Mentre vi accingete a leggere quest’articolo, probabilmente
avrete già meditato sui pericoli della globalizzazione, preoccupandovi delle
sue dolorose conseguenze per voi e per i vostri figli. Grandi società
internazionali continuano a spostare la loro produzione all’estero per
avvalersi di mal pagati lavoratori, di tecnologie pericolose per l’ambiente,
di politici ancor più corrotti, e di tasse minori. Nei paesi d’origine delle
multinazionali la disoccupazione e la povertà aumentano mentre il livello di
vita diminuisce a causa dei tagli alle pensioni e ai servizi. Dato che queste
tendenze si manifestano apertamente, le vostre preoccupazioni sono del tutto
giustificate. La linea d’assemblaggio globale ha trasformato sia le aree che
perdono le attività produttive che quelle che le ricevono. La velocità e la
direzione del cambiamento danneggiano molti e arricchiscono pochi e tutti
cercano di adattarsi ad un ritmo disumano. Tutto ciò all’insegna della
costruzione di una nuova economia globale, più efficiente e veloce di qualsiasi
altro cosa mai vista al mondo. I vantaggi, sia quelli reali per una piccola
minoranza, che quelli sperati per il futuro vengono usati per giustificare i
sacrifici della stragrande maggioranza.
Vi stiamo scrivendo dalla pancia del mostro. Da qui la
prospettiva potrebbe essere differente dalla vostra. È nostra impressione che
il sistema economico globale sia in una fase di violenta transizione. Se ciò è
vero, è ora di ripensare le strategie al fine di far fronte ad una
globalizzazione in rapido mutamento. Le regole dell’economia mondiale, che
sono state imposte dagli Stati Uniti per gli ultimi trenta anni, si stanno
modificando. Il libero commercio e il flusso dei capitali, il dollaro come la
divisa internazionale, e la leadership statunitense nell’economia e nella
politica si affermano ancora prepotentemente; tuttavia essi sono sempre più
messe in discussione. Le instabilità e le tensioni che ne derivano si
manifestano in guerre guerreggiate, guerre commerciali, scontri nelle Nazioni
Unite e divergenze di opinione sulle politiche estere. Il conflitto è vecchio
ma l’intensità e la posta in gioco sono nuove e crescono. La percezione che
gli interessi comuni si stiano riducendo mette la propria impronta sulle
difficili relazioni tra i blocchi e all’interno di essi. L’Asia Orientale
(sotto la guida della Cina), l’Europa (sotto quella della UE), e altre aree
globali fanno fatica a soddisfare le aspettative poste su di esse. I conflitti d’interesse
sono usciti dall’ombra durante i gravi disaccordi sull’Iraq. Un’economia
globale debole e aperti tentativi di dominio da parte degli USA sono una
minaccia per tutti. Col passar dei mesi, il vecchio sistema globale diventa
sempre meno adeguato. Questi cambiamenti profondi richiedono analisi e
iniziative nuove.
L’impeto verso il libero commercio si è esaurito. Onde di
crisi economiche si sono succedute, specialmente dal 1997-98. Il Giappone si
trova nel secondo decennio di debolezza economica. La China emerge come il
leader mondiale nella manifattura. La zona dell’Euro, gli USA, e il mondo in
generale barcollano sotto il peso combinato di una domanda inadeguata di beni e
servizi, una competizione di mercato distruttiva, ed una generalizzata
instabilità politica e economica. I sistemi finanziari deregolamentati in tutto
il mondo (azioni, obbligazioni, derivati, monete) girano impazziti costruendo e
distruggendo fortune con velocità vertiginosa. Intere industrie e regioni
crollano mentre altre afferrano una prosperità temporanea. Un sistema globale
non sostenibile - caratterizzato dalla contraddizione tra una produzione sempre
più a buon mercato e una domanda inadeguata, contraddizione che è
temporaneamente risolta da un debito salito alle stelle - mette sotto una
impossibile pressione sia gli stati che le masse lavoratrici di tutto il mondo.
I livelli di vita nel Terzo Mondo si abbassano, le ineguaglianze locali e
mondiale esplodono, gli USA diventano una piantagione di consumatori finanziata
dal debito, e gli Europei sono alle prese con una alta e persistente
disoccupazione.
