Gli attuali mercati finanziari sono in grado di intermediare adeguatamente il futuro previdenziale dei lavoratori? I problemi del mondo del risparmio gestito

Federico Merola

La redazione di “Proteo” è lieta di pubblicare l’articolo del dott. Federico Merola. Si tratta di un lavoro che ha il merito di indicare con grande chiarezza i problemi strutturali del mondo del risparmio gestito. Questo contributo è importante perché pone in evidenza, attraverso un analisi svolta “dall’interno”, a quali rischi si andrebbe incontro affidando le pensioni dei lavoratori alla previdenza integrativa ed ai fondi pensione privati. Le RdB e Cestes-”Proteo” hanno sempre sostenuto la necessità di difendere il sistema previdenziale pubblico, in quanto l’unico in grado di garantire equità e sicurezza di trattamento pensionistico per i lavoratori. Abbiamo difeso le ragioni della previdenza pubblica con coerenza: ieri contro la “riforma Dini”, oggi contro l’attacco lanciato dal Governo Berlusconi. L’analisi contenuta in queste pagine costituisce un’ulteriore riprova della giustezza delle nostre posizioni e dell’importanza della nostra lotta culturale e sindacale.

1. Il crescente legame tra sistema previdenziale e mercati finanziari

La recente cronaca italiana ha portato alla ribalta due grandi temi che di rado sono stati adeguatamente messi in relazione: il sistema previdenziale e le criticità strutturali dei mercati finanziari. Benché non sempre percepito, esiste tra questi due aspetti un legame profondo e crescente. Collegare questi argomenti diventa quindi essenziale per capire una dialettica economica e sociale che potrebbe prolungarsi per molti anni a venire.

2. La nuova riforma delle pensioni al cospetto del preesistente “vuoto previdenziale” e del mancato sviluppo di adeguate soluzioni compensative

Sono molti gli aspetti criticabili della recente riforma previdenziale portata avanti dall’attuale Governo. In linea generale si tratta di un provvedimento socialmente inaccettabile se si guarda alla politica economica e dei redditi posta in essere dalla maggioranza. In termini più analitici le forze sindacali hanno ampiamente rappresentato - nonostante le oggettive difficoltà di trovare adeguati “canali di trasmissione del pensiero”- le principali forzature che sono dietro una manovra presentata come ineluttabile. Uno degli aspetti più rilevanti di queste argomentazioni è che, per dirla in parole semplici, in Italia avevamo già dato. Significative riforme del sistema previdenziale erano state approvate a più riprese nel corso degli anni ‘90, con sostanziali benefici immediati e prospettici per i conti pubblici. Anche se i dati dell’INPS sono stati secretati, tanto per rendere ancora più difficile un confronto democratico che già soffre di numerose limitazioni, i trend sono noti da tempo. Leggendo, ad esempio, il Sole 24 Ore degli ultimi tempi è stato più volte possibile rilevare un interessante dato quantitativo: il rapporto tra spesa previdenziale e PIL cresce in tutta Europa fino a raggiungere il massimo intorno al 2030, ma l’Italia, che attualmente non è messa molto bene, grazie alle riforme già realizzate è attesa a quella data come uno dei paesi più virtuosi del vecchio continente, almeno stando ai regimi attualmente in vigore. E questo nonostante il fatto che la spesa previdenziale italiana contenga ancora oggi significativi elementi assistenziali, che pongono quindi a carico della contribuzione costi che più propriamente dovrebbero essere di pertinenza della fiscalità generale. Possiamo quindi dire che significativi risultati nel contenimento della spesa pensionistica li abbiamo già conseguiti. Non possiamo purtroppo dire che in parallelo abbiano trovato adeguata realizzazione anche le soluzioni “compensative” promesse tra le quali in particolare lo sviluppo di una previdenza complementare collettiva (“fondi pensione”).

