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Filippo Viola
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Professore di Sociologia, Fac. di Sociologia, Univ. “La Sapienza”

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Carovita: dal gesto simbolico al lavoro politico

Filippo Viola

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Il carovita attanaglia in una morsa spietata - pochi soldi e prezzi alle stelle - la vita quotidiana di milioni di famiglie. Su questa vera e propria emergenza sociale incombe però un pericoloso processo di normalizzazione. Il dramma di larghe fasce, non soltanto proletarie, della popolazione viene incastrato nelle strettoie delle compatibilità economiche, considerate come prioritarie rispetto alla condizione esistenziale degli uomini e delle donne in carne e ossa.

L’impermeabilità del sistema istituzionale nei confronti dei bisogni sociali è stato messo, ancora una volta, in evidenza da un recente episodio di cronaca. Nel quadro di una manifestazione di protesta contro il precariato e l’aumento dei prezzi, un paio di carrelli scavalcano, senza scontrino, le casse di un supermercato di Roma. Scatta subito l’allarme. Non il congegno elettronico, ma l’apparato mediatico. “Esproprio proletario” titolano i giornali, stampati e televisivi. Piovono condanne da tutte le parti. O, quanto meno, prese di distanza. Interviene il Ministro degli Interni: “La prossima volta, arresti in flagranza”. Tanto rumore per nulla, verrebbe da dire. Ma se un gesto simbolico e dimostrativo contro il carovita provoca un tale putiferio, una qualche ragione ci deve pur essere.

Non si tratta certo del danno materiale provocato dal mancato pagamento. Con quello che è in gioco, poniamo, in una sola finanziaria, figuriamoci se le redazioni dei giornali e le forze politiche si mobilitano per poche centinaia di euro. Di ben altro danno dunque si deve trattare.

1. Il valore simbolico del gesto contro il carovita

Rivediamo la scena, come in un film in lingua originale, con l’occhio attento ai sottotitoli simbolici, che rendono comprensibili le immagini. Il carrello, prima di arrivare alle casse, trasporta pacchi di pasta e prosciutti in forma di merci. Quando la cassiera fa scorrere, uno ad uno, i pezzi lungo il nastro e li espone al lettore del codice a barre, per registrare il prezzo, sancisce il loro stato d’essere astratto, indifferente al sapore del prosciutto e deferente nei confronti del plusvalore realizzato. Questo stato d’essere viene, per così dire, fissato nello scontrino, che autorizza l’uscita del carrello. È qui l’ultimo anello della catena del carovita.

Il carrello che scavalca le casse, senza sottoporsi alla sanzione dello scontrino, non reca dunque soltanto un danno materiale, che nell’episodio in questione è irrisorio. Uscendo all’aria aperta senza scontrino, i pacchi di pasta e i prosciutti si scrollano di dosso l’etichetta posticcia di merci e riconquistano la loro qualità di beni. Sul piano immateriale, si tratta quindi di un atto simbolico di “liberazione”. Per fissare l’episodio in una sorta di sequenza filmica di fantapolitica, è come se i prodotti fossero tenuti prigionieri, in forma di merci, negli scaffali del supermercato e, scavalcando le casse, mettessero in atto una evasione. È qui, in questo passaggio simbolico, lo scandalo che ha scatenato la furia delle sentinelle istituzionali della società mercantile.

Tuttavia, fin qui, lo strappo può essere contenuto nell’ambito di un atto di contestazione, come tanti. La minaccia più allarmante, che può spiegare la cagnara montata sull’episodio, viene colta nel passaggio successivo, quando il contenuto del carrello “abusivo” viene svuotato tra le braccia di donne del quartiere, che non sanno come fare quadrare i conti della spesa giornaliera. Qui si ha una sorta di precipitato simbolico che, in prospettiva, può andare a colpire il marchio mercantile imposto alla ricchezza sociale. Tale marchio si regge infatti sul filo che lega il godimento dei beni alla disponibilità di denaro. Se tale filo si spezza, anche soltanto per un istante e a titolo dimostrativo, si profila una minaccia per la base ideologica dell’intero sistema economico e sociale. La massaia che si porta a casa la pasta e il prosciutto del carrello “abusivo” assapora, anche solo per una volta, il valore di una ricchezza sociale emancipata dal ricatto del denaro. E questo stato d’animo, se si amplifica, rischia di sottrarre spazio, nella coscienza popolare, alla credibilità dell’ideologia mercantile.

