“The Federal Business Revolution”. Parte prima: i percorsi attuativi della “grande” riforma della Pubblica Amministrazione
Luciano Vasapollo
Rita Martufi
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Si è entrati ormai in una fase in cui il “federalismo all’italiana”
sta diventando definitivamente legge dello Stato; ciò sinteticamente significa
che a fronte di un minore contributo fiscale a favore dello Stato, il cittadino
dovrà versare imposte, tasse, contributi, in pratica somme di denaro sempre
maggiori agli enti locali e alle regioni, in nome del tanto “decantato e
atteso” federalismo fiscale che dovrebbe portare ad una maggiore “autonomia”,
e quindi, a più “potere” degli enti.
Allo stesso tempo è il trionfo della “sussidiarietà”.
Ma di cosa si tratta in realtà? Sussidiarietà in sostanza significa che lo
Stato subentra laddove non approdano i privati: sono finiti quindi i compiti
dello Stato sociale e le funzioni delle Amministrazioni Pubbliche? È semplice:
i servizi sociali e pubblici sono dati in gestione ai privati o se questo non è
possibile (perché magari si tratta di servizi non redditizi) intervengono i
settori cosiddetti “no profit” o del Terzo settore, settori ormai in mano
alle fondazioni bancarie; un Terzo settore che non svolge di fatto un ruolo di
supplenza ma di sostituzione in chiave “privatistica” del Welfare State” e
allo Stato e agli Enti Pubblici resta una sorta di ruolo di “supplenza” nell’attività
sociale in genere.
Va tenuto conto, inoltre, che in questi ultimi anni si è
avuta una sempre maggiore privatizzazione delle aziende pubbliche che gestivano
settori di primaria importanza, quali l’elettricità, i trasporti, l’acqua,
ecc., e ciò ha provocato oltre ad un aumento delle tariffe dei servizi e un
peggioramento dei servizi anche un considerevole disagio tra i lavoratori che
hanno dovuto sopportare licenziamenti, adeguamenti alle politiche di
flessibilità, mobilità e trasferimenti, contrazione dei salari reali, ecc.
[1]
In questo articolo si cercherà di chiarire come, in che modo
è stata avviata e come sta procedendo la “Grande Riforma della Pubblica
Amministrazione” e come i tanto celebrati miglioramenti per i cittadini e
lavoratori (ormai sarebbe meglio chiamarli utenti-clienti) siano in realtà un
esclusivo consolidamento economico e di potere solo per i gestori delle imprese
private che facendo capo ad un progetto politico-economico ben preciso e
delineato di “occupazione dello Stato” hanno avuto la possibilità di “infilarsi”
nella gestione dei servizi pubblici realizzando l’incremento sempre maggiore
dei loro profitti a danno chiaramente dei cittadini, della collettività e delle
fasce più deboli della popolazione che vedono l’accentuarsi dei loro disagi.
Nel prossimo numero di Proteo verrà pubblicata la Parte
Seconda di questo lavoro in cui più dettagliatamente si porrà l’accento
sulle logiche ispiratrici del “nuovo Welfare” ridotto a “soccorso per i
miserabili”, al ruolo e alle funzioni del “Terzo settore” nell’ambito
della “filosofia della sussidiarietà”; si riprenderà infine il discorso
relativo alle privatizzazioni già affrontato nei primi due numeri del 1998 di
Proteo, legandolo ai processi di liberalizzazione e privatizzazione dei servizi
pubblici locali e valutando le ricadute in particolare sui lavoratori del
pubblico impiego. In poche parole la “rivoluzione
politico-economico-istituzionale” che generalmente identifichiamo come
definitivo passaggio dal Welfare State al Profit State individua una “Federal
Business Revolution” che riconosce nei lavoratori pubblici e nell’utilizzatore
socialmente più debole del servizio pubblico le “vittime” da sacrificare
per la realizzazione della “Grande Riforma della Pubblica Amministrazione”.
La riforma prende le mosse da quattro elementi fondamentali:
1) il decentramento amministrativo;
2) la riorganizzazione;
3) il completamento della privatizzazione del lavoro
pubblico;
4) la semplificazione degli atti amministrativi.
Per quanto riguarda il primo punto si tratta del
trasferimento alle regioni, alle provincie e agli enti locali dei compiti in
precedenza spettanti allo Stato nell’ottica di un “federalismo a
costituzione invariata”.
La riorganizzazione prevede un generale riordino dei
Ministeri con la possibilità anche di una loro fusione.
