I trasferimenti di risorse alla dirigenza economica durante la presidenza Duhalde. Il nuovo piano sociale del governo

Claudio Lozano

Eduardo Basualdo

Martin Schorr

La società argentina risente, dopo il crack del modello alla fine dello scorso anno, dei conflitti tra le diverse fazioni del potere economico e dei loro effetti distruttivi sui livelli di attività produttiva e sulla distribuzione delle entrate.

Il governo di transizione del presidente Dhualde non riesce a contenere questi conflitti e a mettere in atto un progetto che includa i settori popolari, in una situazione in cui una popolazione esasperata da una crescente disuguaglianza che le ultime misure hanno portato a limiti estremi.

Il presente lavoro - elaborato su una solida analisi e sull’incrocio di dati - tenta di fornire elementi che precisino l’ammontare di questo nuovo trasferimento di entrate a favore della concentrazione di capitale, di indicare quali gruppi imprenditoriali siano stati maggiormente favoriti e di mettere in guardia su future ridistribuzioni di orientamento simile.

1. Introduzione

Con il collasso del regime di rendita finanziaria e di trasferimento delle risorse all’estero che durante l’ultima decade è stato regolato a partire dalla convergenza della convertibilità con la privatizzazione delle imprese pubbliche, la deregulation e la riforma dello Stato, la società argentina risente dei conflitti tra le diverse frazioni del potere economico e degli effetti deleteri che questi hanno sui livelli di attività economica e sulla distribuzione delle entrate.

Un modello che sosteneva la realizzazione di guadagni straordinari in dollari da parte della dirigenza imprenditoriale nazionale (gruppi nazionali, gruppi esteri, banche e imprese privatizzate), basato sull’espansione del debito pubblico, tocca ovviamente il fondo quando si taglia il finanziamento e/o quando il Settore Pubblico diventa sovraindebitato.

La congiuntura internazionale e i cambiamenti che questa determina nell’orientamento dei flussi finanziari, definiscono il primo punto; il bilancio negativo che possiede il paese in materia di divisa, sommato all’enorme indebitamento del Settore Pubblico, completano il quadro finale a cui oggi assistiamo. Di certo, si tratta di un contesto in cui le varie fazioni dominanti cercano di preservare o incrementare il valore dei propri attivi e mantenere o aumentare i tassi di profitto.

In questo contesto deve essere situato il governo di transizione che pretende di dirigere il Dr. Duhalde. Era immaginabile che un governo di questo tipo, nel quadro di una società esasperata dalle disuguaglianze, dovesse essere in grado di instaurare un ordine che permettesse di regolare i conflitti delineati. In più di un’occasione la nostra Central ha sostenuto che una spesa sostenibile ed equa era la via per superare l’assurda situazione in cui ci aveva portato il regime di convertibilità, il che implicava scartare nettamente una svalutazione che non contemplasse previe riforme strutturali che orientassero il suo impatto.

In questo senso, abbiamo sottolineato che era imprescindibile riordinare l’insieme dei rapporti economici (pesificazione [1], distribuzione, apertura, rapporto con il capitale straniero e le aziende privatizzate, regime fiscale, ecc.), come premessa per riprendere la politica dei cambi; ciò nonostante, il peso decisivo avuto da una parte delle fazioni dominanti nell’alleanza di governo, ha trasformato la svalutazione nel punto di partenza della nuova politica economica. Per la precisione, i grandi gruppi imprenditoriali nazionali e esteri, padroni di un’importante fetta produttiva e con importanti attivi finanziari all’estero (espressi nel così detto “Gruppo Produttivo”), che avevano perso posizione nell’economia reale durante l’ultimo quinquennio, furono i promotori originali di questo percorso. Dato che sono inoltre restii a cedere, in termini di contributi fiscali, parte dei guadagni straordinari che la svalutazione apporta loro, questo ha fatto sì che neanche la modificazione dei cambi sia stata inserita all’interno di uno schema di politica economica minimamente articolato, che permettesse di orientare e ordinare la crisi vigente. Al contrario, la svalutazione ha dato luogo ad un conflitto anche maggiore nel quale le diverse frazioni del blocco dominante vogliono riposizionarsi (concordando, tutte quante, sul fatto che la principale variabile dell’aggiustamento continuino ad essere le imposte a carico dei settori popolari).

