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La transizione difficile

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Federico Merola
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Esperto di finanza strutturata internazionale e docente di Statistica Economica alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università delle Tuscia di Viterbo

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Gli attuali mercati finanziari sono in grado di intermediare adeguatamente il futuro previdenziale dei lavoratori? I problemi del mondo del risparmio gestito

Federico Merola

La redazione di “Proteo” è lieta di pubblicare l’articolo del dott. Federico Merola. Si tratta di un lavoro che ha il merito di indicare con grande chiarezza i problemi strutturali del mondo del risparmio gestito. Questo contributo è importante perché pone in evidenza, attraverso un analisi svolta “dall’interno”, a quali rischi si andrebbe incontro affidando le pensioni dei lavoratori alla previdenza integrativa ed ai fondi pensione privati. Le RdB e Cestes-”Proteo” hanno sempre sostenuto la necessità di difendere il sistema previdenziale pubblico, in quanto l’unico in grado di garantire equità e sicurezza di trattamento pensionistico per i lavoratori. Abbiamo difeso le ragioni della previdenza pubblica con coerenza: ieri contro la “riforma Dini”, oggi contro l’attacco lanciato dal Governo Berlusconi. L’analisi contenuta in queste pagine costituisce un’ulteriore riprova della giustezza delle nostre posizioni e dell’importanza della nostra lotta culturale e sindacale.

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1. Il crescente legame tra sistema previdenziale e mercati finanziari

La recente cronaca italiana ha portato alla ribalta due grandi temi che di rado sono stati adeguatamente messi in relazione: il sistema previdenziale e le criticità strutturali dei mercati finanziari. Benché non sempre percepito, esiste tra questi due aspetti un legame profondo e crescente. Collegare questi argomenti diventa quindi essenziale per capire una dialettica economica e sociale che potrebbe prolungarsi per molti anni a venire.

2. La nuova riforma delle pensioni al cospetto del preesistente “vuoto previdenziale” e del mancato sviluppo di adeguate soluzioni compensative

Sono molti gli aspetti criticabili della recente riforma previdenziale portata avanti dall’attuale Governo. In linea generale si tratta di un provvedimento socialmente inaccettabile se si guarda alla politica economica e dei redditi posta in essere dalla maggioranza. In termini più analitici le forze sindacali hanno ampiamente rappresentato - nonostante le oggettive difficoltà di trovare adeguati “canali di trasmissione del pensiero”- le principali forzature che sono dietro una manovra presentata come ineluttabile. Uno degli aspetti più rilevanti di queste argomentazioni è che, per dirla in parole semplici, in Italia avevamo già dato. Significative riforme del sistema previdenziale erano state approvate a più riprese nel corso degli anni ‘90, con sostanziali benefici immediati e prospettici per i conti pubblici. Anche se i dati dell’INPS sono stati secretati, tanto per rendere ancora più difficile un confronto democratico che già soffre di numerose limitazioni, i trend sono noti da tempo. Leggendo, ad esempio, il Sole 24 Ore degli ultimi tempi è stato più volte possibile rilevare un interessante dato quantitativo: il rapporto tra spesa previdenziale e PIL cresce in tutta Europa fino a raggiungere il massimo intorno al 2030, ma l’Italia, che attualmente non è messa molto bene, grazie alle riforme già realizzate è attesa a quella data come uno dei paesi più virtuosi del vecchio continente, almeno stando ai regimi attualmente in vigore. E questo nonostante il fatto che la spesa previdenziale italiana contenga ancora oggi significativi elementi assistenziali, che pongono quindi a carico della contribuzione costi che più propriamente dovrebbero essere di pertinenza della fiscalità generale. Possiamo quindi dire che significativi risultati nel contenimento della spesa pensionistica li abbiamo già conseguiti. Non possiamo purtroppo dire che in parallelo abbiano trovato adeguata realizzazione anche le soluzioni “compensative” promesse tra le quali in particolare lo sviluppo di una previdenza complementare collettiva (“fondi pensione”).

