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Per la critica del capitalismo

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Joaquín Arriola Palomares
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Professore di economia, Fac. Economia all’Università dei Paesi Baschi, Bilbao

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Le ragioni economiche del conflitto internazionale

Joaquín Arriola Palomares

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5. Le Nuove Regole delle Relazioni Internazionali

Dall’AMI...

Durante l’anno 1998 si è avuta in vari paesi una forte campagna popolare contro l’iniziativa dall’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico (OCSE) per fare approvare un cosiddetto Accordo Multilaterale di Investimenti (AMI). Finalmente, dopo molti tira e molla, la proposta è stata accantonata quando il governo della Francia ha annunciato che non era disposta a ratificare detto accordo.

Sui contenuti dell’AMI si è scritto abbastanza. Ciò che non è stato sufficientemente analizzato è il contesto e le implicazioni politiche di lunga portata di questa iniziativa.

Basti segnalare che, se fosse stato approvato, si sarebbe situato sullo stesso piano giuridico degli stati e delle multinazionali, con gli stessi diritti, doveri e responsabilità, davanti ad una corte internazionale di contenziosi mercantili. Una retrocessione democratica di incalcolabili conseguenze che esimerebbe le multinazionali dal rispondere davanti ai cittadini di un paese qualunque, o, in altre parole, che porterebbe i cittadini in un stato di inferiorità giuridica davanti alle multinazionali.

Come dicevamo, l’AMI rimase definitivamente accantonato quando un governo importante dichiarò pubblicamente il suo parere negativo a ratificare detto accordo. Due conclusioni possiamo trarre da questo fatto: in primo luogo che l’ambito delle decisioni politiche fondamentali nel mondo attuale, più o meno globalizzato, continua ad essere quello degli Stati nazionali, ed in particolare, quello degli stati con un certo peso economico e con forza militare. In secondo luogo, l’AMI non è morto, ma solo svernato: la strategia del capitale transnazionale non finisce a causa di questa sconfitta occasionale. Tutti gli organismi internazionali sono sottoposti ad una forte pressione da parte delle multinazionali, affinché adattino le proprie agende politiche alle necessità del capitale transnazionale. Alcune sono concepite specificamente per questo: il FMI, l’Organizzazione Mondiale del Commercio, o OCSE, sono le principali agenzie internazionali dominate dal capitale. Altre stanno per essere sottoposte a diversi processi di inseguimento e conquista, (PNUD, OMS, Unesco, FAO) o di inseguimento e demolizione (UNCTAD, OIL) da parte del capitale, sempre che a questo sia più o meno difficile riuscire nel suo dominio.

... all’OMC

Il commercio è la prima dimensione o aspetto delle relazioni economiche internazionali.

Il commercio internazionale svolge un ruolo molto importante nella comparsa e nello sviluppo del sistema capitalista. Il commercio è importante perché è per suo tramite che si sviluppa la divisione internazionale del lavoro.

La divisione del lavoro è il principale fattore dell’aumento della produttività dai tempi di Adam Smith.

L’evoluzione del commercio internazionale è in relazione con l’evoluzione della produzione industriale e della popolazione. Per studiare questa relazione è necessario fare un’analisi di fattori come la produzione industriale, lo scambio di materie prime e di prodotti alimentari, lo scambio di prodotti elaborati, ecc.

Durante il XIX sec., le potenze dominanti (Gran Bretagna, Francia, Olanda) continuarono a prendere le misure necessarie per non perdere il monopolio della produzione industriale e per non vedersi esclusi dalle colonie in America latina.

Il terzo mondo si specializzò nella produzione di materie prime e di prodotti non lavorati. La specializzazione, in questi luoghi, ha avuto inizio con la divisione capitalista del lavoro. Durante questo secolo le esportazioni di prodotti manufatturieri non hanno aumentato il proprio peso in Asia, America Latina, Africa, i quali, dagli inizi della divisione capitalista del lavoro, si sono specializzati nella produzione di zucchero e caffè. Se c’è stata una riduzione di queste produzioni nell’arco di un secolo è stata per l’aumento del peso del petrolio. I prodotti energetici non avevano un gran peso nel 1820 ma lo avevano negli anni 1927-1930.

Pertanto, una delle caratteristiche del sottosviluppo è la mancanza di dinamismo strutturale nella produzione per le esportazioni.

A partire dagli anni ’60, pochi paesi scappano da questa divisione dal lavoro e c’è sempre una forte correlazione tra aumento della popolazione e le esportazioni.