Il terzo punto prevede, invece, la totale integrazione della
disciplina del lavoro pubblico con quella del lavoro privato (in sostanza si
equiparano i lavoratori pubblici ai lavoratori privati).
Da ultimo vi è la previsione di una completa, efficace ed
efficiente semplificazione degli atti amministrativi.
Di seguito viene fornita una Cronologia delle leggi sulla
Riforma della Pubblica Amministrazione (PA) per collocare meglio nel tempo i
vari passaggi politici.
2. I percorsi della Federal BusinessRevolution
Quale può essere considerato il compito della Pubblica
Amministrazione [2]? La risposta più immediata e naturale è che il ruolo
principale sia quello di creare diverse opportunità ai cittadini per permettere
loro di scegliere e poter così soddisfare i diversi bisogni sociali.
Ed ancora qual’è il significato di settore pubblico? A
questo proposito si ricorda che: “Negli attuali sistemi standardizzati di
contabilità nazionale... il settore pubblico è... identificato nel complesso
delle pubbliche amministrazioni, intendendo con ciò quelle istituzioni che a
titolo principale producono servizi non commerciabili ovvero operano una
redistribuzione del reddito e della ricchezza del paese”. [3]
Definire il concetto di “servizio pubblico” non è
facile: vi sono infatti due accezioni: quella soggettiva e quella oggettiva; la
prima “definisce come servizio pubblico quell’attività svolta dall’amministrazione
pubblica, che non costituisce esercizio di pubblica funzione - ossia non ha
forma autoritaria - e che consiste nella produzione di beni o utilità a favore
della collettività... con la nozione oggettiva di servizio pubblico, invece, si
indica l’attività imprenditoriale che offre beni o servizi alla
collettività, o che soddisfa bisogni generali.” [4]
Si sostiene correttamente che “una buona amministrazione
pubblica va creata organizzando una struttura di base con caratteristiche
tecniche in grado di assicurare il buon funzionamento della gestione,
indipendentemente dal modello di decentramento o dalle forme di autonomia
prescelti. Una buona macchina amministrativa deve saper funzionare non soltanto
per il grado di autonomia assicurata dalla Costituzione agli Enti ma anche e
soprattutto per la qualità del dispositivo amministrativo realizzato. Basti
pensare alla Francia che, pur essendo una repubblica ad impianto centralista,
possiede una delle migliori amministrazioni pubbliche esistenti nel mondo”
[5].
Dal punto di vista della Statistica Economica e della
Contabilità Nazionale, la Pubblica Amministrazione (PA) è definita come l’operatore
economico che produce servizi collettivi non destinabili alla vendita,
servizi cioè che non essendo oggetto di compravendita non hanno un prezzo di
mercato; allo stesso tempo la PA svolge funzioni redistributive di reddito e
di ricchezza effettuando trasferimenti unilaterali verso gli altri operatori
economici i quali effettuano versamenti obbligatori alla PA per permettere il
finanziamento delle prestazioni dei servizi pubblici collettivi [6].
La Pubblica Amministrazione può essere paragonata anche ad
una azienda in quanto, agendo in una situazione non concorrenziale, origina
servizi di carattere materiale e giuridico. Con la nuova riforma si sta cercando
invece di impostare la PA con struttura e modalità attuative dell’impresa
privata; si sostiene ad esempio che anche se l’impresa, non può trovarsi in
una situazione di “chiusura dovuta al fallimento” è altrettanto vero che
una errata politica delle Amministrazioni Pubbliche può portare a gravi perdite
per l’intera collettività; o si sostiene anche che come l’impresa privata
anche la Pubblica Amministrazione deve rispondere a requisiti di efficienza,
economicità ed efficacia negli obiettivi da raggiungere anche se di solito gli
interessi pubblici sono perseguiti senza seguire strettamente le regole del
mercato [7]. Infatti, “il suo compito è di
offrire non rischi... ma la sicurezza pubblica, ossia il punto di riferimento
stabile e riconoscibile della mediazione tra opposti egoismi e dell’allocazione
delle risorse secondo criteri d’efficace imparzialità... nei cui riguardi la
PA deve sviluppare, più che la risposta adattativa tipica delle imprese, quella
autoritativo-regolativa tipica del pubblico potere”. [8]
Si capisce da subito come si cominci già a trasformare la
concezione e il ruolo della PA; ormai si fa permeare nella società il concetto
che la PA debba essere un’impresa con criteri privatistici in cui l’efficienza
produttiva debba avere un ruolo centrale, immettendo così di fatto la PA nella
logica di mercato e quindi finalizzata al profitto e non più al soddisfacimento
dei bisogni economico-sociali collettivi senza il ricorso al mercato e, quindi,
senza bisogno di compravendita e in chiave universalistica.