3. I limiti della previdenza complementare collettiva e le criticità strutturali dei mercati finanziari

In materia di previdenza complementare collettiva sono oggi maturate alcune importanti consapevolezze, che potremmo sintetizzare nel modo seguente:

- In Italia solo pochi lavoratori dispongono attualmente di schemi pensionistici collettivi complementari, nonostante il fatto che molti lavoratori abbiano già subito da anni una significativa riduzione delle proprie aspettative previdenziali (la riforma Amato è del 1992 e quella Dini del 1995). Peraltro in un contesto in cui i contributi a carico di lavoratori e aziende non hanno subito corrispondenti abbattimenti. Sono molte le possibili ragioni di questa circostanza. Quello che conta però è che per un motivo o per l’altro la maggior parte dei lavoratori è ancora scoperta nei confronti di un “vuoto previdenziale” che si è già determinato da tempo e che, purtroppo, in molti casi sarà percepito correttamente solo al momento del pensionamento;

- C’è oggi una generale presa di coscienza circa il fatto che uno schema pensionistico complementare ha prestazioni incerte. Non solo, quindi, non garantisce più i precedenti livelli di previdenza pubblica, ormai aboliti, ma integra in misura imprevedibile l’attuale ridotta prestazione dello Stato. Le prestazioni dei fondi pensione, infatti, dipendono essenzialmente dal rendimento degli investimenti nonché dalle politiche seguite per evitare iniquità tra le diverse “generazioni” di iscritti. I fondi a contribuzione definita possono quindi offrire prestazioni previdenziali ridotte mentre quelli “a prestazione definita” - comuni in paesi come Stati Uniti e Gran Bretagna - non sono sempre in grado di mantenere le promesse di “certezza pensionistica”, com’è accaduto spesso negli ultimi anni, oppure per poterlo fare potrebbero aver bisogno di significative integrazioni contributive;

- La cronaca recente ha altresì evidenziato che i fondi pensione talvolta non sono in grado di assicurare neanche una prestazione previdenziale minima. Si tratta di una circostanza legata essenzialmente al fallimento di aziende che controllano i flussi previdenziali complementari dei propri dipendenti e - in presenza di profili di tutela evidentemente inadeguati - li trascinano nella loro generale disgrazia (sono molti gli esempi di questo tipo, dal caso Maxwell nell’Inghilterra fine anni ‘80 al più recente caso Enron negli Stati Uniti).

Accanto a questi aspetti cruciali, sicuramente già sufficienti di per sé a suggerire maggiore cautela nel proporre ulteriori modifiche alla previdenza pubblica, ritengo che debba esserne evidenziato un altro: quello delle “criticità strutturali dei mercati finanziari e del risparmio gestito”. Se, insomma, le aspettative previdenziali dei lavoratori passano sempre di più per i mercati finanziari, i profili di tutela necessariamente si spostano anche in quel settore. Ebbene, proprio il settore finanziario ha evidenziato negli ultimi anni preoccupanti limiti strutturali sui quali sarebbe necessario intervenire nell’interesse generale dell’economia, oltre che del futuro previdenziale dei lavoratori. In attesa che questo accada - e sicuramente ci vorrà tempo per scardinare la resistenza delle lobby finanziarie - è intanto prioritario che i lavoratori comincino ad utilizzare la loro naturale possibilità di aggregazione per forzare un rapido cambiamento delle regole del gioco, attraverso i pochi fondi pensione esistenti e un maggiore dialogo con le autorità di governo e vigilanza.

4. La recente crisi dei mercati finanziari come crisi strutturale di funzionamento del sistema

Partiamo da alcune considerazioni di base:

- L’attuale crisi dei mercati finanziari deriva solo in parte dal negativo andamento dell’economia reale, dipendendo in realtà da significative criticità interne al settore del risparmio gestito e dei mercati finanziari che la crisi economica - spesso utilizzata come alibi - ha messo in luce più chiaramente. Non siamo, insomma, semplicemente di fronte ad una crisi di quotazioni legata alle generalizzate difficoltà aziendali o alle conseguenti minusvalenze finanziarie ma, più propriamente, ad una vera e propria crisi delle regole che governano i mercati finanziari, il comportamento degli operatori e i meccanismi di sollecitazione e tutela del pubblico risparmio;