Dunque, il governo non ha saputo controllare e Duhalde ha potenziato il conflitto, concedendo ad ogni frazione ciò che chiedeva. Ha concesso al vertice dei gruppi imprenditoriali locali e esteri la scappatoia della svalutazione, la pesificazione dei loro debiti in divisa verso il sistema finanziario nazionale ed ha loro concesso l’esenzione dal pagamento delle tasse; ha ceduto al FMI il controllo del regime di fluttuazione dei cambi che, in un Paese con scarse riserve e con deficit strutturale nella bilancia dei pagamenti, rende il Paese stesso dipendente dal flusso di finanziamento esterno; ha ceduto alle banche la conservazione del suo patrimonio statalizzando il debito privato pesificato, ed ha mantenuto il regime privato dei fondi di pensione; infine, ancora resta da vedere cosa succederà con le negoziazioni che il governo affronterà con le aziende privatizzate, che sono di primaria importanza non solo per l’aggiustamento dei prezzi e per lo sviluppo degli investimenti, ma sono anche un punto centrale per il debito che queste aziende dichiarano di avere con l’estero [2].

L’insieme di tutte queste concessioni è giunto ora ad un “vicolo cieco” per cui, con la svalutazione e la creazione di nuove rendite straordinarie locali, è aumentata la recessione. Senza esigere tasse dai ricchi, il governo finisce coll’applicare una politica economica che, essendo totalmente tributaria e dipendente dal finanziamento esterno, non è in grado di contrattare alcunché nemmeno con le realtà che provvedono ad esso, ossia il FMI, e non solo per ciò che concerne i pagamenti relativi all’anno corrente, ma anche riguardo quelli dell’anno prossimo. Con un dollaro più alto, senza ripresa e senza riscuotere tasse, garantire i pagamenti esteri presuppone un aggiustamento fiscale impossibile da attuare politicamente nell’Argentina attuale.

D’altro canto, dal momento che le nuove rendite si realizzano in un contesto in cui alla caduta generalizzata dell’attività economica e alla distruzione del sistema occupazionale si aggiunge la caduta salariale per accelerazione dei prezzi interni, questo fa sì che questo nuovo trasferimento in favore della concentrazione di capitale avvenga a spese dell’insieme della società e, fondamentalmente, dei settori popolari e delle frazioni più deboli dei gruppi imprenditoriali locali. Sicuramente, nel quadro delineato, le affermazioni pseudopopuliste, pronunciate recentemente dal presidente Duhalde riguardo l’istituzione di un fondo proveniente da una tassazione di emergenza dei grandi gruppi imprenditoriali per finanziare progetti occupazionali, così come le voci, l’annuncio e la pratica dell’emissione di valuta visto il collasso nel sistema di riscossione delle tasse, completano un quadro preoccupante in cui non si può escludere la prospettiva di un processo iperinflazionario e/o di aumento della svalutazione del peso con conseguenze tremende.

Considerando la situazione delineata, e dal momento che il governo ha abbandonato un equo processo di transizione che gli competeva, la situazione attuale può essere vista solo come un nuovo e disordinato processo di redistribuzione diseguale delle entrate, che oggettivamente tende a fissare un nuovo piano distributivo in questa Argentina della disuguaglianza, che nell’insieme preannuncia ulteriormente (almeno fino ad ora) il crollo finale di questo, sempre più, selvaggio capitalismo argentino.

In questo contesto, il presente lavoro vuole fornire elementi per precisare l’ammontare di questo nuovo trasferimento di entrate a favore del capitale più concentrato e indicare quali sono state le frazioni dei gruppi imprenditoriali maggiormente favorite. Inoltre, si desidera porre l’attenzione su futuri trasferimenti che ancora non sono avvenuti, ma che, come si è accennato, in realtà sono già in discussione.

