Dopo la fine dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno, una riflessione critica sui nuovi strumenti di sviluppo. Sviluppo dal basso o subalternità alla globalizzazione capitalista?
Ciro Annunziata
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5. Gli interventi post alluvione a Sarno
Molti, certamente, ricorderanno i tragici eventi del 5 maggio
del 1998 nei comuni di Sarno, Quindici, Siano e Bracigliano che hanno visto
interi abitati distrutti e la morte di decine di persone, a seguito del distacco
di colate di fango dalle pendici del monte Saro.
All’indomani della tragedia era chiaro a tutti che, seppur
difficilmente prevedibile, essa era il frutto di anni di uso dissennato del
territorio, dove si era privilegiata la crescita espansiva ed incontrollata dell’urbanizzazione,
a scapito di un’oculata gestione dello stesso.
La tragedia di quei giorni doveva e poteva essere una svolta
complessiva delle modalità di gestione del territorio dell’Agro
nocerino-sarnese.
Di quei giorni e di quei morti molto si è detto e scritto.
Poco o nulla si è scritto su cosa, dopo quei giorni, è stato preparato per
rilanciare il cosiddetto “sviluppo” di quelle zone.
Negli stessi giorni in cui si estraevano i morti dalle
macerie, zelanti funzionari di partito, sottosegretari, ed autorità locali
stavano progettando, non la rinascita, ma la definitiva distruzione del
territorio della città di Sarno.
Quella che sarebbe potuta essere il segno di un cambiamento
radicale è diventato un boomerang per le comunità locali, i cui effetti
nefasti purtroppo si vedranno negli anni.
Andiamo per gradi.
Eravamo al tempo dell’ULIVO e l’Agro noverino-sarnese
aveva un suo sottosegretario nel governo Prodi, l’On.le Isaia Sales
(Democratici di sinistra), che era stato il grande tessitore della costituzione
del patto territoriale dell’Agro Noverino-sarnese, la cui presidenza era stata
affidata al Presidente della Provincia, Alfonso Andria (del Partito popolare).
Il risultato di ciò sono state due grandi aree industriali
previste, che si vanno ad aggiungere a tutta una serie di distretti che i
singoli comuni fanno a gare a deliberare, spesso in deroga agli strumenti
urbanistici.
Era inevitabile che in questo contesto, nel momento in cui si
inizia a discutere di rilancio delle attività a Sarno, la prima parola posta
all’ordine del giorno sia stata AREA INDUSTRIALE.
E difatti ecco che dal cilindro del governo viene fuori il
Decreto legge n° 180 dell’11/6/98 (poi convertito in legge) che prevede l’individuazione
di aree per la rilocalizzazione delle attività che hanno subito danni dalle
frane del 5 maggio e per l’installazione di nuove attività produttive (art.
4). La scelta di dette aree di industrializzazione vanno in deroga agli
strumenti urbanistici comunali e sono sottoposti all’approvazione della
Provincia.
Si intuisce facilmente che questa impostazione della legge
dà il via libera agli appetiti speculativi che da anni a Sarno covavano
(ricordiamo che il comune di Sarno negli anni 90 era stato sciolto per
infiltrazione camorristica, proprio per gli appetiti della camorra sul piano
regolatore generale).
La solerzia del Consiglio Comunale e della Provincia non si
è fatta attendere e nel giro di un paio di mesi ecco che gli atti di indirizzo
sono belli e pronti e tutti approvati all’unanimità.
Il risultato è la previsione di una grande area industriale
di 1200000 metri quadri (che si va da aggiungere alle altre due previste dal
patto), che una volta realizzata rappresenterebbe una delle più devastanti
operazioni di distruzione territorio dell’agro nocerino-sarnese da molti anni
a questa parte.
È inutile dire che le aziende che hanno subito danni all’interno
della zona rossa sono un’esigua minoranza (si contano sulla punta delle dita),
rispetto alle decine e decine che hanno chiesto ed ottenuto i suoli per l’ubicazione
delle attività.
Solo qualche timida opposizione da parte di un paio di
associazioni, ma niente di serio. Del resto non è politicamente corretto
attaccare un’operazione voluta dal Presidente del patto territoriale, che sta
elargendo contributi proprio a quei soggetti sociali che avrebbero il compito di
contestare questo grande scempio.
