L’imbarazzante questione del diritto d’asilo. I rifugiati e le frontiere meridionali dell’Europa
Paolo Graziano
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3. Da sud a sud. Origini e destinazioni dei richiedenti asilo
A cosa deve opporsi questa frontiera? Probabilmente non tanto
alla massa indistinta dei migranti, ma ad un certo tipo di migrante che si
affaccia negli ultimi anni ai confini meridionali del continente. Si tratta del
migrante inadatto allo sfruttamento nel tessuto produttivo, dell’anziano,
della donna o del bambino che ha bruciato ogni ponte alle proprie spalle, più
spesso per costrizione che per un ponderato progetto migratorio. In questa
tipologia rientra spesso il richiedente asilo, che i governi occidentali
sembrano considerare un incomodo necessario a salvare certe petizioni di
principio con il minor danno possibile.
La funzione selettiva delle frontiere - di quella costituita
dal sud Italia tra le altre - è dunque di gran lunga più importante di quella
repulsiva/oppositiva: non serve respingere e basta, ma respingere alcuni
con apparati normativi restrittivi mentre si concede l’ingresso ad altri con
appositi decreti sui flussi utili a procurare una selezionata ed efficiente
forza-lavoro.
È chiaro che il modello dell’“invasione” degli
extracomunitari, spesso legittimato dai media e suscitatore di vere psicosi
sociali, può diventare un valido strumento per avallare politiche di ostilità
ed esclusione, così come il concetto di “emergenza” - tanto frequente nei
titoli giornalistici sull’immigrazione - crea l’humus favorevole alla
revisione di diritti che appena il giorno prima erano considerati inalienabili.
Eppure non ci sono invasioni in atto, ma trend di crescita regolari che
corrispondono alle esigenze del mercato del lavoro, come dimostra il saldo tra
flussi di entrata e di uscita molto positivo nel 2002 per le due ripartizioni
del nord-Italia [1] e - sul piano
delle opinioni - le frequenti richieste della classe imprenditoriale di
ritoccare verso l’alto i flussi d’immigrazione programmati [2].
Nel caso dei richiedenti asilo, poi, il modello dell’invasione
dell’Occidente è assolutamente inadeguato, e non solo per ragioni morali che
suggerirebbero almeno qualche distinguo. Le statistiche dell’Alto
Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr), infatti, citano ai
primi posti tra i paesi di destinazione il Pakistan, con 2.001.470 rifugiati, e
l’Iran, con 1.868.000 rifugiati, ovvero due nazioni appartenenti ad aree
depresse del pianeta. Se si considera l’incidenza di rifugiati sulla
popolazione totale, ai primi posti compaiono ancora terre che risentono di
pesanti fattori di svantaggio, come la Guinea (52,4 rifugiati su 1000), la
Repubblica Democratica del Congo (40,8 su 1000) e la nuova Repubblica Federale
Jugoslava (45,9 su 1000). Dei paesi della prosperosa Europa occidentale soltanto
la Germania si colloca tra le prime dieci nazioni per numero di rifugiati, con
906.000 presenze e un’incidenza di 11 esuli ogni 1000 abitanti: la gran parte
di loro, peraltro, è stata accolta grazie a una legislazione liberale
promulgata nel dopoguerra che non esiste più da ormai 11 anni [3]. Non è dunque la direttrice sud-nord a costituire
il percorso privilegiato dei profughi in fuga da focolai di conflitto e regimi
autoritari. Più spesso essi si spostano da regioni difficili a luoghi contigui,
poco oltre le frontiere patrie, ove trovano condizioni di vita appena più
sopportabili e gli aiuti umanitari dei paesi occidentali, che hanno interesse a
mantenere gli esuli lontano dal proprio suolo [4].
I motivi di tale comportamento migratorio risultano evidenti se si pone
attenzione alla composizione sociale dei rifugiati: si tratta di una popolazione
costituita in misura superiore al normale da donne, bambini, anziani, ovvero da
individui che non contribuiscono direttamente alla guerra e ai suoi indotti,
spesso obbligati a un esodo improvviso e involontario, condizionati dall’aspettativa
del rientro, senza un progetto di cambiamento definito a guidare lo spostamento.
