1. Le variabili economiche
A partire dall’impressionante crescita economica e dal suo accelerato inserimento internazionale, la Cina si è trasformata in un punto di riferimento ineludibile per qualsiasi analisi della dinamica economica mondiale ed è perfino diventata un modello di sviluppo. Tuttavia, tale evoluzione è stata complessa e controversa, dando luogo ad analisi che partono dagli estremi di un ottimismo smisurato fino a quelli di una prognosi catastrofica.
Il dibattito si è sviluppato sui temi più diversi, ma risalta nel piano economico la variabile crescita, esportazioni ed investimenti che sono per la grande maggioranza le variabili nelle quali si concentrano i principali risultati economici della Cina.
In realtà, la Cina si considera uno dei principali “motori della crescita mondiale” considerando il mantenimento della sua alta crescita economica, il “buco nero” che assorbe la maggiore quantità di investimenti mondiali, e la “fabbrica mondiale” dovuto all’impressionante progressione delle sue esportazioni. Tuttavia, malgrado siano esse le variabili più dinamiche, allo stesso tempo vengono continuamente discusse.
In questo senso, si argomenta che la crescita che sta sperimentando l’economia non conduce allo sviluppo; che gli investimenti stranieri stanno spronando la ricchezza del paese e che le esportazioni non provengono da imprese domestiche. In sintesi, si dice che il paese si sta trasformando in “un gigante dai piedi di fango”.
La realtà cinese, da parte sua, ha dimostrato che qualunque degli estremi nella discussione non apporta un criterio reale ed utile nella valutazione del paese, per questo motivo si richiede un bilancio equilibrato del comportamento delle variabili economiche per avere un apprezzamento obiettivo del suo svolgimento.
2. Crescita
Il tasso di crescita, come indicatore macroeconomico, mostra, in gran parte, il dinamismo economico in cui si trova l’immersa Cina che si sta trasformando in un attore di gran rilevanza nello scenario globale.
La crescita dell’economia cinese si è caratterizzata per essere rapida, duratura e senza grandi squilibri da quando cominciò il processo di riforma economica ed apertura verso l’esterno nel 1978, il quale non è stato mai raggiunto da nessuna economia del mondo. Da allora, il suo tasso medio di crescita annuale è stato superiore al 9 percento, evento di grande importanza per l’evoluzione socioeconomica del paese.
In un’analisi comparativa, si osserva che negli stessi anni l’Unione Europea crebbe solo del 2,4 percento e gli USA del 3,2 percento. In questo modo, la Cina ha duplicato il suo Prodotto Interno Lordo, PIL, ogni 7 anni,gli USA l’hanno fatto ogni 20 e l’UE ogni 24 anni.
Nel 2006, il PIL della Cina raggiunse i 2,6 miliardi di dollari, dopo essere cresciuto 10.5 percento rispetto all’anno precedente1, col quale il paese asiatico rimase solo dietro gli Stati Uniti, il Giappone e la Germania in quanto a volume della sua economia in tutto il pianeta. Inoltre, la Cina è la seconda potenza del mondo, dopo gli USA, in quanto a parità di potere d’acquisto, indicatore che tiene conto delle differenze relative in quanto a prezzi di beni e servizi.
Con tali risultati, la Cina si è trasformata in una locomotiva della crescita nella regione asiatica e mondiale. Malgrado il suo PIL rappresenti il 4 percento del PIL mondiale, la sua contribuzione alla crescita mondiale è stata del 12 percento, solo superato dagli USA che apportano il 55 percento, essendo il peso del suo PIL il 33 percento di quello mondiale.
Se la Cina dovesse mantenere lo stesso ritmo di crescita, si calcola che avrà un PIL maggiore di quello della Germania nel 2008 e di quello degli USA nel 2041. Inoltre, si stima che per il 2050 sarebbero classificati per ordine di PIL: Cina, USA, India, Giappone, Brasile, Russia e molto dietro il Regno Unito.