3. I limiti della previdenza complementare collettiva e le criticità strutturali dei mercati finanziari

In materia di previdenza complementare collettiva sono oggi maturate alcune importanti consapevolezze, che potremmo sintetizzare nel modo seguente:

- In Italia solo pochi lavoratori dispongono attualmente di schemi pensionistici collettivi complementari, nonostante il fatto che molti lavoratori abbiano già subito da anni una significativa riduzione delle proprie aspettative previdenziali (la riforma Amato è del 1992 e quella Dini del 1995). Peraltro in un contesto in cui i contributi a carico di lavoratori e aziende non hanno subito corrispondenti abbattimenti. Sono molte le possibili ragioni di questa circostanza. Quello che conta però è che per un motivo o per l’altro la maggior parte dei lavoratori è ancora scoperta nei confronti di un “vuoto previdenziale” che si è già determinato da tempo e che, purtroppo, in molti casi sarà percepito correttamente solo al momento del pensionamento;

- C’è oggi una generale presa di coscienza circa il fatto che uno schema pensionistico complementare ha prestazioni incerte. Non solo, quindi, non garantisce più i precedenti livelli di previdenza pubblica, ormai aboliti, ma integra in misura imprevedibile l’attuale ridotta prestazione dello Stato. Le prestazioni dei fondi pensione, infatti, dipendono essenzialmente dal rendimento degli investimenti nonché dalle politiche seguite per evitare iniquità tra le diverse “generazioni” di iscritti. I fondi a contribuzione definita possono quindi offrire prestazioni previdenziali ridotte mentre quelli “a prestazione definita” - comuni in paesi come Stati Uniti e Gran Bretagna - non sono sempre in grado di mantenere le promesse di “certezza pensionistica”, com’è accaduto spesso negli ultimi anni, oppure per poterlo fare potrebbero aver bisogno di significative integrazioni contributive;

- La cronaca recente ha altresì evidenziato che i fondi pensione talvolta non sono in grado di assicurare neanche una prestazione previdenziale minima. Si tratta di una circostanza legata essenzialmente al fallimento di aziende che controllano i flussi previdenziali complementari dei propri dipendenti e - in presenza di profili di tutela evidentemente inadeguati - li trascinano nella loro generale disgrazia (sono molti gli esempi di questo tipo, dal caso Maxwell nell’Inghilterra fine anni ‘80 al più recente caso Enron negli Stati Uniti).

Accanto a questi aspetti cruciali, sicuramente già sufficienti di per sé a suggerire maggiore cautela nel proporre ulteriori modifiche alla previdenza pubblica, ritengo che debba esserne evidenziato un altro: quello delle “criticità strutturali dei mercati finanziari e del risparmio gestito”. Se, insomma, le aspettative previdenziali dei lavoratori passano sempre di più per i mercati finanziari, i profili di tutela necessariamente si spostano anche in quel settore. Ebbene, proprio il settore finanziario ha evidenziato negli ultimi anni preoccupanti limiti strutturali sui quali sarebbe necessario intervenire nell’interesse generale dell’economia, oltre che del futuro previdenziale dei lavoratori. In attesa che questo accada - e sicuramente ci vorrà tempo per scardinare la resistenza delle lobby finanziarie - è intanto prioritario che i lavoratori comincino ad utilizzare la loro naturale possibilità di aggregazione per forzare un rapido cambiamento delle regole del gioco, attraverso i pochi fondi pensione esistenti e un maggiore dialogo con le autorità di governo e vigilanza.

4. La recente crisi dei mercati finanziari come crisi strutturale di funzionamento del sistema

Partiamo da alcune considerazioni di base:

- L’attuale crisi dei mercati finanziari deriva solo in parte dal negativo andamento dell’economia reale, dipendendo in realtà da significative criticità interne al settore del risparmio gestito e dei mercati finanziari che la crisi economica - spesso utilizzata come alibi - ha messo in luce più chiaramente. Non siamo, insomma, semplicemente di fronte ad una crisi di quotazioni legata alle generalizzate difficoltà aziendali o alle conseguenti minusvalenze finanziarie ma, più propriamente, ad una vera e propria crisi delle regole che governano i mercati finanziari, il comportamento degli operatori e i meccanismi di sollecitazione e tutela del pubblico risparmio;