Analizzando simmetricamente il trend relativo all’accoglienza
dei richiedenti asilo in Europa si ricavano essenzialmente delle conferme sull’assenza
di reali minacce costituite dall’afflusso di rifugiati nel vecchio continente:
nei primi tre mesi del 2004 l’Unione Europea fa registrare un calo del 15% dei
casi di asilo politico (la Francia è l’unica nazione del gruppo in cui si
verifica nello stesso periodo un aumento). Tra i maggiori decrementi si segnala
quello di un paese di vecchia immigrazione come il Regno Unito e - caso
significativo - quello della Grecia, ovvero di un territorio annoverato tra le
frontiere dell’Europa, cui vengono attribuiti per molti versi compiti analoghi
a quelli del meridione d’Italia. In generale, la diminuzione nell’Europa
occidentale è stata a grandi linee costante a partire dal terzo trimestre del
2001 [i].
Il caso italiano presenta, in questa direzione, una tendenza ancor più marcata:
dal 1999 alla fine del 2002, infatti, le richieste per ottenere lo status di
rifugiato sono due volte dimezzate, passando dalle 33.000 del ’99 alle 14.000
del 2000 alle 9.620 del 2001. Un’ulteriore diminuzione, a ritmi più
contenuti, si registra l’anno successivo con 7.280 domande inoltrate [i].
Nonostante la diminuzione in atto, secondo una nota del sottosegretario agli
Interni Alfredo Mantovano, nel 2003 sono state valutate positivamente solo 555
richieste d’asilo (cui vanno aggiunti 828 permessi di soggiorno concessi “per
motivi umanitari”) [5].
Al paragone con queste cifre, appaiono fuori misura alcune
reazioni del mondo politico successive all’ultimo caso che ha riacceso i
riflettori sul tema dell’asilo, quello della nave Cap Anamur attraccata a
Porto Empedocle con 37 esuli di nazionalità ghanese o nigeriana: concedendo l’attracco,
secondo il ministro Castelli l’Italia si sarebbe dimostrata “il ventre molle
d’Europa” [6].
Non c’è alcuna invasione in atto, eppure a gran voce si
proclama lo stato di emergenza. Le procedure d’accoglienza, anche quelle in
materia d’asilo, diventano guardinghe e sospettose. Il nemico è disarmato e
vestito di stracci, ma i bastioni dell’Europa sono attrezzati per la guerra.
4. Il diritto va alla guerra: le restrizioni delle normative sull’asilo
Tra gli strumenti della guerra, la civilissima arma del
diritto assolve a una funzione non secondaria nell’opposizione allo straniero
che minaccerebbe l’Occidente. Talvolta, come ha dimostrato Alessandro Dal
Lago, l’uso offensivo della legge comporta anche la disinvolta perversione dei
suoi principi: che tipo di crimine è - si domanda il sociologo - la “clandestinità”,
oggi sanzionata pesantemente da tutti gli ordinamenti giuridici occidentali? È
un reato politico, amministrativo, penale? Di fronte all’arbitrio e alla
vaghezza dei concetti giuridici inventati per disciplinare i comportamenti e lo
status dello straniero non può che rispondere che “il diritto si arresta di
fronte agli stranieri, nel senso che li esclude dal proprio ambito” [i].
Non sfuggono a questa considerazione le normative sul diritto
d’asilo, che nella loro evoluzione sembrano vincolare sempre maggiormente la
tutela della persona al criterio della programmazione e della selezione degli
ingressi: “che in sostanza la questione delle migrazioni contemporanee sia un
problema di libertà di movimento appare nella ridefinizione dello status dei
profughi. Quasi tutti gli stati ricchi tendono a restringere il diritto d’asilo
ai casi più vistosi - quelli per cui esiste qualche tipo di mobilitazione
ufficiale o di interesse dell’opinione pubblica - disinteressandosi della
grande maggioranza, cioè della normale violazione dei diritti nella fascia di
stati autoritari che circonda l’Europa, gli Usa o il Giappone” [7].
