Mobbing: che cos’è il terrore psicologico sul posto di lavoro
Harald Ege
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Con la parola Mobbing si intende una forma di terrore psicologico
sul posto di lavoro, esercitata attraverso comportamenti aggressivi e vessatori
ripetuti, da parte di colleghi o superiori. La vittima di queste vere e proprie
persecuzioni si vede emarginata, calunniata, criticata: gli vengono affidati
compiti dequalificanti, o viene spostata da un ufficio all’altro, o viene sistematicamente
messa in ridicolo di fronte a clienti o superiori. Nei casi piú gravi si arriva
anche al sabotaggio del lavoro e ad azioni illegali. Lo scopo di tali comportamenti
può essere vario, ma sempre distruttivo: eliminare una persona divenuta in qualche
modo “scomoda”, inducendola alle dimissioni volontarie o provocandone un motivato
licenziamento.
Si tratta di una materia solo recentemente teorizzata, ma ben
nota, più vicino alla nostra vita di quanto non avremmo mai immaginato. Chi
di noi infatti vive o ha mai vissuto la sua vita lavorativa senza conflitti
e senza problemi? Allora siamo dunque tutti vittime di Mobbing? La risposta
è, ovviamente, no. Se il vostro capoufficio arriva in ritardo, arrabbiato perchè
la macchina l’ha piantato in asso in mezzo ad un incrocio, e voi gli ricordate
che deve fare una telefonata fastidiosa o gli riferite l’esistenza di un problema,
allora avrete novantanove probabilità su cento di venire trattati male e di
sentirvi umiliati e feriti. Una cosa è però certa: non siete vittime di Mobbing,
ma solo di azioni che chiameremo mobbizzanti: azioni fastidiose, anche
dure e poco gradevoli, ma legate a fattori situazionali (una giornata storta,
un mal di testa, un problema privato, o altro da parte vostra o di chi vi lavora
accanto) e quindi momentanee. Se invece per qualche ragione il modo di fare
prepotente del capoufficio o i pettegolezzi dei colleghi o i comportamenti aggressivi
diventano un’abitudine, cioè se le azioni mobbizzanti diventano regolari, sistematiche
e di lunga durata, allora si può parlare di Mobbing.
Il Mobbing infatti si manifesta come un’azione (o una serie
di azioni) che si ripete per un lungo periodo di tempo, compiuta da uno o più
mobber per danneggiare qualcuno (che chiameremo mobbizzato), quasi
sempre in modo sistematico e con uno scopo preciso. Il mobbizzato viene letteralmente
accerchiato e aggredito intenzionalmente (il verbo inglese to mob significa
“assalire, aggredire, affollarsi attorno a qualcuno”) da aggressori che mettono
in atto strategie comportamentali volte alla sua distruzione psicologica, sociale
e professionale. I rapporti sociali si volgono alla conflittualità e si diradano
sempre più, relegando la vittima nell’isolamento e nell’emarginazione più disperata.
Il Mobbing ha effetti devastanti sulla persona colpita: essa
viene danneggiata psicologicamente e fisicamente, menomata della sua capacità
lavorativa e della fiducia in se stessa. Risente spesso di sintomi psicosomatici,
stati depressivi o ansiosi, tensione continua e incontrollata. L’esito ultimo
- e non raro - è il suicidio: in Svezia un’indagine statistica ha rivelato che
tra il 10 ed il 20% dei suicidi in un anno hanno avuto come causa scatenante
forme depressive dovute a Mobbing. In questo Paese, all’avanguardia nello studio
sul Mobbing, è stata aperta una clinica specialistica per mobbizzati, il Mobbing
è stato dichiarato reato punibile penalmente ed i suoi effetti sono ritenuti
malattia professionale. Le ricerche hanno dimostrato che il Mobbing può portare
ad un danno psichico o psicofisico permamente, tale da consentire una regolare
richiesta di risarcimento per invalidità professionale.
Ma il Mobbing non è solo questo: esso provoca anche un sensibile
calo di produttività all’interno dell’azienda in cui si verifica: chi fa Mobbing
o lo subisce fa registrare un forte calo di rendimento professionale, inoltre
la vittima si assenta spesso per visite o periodi di malattia. Tale costo si
ripercuote poi sull’intera società: una vittima di Mobbing è di solito pre-pensionata
o invalidata dal lavoro, e secondo stime statistiche, un lavoratore costretto
alla pensione a soli 40 anni costa già 1 miliardo e 200 milioni di Lire in più
rispetto ad uno pensionato all’età prevista.