Il sistema capitalista internazionale basato su una certa
cooperazione - la vecchia globalizzazione - si sta sgretolando. Una nuova
globalizzazione sta emergendo. Le battaglie tra Airbus e Boeing provvedono degli
esempi interessanti. Airbus, che sta emergendo rapidamente, compete con Boeing,
e entrambe sono sovvenzionate dai rispettivi governi. La leadership degli USA è
contestata sempre di più e allo stesso tempo nuovi stati o alleanze tra stati
competono sempre più ferocemente attraverso politiche sempre meno flessibili.
La UE, la Cina, la Russia e l’India si rendono conto sempre di più che gli
Stati Uniti agiscono nel loro proprio ristretto interesse e non si preoccupano
dei loro bisogni. La Cina, l’India, la Russia, la UE, il Brasile e gli USA
competono per alleati e posizioni di privilegio. Le battaglie per il controllo
dell’Africa, dell’Europa Orientale, dell’Asia Centrale e del Medio Oriente
sono solo gli esempi più ovvii.
La forza economica crescente della Cina, della UE, e di altre
potenze regionali hanno indotto gli Stati Uniti, che già vacillano a causa di
anni di declino economico, a cambiare radicalmente la loro politica estera. Il
dominio nucleare e la loro posizione come unica superpotenza sono diventate le
armi attraverso cui essi mantengono il dominio economico e pongono dei limiti ai
loro rivali. Utilizzando l’isterismo di massa negli Stati Uniti dopo l’11
Settembre 2001, il regime di Bush mobilizza le masse per una ‘guerra al
terrorismo’ senza fine. I piani per una Pax Americana crescente fanno andare
in collera e minano i blocchi emergenti, anch’essi impegnati in un tentativo
di dar forma ad un mondo in difficoltà a loro vantaggio. Segni di difficoltà
erano già evidenti anche prima dell’11 Settembre 2001, anche se non vistosi.
Tensioni esplosero riguardanti il commercio delle banane, dell’acciaio, degli
alimenti modificati geneticamente, l’ICC, il Protocollo di Kyoto, e il ruolo
delle Nazioni Unite. I conflitti divennero esplosivi con l’invasione e l’occupazione
dell’Iraq. Mentre l’economia internazionale diventa acutamente competitiva e
sempre meno benignamente cooperativa, le nazioni ripensano e riorientano le loro
politiche estere e domestiche.
Di fronte alla rabbia del resto del mondo, a partire dal
Febbraio 2003, le relazioni internazionali degli USA continuano a deteriorarsi.
Il danno non è ancora riparato. Gli USA tentano di punire la Francia, la
Germania e molte altre nazioni per la loro opposizione alla guerra contro l’Iraq
attraverso programmi, sia ufficiali che non, loro ostili. Con una intenzione
chiaramente minacciosa, il ristorante del Congresso USA ribattezzò le patatine
fritte [in Inglese, ‘French fries’, ossia patatine ‘francesi’, nota del
traduttore] ‘patatine della libertà’. Similmente, durante la prima guerra
mondiale, in uno scoppio di isteria, i Nord-Americani ribattezzarono il tedesco
sauerkraut, ‘il cavolo della vittoria’. Tristemente, questo bizzarro gioco
linguistico rivela una atmosfera paranoica e aggressiva in cui perfino le
patatine fritte sono ‘con noi o contro di noi’.
Fa rabbrividire vedere che vi siano paralleli tra la
situazione odierna e quella precedente alla Prima Guerra Mondiale. Mentre la
memoria della Minaccia Rossa scompare rapidamente, il capitalismo è pigramente
fiducioso che non vi sia alcuna alternativa. Questo era il caso anche prima
della Prima Guerra Mondiale. Le necessità espansionistiche spinsero le nazioni
precipitosamente verso quella guerra sanguinosa. Anche ora, mentre i blocchi con
diverse strategie diventano sempre più reciprocamente ostili, la competizione
tra nazioni capitaliste si intensifica. I visitatori stranieri negli Stati Uniti
se ne renderanno certamente conto quando le loro impronte digitali saranno prese
e quando saranno fotografati dagli agenti della Homeland Security.