Questo aspetto, che potrebbe essere definito dell’indirizzo
politico delle attuali procedure per l’asilo, si intreccia con l’attività
legislativa vera e propria, i cui sviluppi in Europa, nell’ultimo decennio,
contribuiscono ad aumentare il divario tra la lettera dei diritti della persona
(così come definiti ad esempio nella Dichiarazione universale dei diritti
dell’uomo) e gli strumenti atti a garantirli. In questo senso un episodio
capitale per il valore simbolico che ha assunto è la revisione della
legislazione tedesca sui rifugiati, avvenuta nel 1993: si passava da un dettato
costituzionale assolutamente favorevole all’accoglienza degli esuli a una
normativa che di fatto aboliva la possibilità di ottenere lo status di
rifugiato per le persone che hanno transitato in paesi aderenti alla Convenzione
europea sui diritti umani o provengono da “paesi di origine sicuri”, secondo
le valutazioni del governo tedesco [8]. L’Inghilterra ha praticato la
medesima strada, equiparando in sostanza gli aspiranti allo status di rifugiati
ai comuni migranti (tra l’altro, con la solita logica dell’ordine pubblico,
i rifugiati devono essere distribuiti sul territorio e ricevono non soldi ma
buoni acquisto). Persino la liberale Olanda ha ritenuto opportuno un giro di
vite, abolendo il Pep, ovvero la possibilità del migrante di chiedere asilo ad
un paese dell’Unione presso la sua ambasciata estera: il cambiamento, secondo
Alexander Sorel, sarebbe giustificato dal fatto che, sulla base di un’interpretazione
letterale della Convenzione di Ginevra, “qualcuno che si trova ancora nel suo
paese d’origine non può essere definito rifugiato” [i]. D’altronde la strategia di
gestione del gruppo sociale dei richiedenti asilo presenta una costante negli
attuali sistemi legislativi di quasi tutti i paesi europei, ovvero l’impossibilità
per l’esule di chiedere rifugio se è passato, nel corso della sua fuga, in un
paese in cui vigono le normative internazionali sulla protezione: così “le
frontiere per i richiedenti asilo si spostano a ritroso da un paese democratico
all’altro, come un collo che non passi la dogana” [9].
La difficoltà a riconoscere nello straniero e nel
richiedente asilo in particolare un soggetto di diritto, di cui parlava Dal
Lago, trova un caso esemplare nell’assetto legislativo italiano in materia, o
meglio nella mancanza di un assetto legislativo esaustivo e coerente.
Ormai da decenni, nel nostro paese, non esiste una legge ad hoc che
disciplini l’accoglienza dei rifugiati, attuando i principi sottoscritti con
il Trattato di Dublino del 1990. Fino ad oggi le procedure relative alla
concessione dello status di rifugiato si sono basate su una selva di
provvedimenti cronologicamente distanti e non sempre tra loro congruenti: alla
radice della giurisprudenza sta l’articolo 10 del testo costituzionale, che
stabilisce il diritto dello straniero a godere di asilo nel territorio della
Repubblica qualora gli “sia impedito nel suo Paese l’effettivo esercizio
delle libertà democratiche”. Le condizioni necessarie ad ottenere lo status
sono enumerate dall’articolo 1 della Legge n. 39/90, la cosiddetta legge
Martelli, e dal DPR n. 136 del 15 maggio 1990, che specifica i criteri con cui
operare qualora non sussistano ragioni ostative alla concessione dell’asilo.
Più recente il testo unico n. 286 del 1998 sull’immigrazione, che inserisce
le procedure per la concessione della protezione nel quadro delle deliberazioni
generali sull’immigrazione. In particolare la cosiddetta Turco-Napolitano, con
l’articolo 20, introduce la possibilità di accoglienza eccezionale di
individui appartenenti a determinate etnie o provenienti da certi luoghi
riconosciuti a rischio, “anche in deroga a disposizioni del [...] testo unico”.
