Rubrica
Osservatorio meridionale

Copyright - Gli articoli si possono diffondere liberamente citandone la fonte e inserendo un link all'articolo

Autore/i

Paolo Graziano
Articoli pubblicati
per Proteo (16)

Insegnante, giornalista

Argomenti correlati

Immigrazione

Questione meridionale

Nella stessa rubrica

Meridione e dominio ideologico
Pecorella Vincenzo

Noterelle sudiste: economia marginale, conflitto, repressione
Ernesto Rascato

L’imbarazzante questione del diritto d’asilo. I rifugiati e le frontiere meridionali dell’Europa
Paolo Graziano

La lucrosa “impresa” dell’usura in Campania
Ignazio Riccio

 

Tutti gli articoli della rubrica "Osservatorio meridionale"(in tutti i numeri di Proteo)


Home
Autori
Rubriche
Parole chiave

 

 

 

L’imbarazzante questione del diritto d’asilo. I rifugiati e le frontiere meridionali dell’Europa

Paolo Graziano

Formato per la stampa
Stampa

 

Conosco molti che vanno in giro con un foglietto
dove c’è scritto quel che hanno di bisogno.
Chi gli capita di vedere il foglietto dice: è troppo.
Invece chi l’ha scritto dice: è il minimo.
Bertolt Brecht

 

1. Lo straniero in fuga e le paure dell’Occidente

Riconosciuto in via di principio dagli ordinamenti politici della gran parte dei paesi del mondo, con diverse declinazioni giuridiche e ideologiche, il diritto d’asilo ha tuttavia acquisito nell’ultimo decennio una speciale rilevanza simbolica nel consesso democratico dell’Europa occidentale, dando origine a controversi dibattiti, periodiche revisioni normative ma anche ad allarmanti episodi di rimozione della questione, che in alcuni momenti topici del suo sviluppo non riesce a superare la soglia di disattenzione del sistema mass-mediatico e dell’opinione pubblica [1].

Si direbbe che le democrazie europee abbiano elaborato un rapporto isterico con la questione dell’asilo politico, dovuto in buona misura all’incapacità di conciliare le irrinunciabili petizioni di principio su cui esse si fondano con la nuova configurazione assunta dalla massa dei rifugiati, che per dimensioni, provenienza e composizione sociale risulta potenzialmente dirompente nell’impatto con le strutture sociali dei paesi di destinazione. A causa del mutato assetto geopolitico mondiale, che ha visto la sostituzione del grande conflitto immateriale tra est e ovest con una miriade di micro-conflitti reali dislocati nelle periferie del pianeta, il profilo del richiedente asilo è radicalmente cambiato: esso corrisponde, attualmente, a quello dell’individuo povero, appartenente ad un’etnia remota, proveniente da aree marginali e depresse, in fuga dalla tirannia dell’indigenza come da quella di un qualche governo autoritario - ma sono ancora compiutamente distinguibili le due cose?

Nel caso di queste persone l’applicazione del diritto viene subordinata a una serie di considerazioni estranee alla sfera giuridica e relative, piuttosto, alle questioni della sicurezza, dell’economia, dell’interesse nazionale: in pratica, l’asilo politico diventa una delle tante variabili del fenomeno dell’immigrazione, trattato con la stessa mistura di imbarazzo e indifferenza, paternalismo e intolleranza. Nel cambiamento dell’atteggiamento di governi e opinione pubblica occidentale nei confronti dei richiedenti asilo ha avuto gioco certamente l’arresto dell’espansione economica delle ex potenze coloniali, che nel secondo dopoguerra integravano agevolmente nel tessuto produttivo i sudditi affrancati dei vecchi domini asiatici e africani, ma anche lo sfaldamento delle contrapposizioni ideologiche che hanno formato in occidente l’immagine del rifugiato politico. Finché esisteva la cortina di ferro, le nazioni occidentali sentivano tra i propri doveri quello dell’accoglienza degli esuli in fuga dalle dittature. Concedendo asilo a questo esiguo manipolo di uomini, non propriamente stranieri perché soltanto da pochi decenni separati dall’enclave europea o persino nazionale (è il caso della Germania), i paesi del patto Atlantico potevano rappresentarsi come il bastione della libertà e dei diritti umani senza pagare prezzi rilevanti in termini di equilibrio sociale. Secondo Alessandro Dal Lago “questa situazione favorevole alla cultura formale dei diritti umani si è interrotta drammaticamente con due processi concomitanti, la fine del comunismo in Russia (e negli stati satelliti dell’Est europeo) e quindi del bipolarismo, e l’inizio di una concorrenza economica tra le grandi aree sviluppate del capitalismo mondiale. I conflitti seguiti alla crisi dei regimi dell’Est europeo hanno fatto temere, a partire dal 1991 (inizio della guerra nell’ex Jugoslavia) che masse di profughi si riversassero negli stati dell’Europa occidentale, proprio come masse di giovani della Ddr si erano riversati nella Germania federale nel 1989. Allo stesso tempo, la paura del fondamentalismo islamico (dopo la Rivoluzione iraniana e l’inizio della guerra civile in Algeria) e una crescente insofferenza per i migranti provenienti dai paesi poveri hanno spinto gli stati della Comunità europea ad assumere misure restrittive nei confronti degli stranieri” [2].

