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Tendenze della competizione globale

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Claudio Lozano
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Segretario Studi e Formazione e Direttore dell’Istituto Nazionale della CTA. Direttore del Centro Studi e Formazione della CTA

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Ricercatore aggiunto dell’Istituto di Studi e Formazione della CTA. Coordinatore Area di Economia e Tecnologia della FLACSO. Ricercatore del CONICET. Membro della Commissione Direttiva del CELS

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Ricercatore Area Economia e Tecnologia della FLACSO

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I trasferimenti di risorse alla dirigenza economica durante la presidenza Duhalde. Il nuovo piano sociale del governo
Claudio Lozano, Eduardo Basualdo, Martin Schorr


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I trasferimenti di risorse alla dirigenza economica durante la presidenza Duhalde. Il nuovo piano sociale del governo

Claudio Lozano

Eduardo Basualdo

Martin Schorr

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La società argentina risente, dopo il crack del modello alla fine dello scorso anno, dei conflitti tra le diverse fazioni del potere economico e dei loro effetti distruttivi sui livelli di attività produttiva e sulla distribuzione delle entrate.

Il governo di transizione del presidente Dhualde non riesce a contenere questi conflitti e a mettere in atto un progetto che includa i settori popolari, in una situazione in cui una popolazione esasperata da una crescente disuguaglianza che le ultime misure hanno portato a limiti estremi.

Il presente lavoro - elaborato su una solida analisi e sull’incrocio di dati - tenta di fornire elementi che precisino l’ammontare di questo nuovo trasferimento di entrate a favore della concentrazione di capitale, di indicare quali gruppi imprenditoriali siano stati maggiormente favoriti e di mettere in guardia su future ridistribuzioni di orientamento simile.

1. Introduzione

Con il collasso del regime di rendita finanziaria e di trasferimento delle risorse all’estero che durante l’ultima decade è stato regolato a partire dalla convergenza della convertibilità con la privatizzazione delle imprese pubbliche, la deregulation e la riforma dello Stato, la società argentina risente dei conflitti tra le diverse frazioni del potere economico e degli effetti deleteri che questi hanno sui livelli di attività economica e sulla distribuzione delle entrate.

Un modello che sosteneva la realizzazione di guadagni straordinari in dollari da parte della dirigenza imprenditoriale nazionale (gruppi nazionali, gruppi esteri, banche e imprese privatizzate), basato sull’espansione del debito pubblico, tocca ovviamente il fondo quando si taglia il finanziamento e/o quando il Settore Pubblico diventa sovraindebitato.

La congiuntura internazionale e i cambiamenti che questa determina nell’orientamento dei flussi finanziari, definiscono il primo punto; il bilancio negativo che possiede il paese in materia di divisa, sommato all’enorme indebitamento del Settore Pubblico, completano il quadro finale a cui oggi assistiamo. Di certo, si tratta di un contesto in cui le varie fazioni dominanti cercano di preservare o incrementare il valore dei propri attivi e mantenere o aumentare i tassi di profitto.

In questo contesto deve essere situato il governo di transizione che pretende di dirigere il Dr. Duhalde. Era immaginabile che un governo di questo tipo, nel quadro di una società esasperata dalle disuguaglianze, dovesse essere in grado di instaurare un ordine che permettesse di regolare i conflitti delineati. In più di un’occasione la nostra Central ha sostenuto che una spesa sostenibile ed equa era la via per superare l’assurda situazione in cui ci aveva portato il regime di convertibilità, il che implicava scartare nettamente una svalutazione che non contemplasse previe riforme strutturali che orientassero il suo impatto.

In questo senso, abbiamo sottolineato che era imprescindibile riordinare l’insieme dei rapporti economici (pesificazione [1], distribuzione, apertura, rapporto con il capitale straniero e le aziende privatizzate, regime fiscale, ecc.), come premessa per riprendere la politica dei cambi; ciò nonostante, il peso decisivo avuto da una parte delle fazioni dominanti nell’alleanza di governo, ha trasformato la svalutazione nel punto di partenza della nuova politica economica. Per la precisione, i grandi gruppi imprenditoriali nazionali e esteri, padroni di un’importante fetta produttiva e con importanti attivi finanziari all’estero (espressi nel così detto “Gruppo Produttivo”), che avevano perso posizione nell’economia reale durante l’ultimo quinquennio, furono i promotori originali di questo percorso. Dato che sono inoltre restii a cedere, in termini di contributi fiscali, parte dei guadagni straordinari che la svalutazione apporta loro, questo ha fatto sì che neanche la modificazione dei cambi sia stata inserita all’interno di uno schema di politica economica minimamente articolato, che permettesse di orientare e ordinare la crisi vigente. Al contrario, la svalutazione ha dato luogo ad un conflitto anche maggiore nel quale le diverse frazioni del blocco dominante vogliono riposizionarsi (concordando, tutte quante, sul fatto che la principale variabile dell’aggiustamento continuino ad essere le imposte a carico dei settori popolari).