Infine compare la legge n. 189/2002, la Bossi-Fini che apporta significative
modifiche in materia di immigrazione e di asilo. La gestione delle decisioni
sull’asilo viene decentrata, non è più prerogativa di un organo centrale
rappresentante anche simbolicamente lo Stato d’accoglienza ma di commissioni
territoriali composte da un funzionario prefettizio, uno della Polizia di Stato,
un rappresentante della conferenza Stato-città ed autonomie locali e un
componente dell’Unhcr.
La stessa composizione delle commissioni territoriali, a ben
vedere, segnala il rischio sempre in agguato di uno snaturamento del diritto d’asilo:
la competenza della conferenza Stato-enti locali potrebbe inquinare con
interessi territoriali un provvedimento della Repubblica a favore di uno
straniero che in linea di principio deve rispondere solo agli interessi di quest’ultimo.
È stata poi criticata la norma che non garantisce la permanenza in Italia al
richiedente che presenta ricorso contro il parere negativo della Commissione: il
rimpatrio, infatti, potrebbe esporlo a gravi rischi per l’incolumità
personale. Infine, il trattenimento del richiedente asilo nei Centri di
Identificazione o nei Centri di Permanenza Temporanea, previsto in diversi casi
(articolo 32), e la decadenza della domanda nel caso di allontanamento da questi
luoghi, fanno pensare a una procedura di ordine pubblico piuttosto che a misure
di carattere umanitario.
D’altronde il progetto di legge-quadro che dovrebbe
finalmente affrontare il tema dei rifugiati, approdato alla Camera con un testo
unificato il 12 luglio scorso, ha ricevuto le critiche di Amnesty International,
Medici Senza Frontiere e Consorzio Italiano di Solidarietà proprio perché
includeva tali disposizioni per gli asilantes privi di documenti: secondo
le Ong, infatti, la mancanza di documenti caratterizza normalmente gli individui
che fuggono da aree di conflitto o sono perseguitati per motivi politici.
Secondo il Consiglio Italiano per i Rifugiati e le organizzazioni che ne hanno
sottoscritto l’appello, “tale circostanza non può assolutamente portare al
sospetto generalizzato che la persona intenda fare un uso strumentale del
diritto d’asilo” [10].
Ma la cultura del sospetto - un sottoprodotto della generale
sindrome dell’invasione di cui s’è detto - dilaga nelle modifiche
legislative e nelle procedure effettivamente applicate dai paesi occidentali in
tema d’asilo [11], svuotando di contenuto lo spirito dell’istituto e conformandolo
ai criteri di gestione dell’ormai riconosciuta “emergenza immigrazione”.
5. La frontiera meridionale: il caso dei rifugiati nel casertano
Le caratteristiche dell’emergenza di cui s’è parlato
potevano facilmente essere riscontrate nell’anomala concentrazione di 831
richiedenti asilo in provincia di Caserta, che attendevano da tempo l’esame
della propria istanza da parte della Commissione centrale per il riconoscimento
dello status di rifugiato [12]. La vicenda,
conclusa pochi mesi fa, è utile a evidenziare il ruolo assunto dal Meridione
nella gestione degli ingressi in territorio italiano ed europeo e il carattere
emergenziale che, a causa di questa delega, assumono sempre più spesso i
fenomeni migratori e i provvedimenti con cui essi vengono poi gestiti.