La crescita economica è di importanza vitale per la Cina dal punto di vista della popolazione. L’immensa popolazione (circa 1300 milioni di abitanti) ed il suo veloce incremento (tra i 10 e i 15 milioni annuali) richiedono uno straordinario sforzo nel sostentamento alimentare e materiale, oltre alla creazione di posti di lavoro per quelli che arrivano all’età lavorativa, esigenze che possono soddisfarsi solo con elevati ritmi di crescita.
Ancora, dovuto alle trasformazioni strutturali in tutta l’economia ed in particolare nelle imprese statali, l’esigenza di creare nuovi posti di lavoro diventa più forte. Si dice che il paese deve creare circa 300 milioni di nuovi posti di lavoro nella prossima decade per assorbire o tornare ad assumere coloro che persero il lavoro nel settore agricolo o nelle imprese statali e proporzionare un posto di lavoro a quelli che si inseriscono nella forza lavoro.
In sintesi, la Cina è obbligata a raggiungere alti ritmi di crescita economica che garantiscano la soddisfazione delle necessità dello sviluppo, il rinvigorimento della nazione e la stabilità sociale.
Inoltre, il sostegno di alti tassi di crescita economica risulta molto utile per i suoi propositi di attrazione di investimenti diretti esteri (IDE), perché è un fattore di grande stimolo per gli investitori stranieri che ambiscono uno scenario favorevole per l’ottenimento di alti guadagni.
Tuttavia, ci sono altri elementi importanti da tenere in conto nella crescita della Cina che apportano maggiore esattezza sul suo comportamento e trascendenza. In primo luogo, bisogna riconoscere che la sua economia cresce molto, ma partendo da un livello molto basso, ciò che determina che malgrado non sia spregevole il volume del suo PIL attuale, esiste ancora un grande solco con le potenze economiche. In realtà, attualmente, il PIL giapponese è quasi tre volte più grande di quello della Cina, mentre lo statunitense è superiore di un 7.5.
Allo stesso modo, bisogna considerare che il volume del PIL della Cina rimane ridotto in termini relativi, dovuto alla grande popolazione che ha. Sebbene il paese occupa il quarto posto mondiale per volume del PIL, in relazione al PIL procapite classifica nella posizione 1282, con un reddito procapite di 1.700 dollari, ciò dimostra che continua a restare ancora distante dal raggiungere la prosperità e lo sviluppo economico e sociale di cui godono i paesi più ricchi del pianeta.
D’altra parte, quando si analizzano le cifre bisogna considerare che non esprimono solo i risultati dei protagonisti cinesi, ma includono anche quelli ottenuti dagli stranieri, i quali realizzano sostanziali operazioni di commercio, produzione, distribuzione, finanziamento a grande scala ed a lungo termine.
Un altro elemento da prendere in considerazione è il disuguale comportamento regionale del PIL. Per esempio, la crescita economica annuale della regione Est si è avvicinata ad una media del 13 percento da quando incominciò la riforma economica, mentre quella della regione Ovest si trova al di sotto del 9 percento. Nell’anno 2000, il PIL della regione Est superava di un 40 percento la media nazionale, tuttavia, quello della regione Ovest equivaleva solo al 60 percento di detta media, con un PIL procapite anche intorno al 60 percento della media nazionale3.
Inoltre, la crescita non è omogenea tra i differenti settori dell’economia nazionale. Mentre alcuni, come l’agricoltura, reclamano per la loro importanza mantenere un alto ritmo di crescita, esistono altri, come l’industria automobilistica,il mercato immobiliare, ecc., che crescono in maniera smisurata, essendo una delle cause del “surriscaldamento” economico4.
Inoltre, esistono elementi di carattere qualitativo che ci danno un’altra dimensione del PIL della Cina. In primo luogo, tale indicatore non esprime la qualità di ciò che è prodotto, ed in quell’aspetto si pone il problema che, in generale, non raggiunge gli standard internazionali, fatto che, senza dubbio, sottrae trascendenza alle cifre raggiunte.