Le cifre del commercio internazionale normalmente sono date in denaro ($) ma l’evoluzione dei prezzi internazionali è molto differente, a seconda che si tratti di prodotti elaborati o materie prime, vale a dire che i prezzi internazionali dei fattori aumentano, mentre i prezzi internazionali delle materie prime tendono a discendere.

Agli inizi degli anni ’70, l’aumento spettacolare dei prezzi del petrolio ha rappresentato un’anomalia della storia economica, dato che questi sono sempre stati piuttosto bassi.

Questa evoluzione relativa dei prezzi si tradusse, alla fine degli anni ’50, in quello che Raúl Probitch denominò ‘la relazione reale di scambio’, che risultò negativa per i paesi sottosviluppati: vale a dire che, se nel 1960 si poteva comprare un trattore con due tonnellate di cacao, nel 1970 questo si doveva scambiare con tre tonnellate. Pertanto, considerando la stessa quantità di prodotto, la relazione di scambio tra prezzi all’esportazione e all’importazione si dà anche per le manifatture del terzo mondo, cioè tra i prezzi all’esportazione di paesi sottosviluppati e prezzi all’importazione di paesi sviluppati.

A parte il problema dei paesi che nella dimensione internazionale del lavoro esportano materie prime, dato che le statistiche del commercio vengono date in prezzi, queste occultano l’evoluzione reale del commercio. Se il prezzo diminuisce più di quanto aumenta la quantità esportata, il risultato sarà un calo delle esportazioni.

L’evoluzione recente del commercio è tale che questo risulta sempre più un commercio tra paesi sviluppati. C’è una crescente emarginazione del terzo mondo nel commercio internazionale.

Questo argomento riflette un’evoluzione dei prezzi negativi, superiore all’evoluzione delle quantità esportate. I paesi sviluppati hanno aumentato il proprio peso, dal 1980, rispetto ai paesi sottosviluppati. Questo se consideriamo l’evoluzione dei prezzi. Ma se consideriamo la quantità di produzione il risultato è differente. L’aumento delle esportazioni dei paesi sottosviluppati è maggiore di quella dei paesi sviluppati.

Siccome il capitalismo si basa sul denaro, dal punto di vista dell’accumulazione nelle ultime decadi, benché la quantità di merci esportate dai paesi sviluppati sia minore, la quantità di denaro che si ottiene per quelle esportazioni è maggiore. Nel commercio internazionale i paesi sviluppati accumulano più rapidamente e con meno sforzo dei paesi sottosviluppati.

Tradotti in prezzi i valori del commercio internazionale, questi favoriscono i paesi sviluppati. Ma in questa concentrazione del prezzo nei paesi sviluppati si dà una crescente regionalizzazione.

Le percentuali del commercio interregionale più importanti sono quelle che si danno tra gli USA e il Messico, tra la Comunità Europea ed i paesi europei che non ne fanno parte, tra il Sud-America e l’America Centrale, e tra i paesi del sud-est asiatico.

La regione che vince il confronto è la UE (Unione Europea) unita a Norvegia e Svezia. I 2/3 delle sue esportazioni vanno in paesi al di fuori della propria regione, e solo 1/3 di queste vanno al di fuori dall’Europa Occidentale, e una percentuale minore proviene dalle importazioni al di fuori della regione.

Anche gli USA hanno un alto livello di commercio interregionale. I 2/5 delle esportazioni nordamericane sono dirette verso altri paesi della regione e quasi la metà proviene dalla propria regione. Se il Nordamerica ha una percentuale di commercio extraregionale maggiore dell’Europa è perché le percentuali di commercio intraregionale nelle regioni più sviluppate sono molto piccole. Queste esportano tutto il proprio prodotto nei paesi immediatamente prossimi.

Questa mancanza di coerenza internazionale è emersa dalla divisione del lavoro, per la quale i paesi del terzo mondo producono una gamma di beni poco elaborati e poco complementari tra loro.

Per quel che riguarda il commercio extraregionale, possiamo vedere che la percentuale maggiore del commercio USA è destinato ad altre regioni sviluppate. Possiamo vedere come nel caso degli USA il commercio col Giappone sia più importante del commercio con l’Europa Occidentale. Anche per il Giappone gli USA sono un socio commerciale migliore della UE. Per la UE sono più importanti gli USA che il Giappone.

Queste relazioni tra i tre grandi blocchi, spiegano, per esempio, il maggiore impatto della crisi asiatica negli USA rispetto all’Europa. Così come i responsabili della UE si preoccupano più dei problemi interni che di una caduta delle esportazioni verso i paesi asiatici.

Le regioni sottosviluppate sono vincolate all’una o all’altra regione dominante.