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La transizione difficile

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Federico Merola
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Esperto di finanza strutturata internazionale e docente di Statistica Economica alla facoltà di Economia e Commercio dell’Università delle Tuscia di Viterbo

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Gli attuali mercati finanziari sono in grado di intermediare adeguatamente il futuro previdenziale dei lavoratori? I problemi del mondo del risparmio gestito

Federico Merola

La redazione di “Proteo” è lieta di pubblicare l’articolo del dott. Federico Merola. Si tratta di un lavoro che ha il merito di indicare con grande chiarezza i problemi strutturali del mondo del risparmio gestito. Questo contributo è importante perché pone in evidenza, attraverso un analisi svolta “dall’interno”, a quali rischi si andrebbe incontro affidando le pensioni dei lavoratori alla previdenza integrativa ed ai fondi pensione privati. Le RdB e Cestes-”Proteo” hanno sempre sostenuto la necessità di difendere il sistema previdenziale pubblico, in quanto l’unico in grado di garantire equità e sicurezza di trattamento pensionistico per i lavoratori. Abbiamo difeso le ragioni della previdenza pubblica con coerenza: ieri contro la “riforma Dini”, oggi contro l’attacco lanciato dal Governo Berlusconi. L’analisi contenuta in queste pagine costituisce un’ulteriore riprova della giustezza delle nostre posizioni e dell’importanza della nostra lotta culturale e sindacale.

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7. L’atteggiamento delle autorità italiane

In questo contesto, l’atteggiamento delle autorità politiche e istituzionali italiane è stato ancora più prudente, privilegiando le ragioni della “stabilità” dei mercati rispetto a quelle della “tutela” del risparmio. Iniziative di categoria, come quella del bollino blu promossa dall’ABI, sono senza dubbio opportune ma tardive e insufficienti. Gli organismi di vigilanza hanno dimostrato più attenzione e sensibilità verso il governo, la stabilità e la salvaguardia della credibilità (a tutti i costi) dei mercati e degli operatori che non verso la tutela del risparmio, lasciata di fatto all’autorità giudiziaria o alle associazioni di tutela dei risparmiatori. E se il Governo ha recentemente promosso un’importante inchiesta sul caso dei Bond Cirio, in generale non ha ancora assunto provvedimenti risolutivi delle problematiche sottostanti o, in qualche caso, ha addirittura approvato provvedimenti contrastanti con le esigenze di buon funzionamento dei mercati finanziari quali:

- La depenalizzazione del reato di falso in bilancio, in assoluta controtendenza internazionale e in contraddizione con i bisogni di un mercato finanziario evoluto e moderno;

- La riforma dei fondi immobiliari, che consente operazioni in conflitto d’interesse con i soci della SGR (fino al 40% del valore dei fondi) o altre società del gruppo (fino al 60% del valore dei fondi) a fronte del generale divieto esistente nel settore del risparmio gestito.

Alcuni recenti provvedimenti di Banca d’Italia e Consob in materia di trasparenza e di regole per i nuovi collocamenti di prodotti finanziari sembrano più un’ulteriore conferma delle pericolose criticità esistenti che non una soluzione alle medesime.

8. I nodi strutturali dei mercati finanziari e del risparmio gestito

Con i limiti della sintesi possiamo ricondurre i nodi strutturali più significativi dei mercati finanziari e del risparmio gestito ai seguenti aspetti:

- La presenza nel settore creditizio e finanziario di estesi e irrisolti conflitti d’interesse che colpiscono l’intera catena che va dalle banche alle reti di collocamento e alle società di gestione dei prodotti, condizionando la credibilità e il funzionamento dell’intero mercato;

- Forme di tutela dei risparmiatori spesso insufficienti e talvolta addirittura pericolose, nella misura in cui rappresentano garanzie solo formali e non sostanziali che però lasciano intendere di essere risolutive;

- La mancanza di moderne soluzioni di Corporate Governance sia nelle società quotate in Borsa (soprattutto le Public Company) sia nelle stesse società di gestione del risparmio (SGR, SICAV, ecc.), soluzioni cioè tali da assicurare ai risparmiatori un’adeguata rappresentanza dei loro interessi quale parte debole del sistema;

- Le lacune oggettive e soggettive della vigilanza, dovute anche ai numerosi e talvolta contraddittori obiettivi affidati alle autorità preposte.