- Lavoratore, consumatore e risparmiatore sono le tre principali prospettive che lo stesso cittadino assume nella propria dimensione economica. E sono, quindi, i tre profili di tutela che occorre garantire ad ogni cittadino in quanto parte debole rispetto ad interessi forti ed organizzati. Tuttavia, mentre la tutela del lavoratore ha una consolidata tradizione e quella del consumatore si è conquistata recentemente maggiori spazi, la tutela del cittadino in quanto risparmiatore è ancora ferma all’anno zero. E questo nonostante il fatto che ormai il risparmio è un importante fonte di sostentamento per le famiglie, in ragione della crescente funzione integrativa del reddito spendibile e quale elemento di previdenza complementare privata, collettiva tramite i fondi pensione (secondo pilastro) e individuale attraverso altri strumenti dedicati (terzo pilastro);

- L’esigenza di una maggiore tutela del risparmio è peraltro aggravata dal fatto che oggi in Italia sono presenti forti poli di concentrazione economico-finanziaria, spesso incentrati su rendite di posizione monopolistiche o oligopolistiche che limitano fortemente la dialettica di mercato e i meccanismi automatici di controllo diffuso.

Per mantenere un approccio propositivo, doveroso nell’interesse di tutti quei lavoratori che comunque non hanno più già oggi un’aspettativa previdenziale pubblica soddisfacente, occorre quindi mettere a fuoco i problemi e le soluzioni che potrebbero contribuire ad un migliore funzionamento dei mercati finanziari.

5. Alcuni episodi come sintomo di un problema più ampio

Nel corso degli ultimi anni si sono verificati in Italia e in altri paesi occidentali numerosi episodi che hanno fortemente compromesso la fiducia e la credibilità del sistema finanziario e del comparto del risparmio gestito, evidenziando criticità di natura strutturale. A mero titolo di esempio, e senza alcuna pretesa di esaustività, basti ricordare nel nostro Paese casi come:

- I default delle obbligazioni argentine e delle obbligazioni della Cirio, vendute dalle banche ai piccoli risparmiatori anche quando gli analisti avevano già segnalato il degrado della qualità del debitore (o peggio cedute dalle stesse banche ai propri fondi comuni senza che i sottoscrittori se ne potessero neanche rendere conto);

- La scoperta da parte di Consob di operazioni illegittime tra diversi fondi di una medesima SGR, effettuate al fine di condizionare il rendimento di tali fondi, con la conseguenza di danneggiare arbitrariamente alcuni sottoscrittori a beneficio di altri;

- L’imperfetta rappresentazione del contenuto di prodotti finanziari complessi collocati presso il pubblico dei piccoli risparmiatori retail, che configurano una vera e propria truffa finanziaria (caso My Way);

- Il crescente squilibrio in termini di governo societario tra la pletora dei piccoli azionisti da un lato e il management, gli azionisti di riferimento e le banche creditrici dall’altro, che si evidenzia soprattutto nelle situazioni di crisi aziendale o di operazioni straordinarie (es. si pensi ai casi Cirio, Fiat e Generali-Mediobanca ad esempio);

- La forte asimmetria di “corporate governance” nel settore dei risparmio gestito, dove sottoscrittori che sono sostanzialmente azionisti vengono trattati persino peggio degli obbligazionisti di una normale società per azioni.

A questi esempi occorrere aggiungere il fatto “silenzioso”, ma altrettanto reale e concreto, dei numerosi prodotti commercialmente iniqui nel rapporto rischio-rendimento-governance collocati sul mercato dei piccoli risparmiatori. Prodotti che magari non hanno evidenziato alcuna problematica ma che per la loro iniquità complessiva non sarebbero mai stati sottoscritti da investitori qualificati. In questo ambito rientrano anche comportamenti ampiamente diffusi benché molto poco etici, come il cambiamento arbitrario e unilaterale di elementi fondativi del contratto (si pensi ad esempio all’aumento delle commissioni di gestione, anche in presenza di risultati inadeguati, o al cambiamento “in corsa” del rapporto rischio-rendimento di un fondo comune che non ha raggiunto le performance minime prefissate).

