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PER LA CRITICA DEL CAPITALISMO

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Rémy Herrera
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Prof. al CNRS, France. Rapporto per la Commissione dei Diritti dell’Uomo dell’O.N.U., Ginevra e inviato dall’Autore a PROTEO per la pubblicazione in italiano, gennaio 2004

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Per l’abolizione totale del lavoro dei bambini e una redistribuzione mondiale delle ricchezze

Rémy Herrera

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Questa ricerca verte sul lavoro minorile nel mondo, che è all’origine di una dichiarazione scritta presentata dal Centro Europa Terzo Mondo (CETIM) durante la 4ª sessione di marzo 2007 del Consiglio dei Diritti dell’Uomo dell’Organizzazione delle Nazioni Unite a Ginevra (punto 2: applicazione della risoluzione 60/251 dell’Assemblea Generale del 15.03.2006 valutazione A/HRC/4/NGO/19). Si analizza il lavoro minorile come fenomeno non soltanto di massa (potrebbe riguardare attualmente più di 400 milioni di minori nel mondo, d’età superiore ai cinque anni), ma che è ancora sistemico nel capitalismo. E’ urgente far rispettare l’interdizione del lavoro minorile fino ad un’età limite, da determinare a livello internazionale, e rendere effettiva l’istruzione obbligatoria, mettendo in campo un sistema di ridistribuzione delle ricchezze su scala planetaria.

1. Periferia e sfruttamento dei bambini

Il lavoro minorile risale molto verosimilmente alle origini della storia. Ma la costituzione del sistema capitalista mondiale, a partire dal XV secolo e poi il suo consolidamento, nel XVIII e XIX secolo, hanno portato l’impiego di lavoro minorile su grande scala, tanto al centro (dove si impone il trattamento salariale) che alla periferia (con le diverse forme di lavoro costrittivo: schiavitù, encomienda etc.). Numerose sono le testimonianze sul ricorso a tale forma di lavoro in modo massiccio nell’Inghilterra del XIX secolo. Marx fu senza dubbio il primo ad aver compreso il carattere sistemico di questo tipo di lavoro nel capitalismo, ma anche l’importanza del ruolo dello Stato, che nel suo intervento tende a preservare l’interesse generale dei capitalisti e la riproduzione delle condizioni di sfruttamento, impedendo la distruzione di forze produttive umane e ciò che egli analizza come trasformazione eccessiva “di sangue di bambini in capitale”1. Certo il mondo è molto cambiato da quell’epoca, ma la dominazione del capitale non è finita e ai nostri giorni, il lavoro minorile resta di una tale diffusione che appare molto difficile ridurlo ad un fenomeno marginale del funzionamento del sistema mondiale capitalista. Questa forma particolare di lavoro è riapparsa con più virulenza nei paesi “in transizione”, dopo il crollo del blocco sovietico. D’altronde non è mai veramente scomparsa dai paesi capitalistici sviluppati del Nord e perdura ancora oggi, naturalmente illegalmente, in proporzioni non trascurabili negli Stati Uniti (dove 5,5 milioni di minori lavorano regolarmente)2, e perfino in Europa (2 milioni in Gran Bretagna, 350.000 in Italia, 200.000 in Portogallo). Nati da famiglie di nuovi “poveri” e, per lo più, da minoranze etniche e/o di immigrazione, questi minori sono per lo più distratti dal sistema scolastico e della protezione sociale. Tuttavia come fenomeno di massa e di intensità, il lavoro minorile concerne soprattutto i paesi del Sud.

Questi ultimi subiscono, in effetti, più duramente le politiche neoliberali, in funzione delle quali il trasferimento di surplus dal Sud verso il Nord (debito estero, ritorno dei benefici realizzati sugli investimenti di portafoglio, scambi diseguali etc.) aggravano il tasso di sfruttamento della forza lavoro in periferia, fino a prendere forme estreme di supersfruttamento, delle quali il lavoro minorile è un dei più rivoltanti.

