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La crisi economica mondiale attuale, espressione della crisi generale del capitalismo e la condizione dei lavoratori

Vicente E. Escandell Sosa

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Premessa

Il presente lavoro, basato sul metodo dialettico materialista, afferma con criteri scientifici che questa crisi economica mondiale, per quanto profonda e dura possa essere, non è una “crisi senza uscita del capitalismo”, ne’ provocherà la sua fine, anche se fa parte della crisi generale del capitalismo e la renda più acuta, perché nessuna crisi del capitalismo lo porterà al suo crollo senza una lotta di classe, perché le forze sociali che devono generare i cambiamenti rivoluzionari sono (ancora) assai limitate. “Senza i risultati della lotta di classe, le crisi economiche in se stesse (anche se creano “un terreno più favorevole alla diffusione di certi tipi di pensiero”) non saranno una minaccia per il capitale. La questione essenziale (come ricordava Luckas) è se il proletariato vivrà la crisi come “oggetto o come soggetto decisivo”1. L’“immaturità del proletariato” e la sua subordinazione alle leggi del capitale indicano che la natura specifica del capitale resta nascosta”. È necessario considerare che la crisi attuale che non è congiunturale, né sporadica, né causata da errori è multidimensionale, di civiltà, strutturale e sistemica, costituisce parte di un processo storico che ha a che fare con il processo di sviluppo dialettico della crisi generale del capitalismo, che lo condurrà al suo crollo definitivo nel momento in cui le forze sociali progressiste saranno capaci di effettuare la trasformazione necessaria, ossia quando “gli espropriatori saranno espropriati”.

