5. Le Nuove Regole delle Relazioni Internazionali
Dall’AMI...
Durante l’anno 1998 si è avuta in vari paesi una forte
campagna popolare contro l’iniziativa dall’Organizzazione per la
Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) per fare approvare un cosiddetto
Accordo Multilaterale di Investimenti (AMI). Finalmente, dopo molti tira e
molla, la proposta è stata accantonata quando il governo della Francia ha
annunciato che non era disposta a ratificare detto accordo.
Sui contenuti dell’AMI si è scritto abbastanza. Ciò che
non è stato sufficientemente analizzato è il contesto e le implicazioni
politiche di lunga portata di questa iniziativa.
Basti segnalare che, se fosse stato approvato, si sarebbe
situato sullo stesso piano giuridico degli stati e delle multinazionali, con gli
stessi diritti, doveri e responsabilità, davanti ad una corte internazionale di
contenziosi mercantili. Una retrocessione democratica di incalcolabili
conseguenze che esimerebbe le multinazionali dal rispondere davanti ai cittadini
di un paese qualunque, o, in altre parole, che porterebbe i cittadini in un
stato di inferiorità giuridica davanti alle multinazionali.
Come dicevamo, l’AMI rimase definitivamente accantonato
quando un governo importante dichiarò pubblicamente il suo parere negativo a
ratificare detto accordo. Due conclusioni possiamo trarre da questo fatto: in
primo luogo che l’ambito delle decisioni politiche fondamentali nel mondo
attuale, più o meno globalizzato, continua ad essere quello degli Stati
nazionali, ed in particolare, quello degli stati con un certo peso economico e
con forza militare. In secondo luogo, l’AMI non è morto, ma solo svernato: la
strategia del capitale transnazionale non finisce a causa di questa sconfitta
occasionale. Tutti gli organismi internazionali sono sottoposti ad una forte
pressione da parte delle multinazionali, affinché adattino le proprie agende
politiche alle necessità del capitale transnazionale. Alcune sono concepite
specificamente per questo: il FMI, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, o
OCSE, sono le principali agenzie internazionali dominate dal capitale. Altre
stanno per essere sottoposte a diversi processi di inseguimento e conquista,
(PNUD, OMS, Unesco, FAO) o di inseguimento e demolizione (UNCTAD, OIL) da parte
del capitale, sempre che a questo sia più o meno difficile riuscire nel suo
dominio.
... all’OMC
Il commercio è la prima dimensione o aspetto delle relazioni
economiche internazionali.
Il commercio internazionale svolge un ruolo molto importante
nella comparsa e nello sviluppo del sistema capitalista. Il commercio è
importante perché è per suo tramite che si sviluppa la divisione
internazionale del lavoro.
La divisione del lavoro è il principale fattore dell’aumento
della produttività dai tempi di Adam Smith.
L’evoluzione del commercio internazionale è in relazione
con l’evoluzione della produzione industriale e della popolazione. Per
studiare questa relazione è necessario fare un’analisi di fattori come la
produzione industriale, lo scambio di materie prime e di prodotti alimentari, lo
scambio di prodotti elaborati, ecc.
Durante il XIX sec., le potenze dominanti (Gran Bretagna,
Francia, Olanda) continuarono a prendere le misure necessarie per non perdere il
monopolio della produzione industriale e per non vedersi esclusi dalle colonie
in America latina.
Il terzo mondo si specializzò nella produzione di materie
prime e di prodotti non lavorati. La specializzazione, in questi luoghi, ha
avuto inizio con la divisione capitalista del lavoro. Durante questo secolo le
esportazioni di prodotti manufatturieri non hanno aumentato il proprio peso in
Asia, America Latina, Africa, i quali, dagli inizi della divisione capitalista
del lavoro, si sono specializzati nella produzione di zucchero e caffè. Se c’è
stata una riduzione di queste produzioni nell’arco di un secolo è stata per l’aumento
del peso del petrolio. I prodotti energetici non avevano un gran peso nel 1820
ma lo avevano negli anni 1927-1930.
Pertanto, una delle caratteristiche del sottosviluppo è la
mancanza di dinamismo strutturale nella produzione per le esportazioni.
A partire dagli anni ’60, pochi paesi scappano da questa
divisione dal lavoro e c’è sempre una forte correlazione tra aumento della
popolazione e le esportazioni.
Le cifre del commercio internazionale normalmente sono date in denaro ($) ma
l’evoluzione dei prezzi internazionali è molto differente, a seconda che si
tratti di prodotti elaborati o materie prime, vale a dire che i prezzi
internazionali dei fattori aumentano, mentre i prezzi internazionali delle
materie prime tendono a discendere.