- Lavoratore, consumatore e risparmiatore sono le tre principali prospettive che lo stesso cittadino assume nella propria dimensione economica. E sono, quindi, i tre profili di tutela che occorre garantire ad ogni cittadino in quanto parte debole rispetto ad interessi forti ed organizzati. Tuttavia, mentre la tutela del lavoratore ha una consolidata tradizione e quella del consumatore si è conquistata recentemente maggiori spazi, la tutela del cittadino in quanto risparmiatore è ancora ferma all’anno zero. E questo nonostante il fatto che ormai il risparmio è un importante fonte di sostentamento per le famiglie, in ragione della crescente funzione integrativa del reddito spendibile e quale elemento di previdenza complementare privata, collettiva tramite i fondi pensione (secondo pilastro) e individuale attraverso altri strumenti dedicati (terzo pilastro);

- L’esigenza di una maggiore tutela del risparmio è peraltro aggravata dal fatto che oggi in Italia sono presenti forti poli di concentrazione economico-finanziaria, spesso incentrati su rendite di posizione monopolistiche o oligopolistiche che limitano fortemente la dialettica di mercato e i meccanismi automatici di controllo diffuso.

Per mantenere un approccio propositivo, doveroso nell’interesse di tutti quei lavoratori che comunque non hanno più già oggi un’aspettativa previdenziale pubblica soddisfacente, occorre quindi mettere a fuoco i problemi e le soluzioni che potrebbero contribuire ad un migliore funzionamento dei mercati finanziari.

5. Alcuni episodi come sintomo di un problema più ampio

Nel corso degli ultimi anni si sono verificati in Italia e in altri paesi occidentali numerosi episodi che hanno fortemente compromesso la fiducia e la credibilità del sistema finanziario e del comparto del risparmio gestito, evidenziando criticità di natura strutturale. A mero titolo di esempio, e senza alcuna pretesa di esaustività, basti ricordare nel nostro Paese casi come:

- I default delle obbligazioni argentine e delle obbligazioni della Cirio, vendute dalle banche ai piccoli risparmiatori anche quando gli analisti avevano già segnalato il degrado della qualità del debitore (o peggio cedute dalle stesse banche ai propri fondi comuni senza che i sottoscrittori se ne potessero neanche rendere conto);

- La scoperta da parte di Consob di operazioni illegittime tra diversi fondi di una medesima SGR, effettuate al fine di condizionare il rendimento di tali fondi, con la conseguenza di danneggiare arbitrariamente alcuni sottoscrittori a beneficio di altri;

- L’imperfetta rappresentazione del contenuto di prodotti finanziari complessi collocati presso il pubblico dei piccoli risparmiatori retail, che configurano una vera e propria truffa finanziaria (caso My Way);

- Il crescente squilibrio in termini di governo societario tra la pletora dei piccoli azionisti da un lato e il management, gli azionisti di riferimento e le banche creditrici dall’altro, che si evidenzia soprattutto nelle situazioni di crisi aziendale o di operazioni straordinarie (es. si pensi ai casi Cirio, Fiat e Generali-Mediobanca ad esempio);

- La forte asimmetria di “corporate governance” nel settore dei risparmio gestito, dove sottoscrittori che sono sostanzialmente azionisti vengono trattati persino peggio degli obbligazionisti di una normale società per azioni.

A questi esempi occorrere aggiungere il fatto “silenzioso”, ma altrettanto reale e concreto, dei numerosi prodotti commercialmente iniqui nel rapporto rischio-rendimento-governance collocati sul mercato dei piccoli risparmiatori. Prodotti che magari non hanno evidenziato alcuna problematica ma che per la loro iniquità complessiva non sarebbero mai stati sottoscritti da investitori qualificati. In questo ambito rientrano anche comportamenti ampiamente diffusi benché molto poco etici, come il cambiamento arbitrario e unilaterale di elementi fondativi del contratto (si pensi ad esempio all’aumento delle commissioni di gestione, anche in presenza di risultati inadeguati, o al cambiamento “in corsa” del rapporto rischio-rendimento di un fondo comune che non ha raggiunto le performance minime prefissate).