Prima di presentare l’analisi dei risultati ottenuti, bisogna specificare che essa considera solamente le informazioni disponibili, senza considerare tutto l’insieme dell’indebitamento delle imprese private con l’estero (le Obbligazioni Negoziabili furono una, ma non l’unica, delle misure adottate per l’indebitamento estero), senza includere l’impatto favorevole che la svalutazione ha sulla disponibilità degli attivi finanziari all’estero, né il rincaro dei beni di importazione. Ciò nonostante, considerando che l’indebitamento estero privato totale non supera i 60 miliardi di US$, che una parte importante del debito dichiarato dai gruppi esteri include, approssimativamente, un 50% di debiti con la propria casa madre (autoprestiti), e che i gruppi locali hanno attivi finanziari all’estero per somme che raddoppiano l’ammontare del debito estero privato totale, appare chiaro che, nel momento in cui si potranno valutare completamente gli effetti del processo in corso, i benefici saranno maggiori di quanto si valuti in questa sede. In altre parole, se gli attivi finanziari raddoppiano l’indebitamento privato e parte di questo corrisponde a autoprestiti, il volume delle importazioni non potrà mai compensare il beneficio dovuto alla svalutazione. Soprattutto, quando i dati disponibili indicano che il saldo commerciale in valuta del vertice imprenditoriale è nettamente eccedente (ancora di più, dopo la modifica del tipo di cambio -superiore al 100%- lanciata dal presidente Duhalde).

2. Il contesto generale di analisi

Si considera una lista di imprese composta dalle 80 aziende più importanti in materia di esportazioni (i dati risalgono all’anno 2000), le 80 con i maggiori debiti con il sistema finanziario nazionale (i dati, forniti dalla Banca Centrale, risalgono alla metà dell’anno 2001), e le 80 aziende maggiormente indebitate sotto forma di obbligazioni negoziabili (si tratta dell’emissione accumulata dall’inizio del decennio degli anni ‘90 fino al 1997). L’universo considerato permette di captare gli effetti principali che hanno generato la svalutazione e la pesificazione in materia di trasferimenti di entrate e liquidazione del debito. Nello stesso tempo, fornire la lista delle aziende indebitate con l’emissione di obbligazioni negoziabili permette di avvertire, misurando sugli effetti, in termini di trasferimento di entrate, che potrebbe avere l’assorbimento da parte dello Stato dell’indebitamento menzionato. L’importanza economica che hanno queste imprese comincia ad essere percepita sommando l’ammontare totale delle esportazioni e dell’indebitamento -sia estero che con il sistema finanziario nazionale- presentato nella tabella 1.

Effettivamente, il totale ammonta all’incirca a 45.051,4 milioni di $US, in un’economia con un PIL che con il tasso attuale di cambio si avvicina a $US 144.500 milioni, dato che si aggiunge come ulteriore commento in questo contesto. Ugualmente, l’esame della tabella 2 permette di comprendere il ruolo di queste aziende nell’insieme delle variabili analizzate.

In questo modo, gli 80 primi esportatori del Paese rappresentano quasi il 70% del totale esportato dall’Argentina (indice evidente dei limiti che una soluzione basata su questa variabile possiede oggi in termini di “perdita”). Allo stesso modo, la lista delle imprese analizzata riflette il 99% dell’indebitamento per via delle obbligazioni negoziabili. Nel caso dell’indebitamento interno, la sua rappresentazione è molto inferiore rispetto al totale (sotto il 10%), però la sua importanza è dovuta al fatto che permette di quantificare quanto è stato prodotto, grazie alle misure adottate, in termini di guadagni straordinari, per le differenti unità economiche valutate. Inoltre, la partecipazione è ovviamente molto maggiore di quella qui esposta, perché il totale dei crediti considerati include quelli concessi al settore pubblico e pertanto, la sua rilevanza sul credito concesso al settore privato dell’economia domestica è ovviamente molto maggiore. Sono sufficienti, in questo senso, i dati disponibili (anche se non omogenei con questa esposizione) che segnalano che solo 1.221 debitori concentrano quasi la metà del debito concesso. D’altro canto, in base ai dati ricavati dal totale del credito, circa il 30% appartiene al Settore Pubblico, con cui la percentuale del debito considerato aumenta dall’8,1% al 11,5%. Inoltre, e come dato ulteriore che conferma che la concentrazione impera anche in questo punto, si deve considerare che solamente il 5,9% dei titoli commerciali creditari ha a che fare con prestiti inferiori a 200.000$US.