Dunque, il governo non ha saputo controllare e Duhalde ha potenziato il conflitto, concedendo ad ogni frazione ciò che chiedeva. Ha concesso al vertice dei gruppi imprenditoriali locali e esteri la scappatoia della svalutazione, la pesificazione dei loro debiti in divisa verso il sistema finanziario nazionale ed ha loro concesso l’esenzione dal pagamento delle tasse; ha ceduto al FMI il controllo del regime di fluttuazione dei cambi che, in un Paese con scarse riserve e con deficit strutturale nella bilancia dei pagamenti, rende il Paese stesso dipendente dal flusso di finanziamento esterno; ha ceduto alle banche la conservazione del suo patrimonio statalizzando il debito privato pesificato, ed ha mantenuto il regime privato dei fondi di pensione; infine, ancora resta da vedere cosa succederà con le negoziazioni che il governo affronterà con le aziende privatizzate, che sono di primaria importanza non solo per l’aggiustamento dei prezzi e per lo sviluppo degli investimenti, ma sono anche un punto centrale per il debito che queste aziende dichiarano di avere con l’estero [2].

L’insieme di tutte queste concessioni è giunto ora ad un “vicolo cieco” per cui, con la svalutazione e la creazione di nuove rendite straordinarie locali, è aumentata la recessione. Senza esigere tasse dai ricchi, il governo finisce coll’applicare una politica economica che, essendo totalmente tributaria e dipendente dal finanziamento esterno, non è in grado di contrattare alcunché nemmeno con le realtà che provvedono ad esso, ossia il FMI, e non solo per ciò che concerne i pagamenti relativi all’anno corrente, ma anche riguardo quelli dell’anno prossimo. Con un dollaro più alto, senza ripresa e senza riscuotere tasse, garantire i pagamenti esteri presuppone un aggiustamento fiscale impossibile da attuare politicamente nell’Argentina attuale.

D’altro canto, dal momento che le nuove rendite si realizzano in un contesto in cui alla caduta generalizzata dell’attività economica e alla distruzione del sistema occupazionale si aggiunge la caduta salariale per accelerazione dei prezzi interni, questo fa sì che questo nuovo trasferimento in favore della concentrazione di capitale avvenga a spese dell’insieme della società e, fondamentalmente, dei settori popolari e delle frazioni più deboli dei gruppi imprenditoriali locali. Sicuramente, nel quadro delineato, le affermazioni pseudopopuliste, pronunciate recentemente dal presidente Duhalde riguardo l’istituzione di un fondo proveniente da una tassazione di emergenza dei grandi gruppi imprenditoriali per finanziare progetti occupazionali, così come le voci, l’annuncio e la pratica dell’emissione di valuta visto il collasso nel sistema di riscossione delle tasse, completano un quadro preoccupante in cui non si può escludere la prospettiva di un processo iperinflazionario e/o di aumento della svalutazione del peso con conseguenze tremende.

Considerando la situazione delineata, e dal momento che il governo ha abbandonato un equo processo di transizione che gli competeva, la situazione attuale può essere vista solo come un nuovo e disordinato processo di redistribuzione diseguale delle entrate, che oggettivamente tende a fissare un nuovo piano distributivo in questa Argentina della disuguaglianza, che nell’insieme preannuncia ulteriormente (almeno fino ad ora) il crollo finale di questo, sempre più, selvaggio capitalismo argentino.

In questo contesto, il presente lavoro vuole fornire elementi per precisare l’ammontare di questo nuovo trasferimento di entrate a favore del capitale più concentrato e indicare quali sono state le frazioni dei gruppi imprenditoriali maggiormente favorite. Inoltre, si desidera porre l’attenzione su futuri trasferimenti che ancora non sono avvenuti, ma che, come si è accennato, in realtà sono già in discussione.