Dello stesso modo, il PIL non riflette l’efficienza energetica ed altri elementi che determinano l’efficienza della produzione sociale. Il rendimento energetico si considera molto povero, perché ogni unità di prodotto generato costa al paese tra il 150 e il 200 percento in più di energia che ad altre nazioni industrializzate5. In ugual modo, la crescita cinese si considera sprecona poiché si calcola che si investono più di quattro dollari nei nuovi investimenti per produrre un dollaro di crescita annuale6.
Allo stesso modo, il PIL non riflette il serio impatto ambientale che ha causato il processo di produzione sociale in Cina.
3. Investimenti
Tra il 1979 e il 2005, gli IDE (Investimenti Diretti Esteri) ricevuti dalla Cina superarono i 622.5 miliardi di dollari. Nel 2006 al paese approdarono 63 020 milioni di dollari di IDE (un 5 percento in più dell’anno precedente)7 ciò fece sì che entrasse nel paese una media di 1.000 milioni di dollari alla settimana. Come risultato, la Cina si confermò come la principale destinazione di IDE del mondo per il quarto anno consecutivo.
In questo modo, gli IDE si trasformarono in una delle principali forze motrice dello sviluppo della Cina, poiché i capitali incorporati hanno permesso di offrire beni e servizi supplementari, incorporare tecnologia di avanguardia e know-how ed allargare l’esportazione del paese. Gli IDE contribuiscono approssimativamente col 20 percento della riscossione statale, quasi il 60 percento delle esportazioni e creando più di 23 milioni di posti di lavoro8.
Tuttavia, esistono altri elementi dentro la dinamica degli IDE che alleggeriscono il loro comportamento e ci fanno avvicinare più alla realtà. In primo luogo, la Cina sta dipendendo in larga misura dal capitale straniero per espandere la sua produzione, ciò che trasferisce grande vulnerabilità all’economia nazionale.
In questo senso, è preoccupante lo straordinario dominio del capitale straniero nel mercato cinese, dovuto alla competitività che offrono le imprese cinesi. Microsoft occupa il 95 percento del mercato dei sistemi operativi, Kodak per lo meno il 50 percento dei rotoli fotografici, Motorola e Nokia abbracciano il 70 percento dei telefoni mobili e Cisco ha il 60 percento del mercato delle compagnie di Internet. Inoltre, le multinazionali occupano una terza parte della produzione in settori industriali come il chimico, farmaceutico, di macchinari e di elettronica9.
Si deve sottolineare che i grandi investimenti ricevuti sono stati stimolati dai privilegi fiscali ed altri incentivi offerti alle compagnie multinazionali che non esportano solo i loro prodotti ma anche i loro benefici, frequentemente nascosti mediante la manipolazione dei prezzi utilizzati nelle transazioni tra compagnie.
Bisogna anche considerare che le risorse internazionali che la Cina riceve si concentrano sulle grandi imprese straniere, sottraendo possibilità di finanziamento agli imprenditori cinesi.
D’altra parte, gli IDE hanno un comportamento regionale disuguale, concentrandosi nell’Est del paese, ciò che evidenzia la disparità dello sviluppo regionale.
Neanche gli IDE hanno un comportamento equilibrato tra i differenti settori economici. In ripetute occasioni, si è prodotta saturazione degli investimenti in determinate aree dell’economia nazionale, contribuendo al “surriscaldamento economico”.
Inoltre, gli intensi flussi di IDE hanno portato ad un declino della crescita della produttività, cadendo da cifre che oscillavano tra 3,3 e 4,4 percento prima del 1995 a solo 0,3 e 2,3 percento nel 200110, dovuto alla bassa concentrazione e poca razionalizzazione per settore della produzione.
Infine, a partire dalla tendenza recente di transizione della fusione delle imprese alle imprese totalmente di proprietà straniera, si sta spostando molto meno tecnologia alle imprese cinesi poiché le straniere non sono obbligate per contratto a condividere conoscenze con i loro soci locali poiché competono per una porzione maggiore nel mercato.
4. Esportazioni
Le esportazioni in Cina sono passate da 9 750 milioni di dollari nel 1979 fino a 772 miliardi di dollari nel 2005, per una crescita superiore di 45 volte. Il paese sta esportando circa 1 miliardo di dollari al giorno, questo che sia denominato la “fabbrica del mondo”. In questo periodo, il volume delle esportazioni cinesi è cresciuto del 17 percento di media annuale11.