D’altra parte, l’importanza che queste aziende hanno in termini di dimensione economica così come per le diverse variabili, permette di sostenere anche la tesi che i trasferimenti di entrate che sono stati realizzati sono circoscritti a un numero estremamente ridotto di agenti economici.

Esaminando nuovamente la tabella 1, bisogna chiarire i criteri in base ai quali sono state raggruppate le imprese considerate. Il tipo di struttura del capitale è la categorizzazione che struttura la presentazione delle imprese nelle tre variabili analizzate. Le associazioni rimandano alla presenza di consorzi formati da differenti capitali, con una partecipazione dominante nelle aree dei servizi pubblici privatizzati. I gruppi economici sono conglomerati di origine nazionale che hanno più di 6 imprese nell’attività economica interna. I conglomerati esteri hanno la stessa struttura dei gruppi, però i loro proprietari non sono locali, ma oriundi di altri paesi. Le imprese indipendenti sono quelle a capitale nazionale che non hanno struttura di conglomerato (controllano meno di sei imprese), e le multinazionali, sebbene integrino una struttura di proprietà con presenza in diversi paesi, in Argentina mostrano un tipo di configurazione simile alle imprese indipendenti, ossia, hanno meno di sei aziende operanti nel nostro Paese.

L’esame delle variabili permette di fare alcune osservazioni. Sul totale delle esportazioni considerato, in termini di valore assoluto, la posizione principale è occupata in primo luogo dalle imprese multinazionali e poi dai conglomerati esteri. Nonostante ciò, considerando i dati medi di ogni impresa, aumenta il ruolo dei gruppi locali che arrivano ad occupare la seconda posizione dopo i conglomerati esteri, che restano i principali esportatori. Certamente, un posto secondario in questa variabile è occupato dalle associazioni che, come accennato, si affidano ai servizi privatizzati in proporzione importante.

Esaminando il debito interno, le più indebitate in termini di valore assoluto sono le associazioni, seguite a breve distanza dai gruppi locali. Nonostante ciò, osservando i dati in media di ogni impresa, i gruppi economici ed i conglomerati di origine straniera sono, di gran lunga, quelli che occupano le prime due posizioni.

Esaminando in valori assoluti le Obbligazioni Negoziabili, sono le associazioni e i conglomerati esteri ad occupare i due posti principali. Ciò nonostante, osservando i dati medi di ogni impresa, i gruppi economici si posizionano ancora una volta al secondo posto.

In definitiva, dai dati presentati si evince che, più che per la loro posizione in termini di valore assoluto in ogni variabile, i gruppi economici sono, per la loro dimensione imprenditoriale, tra i più importanti, e, in conseguenza di tutto ciò, una delle frazioni dominanti più favorite dalle misure della politica lanciata finora dalla Amministrazione Duhalde.-----

La situazione descritta fino a questo punto, può essere esaminata anche fornendo una schematizzazione congiunta delle tre variabili per ogni tipo di capitale. In questo caso, è ragionevole organizzarla sulla base dei dati medi di ogni impresa:

- Nelle associazioni le esportazioni si stimano in media 111,9 milioni di $US, mentre il debito in entrambe le direzioni arriva a 297,4 milioni di $US. Questo significa che il coefficiente di debito sulle esportazioni è del 2,6 o, in altre parole, si hanno 2,6 dollari di debito interno per ogni dollaro di esportazione.

- Nei gruppi economici locali le esportazioni salgono a 227,4 milioni di $US per ogni impresa, mentre l’ammontare totale del debito è di 347,2 milioni di $US, per cui il coefficiente sopra menzionato è pari a 1,5.