Prima di presentare l’analisi dei risultati ottenuti, bisogna specificare che essa considera solamente le informazioni disponibili, senza considerare tutto l’insieme dell’indebitamento delle imprese private con l’estero (le Obbligazioni Negoziabili furono una, ma non l’unica, delle misure adottate per l’indebitamento estero), senza includere l’impatto favorevole che la svalutazione ha sulla disponibilità degli attivi finanziari all’estero, né il rincaro dei beni di importazione. Ciò nonostante, considerando che l’indebitamento estero privato totale non supera i 60 miliardi di US$, che una parte importante del debito dichiarato dai gruppi esteri include, approssimativamente, un 50% di debiti con la propria casa madre (autoprestiti), e che i gruppi locali hanno attivi finanziari all’estero per somme che raddoppiano l’ammontare del debito estero privato totale, appare chiaro che, nel momento in cui si potranno valutare completamente gli effetti del processo in corso, i benefici saranno maggiori di quanto si valuti in questa sede. In altre parole, se gli attivi finanziari raddoppiano l’indebitamento privato e parte di questo corrisponde a autoprestiti, il volume delle importazioni non potrà mai compensare il beneficio dovuto alla svalutazione. Soprattutto, quando i dati disponibili indicano che il saldo commerciale in valuta del vertice imprenditoriale è nettamente eccedente (ancora di più, dopo la modifica del tipo di cambio -superiore al 100%- lanciata dal presidente Duhalde).

2. Il contesto generale di analisi

Si considera una lista di imprese composta dalle 80 aziende più importanti in materia di esportazioni (i dati risalgono all’anno 2000), le 80 con i maggiori debiti con il sistema finanziario nazionale (i dati, forniti dalla Banca Centrale, risalgono alla metà dell’anno 2001), e le 80 aziende maggiormente indebitate sotto forma di obbligazioni negoziabili (si tratta dell’emissione accumulata dall’inizio del decennio degli anni ‘90 fino al 1997). L’universo considerato permette di captare gli effetti principali che hanno generato la svalutazione e la pesificazione in materia di trasferimenti di entrate e liquidazione del debito. Nello stesso tempo, fornire la lista delle aziende indebitate con l’emissione di obbligazioni negoziabili permette di avvertire, misurando sugli effetti, in termini di trasferimento di entrate, che potrebbe avere l’assorbimento da parte dello Stato dell’indebitamento menzionato. L’importanza economica che hanno queste imprese comincia ad essere percepita sommando l’ammontare totale delle esportazioni e dell’indebitamento -sia estero che con il sistema finanziario nazionale- presentato nella tabella 1.

Effettivamente, il totale ammonta all’incirca a 45.051,4 milioni di $US, in un’economia con un PIL che con il tasso attuale di cambio si avvicina a $US 144.500 milioni, dato che si aggiunge come ulteriore commento in questo contesto. Ugualmente, l’esame della tabella 2 permette di comprendere il ruolo di queste aziende nell’insieme delle variabili analizzate.

In questo modo, gli 80 primi esportatori del Paese rappresentano quasi il 70% del totale esportato dall’Argentina (indice evidente dei limiti che una soluzione basata su questa variabile possiede oggi in termini di “perdita”). Allo stesso modo, la lista delle imprese analizzata riflette il 99% dell’indebitamento per via delle obbligazioni negoziabili. Nel caso dell’indebitamento interno, la sua rappresentazione è molto inferiore rispetto al totale (sotto il 10%), però la sua importanza è dovuta al fatto che permette di quantificare quanto è stato prodotto, grazie alle misure adottate, in termini di guadagni straordinari, per le differenti unità economiche valutate. Inoltre, la partecipazione è ovviamente molto maggiore di quella qui esposta, perché il totale dei crediti considerati include quelli concessi al settore pubblico e pertanto, la sua rilevanza sul credito concesso al settore privato dell’economia domestica è ovviamente molto maggiore. Sono sufficienti, in questo senso, i dati disponibili (anche se non omogenei con questa esposizione) che segnalano che solo 1.221 debitori concentrano quasi la metà del debito concesso. D’altro canto, in base ai dati ricavati dal totale del credito, circa il 30% appartiene al Settore Pubblico, con cui la percentuale del debito considerato aumenta dall’8,1% al 11,5%. Inoltre, e come dato ulteriore che conferma che la concentrazione impera anche in questo punto, si deve considerare che solamente il 5,9% dei titoli commerciali creditari ha a che fare con prestiti inferiori a 200.000$US.