Come conseguenza, la quota delle esportazioni cinesi è passata dello 0,9 percento del totale delle esportazioni mondiali nel 1980, oltre al 6 percento nel 2005, fatto che dimostra il suo accelerato inserimento nel mercato mondiale.
Attualmente, più di 100 prodotti introdotti con “Made in China”, si trovano nei primi posti di vendite nel mondo. Per esempio, più della metà delle telecamere, il 30 percento dei televisori e condizionatori d’aria, il 25 percento delle lavatrici, il 20 percento dei frigoriferi, il 70 percento delle fotocopiatrici e degli orologi, il 70 percento dei giocattoli, il 60 percento delle calzature, il 50 percento delle macchine fotografiche, l’80 percento degli alberi artificiali di natale venduti nel mondo sono fatti in Cina12.
Dal punto di vista strutturale, si è prodotta una diversificazione delle esportazioni, con prodotti nuovi e più avanzati. A partire dal 1992, più della metà dell’incremento del valore delle sue esportazioni si è basato su nuovi prodotti, più avanzati per valore e complessità tecnologica.
I prodotti primari (settori tradizionali di esportazione come il petrolio, materie prime agricole e prodotti alimentari) hanno perso peso, costituendo meno del 9 percento del totale esportato nel 2005, quando nel 1980 rappresentavano il 50.2 percento. Tuttavia, le esportazioni cinesi di alta tecnologia hanno continuato ad aumentare, ottenendo una media annuale di crescita tra un 20 ed un 30 percento. Nel 2005, il 30 percento delle esportazioni cinesi furono prodotti di alta tecnologia, soprattutto prodotti informatici (IT)13.
La dinamica esibita dalle esportazioni cinesi ha avuto grande trascendenza per il paese, poiché dentro la nuova strategia applicata a partire dal 1978, gli fu assegnato il ruolo di stimolare i restanti settori dell’economia nazionale, vale a dire, che stimolasse attraverso la domanda esterna i restanti settori dell’economia nazionale, per tutto ciò la Cina è stata uno dei principali motori della crescita economica.
Allo stesso modo, come risultato del dinamismo delle esportazioni è stato sostenuto il surplus nella bilancia di pagamento e si sono accumulati importanti riserve di valuta che fortificano l’economia cinese. Inoltre, le esportazioni hanno contribuito alla creazione di posti di lavoro, aspetto di gran trascendenza per dinamica socioeconomica cinese.
Ciò nonostante, altri elementi nell’ordine commerciale non si considerano favorevoli. Il peso del commercio esterno nel PIL è passato dal 5 percento nel 1978 a circa al 30 percento nel 2005, quello che rappresenta un’enorme dipendenza e grande vulnerabilità.
Più preoccupante ancora, l’attività esportatrice della Cina è ampiamente controllata dalle imprese straniere. Dell’impressionante cifra di esportazioni con marca di origine “Made in Ch ina” che raccolgono le statistiche, la maggior parte corrisponde alle imprese straniere che si stabiliscono nel paese. In realtà, nel 2005 a tali imprese corrispose il 58 percento14 delle esportazioni totali della Cina, ciò che li aiutò ad ottenere quasi tre di ogni cinque dollari delle entrate per esportazioni del paese15.
Si deve sottolineare come in questo aspetto la Cina si differenzi dal comportamento storico del resto dell’Asia. Per esempio, le imprese di capitale straniero furono responsabili solo del 20 percento delle esportazioni manifatturiere di Taiwan a metà della decade del 1970 e del 25 percento di quelle della Corea del Sud trail 1974 e il 1978. In Tailandia, questa proporzione cadde dal 18 percento nei settanta al 6 percento a metà degli ottanta.