Il Mobbing ha quindi effetti ampiamente distruttivi, complicati
dal fatto che scarse e tortuose risultano le possibilità di difesa. Si tratta
in effetti di una materia delicatissima, in cui la legislazione è scarsa ed
ambigua ed il confine tra lecito esercizio del comando ed il puro arbitrio aggressivo
è più impalpabile che mai. In Italia si calcola che più di 1 milione di lavoratori
soffrano per Mobbing. Esistono già ricorsi in giudizio per invadilità da vessazioni
e persecuzioni sul lavoro che rientrano nella casistica del Mobbing ed alcune
sentenze di risarcimento sono già state pronunciate. La strada per arrivare
alla dichiarazione del Mobbing come malattia professionale risarcibile e come
pratica criminale punibile penalmente é ancora lunga da percorrere. Stiamo muovendo
solo ora i primi passi, ma è una battaglia da cambattere con coraggio e determinazione.
2. Le strategie del Mobbing
Il Mobbing è un fenomeno complesso, che può esprimersi in vari
modi e i cui attori possono comportarsi secondo canoni diversi. Tuttavia, cominciamo
a renderci conto che nel Mobbing esiste una costante: la vittima è sempre in
una posizione inferiore rispetto ai suoi avversari. Inferiorità non riferita
al potere, all’intelligenza o alla cultura, ma come status: durante un lungo
periodo di tempo in cui subisce Mobbing, la vittima perde gradatamente la sua
posizione iniziale, cioè perde
1. la sua influenza
2. il rispetto degli altri verso di lui
3. il suo potere decisionale
4. non di rado la salute
5. la fiducia in se stesso
6. gli amici
7. l’entusiasmo nel lavoro
8. se stesso
9. la sua dignità.
La gamma della strategie che un mobber può adottare è davvero
diabolica. Ho saputo di impiegati trasferiti in uffici senza servizi igienici,
impossibilitati a lasciare il proprio posto di lavoro per i bisogni fisici se
non dopo umilianti telefonate; di maestre ridotte a bibliotecarie; di manager
cinquantenni truffati con false promesse di riassunzione che si sono ritrovati
a percepire stipendi irrisori e degradanti; di impiegate mobbizzate dal capoufficio
come vendetta per i loro rifiuti di prestazioni sessuali. I casi più gravi riguardano
persone giunte a meditare ed a attuare il suicidio, ultimo atto di un quadro
depressivo dilaniante, o esasperate al punto da pensare ad uccidere il proprio
persecutore.
Come si può ben immaginare, capire se una persona è stata,
è o sta per essere mobbizzata non è cosa semplice. Prendendo ad esempio un periodo
medio di 35 anni di lavoro e ragionando a livello statistico, possiamo supporre
che almeno una volta nel corso della vita lavorativa ad ognuno di noi si presenti
un caso di Mobbing, indipendentemente dal fatto che sia da noi vissuto in modo
passivo (cioè se assistiamo da spettatori non coinvolti ad un caso di Mobbing
nel nostro ufficio o verso un collega a noi vicino) o che invece ne abbiamo
presa una parte attiva (come vittima o come mobber stesso).
Con questo vorrei evidenziare il fatto che il Mobbing non è
un fenomeno nè estraneo e nè marginale nella vita di qualsiasi lavoratore. Ma
attenzione: ciò non implica che sia un evento del tutto normale! Tutt’altro.
Il Mobbing è un’aberrazione e un abuso, che dovrebbe essere combattuto e bandito
dalla nostra società. La mia piccola statistica vuole mostrarci invece come
a dispetto di ciò esso avvenga tranquillamente e impunemente vicino a noi, probabilmente
anche con maggiore frequenza di quanto ipotizzato. Il Mobbing avviene perchè
nessuno lo impedisce: gli spettatori non tentano di fermare il mobber, e con
il loro silenzio, lo favoriscono. Davanti al Mobbing infatti si tace e si fa
finta di non vedere.
Il perchè non è giustificabile, ma almeno comprensibile: la
paura. Paura di essere coinvolti, di fare una brutta figura, di essere poi accusati
a nostra volta di qualcosa, di avere ritorsioni di qualche genere, di perdere
eventualmente il lavoro. Paura, forse, di affermare le proprie convinzioni anche
a dispetto di tutti gli altri. Potremmo affermare che esiste una specie di omertà
professionale, che innalza un muro di silenzio dietro a cui il mobber può agire
indisturbato. Nel Mobbing, purtroppo, vale un vecchio detto: “Chi tace acconsente
e partecipa”.