1. Introduzione: caratteri della Crisi Generale del Capitalismo (CGC) Il recente processo di globalizzazione neoliberista che ha vissuto il capitalismo ha nascosto, nei suoi molteplici effetti, la chiarezza del suo processo di crisi generale, che ha sottomesso la civilizzazione capitalista mondiale nelle ultime tre decadi del secolo scorso. I teorici della borghesia transnazionale, analizzando acriticamente le realtà del processo di globalizzazione capitalista attuale, lasciano da parte questa crisi “multipla e civilizzatrice” che sta vivendo oggigiorno la società. Questa crisi si manifesta negli aspetti economici, tecnologici, sociali, politici, ideologici, culturali e ambientali. La globalizzazione capitalista attuale ha reso possibile il prolungamento e il superamento di certe tendenze secolari e strutturali del capitalismo che, anche se con nuove forme di espressione, determina, tanto oggi come cinque secoli fa, il capitale a sottomettere livello globale e planetario il mondo. Esso avanza in maniera irregolare e accidentata, sulla base dello sviluppo di contraddizioni interne che lo limitano, che provocano disastri totali o parziali e non raggiungono gli spazi e le zone volute. Quanto detto determina che il capitalismo non si sviluppi in maniera ascendente e progressiva2. Innanzitutto bisogna definire cosa intendiamo per crisi. Nel senso generale, la intenderemo come l’interruzione o paralisi del normale sviluppo di un processo. Se la crisi viene superata, il processo segue il suo corso normale e positivo. In caso contrario, il processo si aggrava fino alla liquidazione3. Quando la crisi è espressione di molteplici contraddizioni, è multidimensionale e non supera le cause che la originano, è una crisi generale. Questa è la crisi che vive il capitalismo attuale. La causa della CGC è nella natura stessa del capitalismo. Essa è dovuta alle contraddizioni interne del capitalismo, le quali si convertono in antagoniste, come espressione della fondamentale contraddizione di questo sistema: la produzione sempre più socializzata e l’appropriazione sempre più privata, che a sua volta è determinata dalla contraddizione universale inerente tutti i modi di produzione: la contraddizione tra forze produttive e rapporti di produzione. Tale causa non era trattata, nei documenti dei Congressi del Partito Comunista dell’Unione Sovietica (PCUS) e nei manuali di testo per la didattica con la dovuta attenzione, dato che principalmente veniva esasperata la rivalità tra socialismo e capitalismo. Solamente nei documenti del XXVII Congresso del PCUS si nota una maggiore chiarezza e durante il XXVIII Congresso il termine CGC non è neppure menzionato. Quando nel processo di sviluppo il capitalismo rifiuta se stesso, non è nient’altro che l’espressione della sua crisi generale. Il capitale non riesce a far fronte all’acutizzazione dei problemi della fase decadente del capitalismo. La crisi generale del capitalismo è espressione di una crisi di civilizzazione e di una crisi strutturale di detto sistema; dunque, risulta profondamente articolata nel ciclo di produzione e riproduzione del capitale minacciando totalmente la sopravvivenza stessa del genere umano. Oggi viviamo un’epoca storica senza precedenti, dato che colpisce i punti più remoti del mondo. I problemi attuali del globo, dati dallo sviluppo sostenuto dalle forze produttive, richiedono una soluzione che sia totale, duratura, sulla base di una risposta universalmente valida, tenuto conto che solamente in questo modo potranno essere risolti gli antagonismi derivanti dall’incontrollabilità del capitale. Senza dubbio, il capitalismo come sistema irreversibilmente perverso è strutturalmente incompatibile con l’universalità che si necessita. Ciò perché, indipendentemente da quello che si voglia dire sull’attuale globalizzazione o mondializzazione capitalista, questa non può ottenere l’universalità desiderata perché, per ottenerla, sarebbe necessaria una “uguaglianza sostanziale” mentre il capitalismo soffre di una disuguaglianza sostanziale, ossia soffre di una malattia terminale, o meglio di iniquità sociale o ingiustizia, che in quanto presenti nella sua logica di sviluppo, rivela oggi livelli molto elevati, che vanno contro la realizzazione umana in tutti i sensi. È per questo che il sistema capitalistico in qualsiasi delle sue forme storiche si presenti, è incompatibile con le proprie proiezioni di irreversibilità globalizzante4. Da questo deriva l’insostenibilità del sistema capitalistico. Attualmente la capacità di distruzione e l’incontrollabilità del capitale hanno assunto forme e proporzioni mai viste prima e neanche immaginabili, che si esprimono tanto nel campo militare quanto nella realizzazione di produzioni dispendiose che devastano l’ambiente, minacciando la stessa esistenza del mondo. È un capitalismo con caratteristiche endemiche di irrazionalità e depredazione, che non ha soluzioni dentro il sistema. La sua caratteristica di depredazione è basata sulle ampliate capacità tecnologiche e coadiuvata da un consumismo sfrenato che attentano all’ambiente necessario alla vita del pianeta. Il capitale non è capace di armonizzare lo sviluppo delle forze produttive con quello delle capacità e potenzialità degli individui sociali liberamente associati, basati sulle loro aspirazioni coscienti. “Il sistema del capitale - espone Mészàros - si articola in una rete di contraddizioni che è possibile amministrare solo a breve termine e, anche così, per brevi intervalli, ma che non si riesce a superare definitivamente”5. La malattia di ingiustizia sociale del capitalismo è presente in tutto l’organismo del malato e si manifesta nell’economia, nel campo scientifico-tecnico, nella distribuzione del reddito tra paesi e al loro interno, nell’occupazione, nell’accesso al sapere e all’informazione, nonché nell’uso e abuso delle risorse naturali, nelle differenze di genere, ecc.6 La crisi generale del capitalismo si esprime anche come fase di militarizzazione, di guerre nella gestione economica e politica dell’imperialismo generalizzato; l’assolutizzazione di un pensiero unico nella sfera economica e in quella politica; la scomparsa delle borghesie nazionali nei paesi del sud al trasformarsi in borghesie compratrici; la dimensione distruttrice del capitalismo prende vantaggi in relazione alla dimensione costruttiva che era la caratteristica della fase ascendente del capitalismo. In questo senso si riscopre che l’accumulazione capitalista distrugge la base naturale della riproduzione, inclusa la vita e la cultura delle nazioni. Come aspetti che acutizzano lo sviluppo della crisi si può considerare che il capitalismo non ha più necessità di una parte dei lavoratori del mondo, sono finiti i cicli di impiego e disoccupazione a partire dal boom, dalla depressione o dalla crisi ossia, da vent’anni, una parte dei lavoratori in pratica non sono più necessari. Inoltre non ha bisogno di una parte della popolazione mondiale, dato che il suo mercato controllato e sofisticato non è per loro e, quindi, non si preoccupa tenerli in considerazione. Altra espressione della CGC è il predominio del capitale speculativo all’interno del sistema economico capitalista, invece dell’intreccio tra capitale finanziario e capitale industriale, ovvero un capitalismo che non ha meno bisogno della produzione, cosa che determina una certa autonomia parassitaria e speculativa. D’altro canto, lo Stato-nazione si è indebolito, in particolare per quanto riguarda la capacità di deregolamentazione e intervento nell’economia basato sulla privatizzazione massiccia delle imprese e la distruzione delle capacità tecniche e umane qualificate di cui disponeva lo Stato. Senza dubbio non si può parlare di una crisi terminale degli Stati e della morte della politica che li accompagna, anche quando gli Stati di tutto il mondo cominciano a sviluppare la privatizzazione dell’educazione, a eliminare le pensioni e tutte le prestazioni che questi offrivano, come le varie forme di protezione sociale e le indennità di disoccupazione, a limitare le spese per la sanità, nel momento in cui non sono capaci di eliminare la violenza e garantire la sicurezza cittadina. Non è un processo di destrutturazione definitiva dello Stato, ma un cambio delle sue funzioni. Tutto ciò è espressione della crisi storica che sta vivendo il capitalismo. La democrazia capitalista, riconosciuta come forma fondamentale di organizzazione politica all’interno del sistema dalla seconda guerra mondiale in poi, non ha speranze da offrire. Si è passati dal dibattito con parvenza democratica alla criminalizzazione dei movimenti sociali e la conseguente militarizzazione della politica ha sviluppato la repressione e intimidazione contro chiunque sia contrario alla cosiddetta guerra preventiva.