Si sviluppa, seguendo tale impostazione economica e
culturale, negli ultimi anni nel nostro Paese un processo di riforma dell’organizzazione
statale fondata su un più diretto coinvolgimento delle regioni, delle province
e dei comuni, che rappresentano gli enti di riferimento per una differente
distribuzione delle funzioni pubbliche, determinata dai principi di efficienza,
efficacia ed economicità. Principi e modalità attuative che fanno da
riferimento per una diversa organizzazione dello Stato e per cui l’Amministrazione
Pubblica oggi, non può più essere considerata un elemento esterno ai poteri
tipici del Profit State, ma, anzi, diventa uno strumento di intervento attivo.
Cioè la Pubblica Amministrazione si affaccia alle soglie del terzo millennio
con una logica effettivamente di efficienza e di mercato, tralasciando gli scopi
sociali. La prima considerazione da fare è che nel momento in cui i documenti
ufficiali della PA parlano espressamente di mercato, significa che una scelta di
campo già la si è fatta, perché il mercato non è un’entità astratta, ma
il mercato vive di leggi ferree, centrate sul rapporto di efficacia economica
capitalista che significano massimizzazione dei profitti e minimizzazione dei
costi. Nella fattispecie il costo che in prima battuta dovrà essere tagliato è
il costo del lavoro. Se per efficienza si intendesse semplicemente miglior
rapporto con i cittadini, un miglior rapporto quindi di servizio pubblico come
lo si intende socialmente, come lo intendono i lavoratori, ben venga, ma il
problema è che i criteri messi alla base di tutta la riforma sono
fondamentalmente i criteri dell’efficienza dell’impresa privata nella
rincorsa sfrenata al profitto.
Si può parlare della nascita di un cosiddetto “federalismo
all’italiana”, di una grande riforma dell’organizzazione e delle funzioni
della PA e in genere delle funzioni pubbliche in cui i principi di efficienza,
efficacia ed economicità si coniugano al “decentramento amministrativo”,
comunque, attraverso funzioni comunicative, sociali e politico-organizzative
consone alla riforma in atto. Si tratta in effetti di una profonda modificazione
in chiave politico-economica supportata da continui messaggi
culturali-propagandistici che devono creare consenso alle logiche di mercato,
alle “ineluttabili necessita” di efficienza e di profitto, alla lotta agli
“sprechi e all’assistenzialismo e al posto fisso improduttivo”. È per
questo che continuo è il bombardamento mediatico sull’efficienza produttiva e
organizzativa della PA ottenibili esclusivamente attraverso i meccanismi di
mercato, l’abbattimento del ruolo dello Stato regolatore, interventista e
occupatore, della privatizzazione delle imprese pubbliche e del Welfare,
favorendo i processi di “devolution” con i passaggi dall’universalismo
alla sussidiarietà, travisando e utilizzando in un’ottica esclusivamente di
mercato e di profitto i principi e le spinte sociali ad un equilibrato e
possibile federalismo.
<Va ricordato che il termine federalismo può assumere due
significati diversi: si può parlare infatti di federalismo come “tecnica” e
federalismo come “valore”.
Nel primo caso per “federalismo” si intende un
particolare tipo di ripartizione delle competenze fra singoli Stati - ciascuno
col suo ordinamento, il suo popolo, il suo territorio - e Stato federale nel suo
complesso, dal separato ordinamento, e il cui popolo e il cui territorio sono
dati dalla somma di quelli degli Stati che lo compongono. Allo Stato federale
appartengono alcune competenze, enunciate dalla Costituzione federale - di
regola simbolicamente rappresentate dalla spada (la difesa), dalla bilancia (la
giustizia), dalla bandiera (la politica estera) e dalla moneta (la politica
economica generale) - e solo quelle. Tutte le altre appartengono, residualmente,
ai singoli Stati... Si tratta, insomma, d’una sorta di “funzione regolatrice
interna” dell’ordinamento giuridico, tale da porre i soggetti in grado di
adattare la propria azione alle diverse circostanze di tempo e di luogo che via
via si presentano in concreto.