- Nei conglomerati esteri le esportazioni arrivano a 326,3 milioni di $US per azienda, mentre il debito totale è di 526 milioni di $US. Pertanto, il coefficiente che misura i dollari di debito per ogni dollaro di esportazione si situa, in questo caso, a 1,6.

- Nelle imprese locali indipendenti le esportazioni ammontano a $US 224,5 milioni ed il debito totale è di $US 117,9 milioni, per cui il coefficiente è 0,98 (in altre parole, in questo segmento imprenditoriale, con meno di un dollaro di debito si finanzia un dollaro di esportazione). Nelle imprese multinazionali le esportazioni rappresentano $US224,5 milioni ed il debito totale è di $UA135,4 milioni. Di conseguenza, il rapporto debito/esportazioni ammonta a 0,6.

Emerge chiaramente che le imprese che risultano maggiormente legate all’uso di capitale estero sono casualmente quelle che hanno ottenuto i migliori risultati economici durante lo scorso decennio, ossia i gruppi economici nazionali, i conglomerati esteri e le associazioni; bisogna notare che quelle che mostrano un coefficiente migliore sono quelle che hanno avuto comportamenti meno dinamici. Questa situazione fa pensare che l’indebitamento è un meccanismo che mira a ridurre il patrimonio, abbassare il carico fiscale e, nel caso degli autoprestiti, smaltire l’eccedente.

Un altro punto importante da considerare è quale è stato il meccanismo principale di indebitamento per i diversi tipi di capitale. Per le associazioni il 70% dell’indebitamento viene, in questo contesto, dalla emissione di Obbligazioni Negoziabili. Per i gruppi economici di origine nazionale la situazione è la stessa. Nel caso dei conglomerati esteri le obbligazioni costituiscono il 82% del finanziamento totale. Nelle imprese indipendenti, il 86% del finanziamento viene dall’indebitamento interno e nelle imprese multinazionali il 68% del finanziamento considerato in questa esposizione corrisponde al sistema finanziario nazionale. Discriminazione che favorisce quelle che sono le frazioni dominanti che, dopo aver liquidato i propri passivi interni che ammontavano a somme estremamente elevate, sostengono lo sviluppo di un’assicurazione cambiaria sui loro debiti esterni, vale a dire con associazioni, gruppi economici e conglomerati stranieri.

Le considerazioni precedenti possono essere completate dall’analisi della tabella 3, in cui si riporta a che tipo di entità bancaria nazionale sono debitrici le diverse strutture imprenditoriali.

I numeri confermano il processo di esterizzazione del sistema finanziario nazionale, evidenziando che il 73,3% del totale del credito esaminato è assegnato alla banca straniera; il secondo posto, come si può osservare, è occupato dalla banca pubblica (aspetto che potrebbe mettere in dubbio, ovviamente in base a dei dati più completi, il ruolo della stessa banca come supporto dello sviluppo delle PyMES e delle economie regionali). D’altro canto, mentre le associazioni costituiscono il soggetto di credito principale delle banche straniere, i gruppi economici hanno questo ruolo per la banca pubblica; l’importanza che le associazioni hanno anche come soggetto di credito della stessa banca non può, chiaramente, essere considerata separatamente dal fatto che in queste strutture partecipano anche molti gruppi economici a capitale locale.

Certamente, e nonostante ciò che si è detto rispetto all’importanza che ha per le Associazioni il finanziamento attraverso le obbligazioni negoziabili rispetto al loro debito totale, la rilevanza che mostrano come soggetto di credito del sistema finanziario nazionale indica che sono state, insieme ai gruppi economici, una dei principali beneficiari del processo di liquidazione implicito nella pesificazione 1 a 1.