2. La severa crisi attuale del capitalismo Oggi, il sistema capitalista mondiale vive una severa crisi economica, che è espressione della crisi generale che corrode il sistema. È la crisi più profonda dal 1929 in poi, con complicazioni energetiche, delle risorse naturali, di cambio climatico, di alimentazione, etc. nessuno sa fino a che punto essa possa arrivare. Tale crisi risulta molto complessa e la sua soluzione non è di facile lettura. Cominciò negli USA, propagandosi rapidamente agli altri paesi sviluppati per poi raggiungere quelli periferici. Profondamente danneggiati risulteranno i paesi contraenti accordi di libero commercio con gli Stati Uniti. Le cause strutturali della crisi odierna sono ben note: è una crisi di sovrapproduzione e a volte di sottoconsumo, (conseguenza del modello di distribuzione del reddito tanto regressivo da portare all’erosione della domanda effettiva, sostenuta negli ultimi anni al costo di un forte indebitamento dei lavoratori). Questo è il meccanismo utilizzato periodicamente per la “purificazione “dei capitali ; tra le altre cause vanno considerate: la rapida finanziarizzazione dell’economia e quello che ne consegue; la tendenza ad effettuare operazioni speculative sempre più rischiose, un mercato finanziario deregolamentato, nonché le politiche neoliberiste di deregolamentazione e liberalizzazione. In definitiva tutte condizioni volute da Washington. Siamo in presenza, di una crisi che non è il frutto della lotta di classe e neanche può essere definita come meramente “finanziaria” o conseguenza della “finanziarizzazione”. La crisi odierna affonda le sue radici nel processo di accumulazione del capitale, rivelando le sue contraddizioni, andando a evidenziare che le ragioni ultime di questa vanno ricercate nella dinamica dell’attività produttiva, e al tasso di rendimento ad esso associato, così come la distribuzione del reddito tra lavoro e capitale. È necessario mettere in evidenza che la crisi attuale - che non è congiunturale, né sporadica, né causata da errori - è multidimensionale, civilizzatrice, strutturale e sistemica, essa fa parte di un processo storico correlato al processo di sviluppo dialettico della crisi generale del capitalismo, che lo porterà al suo crollo definitivo, nel momento in cui le forze sociali progressiste saranno capaci di compiere la trasformazione necessaria. La crisi esprime i limiti storici del sistema capitalista. Non ci troviamo di fronte alla “crisi finale” del capitalismo o qualcosa di simile, ma bensì bisogna comprendere che affrontiamo una situazione in cui si esprimono i limiti storici della produzione capitalista.7 “in questo senso, come espone I. Wallerstain, con la crisi congiunturale del capitalismo converge una crisi strutturale, un declino storico del sistema-mondo. In questo si distingue la fase di recessione economica mondiale dalle precedenti”.8 Citando Marx: “il vero limite della produzione capitalista è lo stesso capitale; il fatto è che in essa, sono il capitale e la sua stessa valorizzazione che costituisce il punto di partenza e la meta, il motivo e il fine della produzione[...]”.9 Ed ancora: “il mezzo impiegato - sviluppo incondizionato delle forze sociali produttive - si scontra costantemente con il fine perseguito che è un fine limitato: la valorizzazione del capitale esistente. Di conseguenza, se il regime capitalista di produzione costituisce un mezzo storico per sviluppare la capacità produttiva materiale e creare un mercato mondiale che gli corrisponde, racchiude allo stesso tempo una contraddizione costante tra questa missione storica e le condizioni sociali di produzione proprie di dato regime”.10 Comparando la situazione attuale a quella del 1929, possiamo dire che esiste un mercato e una situazione mondiale molto differente rispetto a quell’epoca, in cui Cina e India erano paesi coloniali, mentre oggi non lo sono, detenendo una partecipazione a pieno diritto nell’economia mondiale, unificata ad un livello sconosciuto fino ad oggi. La citazione precedente può aiutarci a comprendere il momento attuale e la crisi che è iniziata in tale contesto.11 Grazie ai processi di deregolamentazione e di liberalizzazione, il capitalismo ha creato un mercato mondiale nel vero senso del termine, realizzando quello che Marx aveva intuito o anticipato.

