Storia dei movimenti sindacali nel paese basco spagnolo (seconda parte) - Il movimento operaio basco contro la dittatura di Franco (1937-1975)
Marco Santopadre
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Nata sull’onda delle lotte di liberazione anticoloniali
del terzo mondo (Algeria, Cuba e Vietnam in primo luogo) presto l’ideologia
del nazionalismo rivoluzionario, anche in seguito a numerosissime scissioni,
si orienta verso il marxismo e verso l’inscindibile legame tra la
liberazione sociale e quella nazionale (sancito nella V Assemblea del 1967),
per la creazione di un Paese Basco riunificato, indipendente e socialista. Il
vecchio razzismo di Arana viene del tutto rimosso, dando vita ad una
concezione nazionale non esclusivista basata sulla lingua, sulla
territorialità e sulla volontà soggettiva di appartenenza.
Nel 1963 ETA crea un proprio strumento di intervento nelle
masse lavoratrici, il Fronte Operaio, che però ha vita effimera. Così l’organizzazione
indica ai suoi militanti e simpatizzanti di prendere parte alle Commissioni
unitarie. Ma nel 1968, dopo la messa fuori legge delle CCOO e con l’acuirsi
dei contrasti tra il Partito Comunista Spagnolo e il resto delle
organizzazioni che vi partecipano, si cominciano a sviluppare i cosiddetti
Comitati rappresentativi di impresa, stimolati da ELA, USO, UGT ed ETA. Questi
comitati vengono considerati organi unitari di rappresentanza dei lavoratori
in ogni impresa, diretti a organizzare la protesta operaia nei momenti di
conflitto. L’intento è quello di recuperare la pratica unitaria
caratteristica dei primi anni delle CCOO.
La continua mobilitazione operaia indica al nazionalismo
rivoluzionario l’importanza del fattore di classe nel processo di
liberazione nazionale. Ma le difficoltà non sono poche. Stare con il
movimento operaio in lotta significa avvicinarsi ai partiti e ai sindacati
spagnoli, dividendo il fronte nazionale basco e venire accusati di
spagnolismo. Stare con il moderato e interclassista PNV vuol dire costruire un
fronte comune tra tutti i nazionalisti, ma rompere la solidarietà di classe
con il movimento operaio. Inoltre si pone il problema della impossibilità di
gestire unitariamente il conflitto operaio e sociale e la lotta armata all’interno
di una stessa organizzazione. L’attività militare e la repressione del
regime compromettono la stessa struttura organizzativa dei collettivi operai.
Comincia a farsi strada l’idea, non senza polemiche, di una separazione tra
il fronte militare e quello operaio e sociale del nazionalismo rivoluzionario.
Nel frattempo si acuisce la disputa tra il PCE e i gruppi
dell’estrema sinistra per il controllo delle CCOO che rappresentano la
maggiore e più radicata organizzazione operaia dell’epoca. Negli stessi
anni viene sciolta la cosiddetta Alleanza Sindacale che, fondata nel 1961 a
Toulouse, per molto tempo ha riunito ciò che rimaneva del sindacalismo
tradizionale di opposizione. La socialista UGT decide la rottura con ELA e con
la CNT, preoccupata di conquistare una propria visibilità nel momento in cui
si prospetta la fine del regime. Per molti anni ELA cessa praticamente di
esistere come sindacato unitario. La divisione si era originata dopo il 1962,
dopo che a Monaco di Baviera un congresso delle opposizioni aveva accolto nel
suo seno anche ex-esponenti del regime, soprattutto monarchici. A quel punto i
dirigenti di ELA “dell’interno” criticano i dirigenti “dell’esterno”
per la loro propensione alla moderazione e alla subalternità al PSOE. Una
parte dei militanti di ELA dell’interno evolve verso posizioni di classe e
nazionaliste, dando vita al Movimento Socialista de Euskadi. Dal 1964
al 1976 circa sei diverse organizzazioni, molte delle quali poco più che
nominali, rivendicano la storica sigla. Nel 1973 alcuni dirigenti di ELA
aderiscono alla Confederazione Europea dei Sindacati (CES) al momento della
sua fondazione a Bruxelles.