Il Mobbing è dunque sempre esistito, ma solo adesso comincia
a diffondersi una sua teorizzazione. Finora è sempre stato passivamente accettato
come parte del gioco. I commenti più frequenti che ho ricevuto parlando di Mobbing
sono stati: “Purtroppo ci si deve adattare” o “Queste sono le regole del lavoro”.
Ebbene, è veramente necessario che ognuno di noi riveda le sue convinzioni e
i suoi pregiudizi. Il Mobbing non è la regola da accettare passivamente, ma
un abuso da combattere.
3. Gli attori del Mobbing
Il Mobbing è un fenomeno sociale: non può avvenire da sè, ma
è fatto, subito o favorito da esseri umani. Le persone che vi prendono parte
ne sono attori indispensabili, con i loro difetti, le loro idiosincrasie caratteriali,
le loro paure. Il Mobbing è un’azione aggressiva, che vede necessariamente due
attori: l’aggressore, o mobber, e la sua vittima, o mobbizzato. In un ufficio,
o in un luogo di lavoro, tuttavia, solo raramente questi due personaggi si trovano
da soli l’uno contro l’altro. Nella stragrande maggioranza dei casi attorno
a loro c’è un numero variabile di persone. Nessuna situazione di Mobbing può
restare inavvertita da questi cosiddetti spettatori: la sua portata è troppo
pregnante perchè non venga in qualche modo percepita. Conseguentemente a questo,
anche gli spettatori del Mobbing ne sono coinvolti: possono fare da semplice
sfondo oppure parteggiare apertamente per una delle due parti
Il tratto tipico del mobbizzato è l’isolamento. La vittima
di Mobbing si sente incompresa e sola di fronte al suo nemico, in una situazione
senza via d’uscita in cui non sa come è entrata e spesso nemmeno perchè. In
effetti, molte persone colpite si chiedono ancora oggi cosa mai avessero fatto
di male, cosa fosse o sia così sbagliato nel loro comportamento da provocare
questo odio degli altri verso di loro. È difficile poter stilare una casistica
di vittime, di trovare cioè la persona caratterialmente più propensa ad essere
mobbizzata. In effetti, dal punto in cui stanno oggi le ricerche sul Mobbing,
possiamo affermare che la vittima potrebbe essere chiunque e che non esiste
una categoria di persone predestinata a diventare una vittima del Mobbing.
Tuttavia possiamo affermare che ci sono situazioni in cui è
più probabile venire mobbizzati. Pensiamo ad una persona in qualche modo diversa
dagli altri: una donna in un ufficio di uomini o viceversa, una persona più
qualificata, più giovane, più brava nel lavoro, oppure il classico caso della
persona nuova, magari più qualificata e più giovane, addirittura assunta da
subito come capufficio: senz’altro le possibilità di subire Mobbing per lui
sono sicuramente maggiori. Qualunque sia la sua posizione o il suo carattere,
la vittima generalmente, e almeno all’inizio, reagisce al Mobbing che gli viene
perpetrato, tuttavia a nulla servono i suoi sforzi: il più delle volte è la
reazione stessa della vittima, in qualunque modo essa si configuri, a dare al
mobber nuove argomentazioni di attacco o nuovi motivi per continuare la sua
azione.
Il mobber, cioè colui che inizia e continua l’attacco, può
avere davvero mille motivi per perpetrare il Mobbing: paura di perdere il lavoro
o la posizione duramente guadagnata o di essere surclassato ingiustamente da
qualcun altro più giovane o più qualificato, o semplicemente più simpatico;
ansia di carriera che porta a frantumare qualsiasi ostacolo, vero o presunto,
gli si pari davanti; semplice antipatia o intolleranza verso qualcuno con cui
è costretto a convivere otto ore al giorno. Il mobber classico non lascia in
pace la sua vittima perchè ritiene di riportare vantaggi dalla sua distruzione
o la usa come valvola di sfogo dei suoi umori. Può agire da solo o cercarsi
alleati. Può addirittura essere assolutamente consapevole della sua azione,
mobbizzare di proposito per il gusto di farlo e pianificare per divertimento
nuove strategie.
C’è anche chi si trova quasi per caso nella situazione di mobber:
è risultato vincitore di un normale conflitto e del tutto inconsciamente continua
la lotta con lo scopo di distruggere completamente la vittima. Paradossalmente
queste persone non si rendono conto di quello che stanno facendo sulle loro
vittime e sono le prime a mostrarsi incredule di fronte agli sviluppi della
situazione. Infine ci sono le persone caratterialmente difficili, i collerici,
gli autoritari, i megalomani ed i criticoni. E tutta una gamma di frustrati
al di fuori del lavoro che sfogano i propri istinti repressi sui colleghi.