3. Il Mercato Mondiale e la competizione tra i lavoratori La creazione di un mercato mondiale come spazio aperto non omogeneo, senza restrizioni al capitale, permettono a questo, su scala globale, di mettere in moto il ciclo di valorizzazione, e inoltre di mettere in competizione tra loro i lavoratori di diversi paesi attraverso l’esistenza di un esercito industriale di riserva a livello planetario, laddove il capitale mondiale come totalità, definisce i flussi di integrazione e repulsione illustrati da Marx ne “Il Capitale”. Tale competizione a livello mondiale condiziona le profonde divisioni esistenti all’interno della classe operaia, che le impediscono di diventare quella forza liberatrice prospettata da Marx, affinché “gli espropriatori siano espropriati”. Ciò viene ribadito da Marta Harnecker quando scrive: “il capitale ha bisogno di aumentare il livello di separazione tra gli operai. Non capire la tendenza interna del capitale a separare la classe operaia, porta a considerare “neutrali” e di carattere astratto la tecnologia e le forze produttive, invece di interpretarle come un aspetto delle relazioni di produzione capitaliste. Ambedue sono caratteristiche tipiche dell’economicismo. Nel momento in cui si comprende tale aspetto del capitale, non solo appare chiaro che la classe capitalista è costantemente impegnata nell’incrementare il livello di separazione tra gli operai, ma anche che non rimane indifferente di fronte a l’influenza di qualsiasi innovazione nella capacità di associazione dei lavoratori. Il grado di separazione tra i lavoratori è una variabile critica, fino al punto che il capitale preferisce adottare misure volte al raggiungimento di tale scopo, a costo anche di pregiudicare la produttività. Di fatto, gran parte di quello che accade con la globalizzazione capitalista è un tentativo di debilitazione della capacità degli operai di concentrarsi e organizzarsi. Le divisioni interne alla classe lavoratrice sono prodotte e riprodotte in quanto condizione fondamentale per l’esistenza del capitale.”12

Oggigiorno, il sistema capitalista non necessita di una parte dei lavoratori e della stessa umanità, dunque attenta e pone in pericolo la sopravvivenza del pianeta. “Per contro però, non si sta assistendo a ribellioni generalizzate, e neanche si è formato un forte polo opposto al capitalismo, nonostante la presenza di una grande cultura politica di resistenza. Bisognerà dunque confidare che le contraddizioni stesse del capitalismo agiscano contro se stesso, o in un’azione che gli si opponga? [...] penso che le proprie contraddizioni non porteranno mai il capitalismo a sparire.” 13 Anche Franz Hinkelammert condivide le stesse posizioni: “[...] la crisi della popolazione, delle relazioni sociali e quelle ambientali sono il risultato e si trasformano in veri cavalieri apocalittici. Alla fine, è lo stesso sistema ad essere minacciato dalla crisi che egli stesso ha prodotto. [...] Questa minaccia però non porta alla sostituzione del capitalismo con un altro tipo di società, ma bensì minaccia il capitalismo in quanto pericolo per la sopravvivenza umana, senza la quale tale sistema non può sopravvivere.14 Non c’è dubbio comunque che il capitale sia sempre riuscito a far fronte alle crisi, che sono parte integrante della logica spietata di un’economia basata sul sistema del mercato con l’appoggio statale. Nonostante i suoi errori, si è sempre ripreso, incluso durante periodi in cui ha dovuto confrontarsi con sfide politiche di grande rilievo, per tanto non va sottostimata la sua capacità di adattamento e sopravvivenza, conseguita sempre a spese della maggioranza degli sfruttati. Va ricordato che il sistema economico si riproduce rivoluzionando le sue condizioni, invece di limitarsi a riprodurle.

