La riforma del trasporto pubblico locale
Giuseppe Baldassarri
La spinta riformista nel comparto del trasporto pubblico
locale ha radici molto profonde nella tradizione normativa del nostro Paese ed
è sintomatica di una evoluzione quasi biologica dei fondamenti
costituzionali [1] e delle intuizioni programmatiche delle politiche governative.
Questa nuova e moderna impostazione si realizza snellendo la
procedura normativa: la delega [2] che il Parlamento consegna al Governo, implica il
trasferimento di poteri amministrativi, patrimoniali e di programmazione [3] alle Regioni ampliandone le
attribuzioni costituzionali [4] e coinvolgendole
direttamente nei processi decisionali. |
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1. Il trasporto pubblico locale nei documenti di programmazione.
Prima di entrare nel merito della evoluzione normativa che ha
interessato questo comparto presentiamo una breve sintesi dei riferimenti al
settore che sono contenuti nei documenti programmatici prodotti nel nostro
Paese.
a) Dallo schema Vanoni al Progetto ’80.
La necessità di razionalizzare lo sviluppo urbanistico e di
organizzare la geometria delle aree urbane in un piano che fosse coerente e
armonico con l’incremento della popolazione delle aree metropolitane, portò,
già nel primo dopoguerra, ad affrontare il problema della mobilità all’interno
del perimetro cittadino: nel 1955, l’allora Ministro delle Finanze Vanoni
presentò in Parlamento un progetto, in senso moderno, di ricostruzione dei
sistemi infrastrutturali presenti sul territorio, che veniva finanziato con le
risorse messe a disposizione dal Piano Marshall, e che conteneva un abbozzo
circa la configurazione della potenziale domanda di trasporto delle categorie
deboli.
L’esigenza di condurre in modo ordinato il processo di
sviluppo economico si consolida agli inizi degli anni ’60: la nota aggiuntiva
al Bilancio del 1962 dell’On. Ugo La Malfa costituisce il primo tentativo
ufficiale per avviare la programmazione economica nel nostro Paese, seguita
pochi anni più tardi, era allora Ministro del Bilancio Pieraccini, dal Piano
Quinquennale 1966-1970. Alla fine degli anni ’60, era Ministro del Bilancio
Giolitti e Segretario Generale alla Programmazione Economica l’On. Ruffolo,
nell’intento d’interpretare i bisogni e le aspirazioni della società
italiana nella prospettiva degli anni ’80, il Governo presentò al Parlamento
le opzioni relative al Piano Quinquennale 1971-1975: il documento preliminare,
ormai noto come Progetto ’80, [5] che
descriveva le linee d’indirizzo, i tempi e gli obiettivi per lo sviluppo dell’economia
nel nostro Paese, dedicava circa 15 pagine alla formazione dei sistemi
metropolitani prevista per gli anni ’80 e altre 10 pagine ai criteri generali
per una politica delle comunicazioni che, a fronte di una elevata previsione di
crescita della domanda di trasporto sia viaggiatori che merci, sottolineava la
necessità di adeguare le infrastrutture di trasporto al fine di garantire i
collegamenti :
• internazionali,
• fra sistemi metropolitani (rete primaria),
• interni ai sistemi urbani (rete metropolitana).
Ma, in questo quadro programmatico, ciò che più interessa,
è l’ipotesi di assegnare al trasporto su ferro una valenza risolutiva dei
problemi di traffico anche nelle aree urbane: «... le comunicazioni all’interno
dei sistemi metropolitani si potrebbero basare soprattutto su ferrovie
metropolitane veloci, ad alta frequentazione e a elevato grado di automazione...»;
e ancora:»... data la funzione prevalente delle ferrovie nel sistema
nazionale di lunga e media distanza, occorrerebbe provvedere all’assorbimento
ed alla conversione di tutte le linee minori, di importanza locale, nel nuovo
sistema di ferrovie metropolitane ad alto livello di servizio. Tale assorbimento
dovrebbe rispondere ai requisiti di funzionalità richiesti da un nuovo assetto
metropolitano...».