Alla fine del 2003 la chiesa locale, con il vescovo di
Caserta Raffaele Nogaro e i missionari comboniani di Castelvolturno [13], affiancati dall’opera certosina del Centro
Sociale ex-Canapificio di Caserta, hanno raccolto il disagio degli asilantes
in parcheggio, organizzando per il 31 gennaio 2004 una grande manifestazione
romana che portasse il caso alla ribalta nazionale. Il risultato fu quello
sperato: il Pontefice pronunciò parole d’intercessione a favore degli
immigrati e il Viminale decise una missione straordinaria della Commissione a
Caserta, per esaminare richieste che in alcuni casi giacevano nei cassetti degli
uffici da un anno e mezzo. Si noti che, nel caso delle richieste d’asilo, le
lungaggini burocratiche non sono solo un fastidioso contrattempo, ma una
minaccia di fatto al diritto di sopravvivenza: la pratica corrente prevede,
infatti, la concessione al richiedente asilo di un permesso di soggiorno
temporaneo che reca l’esplicita proibizione di lavorare, accompagnato da un
sussidio di circa 17 euro al giorno, normalmente sospeso dopo 45 giorni. “Alla
scadenza di questo termine - dice Roger silvestre Adjicoude, mediatore
interculturale della Caritas - allo straniero restano poche alternative: la
miseria, il lavoro nero o, peggio, l’arruolamento nelle fila della
criminalità” [14]. La singolare
incongruità tra il sistema delle garanzie e i tempi effettivi dell’iter delle
richieste può spiegare, in parte, la concentrazione degli aspiranti allo status
di rifugiati nel sud Italia: chi si trova sospeso nel limbo dell’attesa,
privato di mezzi, ha più facilità a sopravvivere in un territorio poco
controllato, dove il mercato del lavoro è prevalentemente informale e raramente
richiede documenti in regola.
Se la concentrazione di rifugiati in Terra di Lavoro mette in
evidenza tratti peculiari del Meridione progettato dalle dinamiche della
globalizzazione, i risultati del lavoro della Commissione - peraltro svolto con
scrupolo e disponibilità, a giudizio delle organizzazioni che hanno seguito la
vicenda - sono in linea con le tendenze globali. Su 708 stranieri intervistati
soltanto 11 hanno ottenuto il riconoscimento dello status di rifugiato [15]. La loro provenienza è abbastanza omogenea:
buona parte dei pareri postivi riguarda immigrati in fuga dalla Liberia, dove è
in atto un conflitto sanguinoso ampiamente riconosciuto dall’Onu. Altri luoghi
d’origine, come il Ghana e in seconda istanza la Nigeria, non sono stati
ritenuti altrettanto pericolosi e in questi casi molte istanze d’asilo sono
state rigettate. Per i responsabili del Centro Sociale ex-Canapificio, il limite
della procedura risiede per lo più nell’insufficienza dei dati disponibili su
alcune zone calde del pianeta: “la Commissione - dice Mimma D’Amico - si
trova a dover utilizzare i report ufficiali dell’Unhcr, delle Nazioni
Unite o di grosse organizzazioni come Amnesty International, cui spesso è
impedito il controllo di micro-conflitti e scontri interetnici anche violenti
che avvengono nell’indifferenza del governo nazionale competente” [16].
Se ne deduce che alcuni casi di persecuzione restano
praticamente invisibili: come sostiene Dal Lago, gli attuali assetti procedurali
finiscono per riconoscere il diritto d’asilo prevalentemente a casi
conclamati, su cui è allertata l’opinione pubblica internazionale. Spesso le
situazioni dubbie, per le quali non è dimostrabile una persecuzione
direttamente rivolta alla persona, si risolvono con la concessione di un
temporaneo permesso di soggiorno “per motivi umanitari”, frutto di un’interpretazione
restrittiva del Trattato di Ginevra che da tempo occupa il dibattito tra governi
e associazioni umanitarie. A Caserta le decisioni in questo senso sono state
477, la maggioranza assoluta dei casi esaminati. Tuttavia “non è chiaro se
tale stato potrà essere convertito alla scadenza in un permesso di soggiorno
per lavoro nel caso subentri un contratto”, sottolinea Mimma D’Amico. Questo
strumento di protezione vago e insufficiente non fa altro che generare nuove
incertezze e confinare una volta di più le vite dei rifugiati nel recinto della
precarietà.