4. Limitazioni attuali della lotta anticapitalista da parte della classe operaia Questa crisi economica mondiale, per quanto profonda e dura che sia, e anche se identifica la crisi generale del capitalismo, non è una “crisi senza uscita del capitalismo” ne’ provocherà la sua fine,poiché nessuna crisi dello stesso lo porterà al suo crollo senza una lotta di classe, e le forze sociali che devono generare i cambiamenti rivoluzionari è (ancora) assai limitata. Come scrive Attilio Boròn: “è necessario avere chiaro che non basta una crisi di questo tipo affinché questa porti alla caduta del capitalismo. Lenin lo disse nel 1917: il capitalismo non crollerà mai da solo, ciò avverrà se sarà presente una forza sociale che lo faccia crollare. Si può anche avere una forte crisi, ma se non c’è quel soggetto storico che porti avanti la rivoluzione, la rivoluzione non avrà luogo. Ed allora, verrà la barbarie, quella vecchia contraddizione che divulgò Rosa Luxemburg tra socialismo e barbarie. O c’è una soluzione socialista alla crisi o la soluzione capitalista sarà anche reazionaria, militarista,e di criminalizzazione della protesta sociale”.15 È chiaro che la crisi attuale, che è a livello mondiale, determina un nuovo periodo storico di lotta nella quale possono svilupparsi progressi rivoluzionari a favore dei lavoratori nel sistema capitalistico, ma potrebbe verificarsi una grande sconfitta e trovarsi di fronte una situazione come quella precedentemente palesata. Dunque, bisogna evidenziare che i cambi avvenuti nel sistema imperialista mondiale dalle ultime decadi del secolo passato, hanno fatto si che il proletariato, che era la forza sociale che Marx aveva indicato per realizzare la rivoluzione, oggi non può compiere questa missione in nessun paese capitalista sviluppato, inclusi gli USA; ciò è dovuto al ruolo distruttivo giocato dal neoliberismo nei confronti della classe operaia attraverso politiche specifiche, quali ad esempio: trasformazioni radicali della filiera produttiva (paesi del centro e periferici), che hanno visto lo smantellamento del sistema produttivo fordista nelle nazioni imperialiste, la decentralizzazione e rilocalizzazione della produzione, così come lo sviluppo di grandi reti di servizi, distribuzione e attività finanziarie, ampiamente informatizzate e automatizzate. Tale processo di riorganizzazione e sviluppo tecnologico è stato accompagnato da politiche anti-operaie volte a smantellare le garanzie economiche e giuridiche conquistate da questa classe nel corso del tempo.16 Perciò, per il momento appare improbabile il crollo del capitalismo anche negli Stati Uniti stessi. Va comunque osservato che nonostante la situazione economica attraversata in questo momento dagli USA, tale paese resta per ora l’unico garante del sistema capitalista su piano mondiale poiché detiene tuttora una posizione egemonica dominante. Analizziamo le condizioni necessarie ad una risposta positiva alle sfide poste dalla crisi. Le risposte alla crisi da parte degli Stati capitalisti, per modificare la situazione attuale, e le conseguenze che ne possono derivare non possono essere esclusivamente di natura economica o finanziaria come hanno fatto sinora le classi dominanti attraverso i grandi salvataggi a favore dei grandi monopoli per socializzare le perdite. Le spinte economiche (fiscali, monetarie, etc.) offerti dai governi devono essere considerate non come politiche di stampo keynesiano, ma come recuperi a favore del settore privato e socializzazione delle perdite. Inoltre questo massicio intervento da parte dei governi non potrà essere indefinito e sul medio termine sarà incapace di riscattare il processo di accumulazione dalle sue contraddizioni e fondamentalmente dalla sua incapacità di rendere produttivi gli investimenti nella sfera della produzione, cosa che condurrà ad una situazione di uscita dalla crisi, caratterizzata da un lungo periodo di ristagno, di disoccupazione e lotta per la redistribuzione. Non possiamo quindi affermare che esista un cambiamento significativo nell’agenda politica che guida le attività dei poteri pubblici. È inoltre necessario rispondere alla seguente domanda: si potrebbe tornare a formule di associazione dei settori pubblici e privati, a formule di economia mista come è accaduto durante i “trenta anni gloriosi” (1945-1975) in Europa e durante l’era di Bandung, in Asia e in Africa, quando il capitalismo di Stato dominava ampiamente accompagnato da politiche sociali forti? In primo luogo dobbiamo rispondere che questo tipo di intervento da parte dello Stato non è all’ordine del giorno. In secondo luogo dobbiamo chiederci se le forze sociali progressiste sono in grado di imporre una trasformazione di questa ampiezza. No, queste forze sociali ancora non sono in grado; quale verrebbe ad essere la vera alternativa? Secondo Samir Amin “la vera alternativa passa attraverso il rovesciamento del potere esclusivo degli oligopoli, che è inconcepibile senza una progressiva nazionalizzazione democratica.17 Questa tuttavia non sarebbe ancora la fine del capitalismo. Sono “ possibili nuovi rapporti tra le forze sociali che costringano il capitale alle rivendicazioni della classi popolari e dei popoli”.18 Quanto sopra sarebbe possibile solo se le lotte delle forze sociali, ancora non del tutto unite e sulla difensiva, fossero capaci di mettere in atto una alternativa politica adeguata che producesse l’inizio di una lunga transizione al socialismo, i cui avanzamenti sarebbero comunque differenti nei diversi paesi e nelle loro fasi di sviluppo. L’alternativa auspicabile avrà una dimensione economica, sociale e politica.19 Si deve evidenziare l’assenza di quel necessario vincolo automatico tra il fatto che la crisi sia essenzialmente pagata dalle classi lavoratrici e popolari e la tradizione politica di questo fenomeno, in un incremento delle lotte sociali. Per rafforzare e dare