9. La banca “universale” come fonte di conflitti d’interesse

Senza dubbio la struttura “universale” della banca d’affari favorisce la moltiplicazione delle operazioni in potenziale conflitto d’interesse. Un fatto peraltro ampiamente accentuato dalle partecipazioni incrociate tra banche e imprese. In linea di principio, e storicamente, proprio i vantaggi “commerciali” associati ai conflitti d’interessi sono alla base del successo della banca universale americana sui mercati internazionali. Nel corso degli anni ‘90, infatti, la forte competizione internazionale - in un contesto per definizione non regolamentato da alcuna autorità - ha favorito l’affermazione del modello universale statunitense. Oggi questo modello, che si è esteso a quasi tutti i paesi occidentali, è visibilmente in crisi. Vediamo perché.

10. Il conflitto d’interesse nelle operazioni di collocamento primario e secondario di prodotti finanziari

Senza entrare nello specifico dei diversi prodotti finanziari (obbligazioni, azioni, quote di fondi comuni ma anche polizze vita individuali e collettive, fondi pensione, prodotti specialistici sostanzialmente riservati ad investitori qualificati, ecc.), un aspetto importante e fino ad oggi rimasto ancora ai margini del generale dibattito riguarda i conflitti di interesse presenti nei collocamenti dei prodotti finanziari sui mercati primari (in gergo tecnico definiti IPO - “Initial Public Offering”). In questi casi o la banca colloca al cliente-risparmiatore un proprio prodotto (azione, obbligazione o fondo comune gestito da una propria SGR), e in tal caso il conflitto d’interesse è immediatamente evidente, oppure la banca colloca al cliente-risparmiatore il prodotto di un proprio cliente-impresa. In entrambe le situazioni la banca e la sua rete di collocamento hanno un interesse commerciale diretto per il servizio. Il conflitto d’interesse tra banca e risparmiatore-sottoscrittore esiste per il fatto che il titolo viene collocato dalla rete a fronte di un guadagno. Un guadagno peraltro tanto maggiore quanto maggiore è il valore di collocamento pagato dal risparmiatore, in assoluta indifferenza rispetto alla validità del prodotto e alla sua convenienza relativa nei confronti di altri prodotti presenti sul mercato. Non a caso si parla di “placement power”, inteso come potere (non abilità) delle banche di collocare prodotti ai risparmiatori sulla base della loro naturale e storica capacità di condizionarne le valutazioni finanziarie. Significativo il fatto che negli Stati Uniti Eliot Spitzer abbia comminato ad alcune banche multe salatissime a fronte di irregolarità commesse proprio in sede di IPO, costringendole a rimborsare ai risparmiatori delle minusvalenze provocate arbitrariamente.

Molto simile, anche se per certi versi più complesso, è il caso di collocamenti al pubblico di prodotti già emessi, in possesso quindi di altri clienti o presenti nel portafoglio della banca. In questi casi è difficile valutare quale problema la banca stia veramente risolvendo, se quello del venditore (la stessa banca o un altro suo cliente magari più importante) o quello del compratore. Una fattispecie che assume proporzioni ancora più gravi e impercettibili quando le banche cedono titoli in portafoglio non ritenuti più convenienti a fondi comuni amministrati dal proprio gruppo creditizio, in elusione della normativa vigente oltre che della buona fede dei risparmiatori.

11. Il conflitto d’interesse nel risparmio gestito: la sottoscrizione e la gestione di fondi comuni

Il comparto più ampio e significativo del risparmio gestito, quello dei fondi comuni di investimento, raccoglie ed amplifica a cascata tutte le problematiche dei mercati finanziari. A cominciare da quello del collocamento dei prodotti, solitamente effettuato in conflitto d’interesse dalle reti bancarie. Ma il settore fornisce un suo ulteriore contributo specifico al generale problema del conflitto d’interessi. Innanzitutto vi sono conflitti di interesse legati alle operazioni di investimento e disinvestimento realizzate dalle Società di Gestione (SGR) per conto dei fondi comuni. Diverse sono le fattispecie teoricamente possibili, dato che il conflitto d’interesse può essere riferito alla SGR, ad un socio della SGR (o società del gruppo) ovvero ad un amministratore, sindaco o Direttore Generale della stessa SGR. In apparenza tutta la normativa del risparmio gestito si basa sul divieto di effettuare operazioni con questi soggetti. Di fatto però sono consentite alcune eccezioni e numerose sono le possibilità di elusione o infrazione dei divieti (si pensi ad esempio al già ricordato caso emerso in alcune recenti ispezioni della Consob che hanno evidenziato illegittime operazioni tra fondi gestiti da una medesima SGR, al fine di alterarne il rendimento relativo secondo gli obiettivi dichiarati). Tra le deroghe esplicite più significative possiamo ricordare:

- La possibilità per i fondi comuni di qualsiasi tipo di acquistare titoli collocati da società del gruppo di appartenenza della SGR, sebbene in misura complessivamente non superiore al 60% dell’impegno di collocamento assunto;

- La possibilità per i fondi immobiliari di effettuare operazioni in conflitto di interesse (acquisto, cessione o apporto) con i soci della SGR fino ad un massimo del 40% del fondo, che può arrivare fino al 60% con riferimento al gruppo della SGR.

Un altro significativo conflitto d’interesse nel settore del risparmio gestito riguarda in modo trasversale la gestione di più fondi comuni teoricamente in competizione tra loro. Le possibili fattispecie sono numerose ma quella più significativa certamente deriva dalla contestuale gestione da parte della stessa SGR di fondi che investono nelle medesime tipologie di beni. Questa circostanza lascia di fatto al management societario la possibilità di influire arbitrariamente sulle performance relative di un fondo piuttosto che di un altro, veicolando le opportunità di investimento di volta in volta individuate. Senza possibilità o forme di controllo.

12. L’assenza di adeguate soluzioni di Corporate Governance

In generale quando si parla di Corporate Governance si fa riferimento alle complesse regole di governo e controllo di una società. Comunemente il termine viene utilizzato soprattutto con riferimento alle società quotate in Borsa e al funzionamento dei loro organi interni. In questo ambito l’accento viene solitamente posto sulle prerogative di autotutela dei piccoli azionisti e sugli equilibri di governo e controllo tra management e azionisti. Meno dibattute sono invece le problematiche specifiche di Corporate Governance, riferibili a gestori del risparmio in genere. Nel comparto dei fondi comuni, si possono genericamente richiamare i seguenti aspetti critici:

- La ridotta rappresentanza e la scarsa possibilità di controllo da parte dei portatori di quote di fondi comuni circa l’attività di gestione e le condizioni di contratto;

- La rara adozione di soluzioni efficaci nell’evitare conflitti d’interesse nel collocamento e nella gestione dei fondi;

- La ridotta partecipazione dei fondi alle assemblee delle società da loro partecipate in rappresentanza degli interessi dei sottoscrittori e la mancanza di trasparenza sulle posizioni eventualmente assunte in queste assemblee.

La quota di un fondo si configura come un titolo intermedio tra azioni e obbligazioni. Normalmente non esistono garanzie di rimborso del capitale e non è previsto il pagamento regolare e predeterminato di cedole, similmente a quanto avviene con le azioni. Tuttavia, la diversificazione del portafoglio tra tipologie di titoli, settori, aree geografiche e imprese consente di contenere il rischio complessivo del prodotto rispetto ad un investimento azionario individuale. A fronte di ciò, però, si verifica una ridotta possibilità da parte del risparmiatore di incidere sulle politiche di investimento dei fondi sottoscritti o controllarne l’esecuzione nonché l’impossibilità assoluta di influire sulla politica di gestione delle società nelle quali i fondi sottoscritti investono le loro risorse. Si crea, insomma, nel sistema una vasta massa di risparmio “azionario” non rappresentato (sottoscrittori di fondi e piccoli azionisti di Public Company). Si tratta di risparmio che corre tutti i rischi ma non esercita diritti di gestione o anche solo di controllo. La diffusione di soluzioni di governance più adeguate a garantire rappresentanza ai sottoscrittori di fondi comuni e tutela rispetto a conflitti di interesse diventa una frontiera importante nell’evoluzione del settore. Le soluzioni da esplorare sono molte e, tra queste, sono particolarmente significative le seguenti ipotesi:

- La diffusione di “comitati dei quotisti” o analoghe strutture di rappresentanza, magari solo con finalità di controllo o di veto fino ad arrivare a poteri di scioglimento del fondo se la sua gestione è giudicata negativamente;

- La presenza di “fund manager” indipendenti, con retribuzioni correlate ai risultati effettivamente conseguiti dai portatori delle quote;

- La presenza di strutture dialettiche nel processo decisionale delle SGR, eventualmente amministratori indipendenti nei CdA o anche, ove possibile, con amministratori nominati dai quotisti.