2. Lo choc delle cifre sul lavoro minorile nel mondo

Lo studio delle cifre sulla realtà di questo fenomeno è reso singolarmente più complesso dal dibattito relativo alla sua stessa definizione. La definizione di “bambino” non è scontata (fino a quale età un essere umano è un bambino?) come pure quella di “lavoro” (il concetto varia secondo le legislazioni e le culture, il suo contenuto cambia secondo la lingua etc.)3. E’ altrettanto difficile integrare e classificare le diverse forme istituzionali di organizzazione del lavoro minorile, in funzione del loro funzionamento economico, che differisce da un settore all’altro, da un paese o da un’epoca all’altra. Non è agevole neanche l’interpretazione degli intrecci tra il lavoro minorile e quello “normale” degli adulti, così come dei mezzi attraverso i quali il surplus ricavato dal lavoro minorile sia reintrodotto nel resto dell’economia (legale o no, formale o no, salariato o no), o quelli attraverso i quali il surplus derivante dall’economia sia utilizzato in settori che ricorrono abitualmente al lavoro minorile. L’analisi delle forme di “contratti” di lavoro rinvia a quelle strutture di produzione e di proprietà dei mezzi di produzione, in particolare per quanto concerne la terra. I serissimi problemi tecnici di definizione e formalizzazione dei fatti economici sono ancora più offuscati dalla mancanza di affidabilità dei dati statistici dei numerosi paesi del Sud, compresi quelli relativi al censimento del numero esatto di bambini (dovuto in particolare all’assenza di registri di nascita). Allo stesso modo il dibattito sul lavoro minorile non può non soffermarsi sulle arguzie teorico-semantiche che tentavano, nel passato di differenziare giuridicamente le forme di lavoro forzato, traducendo una difficoltà a trattare una realtà moralmente inaccettabile, ma che sopprimere effettivamente urta con la logica stessa del funzionamento del sistema capitalista realmente esistente. Tuttavia, il rispetto della diversità delle culture non è incompatibile con l’imperativo universale di porre assolutamente in cima alla gerarchia delle priorità del progetto sociale di una civiltà comune, in via di edificazione, il benessere dei bambini. Sono queste alcune delle ragioni per le quali non si sa con precisione quanti bambini lavorano nel mondo. Ne sappiamo tuttavia abbastanza da comprendere che il fenomeno è massiccio. Malgrado notevoli divergenze, le cifre stimate si situano per lo più tra i 200 e gli oltre 400 minori che lavorano4. Secondo l’Organizzazione Internazionale del Lavoro considerata generalmente come punto di riferimento in materia, nel 2000 nel mondo risultano “economicamente attivi” ben 352 milioni di minori da 5 a 17 anni (cioè un quarto di questa classe d’età), che svolgono lavori che possono essere qualificati come “inaccettabili”, secondo la terminologia di questa istituzione5. Di questo totale, 168 milioni erano di sesso femminile e 184 milioni di sesso maschile. Su scala mondiale, un minore su sette, tra i 5 e i 9 anni, (ben 73 milioni), uno su quattro tra i 10 e i 14 anni (138 milioni), uno su due tra i 15 e i17 anni (141 milioni) lavorano regolarmente. Per quanto riguarda i più giovani (la classe d’età tra i 5 e i 14 anni), il numero più elevato lo troviamo in Asia (con 127 milioni), ma è in Africa la proporzione più alta (quasi un minore su tre, cioè 48 milioni). Circa 180 milioni di minori esercitano “le forme peggiori di lavoro”, nell’ambito dei lavori ritenuti pericolosi. Se a questi 352 milioni aggiungiamo le forme di lavoro considerate “accettabili”, la cui abolizione non è esigibile, secondo gli esperti internazionali delle organizzazioni ufficiali, le stime oltrepassano i 400 milioni di minori oltre i 5 anni, che lavorano.