Coloro che, spesso da soli e sostanzialmente guardati come
marziani, cercano in ogni occasione di ragionare su di uno “sviluppo”
diverso del territorio, contestando l’area industriale, oggi pongono l’accento
su due argomenti: la tutela del suolo agricolo dell’Agro nocerino-sarnese e il
rischio idraulico da cementificazione del territorio.
Il terreno dell’Agro nocerino-sarnese rappresenta uno dei
suoli più fertili d’Europa. In nessuna parte d’Europa, se non al mondo, si
riescono ad ottenere 3-4 raccolti all’anno, con una facile lavorabilità del
terreno, che non richiede un grosso dispendio di energie e di macchine. Il
segreto di tale ricchezza risiede nella natura del terreno, che è costituito da
strati successivi di origine vulcanica e alluvionale. In tutti i trattati di
agronomia, la peculiarità della fertilità dei terreni dell’Agro
nocerino-sarnese è sottolineata ed apprezzata. La continua cementificazione del
territorio sottrae una ricchezza di valore inestimabile, che oggi rispetto alle
logiche di mercato ha un basso valore (valore di scambio), ma che un domani
potrebbe essere fonte di ricchezza fondamentale per le comunità locali (Valore
d’uso).
1200000 metri quadri significano 120 ettari di suolo
fertilissimo, che scompariranno per sempre e con esso le tante piccole aziende
agricole che ancora resistono agli effetti nefasti della globalizzazione sui
prezzi dei prodotti agricoli. Le tante piccole aziende rappresentano comunque un
giacimento occupazionale tra il formale e l’informale, a metà tra mercato e
autoproduzione, che i signori dello sviluppo industriale non hanno per niente
tenuto in considerazione.
Per quanto riguarda il rischio idraulico, stiamo assistendo
negli ultimi anni ad un aumento del numero di eventi alluvionali (esondazione
dei fiumi e dei torrenti). L’anno scorso a Nocera Inferiore a seguito dell’esondazione
del torrente Solofrana un intero quartiere è stato isolato ed un miracolo ha
impedito che ci scappasse il morto.
L’assetto idraulico dell’Agro Noverino-sarnese è
estremamente delicato, fatto di canali, fossi e torrenti che poi scaricano nel
fiume Sarno, e la cementificazione di questi anni ha amplificato fenomeni che,
seppur naturali, avvenivano con periodicità decennali. Siamo passati da un
evento alluvionale ogni 15/20 anni, ad 1-2 eventi all’anno. L’acqua piovana,
che normalmente si dovrebbe infiltrare nel terreno rimpinguando le falde
acquifere, viene invece “intrappolata” dal cemento e dall’asfalto e
convogliata nelle condotte fognarie che scaricano in torrenti e fiumi, che non
sopportano una tale enorme quantità di acqua.
Nella gestione corretta di un territorio questi argomenti non
possono essere elusi. Nelle previsioni delle espansioni industriali e urbane
nell’Agro, non c’è nessun riferimento serio e tecnicamente valido a questi
temi che, se non posti al centro della riflessione, porteranno alle nostre
popolazioni ulteriori danni, e purtroppo non solo economici.
6. Il sud oltre il governo della globalizzazione
In queste note ho voluto dare degli input per far comprendere
come le politiche, soprattutto dei governi di centro-sinistra, rispetto al sud
siano miseramente fallite o stanno per fallire, in quanto hanno agito all’interno
della globalizzazione neoliberista (e purtroppo non poteva essere altrimenti),
Per ripartire da sud e cercare un modello che dia benessere
alle popolazioni meridionali in cooperazione e non in competizione con le altre
aree del paese e con gli altri popoli, bisogna uscire dalla logica liberista.
Certamente servono strumenti di lungo periodo che fanno perno
su di una pianificazione decentralizzata a livello municipale ed inter
municipale, e su nuovi indicatori di benessere che non possono essere ridotti
esclusivamente al PIL e che tengano conto del benessere sociale, della qualità
della vita e dell’ambiente.