6. Il caso americano

Sostanziali elementi di criticità sono emersi nel funzionamento dei mercati finanziari di quasi tutti i paesi occidentali, a cominciare dagli Stati Uniti d’America. L’esempio americano si è proposto all’attenzione generale innanzitutto con il caso Enron e gli altri clamorosi comportamenti spregiudicati da parte di imprese, società di revisione e banche d’affari, favoriti da una regolamentazione inadeguata e una vigilanza insufficiente. Successivamente, una serie di scandali finanziari hanno aperto la breccia su criticità endemiche del sistema creditizio e, più recentemente, hanno minato la credibilità del comparto del risparmio gestito. In prima battuta l’esempio americano ha portato in evidenza le seguenti principali problematiche:

- Regole di Corporate Governance inadatte ad allineare l’interesse dei piccoli azionisti con quello dei creditori, dei soci rilevanti e del management. All’eccessivo potere di gestione del management o degli azionisti di controllo delle imprese - spesso condizionato da obiettivi di breve periodo - si contrappone infatti un modesto potere di verifica degli azionisti di minoranza, dei risparmiatori e dei mercati (“weak owners, strong managers”);

- Il problema oggettivo dei numerosi conflitti d’interesse esistenti all’interno del sistema economico e finanziario (banche, società di revisione, ecc.) e la fragilità dei presupposti fiduciari del risparmio gestito in un generale contesto di eccessive deleghe di gestione, asimmetrie di governance e scelte condizionate da numerosi e spesso poco visibili conflitti di interesse delle società e/o del management;

- Il crollo dell’etica del business delle banche d’affari americane, favorito dalla globalizzazione e deregolamentazione delle attività che ha agito a danno del piccolo risparmiatore e dell’intera credibilità del mercato;

- La diffusa tendenza alla “contabilità creativa”, più comunemente detta falso in bilancio, che ha rimarcato il cruciale valore economico della trasparenza e della credibilità dei conti societari per il funzionamento di un sistema finanziario.

Di fronte a questi eventi l’amministrazione americana ha scelto una strada “di facciata”, apparentemente severa e rigorosa ma nella sostanza improvvisata, sbrigativa e largamente incompleta. Una linea essenzialmente fondata sulla teoria delle “poche mele marce” in un sistema rappresentato come solido ed efficace. È vero, quindi, che ci sono stati provvedimenti visibili e risoluti, come l’aumento delle pene detentive per il reato di falso in bilancio (fino a 24 anni) e la veloce approvazione, nel luglio 2002, del Sarbanes-Oxley Act (un provvedimento bipartisan che molti autorevoli osservatori americani hanno tuttavia considerato disorganico e parziale). Ma, in realtà non sono stati affrontati e risolti nella sostanza i nodi strutturali del sistema e in particolare quello dei conflitti di interesse nel settore finanziario. Anzi, Eliot Spitzer - il procuratore generale di New York che si è distinto per attivismo e capacità nell’ambito delle indagini sui principali scandali finanziari - ha denunciato pubblicamente che l’amministrazione Bush “sta cercando di legare le mani a chi vuol fare applicare la legge”, interferendo nelle giurisdizioni dei singoli stati “per proteggere lo status quo e vanificare le inchieste sulle aziende”. A tale scopo, secondo lo stesso Spitzer, il Governo starebbe addirittura modificando ad arte la legislazione. Va tuttavia riconosciuto che invece le autorità giudiziarie e di vigilanza di quel paese hanno fatto un lavoro più ampio e significativo di quanto non sia accaduto altrove. L’attività giudiziaria ha prodotto numerose imputazioni e condanne nonché rilevanti sanzioni pecuniarie, tra le quali spicca la multa di 1,4 miliardi di dollari comminata alle prime 10 banche del paese per il conflitto di interesse degli analisti finanziari. Resta significativa, al riguardo, una recente dichiarazione di Eliot Spitzer: “l’intero sistema finanziario funzionava secondo criteri illegittimi” e in particolare “si era diffusa la totale mancanza di rispetto per i piccoli azionisti”. Noi “vogliamo colpire con equilibrio (...) secondo tre priorità, nell’ordine: cambiare le regole, consentire ai risparmiatori truffati di recuperare il denaro e (...) mandare la gente in galera”. -----