Sono dunque le dimensioni del fenomeno, insieme all’incapacità di riconoscere tratti familiari nei volti dei nuovi profughi, a determinare il declassamento dell’asilo al livello delle problematiche concernenti l’immigrazione comune, da trattare con gli strumenti della programmazione economica e dell’ordine pubblico.

Paradossalmente, è proprio questa fuorviante equiparazione ad accrescere l’interesse per il diritto d’asilo come oggetto di studio. Per sua natura, infatti, la concessione dello status di rifugiato non può essere esplicitamente subordinata alle logiche di gestione dei flussi migratori o alle misure di deterrenza applicate per contenere l’ingresso di stranieri [3], ma deve rispondere unicamente alle esigenze e agli interessi del richiedente: è un riconoscimento all’esistenza che riguarda l’immigrato come persona, non come forza-lavoro. Sulla maniera in cui viene trattata la questione dell’asilo si può dunque misurare il rapporto che le società occidentali instaurano con lo straniero, il diverso, l’altro in quanto tale, non in quanto strumento utile alla propria prosperità. Ancor di più: l’asilo diventa la lente con cui osservare il rapporto di una cultura con la diversità, l’alterità e, di conseguenza, poiché la relazione con l’estraneo rivela sempre l’essenza profonda del familiare, essa diventa l’occasione “per rendere palese ciò che è latente nella costituzione e nel funzionamento di un ordine sociale, per smascherare ciò che è mascherato, per rivelare ciò che si ha interesse a ignorare e lasciare in uno stato di ‘innocenza’ o ignoranza sociale, per portare alla luce o ingrandire (ecco l’effetto specchio) ciò che abitualmente è nascosto nell’inconscio sociale ed è perciò votato a rimanere nell’ombra, allo stato di segreto o non pensato sociale” [4].

2. Il fragile baluardo dell’Europa: il Meridione nella gestione delle richieste d’asilo

Uno dei segnali più eloquenti dell’inclusione dei richiedenti asilo nella massa indistinta e priva di diritti dei migranti che tentano l’avventura occidentale è il cambiamento delle strutture e dei luoghi deputati a trattare la questione nelle società di destinazione. Proprio nei giorni in cui queste note vengono stese, sono stati licenziati i due regolamenti attuativi della legge Bossi-Fini, che hanno il compito di specificare le procedure per la concessione dell’asilo nel rinnovato quadro normativo: le disposizioni, approvate il 9 luglio scorso, definiscono tra l’altro il funzionamento di una delle novità capitali introdotte dalla Bossi-Fini in materia di asilo, ovvero la commissioni territoriali per il riconoscimento dello status di rifugiato, che di fatto sostituiscono la commissione centrale, conservata dalla nuova normativa essenzialmente con compiti d’indirizzo e coordinamento. D’altronde tale tendenza risultava già in parte emergente, di fatto, in alcuni recenti provvedimenti eccezionali, come il temporaneo trasferimento delle attività della commissione centrale presso la Prefettura di Caserta dal 24 febbraio al 27 aprile 2004, per vagliare le richieste di quasi mille profughi insediati lungo il litorale domizio. Nel corso del 2003 la Commissione si era recata 8 volte nei luoghi di sbarco, esaminando durante queste missioni 1607 domande e accogliendone 70 in tutto [5].

Di questa vicenda, utile ad esemplificare l’iter di una richiesta d’asilo, si parlerà diffusamente più avanti. Il caso, tuttavia, valga qui a specificare la natura del cambiamento cui si accennava, che vede lo spostamento dei compiti relativi alla concessione dell’asilo dal centro alla periferia dello Stato. In questo quadro, la lunga permanenza della commissione in Campania come in altre zone del Sud chiarisce il ruolo che sta assumendo il Meridione nella gestione del problema dei rifugiati e, viceversa, getta luce sul mutamento culturale che ha investito la questione del diritto d’asilo su scala ultranazionale. Il sud Italia è una delle aree deputate per l’Europa alla contenzione e alla filtrazione dei flussi migratori: lo dimostra la concentrazione sul territorio dei Centri di Permanenza Temporanea, situati per lo più in prossimità delle coste meridionali (11 su 16) [6]. Tale dislocazione non è certo casuale, ma risponde a criteri logistici inclusi nel testo della legge Turco-Napolitano, che all’articolo 12 comma 1 parla di centri di permanenza costituiti “preferibilmente in prossimità del confine”. La presenza nella stessa area degli organi preposti alla tutela di un diritto universale e di strutture sostanzialmente detentive [7], in cui spesso finiscono gli stessi richiedenti asilo, è indicativa di una convergenza tra l’ottica con cui viene trattata la questione dell’asilo e gli indirizzi politici applicati al più generale fenomeno dell’immigrazione, spesso concepito in termini di “problema”, “emergenza”, etc. Tale corrispondenza si manifesta peraltro su scala europea, come conferma la restrizione della normativa sulla concessione dell’asilo attuata in primis dai paesi di vecchia immigrazione.