In Cina, inoltre, le imprese straniere esportarono tra il 80 ed il 90 percento16 dei prodotti nuovi di alta tecnologia che sono quelli che ottengono maggiori guadagni nel mercato mondiale. Il predominio delle imprese straniere è ancora più evidente nelle esportazioni industriali avanzate. Mentre le esportazioni di macchinari industriali si moltiplicarono per 20 in termini reali durante la decade scorsa, la proporzione di quelle esportazioni prodotte dalle imprese straniere si alzò dal 35 al 79 percento. L’esportazione di componenti per calcolatrici si alzò da 716 milioni di dollari nel 1993 a 41000 milioni nel 2003, e la proporzione appartenente ad imprese straniere si alzò dal 74 al 92 percento. In modo simile, le esportazioni cinesi in elettronica e telecomunicazioni si moltiplicarono di sette volte dal 1993 ad oggi, e la partecipazione in esse delle imprese di capitale straniero crebbe dal 45 al 74 percento in quel periodo.
È inoltre molto significativo che tra il 1998 e il 2002 le imprese straniere aumentarono la loro partecipazione nelle vendite interne totali di alta tecnologia dal 32 al 45 percento, mentre la porzione di tale mercato in mano alle imprese industriali più competitive del paese, diminuì dal 47 al 42 percento.
Anche le grandi imprese transnazionali si trovano nascoste dietro le fabbriche cinesi che producono a prezzi molto bassi per l’esportazione, attraverso quello che si conosce come “outsourcing”, dove le grandi compagnie ottengono la maggior parte dei guadagni.
In tali condizioni, dovuto al basso valore aggregato ed il limitato margine di affari, le imprese cinesi guadagnano solo per il “costo di produzione” che è generalmente il 10 percento del prezzo del prodotto17, mentre i maggiori guadagni del commercio sono per le imprese straniere, per esempio:
La bambola Barbie “Made in China” si vende a 20 dollari, ma la Cina ottiene solo 35 centesimi di dollaro18.
Un riproduttore DVD il cui prezzo di esportazione è di 32 dollari, costa 13 dollari produrlo. Dei 19 dollari di guadagno, la compagnia straniera proprietaria del brevetto ottiene 18 dollari ed i produttori cinesi solo un dollaro19.
I produttori locali di MP3 hanno una media di guadagno del 1,5 percento per unità dopo avere scontato il costo di produzione ed il pagamento del brevetto20.
Come conseguenza, quello che da ai prodotti cinesi un margine competitivo è il suo prezzo basso, per cui i fabbricanti si vedono obbligati a concentrarsi sulla produzione massiccia di prodotti di bassa qualità, col fine di essere redditizi.
Un altro elemento da considerare è che la maggioranza dei componenti dei prodotti che escono dalla Cina si producono in realtà in altri paesi, e la Cina è solo il posto di assemblaggio finale dentro una catena globale di produzione. Questo processo, oltre a colpire il valore che apporta alle imprese cinesi, provoca che si generino meno posti di lavoro che se si fosse stabilita tutta la linea di produzione dentro il paese.
Inoltre, bisogna tenere conto che le imprese industriali cinesi dipendono in larga misura dai design, dai componenti essenziali che importano dai paesi di origine degli IDE che essi ricevono.
5. Conclusioni
Malgrado la Cina mostri quantitativamente determinati indici macroeconomici paragonabili o perfino superiori a quelli di paesi sviluppati, nella sua essenza manifestano caratteristiche proprie di paesi sottosviluppati.
La crescita, gli investimenti e le esportazioni della Cina hanno raggiunto un grande dinamismo, ma durante il tragitto verso lo sviluppo e l’indipendenza economica il paese deve superare diversi scogli.
In questo senso, le sfide che deve affrontare sono quasi di uguale o maggior grandezza che i successi raggiunti nella sua evoluzione economica degli ultimi decenni.
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Per tale fenomeno si capisce la crescita smisurata e sproporzionata tra i distinti settori, provocando strangolamenti economici e pressioni inflazionarie, che si traducono in un incremento dei costi di produzione e di perdita di competitività che colpiscono direttamente il livello di vita della popolazione, con grande incidenza nella stabilità sociale.
Per fare dei prodotti valutati in 100 milioni di dollari, la Cina spende dieci volte più energia del Giappone.
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