impulso a queste lotte è opportuno tener conto di altri fattori di tipo politico, ideologico e organizzativo. In definitiva la crisi attuale ci sta dicendo che abbiamo le condizioni oggettive, ma che mancano le condizioni soggettive, non abbiamo l’elemento soggettivo che sarebbe fondamentale. Nel caso dell’America latina in alcuni paesi questo fattore esiste ma non è sufficiente. Le lotte sociali sono molto frammentate. È necessario che questo fattore soggettivo sorga anche in USA e in Europa. Questa situazione, di conseguenza pone la necessità di lottare costantemente contro le menzogne diffuse dalla stampa, dire la verità e sviluppare trincee di idee, compito fondamentalmente degli intellettuali. Sino a che non emerga un’alternativa economica e socio-politica percorribile appoggiata da una maggioranza non si giungerà alla fine del capitalismo. Le attuali élites per salvarsi prenderanno in considerazione solo proposte che mantengano lo status quo. Per ottenere quanto già detto dobbiamo avere un’organizzazione internazionale di lotta anticapitalista. Lenin diceva che l’unica arma che possiede il proletariato per lottare è l’organizzazione. La borghesia è ben organizzata, la sinistra no; abbiamo una pluralità di organizzazioni incapaci di unirsi in una organizzazione politica di carattere internazionale. Il cosiddetto Foro Sociale Mondiale (FSM) è l’organizzazione dove i diversi movimenti si incontrano per scambiarsi idee, ma non hanno una direzione e non elaborano programmi e, tanto meno, danno aiuti alle lotte antimperialiste presenti in vari luoghi del mondo; per questo neppure questo foro può essere l’organizzazione che porti al cambiamento rivoluzionario a meno che non sviluppi strategie profonde e coerenti. È un grande insieme di diversità che ancora non identifica se stessa come dovrebbe essere, ovvero un’organizzazione internazionale di lotta anticapitalista. A ciò non solo non si è giunti ma la parola capitalismo è stata persino soppressa dalle dichiarazioni finali dei fori sociali mondiali. Questo dà un’idea di quanto c’è ancora da risolvere. Di fatto andrebbe sviluppato qualcosa che internazionalizzi le lotte al di là del locale, perché le vecchie forme tradizionali sembrano non essere più adeguate alle nostre necessità. La manifestazione spontanea non è sufficiente. Analizzando la crisi del 1974-75 si è notato che c’è stato un gran numero di manifestazioni operaie e sollevamenti antimperialisti di carattere internazionale sul piano politico e sociale. Tuttavia nel contesto della crisi attuale questo non è stato ciò che l’ha caratterizzata, anzi rispetto al progetto anticapitalista c’è stato un’arretramento sociale dato dal modello neoliberale che è esistito e che ha determinato le condizioni in cui si applica attualmente la lotta di classe e che sono molto sfavorevoli rispetto a quelle degli anni settanta del secolo XX. Bisogna inoltre evidenziare che l’attuale crisi si presenta in un momento nella quale il Foro Sociale Mondiale vive un vuoto politico, che non gli consente di sviluppare quel ruolo fondamentale di coesione cui è chiamato al momento della lotta, nonostante l’esperienza internazionale che possiede. La partecipazione al Foro è diminuita (anche se è stata notevole a Genova nel 2001 e contro la guerra in Irak nel 2003) ; nel 2009 l’ultimo incontro a Belem ha visto una buona affluenza ma continua a essere bassa. In generale l’FSM evidenzia una serie di debolezze come la sistematica opposizione alle iniziative di lotta, l’atomizzazione degli argomenti materia di dibattito e l’inesistenza di priorità che non aiutano quella coesione politica che sarebbe necessaria per unire i diversi movimenti che compongono detto Foro. Nel caso dei nuovi movimenti sociali come attori sociali, bisogna far riferimento alla alleanze con i lavoratori, come risultato della riduzione, dal punto di vista teorico, dei lavoratori a prodotti unidimensionali del capitale. Ossia, secondo Michel Lebowitz, “non ci sarebbero lavoratori e nuovi movimenti sociali, ma lavoratori reali multidimensionali in molte e diversirapporti sociali”.20 in altri termini questi movimenti sociali devono essere considerati come espressione di diverse necessità dei lavoratori e come lo sviluppo di nuovi centri di organizzazione della classe operaia che funzionano “nell’ampio interesse della sua totale emancipazione”. 21La lotta contro il capitale come padrone assoluto dei prodotti del lavoro sociale è ciò che determinerà la possibilità di unire, e non di separare tutti coloro che non hanno altra opzione che quella di vendere la propria forza lavoro. Insomma i diversi movimenti e i centri di aggregazione possono appoggiarsi gli uni agli altri e lottare contro il capitale, cosa che aiuterà un processo di trasformazione man mano che le persone che partecipino alla lotta cambino. Affinché i lavoratori che fanno parte di queste organizzazioni si sentano motivati al cambiamento rivoluzionario, all’andare oltre il capitale, non basta che comprendano la sua natura, ma è necessario che siano convinti che è possibile un altro mondo. Marx, nel suo discorso all’inaugurazione della prima internazionale diceva che gli operai possono essere numerosi, ma possono trionfare solo “ se sono uniti nell’organizzazione e diretti dal sapere”. Il Capitale offre questo sapere ma “si trasforma in forza materiale quando le masse lo fanno proprio”, cosa che sino ad ora non è accaduta. “Senza i risultati della lotta di classe, le crisi economiche in sé (anche se creano “un terreno più favorevole per la diffusione di alcuni modi di pensare”) non saranno una minaccia per il capitale. La questione essenziale (come ricordava Luckas) è se il proletariato vivrà la crisi come oggetto o come soggetto decisivo.” La “immaturità del proletariato” e la sua subordinazione alle leggi del capitale indicano che la natura specifica del capitale resta nascosta” 22.