7. L’atteggiamento delle autorità italiane

In questo contesto, l’atteggiamento delle autorità politiche e istituzionali italiane è stato ancora più prudente, privilegiando le ragioni della “stabilità” dei mercati rispetto a quelle della “tutela” del risparmio. Iniziative di categoria, come quella del bollino blu promossa dall’ABI, sono senza dubbio opportune ma tardive e insufficienti. Gli organismi di vigilanza hanno dimostrato più attenzione e sensibilità verso il governo, la stabilità e la salvaguardia della credibilità (a tutti i costi) dei mercati e degli operatori che non verso la tutela del risparmio, lasciata di fatto all’autorità giudiziaria o alle associazioni di tutela dei risparmiatori. E se il Governo ha recentemente promosso un’importante inchiesta sul caso dei Bond Cirio, in generale non ha ancora assunto provvedimenti risolutivi delle problematiche sottostanti o, in qualche caso, ha addirittura approvato provvedimenti contrastanti con le esigenze di buon funzionamento dei mercati finanziari quali:

- La depenalizzazione del reato di falso in bilancio, in assoluta controtendenza internazionale e in contraddizione con i bisogni di un mercato finanziario evoluto e moderno;

- La riforma dei fondi immobiliari, che consente operazioni in conflitto d’interesse con i soci della SGR (fino al 40% del valore dei fondi) o altre società del gruppo (fino al 60% del valore dei fondi) a fronte del generale divieto esistente nel settore del risparmio gestito.

Alcuni recenti provvedimenti di Banca d’Italia e Consob in materia di trasparenza e di regole per i nuovi collocamenti di prodotti finanziari sembrano più un’ulteriore conferma delle pericolose criticità esistenti che non una soluzione alle medesime.

8. I nodi strutturali dei mercati finanziari e del risparmio gestito

Con i limiti della sintesi possiamo ricondurre i nodi strutturali più significativi dei mercati finanziari e del risparmio gestito ai seguenti aspetti:

- La presenza nel settore creditizio e finanziario di estesi e irrisolti conflitti d’interesse che colpiscono l’intera catena che va dalle banche alle reti di collocamento e alle società di gestione dei prodotti, condizionando la credibilità e il funzionamento dell’intero mercato;

- Forme di tutela dei risparmiatori spesso insufficienti e talvolta addirittura pericolose, nella misura in cui rappresentano garanzie solo formali e non sostanziali che però lasciano intendere di essere risolutive;

- La mancanza di moderne soluzioni di Corporate Governance sia nelle società quotate in Borsa (soprattutto le Public Company) sia nelle stesse società di gestione del risparmio (SGR, SICAV, ecc.), soluzioni cioè tali da assicurare ai risparmiatori un’adeguata rappresentanza dei loro interessi quale parte debole del sistema;

- Le lacune oggettive e soggettive della vigilanza, dovute anche ai numerosi e talvolta contraddittori obiettivi affidati alle autorità preposte.

9. La banca “universale” come fonte di conflitti d’interesse

Senza dubbio la struttura “universale” della banca d’affari favorisce la moltiplicazione delle operazioni in potenziale conflitto d’interesse. Un fatto peraltro ampiamente accentuato dalle partecipazioni incrociate tra banche e imprese. In linea di principio, e storicamente, proprio i vantaggi “commerciali” associati ai conflitti d’interessi sono alla base del successo della banca universale americana sui mercati internazionali. Nel corso degli anni ‘90, infatti, la forte competizione internazionale - in un contesto per definizione non regolamentato da alcuna autorità - ha favorito l’affermazione del modello universale statunitense. Oggi questo modello, che si è esteso a quasi tutti i paesi occidentali, è visibilmente in crisi. Vediamo perché.

