Rubrica
Idee a confronto

Copyright - Gli articoli si possono diffondere liberamente citandone la fonte e inserendo un link all'articolo

Autore/i

Antonio Di Stasi
Articoli pubblicati
per Proteo (5)

Ricercatore, Università di Ancona

Argomenti correlati

Pensioni

Recensioni

Nella stessa rubrica

“Le pensioni a fondo“. L’agonia dello Stato
Roberto Romano

Perché “Pensioni a fondo”
Antonio Di Stasi

“Mobbing” - parliamone!
Marco Moglie

Ancora sul Mobbing
Loretta Cappuccini

Il probabile perché di Heider
Maurizio De Santis

Sanità - impresa e salute - non merce
Augusto Ricci

 

Tutti gli articoli della rubrica "Idee a confronto"(in tutti i numeri di Proteo)


Home
Autori
Rubriche
Parole chiave

 

 

 

Perché “Pensioni a fondo”

Antonio Di Stasi

Formato per la stampa
Stampa

Di fronte ad una campagna pubblicitaria, basata su slogan e frasi ad effetto, che da anni grida e annuncia “fallimenti” del sistema previdenziale, insinua contrapposti interessi tra la generazione dei giovani e quella dei non meglio identificati “meno giovani”, dichiara la preminenza delle ragioni dell’impresa e del capitale sulle esigenze di vita dignitosa delle persone lavoratrici e pensionate, il libro di Rita Martufi e Luciano Vasapollo Le pensioni a fondo (ed. Mediaprint, Roma, L. 25.000) finalmente disvela luoghi comuni e vere e proprie falsità su cui si basano coloro che, ancora oggi, prospettano, malgrado i tagli alle pensioni susseguitisi dal 1992, ulteriori diminuzioni della tutela pensionistica.

L’opera riporta tabelle, schemi, grafici che rendono leggibili a tutti i “numeri” del finanziamento, della spesa, dei pensionati o aspiranti tali, delle prestazioni, sia confrontando la situazione italiana con quella di altri paesi (soprattutto europei), sia riportando “conti” previsionali e proiezioni del sistema previdenziale a medio e lungo termine (soprattutto di provenienza INPS). Una esauriente rassegna, quindi, di dati “ufficiali” che però dovrebbero essi per primi essere letti criticamente perché, come ricordano gli autori, altrettanto “ufficiali” studi - addirittura provenienti dalla medesima fonte- hanno ipotizzato alcuni anni fa il cosiddetto “crack delle pensioni” prima per l’anno 2000, poi spostato al 2020 ed oggi proiettato al 2050 (pag. 32).

E allora risalta ancora più evidente la discrasia e la drammaticità tra ciò che allarmisticamente viene previsto dagli studiosi “ufficiali”
 ma che, come detto, andrebbe verificato - sulla incapacità del sistema previdenziale di mantenere i livelli di tutela tradizionali e ciò che invece, attraverso le riforme ed i tagli attuati ed attuandi, è la prospettiva pensionistica degli odierni lavoratori allorché andranno in pensione.

Due tabelle rendono l’idea di ciò che ha significato l’intervento prima del Ministro Amato e poi di Dini, oltreché le previsioni anche della scorsa finanziaria del Governo D’Alema, e sono quella, a pag.96, che quantifica il taglio della pensione inteso come diminuzione della pensione mensile con il sistema contributivo e con la “Amato a regime” rispetto alla precedente normativa (una perdita superiore al 20%), e quella, a pag. 137, che quantifica il grado di copertura della pensione complementare (il lavoratore deve privarsi del 10 % del proprio reddito per 35 anni per poter avere una pensione complementare di appena il 23%).

Ciò che poi riescono a far emergere gli Autori è che la, pur scarsa, copertura previdenziale sarà possibile solo nei confronti di una sempre minore quantità di persone. Infatti, la precarizzazione del rapporto di lavoro, con l’alternarsi di periodi lavorati a periodi di disoccupazione, avrà effetti sul quantum della pensione atteso che la pensione non sarà più calcolata sulle “ultime” retribuzioni bensì sui contributi versati. E allora il tanto decantato, anche da parte di alcuni settori sindacali, sistema contributivo, di fronte ad una vita lavorativa interinale, con contratti a termine, borse lavoro, inquadramenti e retribuzioni modeste, mostra che la prospettiva è quella di un ulteriore abbattimento del livello pensionistico già tagliato al lavoratore classico. La prospettiva di una società con ampi settori della popolazione in miseria diventa allora, statisticamente, una certezza. E per questo, sostengono Martufi e Vasapollo, non di “riforma previdenziale” si dovrebbe parlare bensì di tagli, precarizzazione e privatizzazione con lo scopo di aumentare le risorse per finanziare... il “capitalismo finanziario”.

L’ingiustizia del sistema previdenziale prossimo-vigente emerge non soltanto per le approfondite considerazioni degli Autori ma anche, a giudizio di chi scrive, da una ulteriore considerazione per cui la prospettiva dei “tre pilastri” (previdenza pubblica, previdenza complementare di origine collettiva e previdenza individuale) ritenuta sufficiente per fondare un sistema di sicurezza sociale rischia di coprire solamente quei settori del lavoro tutelati, minoritari ed in via di estinzione, che quindi sono quelli che meno hanno la vitale esigenza di un sistema di protezione sociale. Ed infatti se un lavoratore gode di un previdenza complementare di origine collettiva è perché appartiene ad una categoria sindacalmente forte, e se un lavoratore può permettersi di finanziare un terzo livello previdenziale (individuale e privato) è perché ha una capacità reddituale tale da permettersi di “diversificare” il suo notevole risparmio anche in una polizza vita.

Su come riportare “a galla” le pensioni gli Autori indicano diverse strade, tutte percorribili, ma principalmente quella dal recupero dell’evasione contributiva e della lotta al lavoro nero. Tra le ipotesi del finanziamento della previdenza viene anche prospettata, nelle conclusioni, l’ipotesi di una seria tassazione dei capitali e cioè di un sistema che socializzi l’accumulazione del capitale e quindi che distribuisca la ricchezza derivante da incrementi di produttività che, oggi, vanno ad esclusivo vantaggio del capitale e non del lavoro.

Si intravede, quindi, una prospettiva di politica del diritto che andrebbe sviluppata ed interpretata alla luce dei principi costituzionali di solidarietà sociale aggiornando, però, il valore lavoro con quello di appartenenza alla società e facendo discendere da questo il diritto ad una efficace protezione sociale a prescindere dallo status di lavoratore.