5. Brevi conclusioni Dopo tutto quello che è accaduto nel mondo possiamo comprendere meglio che il capitalismo non produce la “ sua negazione...con la necessità di un processo naturale”,23 perché sono lì, ancora presenti, il feticismo del capitale, la separazione e la competitività tra i lavoratori a livello internazionale, ma c’è sempre una possibilità che nasca il terreno giusto, sul quale si possa continuare la lotta contro il capitale. I progressi nelle direzioni che abbiamo sopra menzionato, tanto nel nord come nel sud del mondo che sono la base dell’internazionalismo dei lavoratori e dei popoli costituiscono le sole garanzie per la costruzione di un mondo migliore, pluralista e democratico, unica alternativa alla barbarie del capitalismo. In altri termini tutto dipende dall’intelligenza e dal successo politico dei movimenti contro il sistema. La virulenza e la profondità della crisi, insieme al fatto che siano i più deboli coloro che la stanno pagando (i lavoratori e le classi popolari di tutto il pianeta), ci fa concludere ricordando la necessaria attualità di un progetto di emancipazione anticapitalista, ecologista e socialista. Più che mai la lotta per il socialismo del secolo XXI è all’ordine del giorno: costruiamolo! Traduzione di Giulia Alteri

* Titolare di cattedra e consulente del dipartimento di Scienze Economiche della facolta di Scienze Economiche e Imprenditoriali dell’Università Orientale di Cuba.