In linea del tutto non esaustiva indico dal mio punto di
vista alcune ipotesi operative anche di breve periodo per attuare strumenti
politico-economici che affrontino il problema sud da un versante opposto
(antagonista) rispetto a quello liberista
- Attuazione di strumenti di reddito garantito (Redditi
Sociale minimo) per permettere una conflittualità più efficace sul terreno
dei nuovi diritti da conquistare lavorando per la normatizzazione del reddito
di cittadinanza (nessuno individuo può essere lasciato senza i mezzi minimi
di sopravvivenza)
- Costituzione di banche cooperative locali pubbliche o
strutture di microcredito su base comunale ed intercomunale che finanzino, non
in regime di finanziarizzazione e massimizzazione dei profitti, un altro
modello di sviluppo basato su una riconversione ecologica delle produzioni, su
strumenti di mutuo appoggio, sulle piccole realtà di produzione agricola e
artigianale
- Favorire la produzione di energie rinnovabili, in modo da
arrivare nel corso del tempo ad un’autonomia energetica del sud......il sole
non manca. È importante costituire società pubbliche su base intercomunale
per la produzione e distribuzione di questa energia
- Impedire l’ingresso delle multinazionali nelle gestione
dei beni comuni (terra, acqua, energia)
- La cura del territorio (riforestazione,
decementificazione dei corsi d’acqua, monitoraggio ambientale di acqua,
terra e aria) come giacimento occupazionale futuro
- Pensare a nuove istituzioni facenti perno su MUNICIPI
AUTORGANIZZATO E ALTERNATIVI
- Favorire la crescita e lo sviluppo di monete locali (sull’esempio
dei lets inglesi o i club de treque argentini) per aumentare l’autosufficienza
delle comunità locali
Rispetto a ciò che può essere una inversione di tendenza
della Politica sociale verso il mezzogiorno assume importanza nel breve la
erogazione di forme di reddito garantito, che può trovare uno strumento
efficace nella proposta di legge di iniziativa popolare sul Reddito Sociale
Minimo, che è stata fatta propria da molti parlamentari.
Cercherò di illustrare brevemente quali possono essere gli
effetti di tale strumento.
7. Nuovi strumenti per la politica sociale del Mezzogiorno (e non solo):
Reddito Sociale Minimo
La politica del cosiddetto “sviluppo” ha creato
distruzione del territorio (le famose cattedrali nel deserto - Bagnoli, Gioia
Tauro, Melfi ecc.) con sperpero di ingenti risorse pubbliche. Il dramma della
precarietà e della disoccupazione rimane sostanzialmente non risolto, e come ho
cercato di dimostrare, le soluzioni proposte alla cosiddetta globalizzazione dal
basso dei patti territoriali non hanno apportato i benefici promessi.
Occorre cambiare registro e prospettiva, e senza per forza
avere una visione antagonista e rivoluzionaria si può assumere come grimaldello
di un cambiamento reale nella politica sociale dell’Italia e del Mezzzogiorno,
proprio lo strumento del Reddito Sociale Minimo. Grimaldello non
significa dare a questo strumento una visione salvifica, ma solo l’elemento di
una precondizione per costruire modelli di società che siano equi, solidali ed
ecologici.
Reddito Sociale Minimo significa elargire una somma in denaro
(oltre a strumenti di tarriffazione sociale) a soggetti che si trovano in
condizione di disoccupazione o di precarietà lavorativa.
Molto si può discutere da un punto di vista teorico se un
tale strumento sia interno o meno alla logica lavorista (vedi dibattito su
salario sociale e reddito di cittadinanza), ma qui il punto diventa quello di
individuare percorsi politici concreti ( e non solo teorici) per conquistare
nuovi diritti rispetto all’offensiva neoliberista.
Il mezzogiorno può essere un vero banco di prova sulla
utilità di questo strumento. Nel Sud l’emigrazione verso il nord non si è
mai fermata, e tanti giovani spesso laureati sono costretti ad andare al Nord,
nelle oasi “felici” del liberismo, impoverendo il tessuto sociale che invece
ha bisogno di nuove energie, pena la morte fisica di interi territorio.
Questo fuggire verso lo sviluppo di intere generazioni, porta
come conseguenza che la politica locale sogni questo miraggio attraverso questa
equazione: se i nostri giovani fuggono verso lo sviluppo del nord alla ricerca
di un lavoro dignitoso e di reddito, allora costi quel che costi bisogna portare
al sud, nel locale questo sviluppo. Risultato: devastazioni ambientali,
alimentazione di clientele e accumulazione dei soliti noti (vedi Sarno).