4. Gli ultimi anni di Franco
Negli anni ‘70 l’ETA accentua le sue azioni armate fino
a culminare nell’uccisione, il 20 dicembre del 1973, dell’ammiraglio
Carrero Blanco. Ciò dà un colpo decisivo alla continuità del franchismo,
avendone eliminato l’unico esponente in grado di succedere a un Franco
morente, garanzia di continuità per i settori più reazionari della borghesia
opposti invece agli esponenti cosiddetti “riformisti” del regime.
I falangisti della linea dura, trincerati nella burocrazia
statale e sindacale, nella Polizia e nei Carabinieri, hanno intenzione di
difendere la dittatura ed i propri privilegi fino alla fine. Dai pezzi grossi
che hanno accumulato immense fortune grazie al regime, i cosiddetti
cleptocrati, fino ai semplici metronotte e portinai che credono che la
continuità del loro impiego sia consustanziale con la dittatura, esiste un
sentimento crescente che il franchismo debba essere difeso così come lo era
stato il nazismo negli ultimi giorni di Berlino: da un bunker. I cosiddetti
riformisti desiderano invece adattare le forme politiche del regime ad uno
degli aspetti, almeno, della cangiante realtà spagnola, cioè la nascita di
un capitalismo su grande scala, tanto nazionale come internazionale. Una
realtà che causa una crescente irrilevanza politica delle forze del bunker
che però accentuano la repressione.
É priva di fondamento una lettura del franchismo di quegli
anni - dal 1967 fino alla morte del Caudillo nel novembre del 1975 - come
caratterizzato da una tolleranza nei confronti dei conflitti sociali. Nei
territori baschi si impone più volte lo stato di emergenza, nel 1970 vi sono
le numerose condanne a morte comminate alla fine del processo di Burgos contro
militanti dell’ETA. Il Paese Basco viene sottoposto ben 9 volte allo stato
di emergenza nel giro di neanche 13 anni, vivendo un totale di 4 anni e due
mesi in condizioni di completa sospensione di ogni diritto civile
fondamentale, con un potere di vita e di morte affidato alle Forze di
Sicurezza dello Stato. Ma la classe operaia basca dà vita a una serie
imponente di scioperi: nel febbraio e nell’agosto del 1969 a Bilbao, nel
1970 in tutti i territori contro il Processo di Burgos, nel 1973 in Navarra,
Gipuzkoa e Bizkaia, di nuovo nel 1975 ovunque.
Secondo il Ministero del Lavoro spagnolo, Gipuzkoa, Bizkaia e Navarra sono
state, nel 1973 e nel 1974, il secondo, terzo e quinto territorio dello Stato
più conflittuali in quanto a proteste nel mondo del lavoro. La lotta per il
controllo delle Commissioni Operaie porta però alla formazione di due diverse
organizzazioni: la CECO (Coordinamento di Euskadi delle Commissioni Operaie)
controllata dall’estrema sinistra e la CONE (Commissione Operaia Nazionale
di Euskadi) controllata del PCE. Le differenze più sostanziali risiedono nel
diverso orientamento rispetto all’intervento nel sindacato verticale del
regime e nella richiesta da parte ad esempio del Movimento Comunista di
Euskadi, di uno scioglimento di tutte le forze di sicurezza dello Stato.
Nel frattempo l’esigenza di formare un partito politico
di classe e al tempo stesso nazionalista basco porta alla fondazione, nel
1974, di LAIA (Partito Patriottico Rivoluzionario dei Lavoratori). Lo
stesso anno il settore dell’ETA favorevole alla continuazione della lotta
armata senza connessione organica con gli altri fronti passa a denominarsi ETAm
(militar), mentre coloro che propendono verso un coordinamento dell’attività
militare e di quella sociale si denominano ETApm (politico-militar).
Nel frattempo LAIA forma le Commissioni Operaie Patriottiche (COA) animate da
un’ideologia spiccatamente anticapitalista e indipendentista, alla quale
presto arriva il sostegno anche da parte di ETAm.
Presto le Commissione Operaie Abertzali (Patriottiche)
cominciano a coordinarsi e poi a unificarsi, cambiando il proprio nome in LAB
(Langile Abertzaleen Batzordeak, Assemblee dei Lavoratori Patriottici).