Il decentramento poi addirittura, almeno in linea di
principio, è l’antitesi del federalismo. Con tale termine si intende la
possibilità dall’ordinamento accordata allo Stato centrale di istituire suoi
organi periferici per meglio servire il territorio. Il concetto di decentramento
presuppone l’esistenza di un centro forte, di cui le realtà locali
costituiscono la pura e semplice emanazione. Parimenti, il federalismo come
tecnica di governo non è affatto incompatibile col presidenzialismo...
b) Federalismo come “valore”.
È il significato a cui più di frequente fa ricorso il
politico attivo. In tale accezione, il federalismo è l’obiettivo politico, di
regola contrapposto ad un non meglio specificato centralismo. Naturalmente tale
accezione “valoriale” di federalismo può essere accettata anche dai suoi
avversari, i quali le addebitano ogni sorta di inconvenienti politici. Inteso
come valore negativo, il federalismo allora “mina l’unità dello Stato”,
“il primo passo verso la secessione”, “ignora le esigenze della
solidarietà”, ecc. In ogni caso, quando in politica il concetto di
federalismo viene usato prevalentemente come valore assoluto, positivo o
negativo che sia, meno è preciso, meglio è. Difatti ciò consente di caricarlo
di (ogni possibile) significato; chi fa cavallo di battaglia della sua politica
la nozione “valoriale” di federalismo o si guarderà bene dal definirlo, o
lo userà indifferentemente come sinonimo di “autonomia”, di “decentramento”,
di “indipendentismo”, di secessionismo”.> [9]
E comunque, nelle sue diverse specificazioni il federalismo
si coniuga alla più complessiva “grande riforma della PA”, che nel momento
in cui lega il passaggio dal Welfare State al Profit State, le privatizzazioni
all’emergenza economico-produttiva dell’efficienza d’impresa nella PA, la
nuova forma-Stato al federalismo, assume il ruolo di quella che ci piace
chiamare “Federal Business Revolution”. Seguiamone di seguito alcuni
percorsi.
Dopo la seconda guerra mondiale è iniziato nel nostro Paese
un lungo iter evolutivo che ha cambiato il ruolo della Pubblica Amministrazione:
da semplice regolatrice dell’ordine pubblico infatti si è passati ad una
amministrazione che oltre a fornire i servizi gestisce le infrastrutture.
[1] Cfr. “Gli Sciamani del federalismo” in Contropiano, giornale per l’iniziativa
politica e di classe, Novembre 2000, pag. 1.
[2] L’art.2.del Decreto Legislativo 3 febbraio 1993, n. 29 sulla
Razionalizzazione dell’organizzazione delle amministrazioni pubbliche e
revisione della disciplina in materia di pubblico impiego cita: “Per
amministrazioni pubbliche si intendono tutte le amministrazioni dello Stato, ivi
compresi gli istituti e scuole di ogni ordine e grado e le istituzioni
educative, le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento autonomo, le
regioni, le provincie, i comuni, le comunità montane, e loro consorzi ed
associazioni, le istituzioni universitarie, gli istituti autonomi case popolari,
le camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura e loro
associazioni, tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e
locali, le amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario
nazionale”.
[3] Cfr. “Enciclopedia
dell’Economia Garzanti”, Garzanti editore, 1992.
[4] Cfr. A.Quadro Curzio,
M.Fortis (a cura di),”Le liberalizzazioni e le privatizzazioni dei servizi
pubblici locali”, Il Mulino, Bologna, 2000, pag.34.
[5] G.V. Lombardi, “L’ordinamento degli enti locali”, il Sole24 ore,2000,
Milano, pag.27.
[6] Si veda Alvaro
G., “Contabilità Nazionale e Statistica Economica”, Cacucci edit., Bari,
1999.
[7] Va ricordato che l’art. 1 della Legge n. 241 del 7 agosto 1990 cita:
“1. L’attività amministrativa persegue i fini determinati dalla legge ed è
retta da criteri di economicità, di efficacia e di pubblicità secondo le
modalità previste dalla presente legge e dalle altre disposizioni che
disciplinano i singoli procedimenti”.
[8] Cfr. S. Russo, “Il
management amministrativo. Ruolo unico, controllo e responsabilità”, Giuffrè
edit., Milano 2000, pag.39.
[9] Cfr.R.Fassa, Federalismo,
in Impresa e Stato, http://impresa-stato.mi.camcom.it/im_39/fassa.htm.