3. Le forme estreme di lavoro: realtà eterogenee ma convergenti

Le condizioni concrete di vita dei minori lavoratori sono le più svariate, secondo le attività svolte, le istituzioni nelle quali si inseriscono, le regioni interessate. Il settore agricolo, predominante in numerosi paesi del Sud, è il maggior settore di lavoro. Una grande incertezza grava sul lavoro domestico svolto nel quadro familiare, così come sulla sorte dei ragazzi di strada. Secondo l’UNICEF, questi ultimi sarebbero attualmente, nel mondo, oltre 120 milioni: 45.000 a Karachi, 180.000 a Bangkok, 55.000 a Manila etc.. Le cifre crescono anche nei paesi “in transizione” dal socialismo al capitalismo; le stime ufficiali in Russia portano a 800.000 i ragazzi di strada, ma potrebbero arrivare a 2 milioni secondo le organizzazioni non governative. I paesi capitalisti più ricchi ne sono anch’essi riguardati. A Chicago, per esempio, i minori senzatetto sarebbero circa 5000, quanti a Guatemala City o a Bucarest. Gli innumerevoli casi di forme estreme di lavoro minorile rivelano altresì, situazioni differenti, ma che somigliano tutte ad un inferno sulla terra: bambini che lavorano nelle piantagioni di cacao in Costa d’Avorio, o alla polverizzazione di prodotti chimici agricoli nel Camerun, oppure come fabbri in Nigeria, nelle miniere del Burkina Faso, al recupero degli scarti nelle discariche in Egitto, nelle fabbriche di tappeti e palloni da calcio in Pakistan, o delle calzature in Indonesia, nella conduzione di bicitaxi in India, o nell’industria del sesso in Tailandia e in Nepal, o nelle immersioni in apnea per la pesca nelle Filippine, come portatori di carichi nei cunicoli delle miniere di carbone in Colombia, come domestici o cuochi dei cercatori d’oro in Perù, come fabbricanti di fiammiferi e fuochi d’artificio in Salvador o di vestiti da sposa per l’esportazione in Honduras etc.. L’urgenza di interdire questo tipo di attività deve essere particolarmente sentita, così come per tutti i casi di prostituzione e di produzione di materiale pornografico, traffico di organi, traffico di droga, schiavitù moderna (particolarmente per debiti) o conflitti armati. Il lavoro è prima di tutto e soprattutto una conseguenza della povertà. Secondo la Banca Mondiale più di 1,3 miliardi di persone, cioè ? della popolazione mondiale, vive con massimo l’equivalente di un dollaro statunitense al giorno e 3 miliardi circa, ossia quasi la metà della popolazione del pianeta, non ha più di 3 dollari al giorno per sopravvivere. Numerosi osservatori attualmente concordano nel riconoscere che l’origine dell’aggravamento della miseria di massa nei paesi del Sud è da ricercarsi prioritariamente nelle devastazioni sociali e nei drammi umani causati dall’avvento del neoliberismo, imposto a questi paesi nella maniera più antidemocratica possibile, da ciò stesso il fallimento generale di queste politiche. Il regresso dello Stato e la deregolamentazione dei mercati, cioè la loro ri-regolamentazione attraverso le sole forze del capitale mondiale dominante, portano allo smantellamento dei dispositivi di protezione sociale dei lavoratori e la mercificazione dell’insieme della sfera sociale, compresa quella degli esseri umani e favoriscono lo sviluppo di queste forme estreme di avvio al lavoro forzato di supersfruttamento dei minori. Tali situazioni disumane non spariranno effettivamente che con la messa al bando del progetto neoliberale, grazie alla convergenza delle resistenze, delle mobilitazioni e delle lotte dei popoli del Sud e del Nord per la difesa dei loro diritti e per la costruzione di una civiltà universale, rispettosa delle differenze culturali.