6. Oltre il concetto di asilo
Gli strumenti legislativi ibridi, l’introduzione di modi
afferenti alle logiche dell’ordine pubblico nelle normative sulla protezione,
costituiscono in definitiva altrettanti indizi di un processo ormai in atto da
quasi un decennio, che vede la progressiva assimilazione della questione dei
rifugiati a quelle dell’immigrazione comune. In linea di principio, come
abbiamo cercato di spiegare, se ne dovrebbe invece garantire la distinzione,
poiché le due condizioni risultano irriducibili secondo le elaborazioni del
diritto occidentale: nel caso degli ingressi per motivi di lavoro è ormai
invalso il principio che gli interessi del migrante devono incontrarsi con
quelli del paese accogliente, dunque si programmano flussi d’entrata e sistemi
di “sponsorizzazione” che concilino l’offerta di braccia con la domanda di
manodopera; data la situazione di provenienza e i motivi dello spostamento,
invece, il diritto dei richiedenti asilo non dovrebbe essere sottoposto ad alcun
vincolo, essendo la tutela della persona un valore assoluto.
Di fatto questa distinzione non è così marcata, nonostante
le dichiarazioni e i trattati internazionali cui aderiscono le nazioni del ricco
Occidente. Lo dimostra, tra le altre cose, la confusione della legislazione sull’immigrazione
con quella relativa allo status di rifugiato, o addirittura l’assenza di una
normativa specifica sull’asilo, come nel caso italiano.
Nel panorama della competizione globale, il peso dell’accoglienza
disinteressata e priva di ritorni immediati in termini di contributo alla
produzione viene demandato alle aree marginali, “trasferito - come sostiene
Giuliana Zincone - verso la fascia esterna dell’Unione, che è anche quella
meno prospera”. Nonostante il supporto economico del fondo europeo per i
rifugiati, “il disagio sociale e organizzativo dell’asilo non è stato e non
sarà ridistribuito” [17]. In questo schema
la vicenda casertana, così come la questione della nave Cap Anamur, risulta
illuminante.
Eppure ciò che una società sempre più globale non può
limitare è proprio il diritto di movimento. Lo sapeva Marx, che legava
indissolubilmente gli spostamenti umani e la variazione della composizione
sociale all’espansione produttiva30.
D’altronde, i paesi che gestiscono le dinamiche della
globalizzazione non potranno disinteressarsi a lungo degli effetti provocati dal
proprio prevaricante modello si sviluppo, che spesso genera le stesse situazioni
di estremo disagio da cui proviene l’imbarazzante massa di profughi in cammino
verso Occidente. Lo stesso confine tra profughi e migranti, su cui si fonda
formalmente il diritto d’asilo elaborato in Europa, sta diventando “puramente
formale, visto che pressoché tutti i paesi di emigrazione sono governati, con l’assenso
se non con la connivenza esplicita delle democrazie ricche, da dittature e
regimi autoritari, in cui i diritti umani vengono quotidianamente violati”31.
[1] Dati Istat aggiornati al 1 gennaio 2003,
http://demo.istat.it/altridati/permessi/presenza_straniera.pdf.
[2] Le richieste
degli imprenditori occuparono le pagine dei giornali all’indomani della
pubblicazione del D.P.C.M 8 febbraio 2000, che stabiliva il tetto massimo di
permessi di soggiorno per motivi di lavoro da emettere nel corso dell’anno. La
cifra (63.000 circa) si rivelò assolutamente inadeguata alle esigenze della
produzione, generando critiche e richieste di modifiche. Il fatto mostrò all’opinione
pubblica nazionale quale importanza riveste la manodopera immigrata nel sistema
economico occidentale (cfr. A. Amati, La cronaca dell’anno attraverso i
mass-media, in Fondazione Cariplo Ismu, Sesto rapporto sulle migrazioni
2000, Milano, 2000, pp. 67 sgg).
[3] Dati Unhcr,
http://www.cir-onlus.org.