La scelta intuitiva di assegnare alla rotaia una funzione
risolutrice nei problemi di traffico delle aree urbane era dunque già sentita
alla fine degli anni ’60 e ha, nel tempo, consolidato le argomentazioni e il
consenso a suo favore. [6]
b) Il quadro di riferimento per il Piano Generale dei Trasporti (1976).
«... L’esigenza di realizzare un metodo programmatorio nel
settore dei trasporti scaturisce non soltanto da una annosa domanda di
orientamento dei fatti economici, ma dalla necessità di dare all’azione della
mano pubblica una ordinata coerenza con gli obiettivi più generali di sviluppo
in un settore che assorbe risorse finanziarie sempre più rilevanti a tutti i
livelli di spesa sia centrali che periferici... Ed è in questa prospettiva,
nell’intento di assicurare migliori condizioni di mobilità, che nel piano
regionale deve vedersi privilegiato il trasporto pubblico collettivo. Come
strumento essenziale soprattutto per la risoluzione dei complessi problemi di
pendolarità. Un servizio pubblico davvero efficiente può determinare quell’inversione
di tendenza, oggi generalmente invocata, che porti l’utente a servirsi del
mezzo pubblico. Solo in tal modo può trovare giustificazione il ruolo
privilegiato da assegnare al trasporto pubblico...»: le linee guida insite
nella premessa al PGT del 1976 configurano il quadro di riferimento sviluppato
da Il Libro Bianco: i trasporti in Italia edito nel 1977, che nel
paragrafo dedicato al PGT introduce il concetto del ruolo che le Regioni possono
assumere nel raccogliere, organizzare e sviluppare le informazioni quale
espressione della realtà e delle aspettative di sviluppo locale e regionale.
Del resto l’idea del Governo di coinvolgere gli enti locali nella redazione
dei piani regionali rispondeva all’esigenza emersa nel corso della Conferenza
sui Trasporti svoltasi a Bologna il 14 e 15 maggio ’76, dove le Regioni
sostennero con vigore la propria necessaria presenza in qualunque sede si
fossero discussi i problemi legati alle carenze infrastrutturali e organizzative
dei servizi di trasporto; e, da qui, la rivendicazione all’elaborazione del
PGT.
c) Il documento di piano del 1986.
Il 10 aprile 1986 viene approvato il PGT [7] così come previsto dalla legge 15 giugno 1984,
n°245, nel quale, però, non vengono fatti significativi passi avanti nello
sviluppo dei programmi di riorganizzazione del trasporto pubblico d’interesse
locale e regionale: il processo d’integrazione ferro/gomma sia per i servizi
regionali extraurbani, sia per quelli operanti all’interno delle aree
metropolitane rimane, dopo l’intuitivo incipit del Progetto ’80,
in una fase statica [8], che vedrà una svolta determinante solo con la
promulgazione della legge Bassanini nel marzo del 1997.
d) Documento di aggiornamento del PGT (1991).
Dalla lettura del documento di aggiornamento del Pgt,
aggiornamento effettuato nel 1991, nella parte relativa al trasporto urbano
emerge chiaro che si è dovuti giungere agli inizi degli anni novanta per vedere
maturata l’idea della priorità urbana per il sistema dei trasporti del nostro
Paese: è quanto ripeteva in modo quasi ossessivo il compianto prof. Mario del
Viscovo ed è quanto ha recepito in modo ufficiale il Ministero dei Trasporti
rendendola esplicita in questo documento di aggiornamento:
...«lo sviluppo dell’economia dei servizi
caratteristico della società post-industriale ha determinato un aumento della
domanda di mobilità nell’urbano più che proporzionale rispetto a quello già
fortissimo che circa quattro anni or sono poteva prevedersi. La situazione è
giunta ad uno stadio che non sembra eccessivo definire drammatico. Il problema
della mobilità a livello locale è diventato primario non solo nelle grandi
aggregazioni metropolitane, ma via via nei centri minori, ...omissis... non va
infatti dimenticato che nelle medie e nelle grandi concentrazioni urbane è
ubicato il 55% della popolazione, ha sede il 70% dell’attività produttiva, si
svolge l’80% dei processi di movimentazione delle merci. Da qui la rilevanza
...che la cosiddetta questione urbana, finora relegata ad un rango meramente
localistico, è venuta ad assumere a livello nazionale.»