4. Raccomandazioni

In questo contesto, siamo portati a raccomandare un’interdizione totale di ogni forma di lavoro minorile, ad eccezione delle attività assimilabili all’istruzione, che sia istituzionale (secondo la combinazione ragionata e dosata di studio e lavoro manuale o di formazione professionale, progettata da insegnanti competenti) o familiare (come l’apprendistato intergenerazionale, a condizione che non si tratti di lavoro domestico camuffato). E’ vano sperare nella sparizione del lavoro minorile senza un cambiamento strutturale, né modificazioni profonde di valori inerenti al sistema capitalista mondiale (profitto, individualismo etc.). Il solo modo di far regredire e sparire il lavoro minorile è di operare riforme sociali di grande portata, che comprendano l’universalità dell’istruzione (scuola pubblica, obbligatoria e senza discriminazioni) e della sanità pubblica, ma anche un sistema di approvvigionamento alimentare a prezzi ridotti in negozi sovvenzionati e gestiti dallo Stato, la costruzione di alloggi sociali e di infrastrutture (acqua, risanamento, elettricità, trasporti, telecomunicazioni etc.), la creazione di posti di lavoro (prima di tutto nel settore sociale) e una ridistribuzione significativa della ricchezza a beneficio dei poveri. Concretizzazioni e realizzazioni dei diritti inalienabili dei popoli, tali trasformazioni potranno esigere, se necessario, riforme agrarie e nazionalizzazioni di risorse naturali e dei mezzi di produzione considerati strategici. L’obiettivo da raggiungere dovrà essere l’affermazione della partecipazione attiva e democratica dei popoli ai processi decisionali e il controllo sul loro avvenire collettivo, nel fermo rispetto del diritto allo sviluppo. Nel caso in cui queste riforme non fossero adottate dallo Stato, una risoluzione secondaria sarebbe quella del versamento di un reddito universale, compreso quello alle famiglie dei minori al lavoro o ai loro tutori legali, una volta stabilito che agiscono nei loro interessi, al fine di “disincentivare” l’impiego di lavoro minorile. Qualora tale misura non fosse applicata, dovrebbe essere garantita un’assistenza sociale del tipo “Borsa di famiglia”, destinata alla scolarizzazione massima dei ragazzi. Nel caso in cui lo Stato rifiutasse, il finanziamento potrebbe essere preso in carico direttamente dalle organizzazioni internazionali che verserebbero i fondi necessari ai paesi interessati. Per contro, sarà effettuato un controllo sulla destinazione dei fondi alle famiglie sul territorio attraverso l’invio di osservatori indipendenti. Questo sistema implicherebbe necessariamente il rafforzamento di istituzioni sociali dell’ONU, quali l’UNICEF, l’UNESCO, la FAO, l’OMS etc., a detrimento del FMI e della Banca Mondiale, ragionando su budget costanti. Sarebbe questo lo sbocco di una ridistribuzione della ricchezza su scala mondiale, attraverso la quale i paesi ricchi contribuirebbero maggiormente al finanziamento delle politiche sociali dei paesi poveri. Dovrebbero essere precisati mezzi coercitivi autorizzati dalla comunità internazionale contro quei paesi che non rispettassero il loro impegno nell’interdizione del lavoro minorile. Le sanzioni dirette contro i responsabili e gli esecutori della rete del crimine organizzato del traffico dei minori, così come contro i clienti di tali trafficanti, dovrebbero essere irrigidite. Dovrebbe essere data ampia pubblicità dei diritti dei minori e delle loro famiglie. L’unico lavoro tollerabile per i minori, che dovrebbe essere sviluppato in modo ragionato e organizzato nel loro interesse e in quello della società, è quello effettuato nel quadro delle istituzioni scolastiche ufficialmente riconosciute dallo Stato e conformato all’istruzione formale, come anche il lavoro leggero e non pericoloso effettuato nell’ambito familiare, assimilabile all’istruzione informale, a patto che queste attività non nuocciano ai minori e che contribuiscano al loro sviluppo. E’ urgente far rispettare con molto rigore il divieto del lavoro minorile, fino ad un limite di età da determinare a livello internazionale che potrebbe essere compresa fino ai 16 o 18 anni, e contemporaneamente rendere effettivamente obbligatoria l’istruzione, mettendo in campo un vero sistema di ridistribuzione delle ricchezze su scala planetaria.

Ricercatore al CNRS - Centro di Economia della Sorbonne (Università di Parigi I Panthéon- Sorbonne).

Leggi i capitoli sulla produzione del plusvalore assoluto nel Libro primo del Capitale di Karl Marx.

Vedi: Monestier, M. (1998), Les enfantes esclaves, Le Cherche Midi, Parigi. Secondo l’United Farmworkers Union, circa 800.000 minori lavorano nell’agricoltura, specialmente in Florida e in California.

In inglese, le espressioni “child labour” e “child work” non sono identiche e non rimandano dunque a identici concetti di “sfruttamento”. Il primo rimanda alla realizzazione di lavori pericolosi, il secondo invece si riferisce a qualsiasi forma di lavoro pericoloso o meno.

Leggi su questo tema la tesi di dottorato sostenuta nel novembre 2006 all’Università di Parigi I da M. Dercossas e dedicata all’analisi economica del lavoro dei minori.

Organizzazione Internazionale del Lavoro (2002), L’avvenire senza lavoro dei bambini, Ginevra.