3. I benefici ottenuti dal vertice con la svalutazione e la pesificazione

Le tabelle 4 e 5 offrono una prima panoramica sia in valori assoluti che in termini medi per ogni azienda della partecipazione di ogni tipologia imprenditoriale nelle variabili analizzate. Così, e confermando ciò che si è detto a proposito delle scelte e della concentrazione dei trasferimenti delle entrate prodotti, si può osservare che vi sono solo 7 imprese che sono presenti in tutte le variabili; sette imprese che rappresentano il 15,8% delle esportazioni totali, il 11,1% del debito interno, e il 19,3% delle obbligazioni negoziabili emesse, congiuntamente, dal vertice imprenditoriale qui analizzato. L’unità economica considerata presenta esportazioni di aziende che ammontano a $US 413,5 milioni e un volume totale di indebitamento per impresa che raggiunge i $US 646,2 milioni. Il coefficiente del debito sulle esportazioni di queste unità economiche si situa a 1,6, che significa che per ogni dollaro di esportazione si richiedono 1,6 dollari di debito. Questa specie di “vertice dentro il vertice” incorpora tre gruppi economici, tre conglomerati stranieri e soltanto una associazione (vedere l’Allegato 1 di questo documento). Inoltre, è chiaro che, vista la maggiore tendenza all’esportazione dei tre conglomerati stranieri e dei tre gruppi economici, questi stessi sono i maggiori beneficiari dalle risoluzioni del governo.

Per completare la descrizione dei vantaggi ottenuti a seguito delle misure adottate dalla presente amministrazione, è necessario aggiungere alle 7 imprese già esaminate, le 51 aziende che mostrano una presenza simultanea in due delle variabili analizzate; all’interno del sottogruppo, quelle che occupano il ruolo principale in termini di benefici ottenuti sono, principalmente, le 14 aziende che compaiono contemporaneamente come esportatrici e come debitrici interne (Allegato 2). Infine, esaminando le imprese che compaiono solamente in una delle variabili, devono essere considerate beneficiate dalla strategia ufficiale le 33 aziende indebitate con il sistema finanziario nazionale (Allegato 4) e le 48 esportatrici (Allegati 5 e 6). Inoltre, le sette imprese che appaiono nelle tre variabili, le 26 aziende che combinano obbligazioni negoziabili e indebitamento interno, le 11 che possiedono obbligazioni e esportazioni e le 36 che hanno solamente obbligazioni negoziabili sono quelle che oggettivamente spingono per la stipulazione di una nuova assicurazione sui cambi, che permetta loro di liquidare e statalizzare i debiti con l’estero. In questo senso, si deve dire che il debito globale tramite obbligazioni negoziabili di questo ridotto gruppo di grandi aziende ammonta a un totale di US$ 18.787 milioni.

La tabella 6 fornisce i risultati dell’esame del coefficiente tra le esportazioni e debito interno che può certamente essere considerato un indicatore della “liquidazione o guadagno cambiario” realizzato dai principali agenti dell’economia argentina.

Ancora una volta, esponiamo la situazione dei diversi tipi di capitale; si può notare come raddoppi il coefficiente in tutti i casi7, e come restino situati in una situazione privilegiata le imprese multinazionali ed i conglomerati stranieri. L’ampiezza di questi benefici o “Guadagno Cambiario” in termini di valori assoluti si dà nella tabella [3].

I risultati ottenuti indicano che il guadagno cambiario realizzato ammonta a US$13.132 milioni, considerando il tasso del cambio che vige in media attualmente (due pesos per un dollaro) [4]; questo guadagno è il risultato del sussidio statale (0,4 pesos per dollaro), della liquidazione, sentita dai risparmiatori intrappolati nel “corralito finanziario”, e, in linea più generale, delle caratteristiche di insieme della società. Si tratta dunque di una cifra superiore a quella necessaria per finanziare lo shock distributivo che la CTA e il FRENAPO hanno provocato, e che è stata avallata da una Consulta Popolare, con conseguenze per più di 3 milioni di argentini. Somma che, d’altro canto, indica che nei quaranta giorni di vita della attuale amministrazione gli agenti economici considerati in questa sede si sono appropriati del 9% del PIL; di questo totale, il 30,2% è stato preso dai conglomerati stranieri, il 27,0% dalle imprese internazionali, il 22,2% dai gruppi economici nazionali ed il 14,6% dalle associazioni.