Gli spettatori sono tutte quelle persone, colleghi, superiori,
addetti alla gestione del personale, che non sono coinvolti direttamente nel
Mobbing, ma che in qualche modo vi partecipano, lo percepiscono, lo vivono di
riflesso. La funzione che lo spettatore ricopre all’interno del posto di lavoro
ha un’importanza cruciale per lo sviluppo del Mobbing. Come il ruolo del mobber
dipende crucialmente dalla sua posizione gerarchica (cioè da quanto potere esecutivo
può convogliare nella sua azione mobbizzante), così anche quello dello spettatore
diventa fondamentale nella sua capacità di influenza sul Mobbing: se lo spettatore
è un neo-assunto in contratto di Formazione allora è comprensibile che potrà
fare ben poco di fronte al Mobbing; se invece è il capo-reparto, egli ha l’autorità
di porre fine o far proseguire il processo.
Se uno spettatore non agisce, molto spesso si può tramutare
in un altro temibile aggressore. Come dice un noto proverbio, il ladro non è
solo chi ruba, ma anche chi gli regge il sacco: ebbene, un collega che assiste
al Mobbing e non lo denuncia o cerca di interrromperlo in qualche modo può diventare
lui stesso un mobber di riflesso, ossia un side-mobber: egli infatti
favorisce il mobbing con la sua indifferenza e la sua non disponibilità ad intervenire.
I colleghi non direttamente coinvolti hanno in mano la chiave di volta per permettere
o non permettere l’azione del mobber nel loro ufficio. Nel Mobbing, più che
in altre situazioni, chi tace inesorabilmente acconsente.
4. Le fasi del Mobbing: il modello italiano Ege a 6 fasi
Il Mobbing non è una situazione stabile, ma un processo in
continua evoluzione. Sulla base di ciò, gli esperti tedeschi e svedesi hanno
cercato di definire gli stadi che il Mobbing attraversa, per cercare di capirne
così i metodi e le prerogative. Il modello più famoso è quello a 4 fasi elaborato
da Leymann, lo studioso che è ritenuto il fondatore di questo nuovo ramo della
Psicologia del Lavoro, che è ampiamente presentato e discusso nei miei libri.
Come ho già avuto modo di affermare, tuttavia, ritengo che il modello di Leymann
rifletta una percezione del Mobbing prettamente applicato alla realtà svedese,
in cui egli operava, con una valida e precisa integrazione derivata dalle sue
radici culturali tedesche. Per questo motivo, presumibilmente, il modello di
Leymann, oltre ad avere un’indiscussa validità nell’area scandinava, si presta
in modo eccezionale all’applicazione anche all’interno di studi condotti in
Germania. Quando mi sono trovato ad analizzare la situazione italiana, però,
mi sono reso conto che le cose stavano in modo ben diverso. Il modello di Leymann
applicato in Italia lasciava infatti troppi vuoti da colmare in modo approssimativo,
troppi quesiti aperti e troppe risposte prive di quell’esattezza che uno studio
scientifico richiede.
Ciò di cui mi sono reso conto è stato che non era il modello
ad essere inesatto (la sua validità era in effetti provata in modo indiscutibile),
bensì erano le caratteristiche stesse della situazione italiana che male si
adattavano al modello stesso, rendendolo troppo vago ed impreciso. Dunque, sono
giunto alla conclusione che il modello di Leymann è inadeguato ed inapplicabile
ad una realtà sociale come quella italiana, essendo questa per troppi versi
distante ed inconfrontabile da quella germanica o nordeuropea all’interno della
quale, e per la quale, esso era stato elaborato. Conseguentemente ho dovuto
necessariamente operare degli aggiustamenti sul modello base, per renderlo adatto
all’applicazione alla realtà del Mobbing italiano. Il risultato a cui sono giunto
è stato un modello che ancora si fonda su Leymann, ma che ne costituisce un
ampliamento. Il mio modello, che ho chiamato modello italiano Ege, si compone
di sei fasi di Mobbing vero e proprio, legate logicamente tra loro e precedute
da una sorta di pre-fase, detta Condizione Zero, che ancora non è Mobbing, ma
che ne costituisce l’indispensabile presupposto. Per una maggiore comprensione,
vediamo le sei fasi e la pre-fase con l’aiuto di un esempio.
