L’ALCA: più che un’area di libero commercio, una ridefinizione del progetto egemonico degli Stati Uniti d’America
Marcos Costa Lima
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Per concludere questa parte, presentiamo un insieme di
tabelle, con le quali si può verificare l’evoluzione dei flussi degli
Investimenti Diretti Esteri (IDE) dei principali paesi dell’OCDE e del mondo;
la partecipazione percentuale del commercio mondiale tra il 1980 e il 2001 e,
infine, la struttura mondiale dei flussi commerciali, per quanto riguarda la
destinazione e l’origine dei prodotti.
La Tabella 1 evidenzia la crescita vertiginosa dei flussi d’investimento
esteri diretti a partire dalla seconda metà degli anni ‘90, e che si
esprimono sia tramite la dislocazione delle imprese, sia tramite fusioni e
acquisti, che, sebbene vincolate alla produzione, sono anche legate alla
finanziarizzazione. Mettiamo in risalto, in rosso, l’accentuata caduta di
questi valori a partire dal 2000, soprattutto in funzione al crack dell’”e-commerce”,
posteriormente ampliato a tutta l’economia, che ha ridotto della metà i
flussi mondiali dell’IDE, che nell’Unione Europea raggiungevano il 60%, e
che negli Stati Uniti ha portato a una riduzione di questi investimenti del
75,8% [1].

In termini di commercio internazionale (Tabella 2), si
verifica, in primo luogo, una forte concentrazione tra i paesi industrializzati,
che attingono all’auge degli anni ‘90, quando questi paesi realizzavano in
media il 71,8% degli scambi internazionali, che si sono successivamente ridotti
al 67,0% nel 1996, e al 67,1% nel 2001.
La disgregazione a livello regionale, merita un’attenzione
particolare: la crescita sistematica del deficit commerciale nordamericano; un
miglioramento del commercio europeo, che si chiude in attivo già nel 1990 e che
cresce ancora nel 2001; un’America in via di sviluppo che aumenta il proprio
deficit commerciale a partire dagli anni ‘90, e che riduce la sua
partecipazione al commercio mondiale, già al 3,2% nel 1980, per arrivare al
2,5% nel 2001, con una tendenza esattamente opposta a quella dell’Asia, che ha
incrementato in maniera sostanziale la sua partecipazione al commercio mondiale,
salendo da un valore medio del 15,5% del totale nel 1980, al 22,35% nel 2001, e
che pur vedendo ridurre i propri surplus commerciali, evidenzia una maggiore
integrazione nell’economia mondiale.

Analizzando le due tabelle, si nota che la sorprendente
crescita dei flussi di investimento produttivi non ha implicato un
corrispondente aumento degli scambi internazionali. Ora, se si osserva la
situazione del commercio mondiale, a partire dalla struttura delle
esportazioni dei principali paesi dell’OCSE e di due paesi in via di
sviluppo (Tabella 3), Cina e Brasile, per regione di destinazione dei prodotti,
si notano alcune importanti specificità. In primo luogo, Germania, Francia e
Regno Unito, esportano soprattutto in Europa, con valori percentuali
equivalenti, rispettivamente 60,5%, 64,6% e 57,7%. In più, se prendiamo come
misura il totale delle esportazioni di questi tre paesi verso i paesi in via di
sviluppo, abbiamo, nel 2001, un 75,7% per la Germania, un 76,9% per la Francia e
un 80,3% per il Regno Unito, il che evidenzia un accumulo di commercio
concentrato all’interno della Triade. Dei tre paesi in questione, il Regno
Unito è quello che maggiormente esporta verso gli Stati Uniti e il Canada,
ossia il 17,7% delle sue esportazioni totali, seguito dalla Germania con l’11,4%,
e dalla Francia con il 9,5%, nel 2001.
Gli Stati uniti hanno una struttura di esportazioni più
diversificata, essendo per il 57,0% dirette verso i paesi sviluppati,
soprattutto perché mantengono una forte relazione commerciale con le regioni in
via di sviluppo dell’Asia Orientale (16,9%) e dell’America Latina (21,8%).
Qui ci interessano particolarmente le esportazioni verso i paesi implicati nell’ALCA.
Se sommiamo le esportazioni degli Stati Uniti verso l’America Latina con
quelli destinati al Canada, non verifichiamo solo l’importanza del mercato
delle esportazioni statunitense all’interno dell’ALCA, ma anche la sua
crescita nel tempo, dato che è passato dal 33,4% del 1980 al 44,2% del 2001
delle esportazioni mondiali.
Il volume del mercato europeo (23,5%) equivale praticamente a
quello del mercato canadese (22,4%) (in relazione all’andamento del flusso
commerciale di questo paese). Un simile commento si può fare in relazione alla
struttura dell’ esportazione del Giappone, con la differenza che il maggior
flusso delle esportazioni di quest’ultimo si dirige verso i paesi dell’Asia
Orientale (40,3%), seguiti da Stati Uniti e Canada (32,0%), essendo minore il
suo commercio con l’Europa (16,8%).
Il mercato sudamericano, invece, è divenuto, rispetto alle
esportazioni provenienti dai paesi dell’OCSE, via via meno importante, al
contrario dei flussi provenienti dagli Stati Uniti, per i quali esiste una
relazione inversa. La Francia, che esportava il 3,6% del totale delle sue
esportazioni in America Latina, le ha ridotte al 3,0% nel 2001; la Germania dal
3,3% al 2,6%, il Regno Unito dal 3,1% all’1,7%, e il Giappone, con una caduta
ancora più accentuata, dal 6,55 al 4,0%, il che, in altri termini, vuol dire
che gli Stati Uniti sono il maggior fornitore della regione.


[1] UNCTAD, Handbook of Statistics, 2002.