Agli inizi degli anni ’70, l’aumento spettacolare dei
prezzi del petrolio ha rappresentato un’anomalia della storia economica, dato
che questi sono sempre stati piuttosto bassi.
Questa evoluzione relativa dei prezzi si tradusse, alla fine
degli anni ’50, in quello che Raúl Probitch denominò ‘la relazione reale
di scambio’, che risultò negativa per i paesi sottosviluppati: vale a dire
che, se nel 1960 si poteva comprare un trattore con due tonnellate di cacao, nel
1970 questo si doveva scambiare con tre tonnellate. Pertanto, considerando la
stessa quantità di prodotto, la relazione di scambio tra prezzi all’esportazione
e all’importazione si dà anche per le manifatture del terzo mondo, cioè tra
i prezzi all’esportazione di paesi sottosviluppati e prezzi all’importazione
di paesi sviluppati.
A parte il problema dei paesi che nella dimensione
internazionale del lavoro esportano materie prime, dato che le statistiche del
commercio vengono date in prezzi, queste occultano l’evoluzione reale del
commercio. Se il prezzo diminuisce più di quanto aumenta la quantità
esportata, il risultato sarà un calo delle esportazioni.
L’evoluzione recente del commercio è tale che questo
risulta sempre più un commercio tra paesi sviluppati. C’è una crescente
emarginazione del terzo mondo nel commercio internazionale.
Questo argomento riflette un’evoluzione dei prezzi
negativi, superiore all’evoluzione delle quantità esportate. I paesi
sviluppati hanno aumentato il proprio peso, dal 1980, rispetto ai paesi
sottosviluppati. Questo se consideriamo l’evoluzione dei prezzi. Ma se
consideriamo la quantità di produzione il risultato è differente. L’aumento
delle esportazioni dei paesi sottosviluppati è maggiore di quella dei paesi
sviluppati.
Siccome il capitalismo si basa sul denaro, dal punto di vista
dell’accumulazione nelle ultime decadi, benché la quantità di merci
esportate dai paesi sviluppati sia minore, la quantità di denaro che si ottiene
per quelle esportazioni è maggiore. Nel commercio internazionale i paesi
sviluppati accumulano più rapidamente e con meno sforzo dei paesi
sottosviluppati.
Tradotti in prezzi i valori del commercio internazionale,
questi favoriscono i paesi sviluppati. Ma in questa concentrazione del prezzo
nei paesi sviluppati si dà una crescente regionalizzazione.
Le percentuali del commercio interregionale più importanti
sono quelle che si danno tra gli USA e il Messico, tra la Comunità Europea ed i
paesi europei che non ne fanno parte, tra il Sud-America e l’America Centrale,
e tra i paesi del sud-est asiatico.
La regione che vince il confronto è la UE (Unione Europea)
unita a Norvegia e Svezia. I 2/3 delle sue esportazioni vanno in paesi al di
fuori della propria regione, e solo 1/3 di queste vanno al di fuori dall’Europa
Occidentale, e una percentuale minore proviene dalle importazioni al di fuori
della regione.
Anche gli USA hanno un alto livello di commercio
interregionale. I 2/5 delle esportazioni nordamericane sono dirette verso altri
paesi della regione e quasi la metà proviene dalla propria regione. Se il
Nordamerica ha una percentuale di commercio extraregionale maggiore dell’Europa
è perché le percentuali di commercio intraregionale nelle regioni più
sviluppate sono molto piccole. Queste esportano tutto il proprio prodotto nei
paesi immediatamente prossimi.
Questa mancanza di coerenza internazionale è emersa dalla
divisione del lavoro, per la quale i paesi del terzo mondo producono una gamma
di beni poco elaborati e poco complementari tra loro.
Per quel che riguarda il commercio extraregionale, possiamo
vedere che la percentuale maggiore del commercio USA è destinato ad altre
regioni sviluppate. Possiamo vedere come nel caso degli USA il commercio col
Giappone sia più importante del commercio con l’Europa Occidentale. Anche per
il Giappone gli USA sono un socio commerciale migliore della UE. Per la UE sono
più importanti gli USA che il Giappone.
Queste relazioni tra i tre grandi blocchi, spiegano, per
esempio, il maggiore impatto della crisi asiatica negli USA rispetto all’Europa.
Così come i responsabili della UE si preoccupano più dei problemi interni che
di una caduta delle esportazioni verso i paesi asiatici.
Le regioni sottosviluppate sono vincolate all’una o all’altra
regione dominante.