Infine, la tabella 8 presenta il ranking dei principali agenti economici che hanno beneficiato della svalutazione e della pesificazione dei debiti privati, in base al tipo di cambio che vigeva durante la convertibilità (1 peso=1 dollaro). Bisogna specificare che questa tabella, costruita in base all’Allegato 6 che comprende le 139 imprese avvantaggiate dalle misure officiali sopra dette, è elaborata esaminando i diversi tipi di imprese (associazioni, gruppi economici locali, conglomerati stranieri, imprese internazionali e imprese nazionali indipendenti) e quindi, nel caso dei gruppi economici e dei conglomerati stranieri, raggruppa i dati delle esportazioni, dell’indebitamento interno in base alle holdings proprietarie delle diverse imprese. In altre parole, la tabella indica l’appropriazione di guadagni straordinari realizzati sia dalle imprese che dai principali gruppi imprenditoriali del paese. La presente stima, bisogna specificare, è per difetto, dal momento che sono state prese in considerazione solamente le 139 aziende che sono indicate nell’Allegato 6, circostanza che esclude l’esame di imprese esportatrici o indebitate con il sistema finanziario locale, che fanno parte dei gruppi elencati nella tabella 8, e che si situano dopo le 80 principali aziende che si presentano in ogni variabile.

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[1] Il termine “pesificazione” indica la conversione in pesos (N. d. T.).

[2] Per esempio, il 30 gennaio 2002, l’impresa Aguas Argentinas inviò allla Sottosegreteria delle Risorse Idriche una nota (n°35049/02), nella quale si segnala: “La forte discesa dell’esattoria, un servizio del debito che supererà i 200 milioni di dollari nel 2002, un debito a termine molto breve di più di 90 milioni di dollari, l’aumento degli investimenti critici, che generano un cash-flow negativo, a cui si aggiunge la violazione di tutti i razio finanziari della concessione, sono ormai evidenti e rendono necessario, nei termini delle norme contrattuali ( in particolare la Risoluzione n°601/99 SRNyDS), adottare da subito una serie di misure di emergenza... con l’obiettivo a breve scadenza di non penalizzare l’offerta dei sevizi sanitari agli 8 milioni di abitanti riforniti da Aguas Argentinas”. In questo quadro, una delle principali “misure di emergenza” proposte dall’impresa è la seguente: (si noti il tono con cui è scritta): “la Banca Centrale della Repubblica Argentina fornirà a Aguas Aegentinas S.A. $ US in cambio di $ al tasso di cambio 1 $ US 1 $, per assicurare nei luoghi previsti l’assolvimento dei debiti a breve e lungo termine, che sono stati pattuiti con Banche nazionali e internaionali, così come con Organismi di tipo Multilaterale” (enfasi propria). Si deve specificare che l’attuale debito estero di Aguas Argentinas supera i 600 milioni di dollari.

[3] Questo raddoppiamento del coefficiente deriva dal fatto che, come frutto della svalutazione, l’ammontare delle entrate delle imprese esportatrici si raddoppia (considerando un cambiamento del tipo di cambio dell’ordine del 100%), mentre i suoi passivi interni, dopo la pesificazione alla pari 1 peso=1 dollaro, sono rimasti costanti. In relazione con quest’ultimo fatto, bisogna sottolinare che, come risultato della politica di svalutazione promossa dal governo e della pesificazione di tutti i debiti in rapporto 1dollaro = 1peso, si registra una liquidazione diretta di tutti i debiti in dollari (probabilmente, la maggioranza), e una indiretta di quelli in pesos (un debito di, per esempio, $100 milioni equivaleva, prima della liquidazione, a $USA 100 milioni , mentre ora, considerando la parità di 1 dollaro=2pesos, ammonta a $50).

[4] Prima delle recenti misure del Governo per imporre limitazioni alle esportazioni (20% per quelle del petrolio, 10% in quelle agricole e pastorizie e 5% nelle comodities industriali), è necessario sottolineare che le stesse esportazioni sono estremamente ridotte, considerando l’esperienza storica, ad esclusione delle esportazioni del gas che sono sempre più importanti e si inseriscono in un contesto nel quale gli esportatori mantengono la capacità di regolare il tipo di cambio mediante la liquidazione di divisa.