Un’America più dura, più militarista e più
unilateralista caratterizzerà la nuova globalizzazione. Nel luglio del 2003, il
governo Bush annunziò che cancellerà gli aiuti militari a circa due dozzine di
nazioni che hanno rifiutato di concedere una amnistia preventiva alle forze
militari statunitensi per possibili futuri crimini di guerra. Le battaglie
commerciali tra gli USA e la UE si sono inasprite mentre le differenze nel GATT,
nel OECD, nei G-8, nell’Organizzazione per il Commercio Internazionale e nel
Club di Parigi diventano sempre più forti. Nel giugno del 2003, i capi di
governo della Cina e dell’India si sono incontrati per stilare un accordo
storico che forgia legami economici e politici più stretti al fine di far
fronte alla sfida posta dalla politica statunitense. Nel luglio del 2003, le
nazioni dei Caraibi hanno deciso di formare un’area comune economica come
reazione alle più importanti clausole contenute nell’Area di Libero Scambio
delle Americhe (FTAA), un trattato caldeggiato dagli Stati Uniti. Recentemente,
il Brasile ha rinnovato il suo interesse nel Mercosur, un’alleanza economica
delle nazioni del Sud-America, per controbilanciare il potere del gigantesco
vicino settentrionale decisamente propenso all’interventismo. I banchieri, gli
economisti e i funzionari statali dell’Asia Orientale hanno incominciato a
discutere la possibilità di non far affluire il capitale di quelle nazioni
negli Stati Uniti e di trovare alternative al dollaro come moneta di riserva
internazionale. Da un lato all’altro del Medio-Oriente opinioni acutamente
anti-statunitensi sostengono un boicottaggio e la sostituzione del dollaro con l’Euro.
L’UE, mentre cerca di allargarsi e di far crescere il potere della propria
moneta ed economia, è spinta verso conflitti sempre più profondi con gli
interessi statunitensi. Poteri regionali e mondiali tendono a diventare sfere d’influenza
e di controllo. Il guadagno di alcuni è la perdita di altri. Emergono economie
regionali e globali in mutua competizione. Tutte cercano di consolidare le aree
e i mercati sotto il loro controllo e di acchiappare sempre di più, spremendo e
tartassando i sindacati per pagare i costi dell’espansione. La politica
statunitense nell’Iraq ne è un esempio allarmante.
Ciò è reso chiaro da un secondo parallelo storico. Dopo la
Prima Guerra Mondiale, le nazioni capitaliste Europee tentarono di costruire un’economia
mondiale basata sulla cooperazione. Le crisi degli anni 1920 frantumarono questo
sogno. Il declino economico globale minò rapidamente la cooperazione e generò
una violenta competizione. Alla fine, due blocchi opposti, l’Anglo-Franco-Americano-Russo
e il Tedesco-Italiano-Giapponese, distrussero non solo se stessi ma anche i
propri innocenti. Ne seguì una rovinosa distruzione, la seconda Guerra
Mondiale. Per due volte, nel secolo scorso, un’economia nazionale di tipo
cooperativo si ritrovò spinta, essenzialmente dalle contraddizioni interne al
proprio sviluppo, verso un’economia mondiale di tipo competitivo. Dopo un
intervallo temporaneo basato su una unità cooperativa contro il comunismo, una
economia mondiale cooperativa sembra essere in una pericolosa transizione verso
il suo alter ego competitivo. Il risultato non è necessariamente una Terza
Guerra Mondiale. Tuttavia, James Wollsey, un direttore in pensione della CIA, ha
già affermato di credere che la Quarta Guerra Mondiale sia già incominciata -
egli pensa che la Guerra Fredda sia stata la Terza guerra mondiale.
I sindacati, le società e gli attivisti sociali devono
adattare le proprie vedute e programmi conformemente a tali cambiamenti. Le
vecchia forma della globalizzazione sta morendo. I suoi rantoli sono urlati dai
giornali radio-televisivi notturni e messi nelle prime pagine dei quotidiani.