Accanto alla centralità del problema dei sistemi
metropolitani il documento di sintesi segnala una opportunità per gli Enti
Locali di risolvere l’emergenza mobilità urbana facendo perno sulle
infrastrutture ferroviarie. Infatti il documento di sintesi a pag. 46 così
recita:
...» tuttavia esistono anche all’interno delle aree
centrali urbane infrastrutture, soprattutto ferroviarie, che adottando nuovi
modelli funzionali di esercizio, possono contribuire allo smaltimento dei flussi
di traffico. In tutti e due i livelli considerati il problema è anzitutto
infrastrutturale: il contenimento (ma sarebbe più opportuno parlare di drastica
riduzione) del trasporto veicolare privato si può perseguire potenziando il
trasporto pubblico. E questo è ottenibile soltanto creando reti di trasporto
separate e indipendenti, condizione necessaria per raggiungere velocità
commerciali accettabili dall’utenza».
e) La Conferenza Nazionale dei Trasporti del 1998 [9].
Il tema della mobilità urbana e extraurbana,
affrontato nel corso dei lavori della conferenza, a cui hanno partecipato i
Ministri dei LL.PP., dell’Ambiente e dei Trasporti, ha avuto il merito di
aprire il capitolo “strategie” sulla riforma del TPL; riforma che è
foriera di una volontà politica e istituzionale assolutamente innovativa. Su
tale riforma il Ministro si è soffermato, conscio della portata storica del
provvedimento, che chiude la prima parte dell’evoluzione programmatica che la
materia dei trasporti d’interesse locale e regionale ha avuto nel nostro
Paese, e che contiene una serie di precisi e irrinunciabili appuntamenti che
coinvolgono direttamente o indirettamente i cittadini, gli operatori economici e
le rappresentanze politiche e istituzionali.
[1] L’articolo 16 della Costituzione sancendo che «Ogni
cittadino può circolare ...liberamente in qualsiasi parte del territorio
nazionale...», salvo deroga imputabile a motivi di sanità e sicurezza,
configura il diritto di mobilità, che se pur generico, pone a carico dello
Stato l’onere di costituire le condizioni di diritto e di fatto ad esso
conseguenti.
[2] Vd. art. 4 co. 4 della legge 59/97, (nota come
legge Bassanini).
[3] Vd.
art. 6 dlgs 422/97, (noto come decreto Burlando).
[4] L’articolo 5 della Costituzione sancisce che: «La
Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali; ampia
nei servizi che dipendono dallo Stato il più ampio decentramento
amministrativo; adegua i principi ed i metodi della sua legislazione alle
esigenze dell’autonomia e del decentramento».
[5] Nel documento è contenuta, in una
prospettiva fortemente moderna, una positiva valutazione del progetto d’integrazione
europea, che si concretizza nell’adesione al Trattato di Roma del 1957.
[6] Questo tipo di impostazione è comune alla quasi
totalità delle realtà metropolitane, sia dei Paesi occidentali, che di quelli
in via di sviluppo; in via esemplificativa segnaliamo un interessante articolo
apparso su Le Monde Diplomatique del dicembre 1997 dal titolo La
ruineuse maladie du tout-routier formula che evidenzia come il c.d. tutto
strada non possa più essere considerato una soluzione ai problemi di
traffico.
[7] Vd Suppl. Ord. G.U.
15 maggio 1984, n°111.
[8] Vd. i §§ 52 e 54, rispettivamente I provvedimenti nel
settore dei trasporti locali e I provvedimenti prioritari concernenti le
aree urbane (op. cit.).
[9] Svoltasi a Roma il 7 e l’8
luglio 1998.