzione della nostra democrazia. All’interno
della profonda eterogeneità che caratterizza il sindacalismo brasiliano,
possiamo identificare una specie di smembramento per ciò che (in mancanza di un
nome) si potrebbe chiamare sindacalismo “cittadino”. In un paese con
indici perversi di concentrazione dei redditi che nega ad ampi settori della
popolazione l’accesso a beni essenziali come la salute, l’educazione, l’alloggio,
questo sindacato rinnovato sembra stia occupando quello spazio che le elite e il
governo si sono rifiutati di occupare. Stiamo assistendo ai primi segni di
cambiamento del sindacato come espressione esclusiva degli interessi delle
categorie di lavoratori, verso un sindacato depositario delle richieste d’ampi
settori della società, ossia un “sindacato-cittadino” o un “sindacato
dei cittadini”?
[i] Ndt: Come viene successivamente spiegato, per “cittadinanza”
s’intende l’insieme dei diritti che, anche tramite il lavoro, devono essere
garantiti a tutta la società.