[4] Ciò nonostante le evidenti
responsabilità dell’Occidente nella creazione delle condizioni di disagio che
generano l’esercito dei profughi: si noti che i paesi da cui proviene in
numero maggiore di richiedenti asilo sono quelli in cui i governi atlantici
hanno scatenato recenti guerre strategiche, come l’Iraq e l’Afghanistan.
(Dati Unhcr, http://www.cir-onlus.org).
[i] Asylum Levels and Trends in Industrialized Countries - First
Quarter 2004, a cura dell’Unhcr,
http://www.unhcr.ch/cgi-bin/texis/vtx/home/opendoc.pdf?tbl=STATISTICS&id=40c024c24&page=statistics.
[i] Asylum
Levels and Trends: Europe and non European Industrialized Countries, 2003, a
cura dell’Unhcr, http://www.unhcr.ch/cgi-bin/texis/vtx/statistics.
[5] Comunicazioni del sottosegretario di Stato per l’interno
Mantovano alla Commissione straordinaria per la tutela dei diritti umani, seduta
del 4 febbraio 2004, http://www.senato.it/Commissioni/Diritti_umani.
[6] Cfr. G. Mola, Castelli: “Precedente devastante”. L’opposizione:
“Scelta giusta”, in “la Repubblica”, 13 luglio 2004, p. 9. Allo
stesso atteggiamento mentale va ricondotta la rigida posizione assunta sul caso
dalla Germania, che si è affrettata a dichiarare la propria indisponibilità a
occuparsi dei rifugiati nonostante la nazionalità tedesca dell’equipaggio.
A. Dal Lago, op. cit., p. 223.
[i] Ivi,
p. 253.
[7] Cfr. Werner
K. Kannenberg, La legge sull’asilo politico in Germania, <http://www.acli.it/ipsia/ipsia%20file/Pagine/Attivit%C3%A0/Intercultura/legge.htm>.
A. Sorel, Olanda, in Atti del seminario internazionale Verso un
più ordinato e gestito ingresso nell’Unione Europea delle persone che
necessitano di protezione sociale, Roma, 13-14 ottobre 2003, p. 78.
[8] G. Zincone, Si spostano le frontiere,
in “la Repubblica”, 13 luglio 2004, p. 9.
[i] Per una
legge equa ed efficace sul diritto d’asilo, appello del Cir e altri 14
enti promotori, http://www.cir-onlus.org.
[9] Si considerino, al
proposito, le parole del rappresentante francese al seminario sulla protezione
dei profughi, a proposito della necessità di “verificare se la richiesta d’asilo
corrisponda alle caratteristiche dell’asilo, così come è previsto dalla
Francia, o non nasconda un desiderio di abuso delle procedure d’asilo” (E.
Dequidt, Francia, in Atti del seminario internazionale Verso un
più ordinato e gestito ingresso nell’Unione Europea delle persone che
necessitano di protezione sociale, cit., p. 70).
[10] Per la cronaca della vicenda cfr. P. Graziano, Asilo!,
in “la Voce della Campania”, n. 3, marzo 2004, pp. 48-49 e Asilo per
cinquecento, in “la Voce della Campania”, n. 5, maggio 2004, pp.
38-39.
[11] Sulle posizioni della Chiesa nel dibattito sul diritto d’asilo,
si veda S. Tanzarella, Accogliere lo straniero. Dalla regolamentazione alla
tutela dei diritti: dilatare i confini del possibile, in “Proteo”, n. 3,
2002, p. 8.
[12] Intervista raccolta nel febbraio 2004.
[13] Dati
forniti dal Ministero dell’Interno, ora disponibili su
http://www.cir-onlus.org.
[14] Intervista raccolta nell’aprile 2004.
[15] G.
Zincone, op. cit., p. 9.
[16] Cfr. K.
Marx, Lineamenti fondamentali della critica all’economia politica, La
Nuova Italia, Firenze 1968.
[17] Dal Lago, op. cit., p. 252.