10. Il conflitto d’interesse nelle operazioni di collocamento primario e secondario di prodotti finanziari

Senza entrare nello specifico dei diversi prodotti finanziari (obbligazioni, azioni, quote di fondi comuni ma anche polizze vita individuali e collettive, fondi pensione, prodotti specialistici sostanzialmente riservati ad investitori qualificati, ecc.), un aspetto importante e fino ad oggi rimasto ancora ai margini del generale dibattito riguarda i conflitti di interesse presenti nei collocamenti dei prodotti finanziari sui mercati primari (in gergo tecnico definiti IPO - “Initial Public Offering”). In questi casi o la banca colloca al cliente-risparmiatore un proprio prodotto (azione, obbligazione o fondo comune gestito da una propria SGR), e in tal caso il conflitto d’interesse è immediatamente evidente, oppure la banca colloca al cliente-risparmiatore il prodotto di un proprio cliente-impresa. In entrambe le situazioni la banca e la sua rete di collocamento hanno un interesse commerciale diretto per il servizio. Il conflitto d’interesse tra banca e risparmiatore-sottoscrittore esiste per il fatto che il titolo viene collocato dalla rete a fronte di un guadagno. Un guadagno peraltro tanto maggiore quanto maggiore è il valore di collocamento pagato dal risparmiatore, in assoluta indifferenza rispetto alla validità del prodotto e alla sua convenienza relativa nei confronti di altri prodotti presenti sul mercato. Non a caso si parla di “placement power”, inteso come potere (non abilità) delle banche di collocare prodotti ai risparmiatori sulla base della loro naturale e storica capacità di condizionarne le valutazioni finanziarie. Significativo il fatto che negli Stati Uniti Eliot Spitzer abbia comminato ad alcune banche multe salatissime a fronte di irregolarità commesse proprio in sede di IPO, costringendole a rimborsare ai risparmiatori delle minusvalenze provocate arbitrariamente.

Molto simile, anche se per certi versi più complesso, è il caso di collocamenti al pubblico di prodotti già emessi, in possesso quindi di altri clienti o presenti nel portafoglio della banca. In questi casi è difficile valutare quale problema la banca stia veramente risolvendo, se quello del venditore (la stessa banca o un altro suo cliente magari più importante) o quello del compratore. Una fattispecie che assume proporzioni ancora più gravi e impercettibili quando le banche cedono titoli in portafoglio non ritenuti più convenienti a fondi comuni amministrati dal proprio gruppo creditizio, in elusione della normativa vigente oltre che della buona fede dei risparmiatori.

11. Il conflitto d’interesse nel risparmio gestito: la sottoscrizione e la gestione di fondi comuni

Il comparto più ampio e significativo del risparmio gestito, quello dei fondi comuni di investimento, raccoglie ed amplifica a cascata tutte le problematiche dei mercati finanziari. A cominciare da quello del collocamento dei prodotti, solitamente effettuato in conflitto d’interesse dalle reti bancarie. Ma il settore fornisce un suo ulteriore contributo specifico al generale problema del conflitto d’interessi. Innanzitutto vi sono conflitti di interesse legati alle operazioni di investimento e disinvestimento realizzate dalle Società di Gestione (SGR) per conto dei fondi comuni. Diverse sono le fattispecie teoricamente possibili, dato che il conflitto d’interesse può essere riferito alla SGR, ad un socio della SGR (o società del gruppo) ovvero ad un amministratore, sindaco o Direttore Generale della stessa SGR. In apparenza tutta la normativa del risparmio gestito si basa sul divieto di effettuare operazioni con questi soggetti. Di fatto però sono consentite alcune eccezioni e numerose sono le possibilità di elusione o infrazione dei divieti (si pensi ad esempio al già ricordato caso emerso in alcune recenti ispezioni della Consob che hanno evidenziato illegittime operazioni tra fondi gestiti da una medesima SGR, al fine di alterarne il rendimento relativo secondo gli obiettivi dichiarati). Tra le deroghe esplicite più significative possiamo ricordare:

- La possibilità per i fondi comuni di qualsiasi tipo di acquistare titoli collocati da società del gruppo di appartenenza della SGR, sebbene in misura complessivamente non superiore al 60% dell’impegno di collocamento assunto;

- La possibilità per i fondi immobiliari di effettuare operazioni in conflitto di interesse (acquisto, cessione o apporto) con i soci della SGR fino ad un massimo del 40% del fondo, che può arrivare fino al 60% con riferimento al gruppo della SGR.