Intendiamoci. Questo tipo di dinamica non opera in superficie e nel breve periodo. Se si ragiona in termini di attualità politica e sociale, non sono in vista trasformazioni di sistema. E tuttavia, per non rassegnarsi allo stato presente delle cose, è necessario, oltre ad affrontare l’immediato, attrezzarsi per sondare gli strati profondi delle dinamiche sociali. Perché dal fondo del mare vengono spesso le spinte che muovono le onde.

Si può spiegare, a questo punto, la minaccia che gli ideologi del capitale intravedono nel gesto simbolico della distribuzione dei beni “liberati”. Si tratta del rischio che si inneschi, in prospettiva e nel lungo periodo, un processo di demercificazione delle risorse disponibili.

2. Il comando del denaro sulla ricchezza sociale

Sulla base di questi presupposti, possiamo adesso tentare di mettere a fuoco il problema cruciale segnalato dal carrello che scavalca le casse. Il denaro che viene consegnato alla cassa, in cambio dello scontrino, ha in sé il potere di consentire il consumo della pasta e del prosciutto. È un simbolo del comando del denaro sulla ricchezza sociale. Come ho avuto modo di osservare in un mio contributo teorico (La società astratta, Roma, Edizioni Associate, 1991, 4ª ed., p. 42), il denaro da una parte è simbolo di ricchezza, dall’altra è comando sulla ricchezza. Il denaro rappresenta la ricchezza non in modo neutro, ma su basi di classe. Per le classi privilegiate è il ponte che porta al godimento della ricchezza. Per le classi subalterne è invece il muro che separa dalla ricchezza sociale.

Il carrello che scavalca le casse raffigura dunque, sul piano simbolico, la negazione del comando del denaro sulla ricchezza sociale. Ma, a questo punto, dal piano simbolico bisogna passare al piano politico. Spetta all’azione politica innescare, a partire da specifiche vertenze sociali, una lotta dal basso, attraverso la quale sul comando del denaro prevalga il comando dei bisogni.

In questa direzione, il cammino è lastricato di incognite. La pratica politica ha una doppia valenza. Da un lato interviene sulle dinamiche sociali, dall’altro matura la soggettività collettiva. Ma su una tale maturazione interferiscono gli orientamenti cristallizzati negli strati profondi delle coscienze. E, a quelle profondità interiori, occorre vedere se - e fino a che punto - si è insediata l’indifferenza proletaria nei confronti della “sacralità” del valore di scambio, contrapposta all’indifferenza borghese nei confronti della “volgarità” del valore d’uso. In tal senso, una prospettiva politica di cambiamento radicale può avere un minimo di fondamento solo quando la collettività comincia a percepire il valore d’uso dei beni come prevalente sul valore di scambio delle merci.

3. Dal gesto simbolico al lavoro politico

È dunque nel quadro di un lavoro teorico e pratico che può essere colto il significato recondito di un carrello che scavalca le casse. Non per quel che realmente è, cioè un atto dimostrativo. In tale versione, mette paura al nemico di classe, ma si esaurisce in se stesso. Il valore simbolico può essere tradotto in valore politico soltanto se trasferito all’interno di un processo di riappropriazione popolare della ricchezza sociale. Un processo di questa portata non può però esaurirsi in atti dimostrativi, che hanno la funzione di dare visibilità ad un problema, ma non sono in grado di dargli respiro politico. Ha bisogno di svilupparsi, a macchia d’olio, nei quartieri, nei luoghi di lavoro, nelle scuole, nelle università, all’interno di un movimento dal basso, che coinvolga direttamente i soggetti colpiti nelle necessità primarie e imponga l’irruzione dei bisogni sociali sulla scena politica. In una tale prospettiva, significativo - considerata la problematica in questione - può essere il ruolo del sindacalismo di base, per la sua azione pratica, teoricamente orientata, volta a fare prevalere i bisogni sociali sulle compatibilità economiche.

Quando si mette in campo la questione della ricchezza sociale, c’è da picconare un muro di cemento armato. Però, a volte, scalfire il muro può servire a lasciare un segno che indichi la direzione di marcia. Partire dal carrello che scavalca le casse per andare oltre, molto oltre. Dal gesto simbolico al lavoro politico.