D’altra parte, l’importanza che queste aziende hanno in termini di dimensione economica così come per le diverse variabili, permette di sostenere anche la tesi che i trasferimenti di entrate che sono stati realizzati sono circoscritti a un numero estremamente ridotto di agenti economici.

Esaminando nuovamente la tabella 1, bisogna chiarire i criteri in base ai quali sono state raggruppate le imprese considerate. Il tipo di struttura del capitale è la categorizzazione che struttura la presentazione delle imprese nelle tre variabili analizzate. Le associazioni rimandano alla presenza di consorzi formati da differenti capitali, con una partecipazione dominante nelle aree dei servizi pubblici privatizzati. I gruppi economici sono conglomerati di origine nazionale che hanno più di 6 imprese nell’attività economica interna. I conglomerati esteri hanno la stessa struttura dei gruppi, però i loro proprietari non sono locali, ma oriundi di altri paesi. Le imprese indipendenti sono quelle a capitale nazionale che non hanno struttura di conglomerato (controllano meno di sei imprese), e le multinazionali, sebbene integrino una struttura di proprietà con presenza in diversi paesi, in Argentina mostrano un tipo di configurazione simile alle imprese indipendenti, ossia, hanno meno di sei aziende operanti nel nostro Paese.

L’esame delle variabili permette di fare alcune osservazioni. Sul totale delle esportazioni considerato, in termini di valore assoluto, la posizione principale è occupata in primo luogo dalle imprese multinazionali e poi dai conglomerati esteri. Nonostante ciò, considerando i dati medi di ogni impresa, aumenta il ruolo dei gruppi locali che arrivano ad occupare la seconda posizione dopo i conglomerati esteri, che restano i principali esportatori. Certamente, un posto secondario in questa variabile è occupato dalle associazioni che, come accennato, si affidano ai servizi privatizzati in proporzione importante.

Esaminando il debito interno, le più indebitate in termini di valore assoluto sono le associazioni, seguite a breve distanza dai gruppi locali. Nonostante ciò, osservando i dati in media di ogni impresa, i gruppi economici ed i conglomerati di origine straniera sono, di gran lunga, quelli che occupano le prime due posizioni.

Esaminando in valori assoluti le Obbligazioni Negoziabili, sono le associazioni e i conglomerati esteri ad occupare i due posti principali. Ciò nonostante, osservando i dati medi di ogni impresa, i gruppi economici si posizionano ancora una volta al secondo posto.

In definitiva, dai dati presentati si evince che, più che per la loro posizione in termini di valore assoluto in ogni variabile, i gruppi economici sono, per la loro dimensione imprenditoriale, tra i più importanti, e, in conseguenza di tutto ciò, una delle frazioni dominanti più favorite dalle misure della politica lanciata finora dalla Amministrazione Duhalde.


[1] Il termine “pesificazione” indica la conversione in pesos (N. d. T.).

[2] Per esempio, il 30 gennaio 2002, l’impresa Aguas Argentinas inviò allla Sottosegreteria delle Risorse Idriche una nota (n°35049/02), nella quale si segnala: “La forte discesa dell’esattoria, un servizio del debito che supererà i 200 milioni di dollari nel 2002, un debito a termine molto breve di più di 90 milioni di dollari, l’aumento degli investimenti critici, che generano un cash-flow negativo, a cui si aggiunge la violazione di tutti i razio finanziari della concessione, sono ormai evidenti e rendono necessario, nei termini delle norme contrattuali ( in particolare la Risoluzione n°601/99 SRNyDS), adottare da subito una serie di misure di emergenza... con l’obiettivo a breve scadenza di non penalizzare l’offerta dei sevizi sanitari agli 8 milioni di abitanti riforniti da Aguas Argentinas”. In questo quadro, una delle principali “misure di emergenza” proposte dall’impresa è la seguente: (si noti il tono con cui è scritta): “la Banca Centrale della Repubblica Argentina fornirà a Aguas Aegentinas S.A. $ US in cambio di $ al tasso di cambio 1 $ US 1 $, per assicurare nei luoghi previsti l’assolvimento dei debiti a breve e lungo termine, che sono stati pattuiti con Banche nazionali e internaionali, così come con Organismi di tipo Multilaterale” (enfasi propria). Si deve specificare che l’attuale debito estero di Aguas Argentinas supera i 600 milioni di dollari.