Questi cambiamenti scuotono il terreno su cui si trovano i lavoratori, le
imprese, i sindacati, i partiti politici, gli attivisti sociali e gli stati.
Coloro che non percepiscono o non tengono conto di tali cambiamenti rischiano di
essere colti da una fredda serie di sorprese che minacciano i loro programmi, i
loro fini e forse perfino la loro sopravvivenza.
Per i capitalisti e i loro governi l’economia mondiale è
un luogo pericoloso su cui ci si scontra. La guerra economica tra i blocchi fa
implodere i programmi di sviluppo e cambia le priorità. Il fine di ciascun
blocco è un vitale, forte, impero e questo fine sostituisce il desiderio di
unirsi ad un’unica economia internazionale che massimizzi l’efficienza e il
benessere. Conseguentemente, all’interno di ciascun blocco, le ditte, i
sindacati, e i cittadini dichiarano la propria lealtà allo stato e al blocco.
Le imprese dominanti e i governi cercano di definire la lealtà in termini che
servano i propri interessi. Quindi, “le dure realtà di una economia globale
pericolosamente competitiva” richiedono salari più bassi, tagli alle
pensioni, meno servizi statali, meno tasse sui capitali e più obbedienza. Si
domandano maggiori spese militari e sussidi alle imprese per la “sicurezza
nazionale”. Le spese militari e il mantenimento dell’impero/blocco
richiedono che si taglino altre spese statali. La medesima giustificazione viene
usata anche per la drastica riduzione delle libertà politiche e civili, al fine
di sopprimere la critica (che viene equiparata alla ‘sovversione’). Coloro
che si oppongono alle domande dello stato e delle corporazioni sono visti come
traditori e trattati duramente. Gli USA sono all’avanguardia di tali sforzi.
Bush si muove velocemente verso la mobilizzazione del muscolo
economico e militare, per sottomettre attraverso mezzi finanziari un blocco
subordinato e per controllare fermamente la vita nazionale. Questi sono metodi
classici della costruzione aggressiva e unilaterale di un impero. L’occupazione
militare dell’Iraq indica la via. Il resto del mondo, si batterà per
mantenere una morente e cooperativa economia di libero scambio sotto la guida di
un’America che ha già cambiato i suoi piani per generare un tipo di
globalizzazione nuovo e molto diverso? Quando il terreno dell’economia globale
tremerà, i lavoratori, i progressiti e gli ambientalisti si adatteranno
passivamente e diventeranno politicamente irrilevanti?
La nazioni della UE, la Russia, la Cina, L’India, l’America
Latina e altre nazioni incominciano a reagire al cambiamento di strategia
statunitense. Come è prevedibile, esse cadono nel modello storico dei blocchi
competitivi. La questione quindi è: che fare? Le vittime e gli avversari della
fase cooperativa dell’economia mondiale devono rendersi conto dei rischi e
delle sofferenze comprese nella fase competitiva che sta emergendo. I leader
politici e del mondo degli affari pretenderanno fedeltà e obbedienza. Altri
chiederanno che si ritorni ad un’economia internazionale cooperativa. Né la
vecchia né la nuova globalizzazione saranno utili alle masse e ai popoli.
Cosa dovrebbe essere utile e unificante? Pensiamo che la
risposta sia: un ordine internazionale genuinamente nuovo e differente. Un
sistema che (1) subordini i bisogni delle multinazionali e dei loro stati soci
ai bisogni dell’umanità di stabilità, democrazia economica e politica, e un
ambiente sicuro e (2) elimini lo sfruttamento. Il capitalismo è stato
ripetutamente incapace di mantenere un ordine economico internazionale
cooperativo. L’alternativa razionale che sta emergendo è il socialismo che
può offrire una base di solidarietà e cooperazione. Le odierne realtà,
dolorose e macchiate di sangue, e lo spettro che tormenta il domani richiedono
che si riconsiderino urgentemente le organizzazioni sociali alternative. Non è
ironico che Margaret Thatcher abbia inaugurato una nuova, dolorosa, fase dell’economia
globale dichiarando che tutte le alternative sono morte, per poi produrre le
condizioni che richiedono con forza tali alternative?