Un altro significativo conflitto d’interesse nel settore del risparmio gestito riguarda in modo trasversale la gestione di più fondi comuni teoricamente in competizione tra loro. Le possibili fattispecie sono numerose ma quella più significativa certamente deriva dalla contestuale gestione da parte della stessa SGR di fondi che investono nelle medesime tipologie di beni. Questa circostanza lascia di fatto al management societario la possibilità di influire arbitrariamente sulle performance relative di un fondo piuttosto che di un altro, veicolando le opportunità di investimento di volta in volta individuate. Senza possibilità o forme di controllo.

12. L’assenza di adeguate soluzioni di Corporate Governance

In generale quando si parla di Corporate Governance si fa riferimento alle complesse regole di governo e controllo di una società. Comunemente il termine viene utilizzato soprattutto con riferimento alle società quotate in Borsa e al funzionamento dei loro organi interni. In questo ambito l’accento viene solitamente posto sulle prerogative di autotutela dei piccoli azionisti e sugli equilibri di governo e controllo tra management e azionisti. Meno dibattute sono invece le problematiche specifiche di Corporate Governance, riferibili a gestori del risparmio in genere. Nel comparto dei fondi comuni, si possono genericamente richiamare i seguenti aspetti critici:

- La ridotta rappresentanza e la scarsa possibilità di controllo da parte dei portatori di quote di fondi comuni circa l’attività di gestione e le condizioni di contratto;

- La rara adozione di soluzioni efficaci nell’evitare conflitti d’interesse nel collocamento e nella gestione dei fondi;

- La ridotta partecipazione dei fondi alle assemblee delle società da loro partecipate in rappresentanza degli interessi dei sottoscrittori e la mancanza di trasparenza sulle posizioni eventualmente assunte in queste assemblee.

La quota di un fondo si configura come un titolo intermedio tra azioni e obbligazioni. Normalmente non esistono garanzie di rimborso del capitale e non è previsto il pagamento regolare e predeterminato di cedole, similmente a quanto avviene con le azioni. Tuttavia, la diversificazione del portafoglio tra tipologie di titoli, settori, aree geografiche e imprese consente di contenere il rischio complessivo del prodotto rispetto ad un investimento azionario individuale. A fronte di ciò, però, si verifica una ridotta possibilità da parte del risparmiatore di incidere sulle politiche di investimento dei fondi sottoscritti o controllarne l’esecuzione nonché l’impossibilità assoluta di influire sulla politica di gestione delle società nelle quali i fondi sottoscritti investono le loro risorse. Si crea, insomma, nel sistema una vasta massa di risparmio “azionario” non rappresentato (sottoscrittori di fondi e piccoli azionisti di Public Company). Si tratta di risparmio che corre tutti i rischi ma non esercita diritti di gestione o anche solo di controllo. La diffusione di soluzioni di governance più adeguate a garantire rappresentanza ai sottoscrittori di fondi comuni e tutela rispetto a conflitti di interesse diventa una frontiera importante nell’evoluzione del settore. Le soluzioni da esplorare sono molte e, tra queste, sono particolarmente significative le seguenti ipotesi:

- La diffusione di “comitati dei quotisti” o analoghe strutture di rappresentanza, magari solo con finalità di controllo o di veto fino ad arrivare a poteri di scioglimento del fondo se la sua gestione è giudicata negativamente;

- La presenza di “fund manager” indipendenti, con retribuzioni correlate ai risultati effettivamente conseguiti dai portatori delle quote;

- La presenza di strutture dialettiche nel processo decisionale delle SGR, eventualmente amministratori indipendenti nei CdA o anche, ove possibile, con amministratori nominati dai quotisti.