6. Il caso americano

Sostanziali elementi di criticità sono emersi nel funzionamento dei mercati finanziari di quasi tutti i paesi occidentali, a cominciare dagli Stati Uniti d’America. L’esempio americano si è proposto all’attenzione generale innanzitutto con il caso Enron e gli altri clamorosi comportamenti spregiudicati da parte di imprese, società di revisione e banche d’affari, favoriti da una regolamentazione inadeguata e una vigilanza insufficiente. Successivamente, una serie di scandali finanziari hanno aperto la breccia su criticità endemiche del sistema creditizio e, più recentemente, hanno minato la credibilità del comparto del risparmio gestito. In prima battuta l’esempio americano ha portato in evidenza le seguenti principali problematiche:

- Regole di Corporate Governance inadatte ad allineare l’interesse dei piccoli azionisti con quello dei creditori, dei soci rilevanti e del management. All’eccessivo potere di gestione del management o degli azionisti di controllo delle imprese - spesso condizionato da obiettivi di breve periodo - si contrappone infatti un modesto potere di verifica degli azionisti di minoranza, dei risparmiatori e dei mercati (“weak owners, strong managers”);

- Il problema oggettivo dei numerosi conflitti d’interesse esistenti all’interno del sistema economico e finanziario (banche, società di revisione, ecc.) e la fragilità dei presupposti fiduciari del risparmio gestito in un generale contesto di eccessive deleghe di gestione, asimmetrie di governance e scelte condizionate da numerosi e spesso poco visibili conflitti di interesse delle società e/o del management;

- Il crollo dell’etica del business delle banche d’affari americane, favorito dalla globalizzazione e deregolamentazione delle attività che ha agito a danno del piccolo risparmiatore e dell’intera credibilità del mercato;

- La diffusa tendenza alla “contabilità creativa”, più comunemente detta falso in bilancio, che ha rimarcato il cruciale valore economico della trasparenza e della credibilità dei conti societari per il funzionamento di un sistema finanziario.

Di fronte a questi eventi l’amministrazione americana ha scelto una strada “di facciata”, apparentemente severa e rigorosa ma nella sostanza improvvisata, sbrigativa e largamente incompleta. Una linea essenzialmente fondata sulla teoria delle “poche mele marce” in un sistema rappresentato come solido ed efficace. È vero, quindi, che ci sono stati provvedimenti visibili e risoluti, come l’aumento delle pene detentive per il reato di falso in bilancio (fino a 24 anni) e la veloce approvazione, nel luglio 2002, del Sarbanes-Oxley Act (un provvedimento bipartisan che molti autorevoli osservatori americani hanno tuttavia considerato disorganico e parziale). Ma, in realtà non sono stati affrontati e risolti nella sostanza i nodi strutturali del sistema e in particolare quello dei conflitti di interesse nel settore finanziario. Anzi, Eliot Spitzer - il procuratore generale di New York che si è distinto per attivismo e capacità nell’ambito delle indagini sui principali scandali finanziari - ha denunciato pubblicamente che l’amministrazione Bush “sta cercando di legare le mani a chi vuol fare applicare la legge”, interferendo nelle giurisdizioni dei singoli stati “per proteggere lo status quo e vanificare le inchieste sulle aziende”. A tale scopo, secondo lo stesso Spitzer, il Governo starebbe addirittura modificando ad arte la legislazione. Va tuttavia riconosciuto che invece le autorità giudiziarie e di vigilanza di quel paese hanno fatto un lavoro più ampio e significativo di quanto non sia accaduto altrove. L’attività giudiziaria ha prodotto numerose imputazioni e condanne nonché rilevanti sanzioni pecuniarie, tra le quali spicca la multa di 1,4 miliardi di dollari comminata alle prime 10 banche del paese per il conflitto di interesse degli analisti finanziari. Resta significativa, al riguardo, una recente dichiarazione di Eliot Spitzer: “l’intero sistema finanziario funzionava secondo criteri illegittimi” e in particolare “si era diffusa la totale mancanza di rispetto per i piccoli azionisti”. Noi “vogliamo colpire con equilibrio (...) secondo tre priorità, nell’ordine: cambiare le regole, consentire ai risparmiatori truffati di recuperare il denaro e (...) mandare la gente in galera”.