Il nuovo sindacato s’inserisce nel Movimento Basco di Liberazione Nazionale,
coordinandosi con tutte le altre organizzazioni sociali, politiche ed
associative della sinistra patriottica. La prima assemblea nazionale di LAB,
clandestino, si svolge nel 1975 in una pasticceria di Biarritz, nel Paese
Basco Nord. LAB è “una organizzazione di massa, un organismo aperto a tutti
quegli operai, nativi del Paese Basco o emigrati, che si sentono baschi e
sfruttati, disponibili ad organizzarsi per lottare sia sul piano sociale che
su quello nazionale per combattere l’oppressione come classe e come popolo.”
LAB pretende di riempire uno spazio rimasto vuoto,
criticando i gruppi operai eccessivamente ideologizzati organizzati come
partiti politici ma anche quei sindacati che non attuano rivendicazioni che
vadano al di là delle semplici richieste legate all’orario o al salario.
CCOO, ELA e UGT ricominciano a guadagnare terreno nel movimento operaio basco
alla fine degli anni 70. LAB si radica immediatamente in Gipuzkoa,
sviluppandosi a partire dalla sua propria attività che va dalla formazione
dei quadri, alla dinamica quotidiana di lotta nei posti di lavoro, alla
creazione di mezzi propri di comunicazione e di espressione, alla necessità
di rafforzare la stabilità organizzativa.
Dal 1974 la conflittualità direttamente politica si
estende fino alla convocazione di scioperi generali totali contro la
repressione, per l’amnistia delle centinaia di prigionieri politici, contro
lo stato di emergenza.
Nel giugno del 1975 si svolgono delle elezioni all’interno
del sindacato verticale. Mentre LAB, ELA e UGT non partecipano la CONE
controllata dal PCE e i gruppi dell’estrema sinistra seguono una politica
entrista mirante a minare dall’interno un sindacalismo falangista che ormai
è una scatola vuota.
Al governo del regime subentra nel frattempo Carlos Arias
Navarro, che per le opposizioni rappresentava la continuità del franchismo ma
che per alcuni settori di estrema destra del regime è un elemento di
eccessiva apertura. Si estende a tutti i settori la sensazione che ci si trovi
di fronte all’imminenza di un passaggio di regime. Occorre ricordare che
Franco muore di vecchiaia nel suo letto, senza che l’imponente movimento di
massa in tutto lo Stato riesca a estrometterlo dal potere. Ma alla morte di
colui che aveva messo d’accordo le diverse componenti che avevano aderito al
“campo nazionale” spagnolo contro la Repubblica (carlisti, falangisti,
cattolici e militari, media e grande borghesia) appare chiaro che il regime,
per sopravvivere, deve cambiare forma. Non può esistere un Franchismo senza
Francisco Franco. Alla sinistra patriottica basca appare chiaro che il regime
vada incontro a una sorta di autoriforma verso una democrazia costituzionale
“limitata”, evitando così la possibilità di una insurrezione armata
popolare.
Ma un Franco già morente fa a tempo a emettere una
manciata di condanne a morte di alcuni militanti dell’ETA e del Fronte
Rivoluzionario Antifascista e Patriottico, la cui esecuzione né il movimento
di massa basco né la solidarietà internazionale riescono a bloccare.
Per avere un’idea del trattamento riservato ai baschi
rispetto agli altri cittadini, basta descrivere l’ultimo stato di emergenza
imposto dallo stesso Franco tra il maggio e il luglio del 1975. In un mese
vengono arrestate 3200 persone, 380 sono processate e incarcerate, 350 devono
esiliarsi, 6 perdono la vita uccise dalle forze di sicurezza, 18 vengono
ferite da armi da fuoco, 45 sono ricoverate in ospedale in seguito alle
torture subite. Amnesty International denuncia che nello stesso periodo almeno
250 persone sono state torturate. A Bilbao i commissariati sono così pieni
che si deve approntare un campo di concentramento nella zona de Las Arenas.
Sono gli ultimi colpi di coda di un regime che d’ora in
poi potrà contare, per la sua autoriforma, su una notevole condiscendenza da
parte delle opposizioni storiche, come si vedrà nel prossimo numero di
Proteo.
Bibliografia
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Nuñez Astrain Luis, “La razòn vasca”,
Txalaparta, Tafalla, 1995.
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Lingua, identità e costruzione nazionale in Euskal Herria”, Tesi di
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