LA “CONDIZIONE ZERO”
Non si tratta di una fase, ma di una pre-fase, di una situazione
iniziale normalmente presente in Italia e del tutto sconosciuta nella cultura
nordeuropea: il conflitto fisiologico, normale ed accettato. Una tipica azienda
italiana è conflittuale. Sono poche le aziende che sfuggono a questa regola.
Questa conflittualità fisiologica non costituisce Mobbing, anche se è evidentemente
un terreno fertile al suo sviluppo. Si tratta di un conflitto generalizzato,
che vede tutti contro tutti e non ha una vittima cristallizzata. Non è del tutto
latente, ma si fa notare di tanto in tanto con banali diverbi d’opinione, discussioni,
piccole accuse e ripicche, manifestazioni del classico ed universalmente noto
tentativo generalizzato di emergere rispetto agli altri. Un aspetto è fondamentale:
nella “condizione zero” non c’è da nessuna parte la volontà di distruggere,
ma solo quella di elevarsi sugli altri.
Vediamo un esempio pratico: un’azienda di servizi che elabora
programmi di computer e software. I tempi di consegna sono sempre strettissimi
e i dipendenti sono continuamente sottoposti a superlavoro. Matteo è un programmatore
dipendente di questa azienda: a volte si trova in difficoltà e indietro col
lavoro, ma nessun collega può e vuole aiutarlo, perché impegnato a gestire i
suoi stessi tempi strettissimi. Inoltre, nell’azienda esiste una forte competitività:
ogni dipendente che riesce a consegnare in tempo il lavoro riceve una gratificazione,
mentre chi resta indietro corre seri rischi. In conseguenza di tutto questo,
i rapporti personali tra tutti i colleghi (e non solo nei confronti di Matteo)
sono praticamente inesistenti e improntati a una gelida cortesia formale.
LA 1° FASE: IL CONFLITTO MIRATO
È la prima fase del Mobbing in cui si individua una vittima
e verso di essa si dirige la conflittualità generale. Il conflitto fisiologico
di base dunque prende una svolta, non è più una situazione stagnante, ma si
incanala in una determinata direzione. In questo momento l’obiettivo non è più
solo quello di emergere, ma quello di distruggere l’avversario, fargli le scarpe.
Inoltre, il conflitto non è più oggettivo e limitato al lavoro, ma sempre più
adesso sbanda verso argomenti privati.
Nel nostro esempio, Matteo riceve una cospicua gratificazione
per aver portato a termine in tempo un importante lavoro. Questo suscita invidia
nei colleghi che temono di venire ingiustamente surclassati: ora, pensano, il
capufficio privilegerà lui invece di noi. Cominciano così a isolarlo e a prenderlo
in giro: “Sei tu il fenomeno, quindi non hai bisogno di consigli da parte nostra”.
LA 2° FASE: L`INIZIO DEL MOBBING
Gli attacchi da parte del mobber non causano ancora sintomi
o malattie di tipo psico-somatico sulla vittima, ma tuttavia le suscitano un
senso di disagio e fastidio. Essa percepisce un inasprimento delle relazioni
con i colleghi ed è portata quindi ad interrogarsi su tale mutamento.
Matteo è ora fatto bersaglio di veri e propri attacchi: è accusato
di stakanovismo e di superbia nei confronti dei colleghi. Prima era spesso attaccato,
ora ogni problema viene gettato su di lui, che è diventato ormai il capro espiatorio
dell’intero ufficio: “La colpa del ritardo è sua, voleva fare tutto da solo”,
“Non ci ha informato per avere da solo tutto il vantaggio”, “Quello vuole farci
le scarpe a tutti”. Matteo si accorge della freddezza che improvvisamente lo
circonda e comincia a chiedersi cosa mai ha fatto per meritarsela.
LA 3° FASE: PRIMI SINTOMI PSICO-SOMATICI
La vittima comincia a manifestare dei problemi di salute e
questa situazione può protrarsi anche per lungo tempo. Questi primi sintomi
riguardano in genere un senso di insicurezza, l’insorgere dell’insonnia e problemi
digestivi.
A furia di interrogarsi, il nostro Matteo è arrivato al punto
che la situazione in ufficio è diventata un chiodo fisso: non dorme più bene,
si sveglia spesso in preda a incubi, comincia ad avvertire tremori alle gambe
quando va in ufficio e entra in una lieve depressione, poiché vede che non riesce
in nessun modo a migliorare le cose.