13. Le autorità di vigilanza

Il tema delle autorità di vigilanza meriterebbe sicuramente un’analisi a parte. In poche battute possiamo tuttavia dire che lentamente si sta affermando la consapevolezza della necessità di rivedere la normativa che regola tali autorità. Attualmente le istituzioni e gli organismi di vigilanza italiani sono gravati da eccessive competenze, spesso sovrapposte e talvolta contraddittorie. La Consob, che mantiene un vertice di nomina sostanzialmente politica, appare sottodimensionata rispetto alle proprie responsabilità mentre la Banca d’Italia presenta un’evidente commistione tra obiettivi difficilmente compatibili come il governo del settore, l’attività di vigilanza, la tutela della stabilità del sistema e la salvaguardia dei risparmiatori. Per ragioni storiche e motivi contingenti, il ruolo della Banca d’Italia non è stato fino ad oggi ridefinito, come sarebbe stato lecito attendersi dopo la nascita della Banca Centrale Europea, e si configura come estremamente controverso e insolitamente autoreferenziale.

14. Alcuni spunti per una riforma del settore finanziario

Se questi sono i presupposti, una profonda riforma appare necessaria per restituire credibilità al settore bancario e finanziario. Un elemento essenziale ai fini di un effettivo e duraturo sviluppo economico. Innanzitutto si dovrebbero affrontare coraggiosamente i numerosi e variegati conflitti di interesse tra banche, reti di collocamento e SGR. In Italia questi soggetti sono spesso emanazione di uno stesso gruppo, cosa meno frequente in altri paesi. Senza arrivare a soluzioni radicali, almeno nel breve periodo, appare ragionevole introdurre almeno regole più severe per le operazioni gestite infragruppo. Quantomeno in termini di trasparente segnalazione dei conflitti d’interesse che oggi, invece, non devono neanche essere adeguatamente evidenziati. La trasparenza, in particolare, dovrebbe trasformarsi da trasparenza “quantitativa-formale” in “trasparenza sostanziale”, attraverso l’obbligo ad esempio di consegnare al sottoscrittore pochi chiari documenti come potrebbero essere: a) una scheda sintetica del prospetto con i principali elementi inerenti il rapporto rischio-rendimento e le commissioni a suo carico, anche in rapporto alle medie di mercato; b) una o più valutazioni del prodotto e delle condizioni commerciali offerte da parte di operatori finanziari qualificati e indipendenti dal gruppo emittente (eventualmente chiamati a sottoscriverlo); c) una sintesi degli accordi tra l’emittente, la banca e la rete di collocamento soprattutto in materia di commissioni e di conflitti di interesse dell’operazione. Senza alcuna pretesa di completezza ed esaustività, altre ipotesi di intervento immediato possono essere:

- L’introduzione di norme più severe per i collocamenti destinati al pubblico retail, che oggi è sostanzialmente ostaggio per le proprie valutazioni delle reti di collocamento (anche al fine di evitare casi di elusione sul mercato secondario di disposizioni vigenti per i collocamenti primari);

- L’articolazione di nuove soluzioni di corporate governance riferite ai gestori di risparmio di terzi, con strutture decisionali effettivamente dialettiche, fund manager indipendenti e comitati dei quotisti;

 Una maggiore valorizzazione dello strumento del rating, anche per i fondi comuni;

- L’imposizione di obblighi di vigilanza sui conflitti di interesse più stringenti rispetto a quelli ordinari e discrezionali attualmente presenti, senza trascurare la responsabilizzazione delle stesse autorità di vigilanza.

Gli stessi fondi pensione esistenti, o in via di costituzione, in quanto investitori qualificati che rappresentano una massa significativa di risparmio - peraltro particolarmente prezioso - possono e devono dare in concreto un contributo al cambiamento delle regole e delle prassi di mercato, a beneficio di tutti i risparmiatori. Un’azione che nello stesso tempo tutela e valorizza il risparmio e favorisce un aumento dell’efficienza dei mercati a beneficio dello sviluppo economico.