13. Le autorità di vigilanza

Il tema delle autorità di vigilanza meriterebbe sicuramente un’analisi a parte. In poche battute possiamo tuttavia dire che lentamente si sta affermando la consapevolezza della necessità di rivedere la normativa che regola tali autorità. Attualmente le istituzioni e gli organismi di vigilanza italiani sono gravati da eccessive competenze, spesso sovrapposte e talvolta contraddittorie. La Consob, che mantiene un vertice di nomina sostanzialmente politica, appare sottodimensionata rispetto alle proprie responsabilità mentre la Banca d’Italia presenta un’evidente commistione tra obiettivi difficilmente compatibili come il governo del settore, l’attività di vigilanza, la tutela della stabilità del sistema e la salvaguardia dei risparmiatori. Per ragioni storiche e motivi contingenti, il ruolo della Banca d’Italia non è stato fino ad oggi ridefinito, come sarebbe stato lecito attendersi dopo la nascita della Banca Centrale Europea, e si configura come estremamente controverso e insolitamente autoreferenziale.

14. Alcuni spunti per una riforma del settore finanziario

Se questi sono i presupposti, una profonda riforma appare necessaria per restituire credibilità al settore bancario e finanziario. Un elemento essenziale ai fini di un effettivo e duraturo sviluppo economico. Innanzitutto si dovrebbero affrontare coraggiosamente i numerosi e variegati conflitti di interesse tra banche, reti di collocamento e SGR. In Italia questi soggetti sono spesso emanazione di uno stesso gruppo, cosa meno frequente in altri paesi. Senza arrivare a soluzioni radicali, almeno nel breve periodo, appare ragionevole introdurre almeno regole più severe per le operazioni gestite infragruppo. Quantomeno in termini di trasparente segnalazione dei conflitti d’interesse che oggi, invece, non devono neanche essere adeguatamente evidenziati. La trasparenza, in particolare, dovrebbe trasformarsi da trasparenza “quantitativa-formale” in “trasparenza sostanziale”, attraverso l’obbligo ad esempio di consegnare al sottoscrittore pochi chiari documenti come potrebbero essere: a) una scheda sintetica del prospetto con i principali elementi inerenti il rapporto rischio-rendimento e le commissioni a suo carico, anche in rapporto alle medie di mercato; b) una o più valutazioni del prodotto e delle condizioni commerciali offerte da parte di operatori finanziari qualificati e indipendenti dal gruppo emittente (eventualmente chiamati a sottoscriverlo); c) una sintesi degli accordi tra l’emittente, la banca e la rete di collocamento soprattutto in materia di commissioni e di conflitti di interesse dell’operazione. Senza alcuna pretesa di completezza ed esaustività, altre ipotesi di intervento immediato possono essere:

- L’introduzione di norme più severe per i collocamenti destinati al pubblico retail, che oggi è sostanzialmente ostaggio per le proprie valutazioni delle reti di collocamento (anche al fine di evitare casi di elusione sul mercato secondario di disposizioni vigenti per i collocamenti primari);

- L’articolazione di nuove soluzioni di corporate governance riferite ai gestori di risparmio di terzi, con strutture decisionali effettivamente dialettiche, fund manager indipendenti e comitati dei quotisti;

 Una maggiore valorizzazione dello strumento del rating, anche per i fondi comuni;

- L’imposizione di obblighi di vigilanza sui conflitti di interesse più stringenti rispetto a quelli ordinari e discrezionali attualmente presenti, senza trascurare la responsabilizzazione delle stesse autorità di vigilanza.

Gli stessi fondi pensione esistenti, o in via di costituzione, in quanto investitori qualificati che rappresentano una massa significativa di risparmio - peraltro particolarmente prezioso - possono e devono dare in concreto un contributo al cambiamento delle regole e delle prassi di mercato, a beneficio di tutti i risparmiatori. Un’azione che nello stesso tempo tutela e valorizza il risparmio e favorisce un aumento dell’efficienza dei mercati a beneficio dello sviluppo economico.