1 Lebowitz, M. Mas alla del capital, Editorial Ciencias sociales, La Habana, p. 286.

2 Aguirre Rojas, C.A., Para comprender el mundo actual. Una gramatica de larga duracion, Centro de Investigacion y desarrollo de la cultura cubana, Juan Marinello, La Habana 2003, p. 21.

3 Sanchez Vazquez. A. Entre la realidad y la utopia Editorial Ciencias Sociales, La Habana 2006.

4 Meszaros, I. Socialismo o barbarie, Editorial Ciencias Sociales,La Habana 2005. p. 3.

5 Mèszaros, I. Op. cit. p. 5.

6 Martinez, O. La compleja muerte del liberalismo, Editorial Ciencias Sociales, La Habana 2007, p. 64.

7 Chenais, F. Situacion Mundial. Como la crisi del 29 o mas. Un nuevo contexto mundial. “Herremienta” 1\10\08 p. 1

8 Marx C., El Capital, Tomo III, Editorial Ciencias sociales, La Habana 1973.

9 Ibidem.

10 Chenais, F. Op. cit., p. 2.

11 Harnecker, M., Prologo a la edicion espanola del libro Mas alla de el Capital de Michael Lebowitz, Editorial Ciencias sociales, La Habana 2008, p. XLVI.

12 Martinez Heredia, F., Interrogar El Capital desde america latina, in Nestor Kohan, El Capital Historia y metodo, Editorial Ciencias sociales, La Habana 2004, p. 453.

13 Hinkelammert, F.. El sujeto y la ley. El retorno del sujeto reprimido, Editorial Caminos, La Habana 2006, p. 506.

14 Boron A. De la guerra infinita a la crisis infinita, www.Rebelion.org 15\3\2009.

15 Petras. J Vasapollo, L. Veltmeyer, H. Casadio. M., Imperio con imperialismo. La dinamica globalizadota del capitalismo neoliberal, Editorial Ciencias sociales, La Habana 2004, p. 13.

16 Amin, S., Respuestas ilusorias y respuestas necesaria, www.michelcollon.info

17 Ibidem.

18 Ibidem.

19 Lebowitz, M., Op. cit. p. LX.

20 Ibidem.

21 Ivi, p. 286.

22 Marx, C., El Capital, Tomo I, Siglo XXI Editores, Mexico 1983, p. 954.

Riferimenti bibliografici

Aguirre Rojas, C. A. Para comprender el mundo actual. Una Gramática de larga duración. Centro de Investigación y Desarrollo de la Cultura Cubana. Juan Marinello. La Habana.2003 Amín, S. Respuestas ilusorias y respuestas necesarias. www.michelcollon.info Borón, A. De la guerra infinita a la crisis infinita. WWW. Rebelión.org 15/3/2009 Borón, A. Intervención en el panel “En defensa de la humanidad”. Hay alternativas, aunque sean Costosas.16-3-2009. La Jiribilla. Chesnais, F. Situación Mundial. Como la crisis del 29 o más. Un nuevo contexto mundial. Herramienta 1/10/08. Escandell, V. ¿Crisis General del Capitalismo? CD. VI Taller Cultura y Economía Regino Boti. Universidad de Oriente. 2008. Hinkelammert, F. El sujeto y la Ley. El retorno del sujeto reprimido. Editorial Caminos. La Habana. 2006. P.506. Lebowitz, M. Más allá de El Capital. La economía política de la clase obrera. Editorial de Ciencias Sociales. La Habana. 2008. Martínez Heredia, F. “Interrogar El Capital desde América Latina”. Publicada en el libro de Néstor Kohan, El capital, historia y método. ECS. La Habana. 2004. Marx, C. El Capital. Tomo III. ECS. La Habana, 1973. Mészáros, I. Socialismo o Barbarie. Editorial Ciencias Sociales. La Habana. 2005. Petras, J., Vasapollo, L., Veltmeyer, H., Casadio, M. Imperio con Imperialismo. La dinámica globalizadota del capitalismo neoliberal. ECS. La Habana. 2004. Valdés Vivó, R. Crisis sin salida. Granma, 30/1/2009. Wallerstein, I. Entrevista a I. Wallerstein. http://www.diagonalperiodico.net/spip.php?article7319