Proverò ad elencare alcune degli effetti più importanti che
potrà avere uno strumento come quello del Reddito Sociale Minimo in una nuova
politica sociale per il mezzogiorno:
- Dignità del lavoro - Avere uno strumento di
dignità esterno al mondo del lavoro permette di non cedere al ricatto di
accettare qualsiasi lavoro in qualsiasi condizione lavorativa pur di ottenere
un reddito. Si potranno scegliere lavori più dignitosi e/o gratificanti senza
che il loro rifiuto significhi cadere in uno stato di emarginazione
- Tenuta delle comunità locali - I giovani che
fuggono al nord, spesso si ritrovano ad avere lavori adeguatamente remunerati,
però in condizioni logistiche (casa, rapporti sociali) molto precari, senza
considerare che il più alto costo della vita al nord non permette ai nuovi
emigranti un livello di vita accettabile. Il reddito sociale minimo potrebbe
favorire la possibilità di questi giovani di rimanere al sud, dove esistono
vincoli sociali e comunitari che permettono una vita dignitosa, anche in
presenza di guadagni non elevati. Senza contare che queste energie sociali ed
intellettuali divengono importanti nella crescita delle comunità locali che
così si vivacizzano, non andando incontro a fenomeni di marginalizzazione
sociale
- Crescita del conflitto sociale. Questo effetto non
è detto che sia conseguenziale, ma è certo che la presenza di garanzie di
base universali, permetta di uscire dalla condizione di ricatto e costruire
reti di rivendicazioni di nuovi diritti, che solo attraverso una
conflittualità diffusa e reticolare potrà portare a veri cambiamenti
strutturali
- Crescita di reti di reti di produzione e consumo
ecologiche, non mercificate e solidali - Quella della costruzione di
alternative concrete al modello neoliberista è un vero banco di prova. La
nuova società che vogliamo costruire, bisogna provarla ad immaginare anche
nel piccolo: uguaglianza, pianificazione ecologica, orizzontalità vanno
verificati in processi di autorganizzazione che provino a costruire un’altra
economia. Il reddito sociale minimo può favorire questo processo, perché
garantisce garanzie minime di sopravvivenza a chi si impegna in questi settori
al limite fra l’economico e il sociale, senza che queste esperienze vitali,
cadano nella morsa del mercato selvaggio.
- Pianificazione ecologica degli interventi sul
territorio. Da più parti si parla di riconversione ecologica dell’economia,
se però questa idea rimane vincolata alla favola dello “sviluppo”
liberista rimarrà sempre e solo un miraggio. Riconversione ecologica
significa lentezza (valutare bene cosa e come fare), significa pianificazione,
significa partecipazione delle comunità locali. Il reddito sociale minimo
permette di uscire dalla logica di ottenere il più possibile subito. Gli
amministratori locali si piegano spesso alle più brutali devastazioni del
territorio, perché, spesso in buona fede, non vedono altri strumenti o altre
modalità per assicurare reddito alle proprie popolazioni. Il reddito sociale
minimo potrebbe permettere a chi amministra di scegliere con cautela gli
interventi sul territorio, favorendo quelli che prevedono una riqualificazione
ambientale degli stessi. Non sempre viene colta in Italia nel dibattito in
corso la diretta relazione tra emergenza ambientale e prospettiva del reddito
garantito, ed in questa direzione bisognerà trovare dei percorsi di
approfondimento, magari guardando a ciò che succede in altri paesi, per
esempio in Germania, dove vasta parte dell’ambientalismo di questo paese ha
assunto il reddito garantito come uno degli assi portanti per la prospettiva
di un’economia ecologica.
La nuova stagione del movimento, inaugurata con le
contestazioni al WTO a Seattle, ha dato speranza, nonostante l’offensiva
liberista, per un cambiamento sociale e la prospettiva di nuovi diritti. Il sud
dell’Italia con le sue mille contraddizioni può diventare il laboratorio
della prospettiva di una società diversa.
Gli strumenti di reddito garantito possono aiutare, oltre a
liberare le persone dalla mercificazione e dallo sfruttamento, determinando le
basi per un cambiamento complessivo.
Ovviamente niente verrà regalata e il movimento e le lotta
per questo diritto sono quanto mai necessari.