In tale contesto al Sud non si chiede di essere territorio di accoglienza e integrazione ma luogo di esclusioni, baluardo contro le invasioni barbariche scaturite da meridioni ancor più lontani dai centri della programmazione economica mondiale. L’ingresso clandestino, il ricongiungimento familiare, la richiesta d’asilo non sono percepite come il risultato di progetti migratori effettivamente diversi e irriducibili l’uno all’altro, ma come modalità intercambiabili scollegate da situazioni reali e impiegate indiscriminatamente, a seconda delle circostanze, per conquistare un posto nella ricca Europa. Nella logica del conflitto insita in questo modello dell’“invasione”, il Sud assume la funzione di opposizione all’ingresso dello straniero, amplificata dal fatto che deve garantire non solo la protezione della nazione ma dell’intero territorio comunitario. Si tratta di un modello di pensiero ormai dominante se un leader progressista come Romano Prodi, rimarcando la funzione dell’Italia nel sistema di Schenghen, sostiene che “noi rispondiamo per tutta l’Europa di queste frontiere” [8]. D’altro canto, la protezione dei confini europei dai migranti è stata più volte richiamata come condizione imprescindibile per la piena integrazione di paesi come la Spagna e l’Italia nel contesto economico-politico dell’Unione: nel giugno del ’97, all’indomani della stipulazione degli accordi di Schenghen, esponenti del governo tedesco sostenevano apertamente che l’Italia non avesse i mezzi per garantire il controllo delle frontiere comuni.

Probabilmente questa considerazione non ha perso d’attualità: il nostro come gli altri paesi dell’Europa mediterranea non sono in grado di controllare capillarmente il flusso dei migranti verso occidente. Tuttavia ci sta provando, e per questo il Meridione è stato trasformato nel limes che separa il dominio della prosperità da quello dell’indigenza, riducendo la complessità e le potenzialità di un territorio alla rigidità di una linea di confine dove, naturalmente, si addensano e deflagrano i conflitti tra nord e sud del mondo.


[1] Un esempio della “distrazione” degli organi d’informazione è fornito dal silenzio di molti quotidiani nazionali sulla recente approvazione in Consiglio dei Ministri delle nuove procedure per ottenere lo status di rifugiato in Italia, in attuazione della legge Bossi-Fini. Il fatto, che comporta una serie di cambiamenti non trascurabili nella posizione dei richiedenti asilo, è stato taciuto o liquidato con telegrafici trafiletti dai giornali del 10 luglio scorso.

[2] Dal Lago, Non-persone. L’esclusione dei migranti in una società globale, Feltrinelli, Milano 1999, nuova ed. ampliata 2004, p. 218.

[3] Avviene invece il contrario: oggi le nazioni occidentali escludono automaticamente la possibilità di riconoscere asilo alle persone provenienti da paesi con cui sono stati stipulati accordi bilaterali sull’immigrazione, anche quando si tratta di Stati polizieschi e autoritari, come quello dell’Algeria.

[4] Sayad, La doppia pena del migrante. Riflessioni sul “pensiero di stato”, in “aut aut”, n. 275, 1996, p. 10.

[5] Nota del Ministero degli Interni, http://www.cir-onlus.org.

[6] Se si considerano i numeri di posti disponibili nei CPT, la sproporzione tra il sud e le altre aree del paese risulta ancora maggiore: su 4912 posti ben 4227 sono collocati nelle strutture meridionali (Cfr. Numeri sociali 2004, a cura del Centro Documentazione dell’Agenzia Redattore Sociale, Capodarco di Fermo (AP), 2004, pp. 64-65).

[7] Sul paragone tra i CPT e le cosiddette “istituzioni totali” (carceri, ospedali psichiatrici) si veda il Rapporto sui Centri di Permanenza Temporanea in Italia, a cura di Medici Senza Frontiere, 2003.

[8] R. Prodi, Intervento conclusivo, in Presentazione del rapporto annuale 1997 sui problemi della sicurezza in Emilia Romagna, Bologna, 1 dicembre 1997, p. 17.