Alitalia: si liquida?! Una risposta della CUB trasporti
Antonio Amoroso
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1. Salvare la Compagnia di Bandiera e il futuro di migliaia di
lavoratori
La Compagnia di Bandiera e tutto il settore del trasporto
aereo italiano attraversano una crisi le cui radici affondano negli effetti
devastanti della deregolamentazione (deregulation) che ha investito il comparto
fin dagli inizi degli anni ‘90.
È ormai dimostrato che la situazione in cui versa il settore
non è frutto dei più recenti fattori internazionali di crisi (11 settembre,
SARS, Guerra): le difficoltà che coinvolgono molti vettori in Europa (...e non
solo!) persistono nonostante i forti segnali di ripresa del traffico aereo,
segnati da una risalita degli indici di movimentazione passeggeri e merci al di
sopra delle più ottimistiche previsioni (come accade ad es. a Fiumicino).
Per quanto attiene ai vettori italiani, grave è la
situazione sia dell’Alitalia che delle altre aviolinee con ricadute
pesantissime anche sull’occupazione e le condizioni di lavoro.
Dunque, 11 settembre, SARS e Guerra si sono sovrapposti a una
preesistente situazione di criticità determinata dalla scomparsa di punti di
riferimento certi che si concretizzavano (negli anni ‘70) in norme definite,
rapporti di lavoro prevalentemente stabili, creazione di grandi aziende
pubbliche, sia nella gestione delle infrastrutture e dei servizi, sia nel campo
dei vettori con una grande Compagnia di Bandiera pubblica.
Molte, quindi, le cause della situazione attuale: generali e
di sistema ma, anche, specifiche.
Fin da subito, denunciamo l’aberrante facoltà concessa,
dagli inizi degli anni ‘90, a chiunque lo volesse, di costituire piccole e
piccolissime aviolinee. Una tendenza che ha portato oggi a operare in Italia
oltre 20 vettori, quasi tutti concentrati sul traffico domestico.
Queste compagnie hanno eroso progressivamente quote di
traffico alla Compagnia di Bandiera, basando la loro competitività sui bassi
costi di gestione e soprattutto sull’abbattimento del costo del personale,
generando ulteriore peggioramento delle condizioni di lavoro e riducendo le
tutele esistenti per migliaia di lavoratori, se non addirittura mettendo in
crisi i livelli di sicurezza per gli stessi viaggiatori.
Questo fenomeno si è potuto consolidare, in Italia, anche
grazie al mancato sostegno dei Governi italiani alla Compagnia di Bandiera nelle
sedi della Comunità Europea dove, sempre agli inizi degli anni ‘90, si decise
il nuovo assetto del trasporto aereo europeo e si lasciò che il ruolo di
vettori guida venisse affidato alle compagnie di bandiera inglesi, francesi e
tedesche.
Negli ultimi dieci anni è stato inevitabile quindi il
progressivo declino della nostra Compagnia di Bandiera nonostante le alleanze
commerciali, il nuovo hub, la vendita del patrimonio, le cessioni di pezzi di
azienda, il precariato, i tagli al personale e alle retribuzioni dei dipendenti.
Fallimentari sono stati i piani di risanamento che si sono
susseguiti, peraltro finalizzati a fare cassa senza puntare al risanamento e
allo sviluppo.
Altro che Alitalia vettore globale: tale concetto è stato
talvolta sbandierato dalla politica solo per propaganda.
2. Un processo di ridimensionamento che parte da lontano
In realtà il progetto di rilanciare la Compagnia di Bandiera
come vettore globale, da anni, non è più supportato dalla classe politica
italiana.
Nessun Governo, nei 10 anni passati, ha tentato di imporre la
rinegoziazione nella Comunità Europea della posizione Alitalia, già uscita dal
novero delle suddette tre maggiori compagnie.
La strategia della U.E. è chiara da anni. La De Palacio,
ultimamente responsabile di inaccettabili e illegittimi pronunciamenti per conto
della U.E. (in aperta violazione all’art. 222 Trattato della C.E. che vieta
alla Commissione Europea di esprimersi sugli assetti proprietari delle aziende
degli Stati membri) in merito all’obbligo di privatizzare l’Alitalia e di
tagliare il personale in cambio del varo del prestito-ponte, già a giugno del
2003 dichiarava che in Europa sarebbero state molte le compagnie, entro breve
tempo, spazzate via o comprate dai vettori più forti ...
Da tempo, pertanto, si è subita l’imposizione di un
ridimensionamento della Compagnia di Bandiera che la politica italiana, invece,
avrebbe dovuto ostacolare. Ridimensionamento che alcune forze politiche (del
centro-destra come del centro-sinistra) hanno addirittura favorito e che oggi
continuano a rivendicare e a sostenere (vedi ultime dichiarazioni di Bersani,
Letta, D’Alema ma anche Bottiglione, Fini, ecc.).
La volontà di ridimensionare l’Alitalia ha prevalso e si
è concretizzata attraverso il disegno di smembrare e polverizzare la Compagnia:
un progetto industriale che alberga da anni nelle stanze del quartier generale
della Magliana e che, in parte, è stato già realizzato.
Lo smembramento è stato un obiettivo perseguito con tenacia
dal management che si è susseguito alla guida dell’Alitalia e sempre con la
scusa di dover far cassa per far fronte a situazioni di emergenza finanziaria.
È toccato al catering (Sodecaer, Ligabue), agli scali (Az
Airport), a prenotazioni (Seven C a Palermo divenuta oggi Alicos), all’attività
di volo (Az Express), all’addestramento ed alla formazione, alla rete vendita,
al servizio di sicurezza, alle manutenzioni impianti, all’help-desk, a settori
dell’amministrazione (con la società Ales e con trasferimenti di attività a
Budapest e Manila!), all’assicurazione, al CED (il progetto di cessione non
riuscì perché, in extremis, fu respinto dai lavoratori), alla manutenzione
motori, ecc.
3. Il piano industriale di Cimoli: un progetto di
liquidazione della Compagnia di Bandiera
Anche l’attuale Piano industriale si inserisce in questo
filone, segnando l’assoluta continuità con i progetti presentati dagli
amministratori delegati succedutisi alla guida della Compagnia.
Di fatto il Piano frammenta definitivamente quello che è
rimasto delle attività della Compagnia, le societarizza e le esternalizza,
espelle migliaia di lavoratori: di fatto non contempla una strategia di sviluppo
ma, ancora una volta, di pesante ridimensionamento.
I numeri esposti da Cimoli, dopo la pace estiva,
parlano chiaro.
5.000 lavoratori in esubero: 1500 tra Assistenti di Volo e
Piloti, 3500 tra gli addetti di terra.
Inoltre, il personale di terra dell’Alitalia oltre agli
esuberi, conoscerà l’incertezza delle esternalizzazioni: una soluzione che
colpirà altri circa 5. 000 dipendenti che saranno espulsi dall’azienda con
operazioni di out-sourcing e travasati in numerose piccole e piccolissime
aziende dopo aver fatto un passaggio breve sotto l’ombrello di Fintecna e/o
Finmeccanica.
Infatti il Piano di Cimoli, come quello di Mengozzi e di
Zanichelli, è un Piano di liquidazione della Compagnia di Bandiera italiana!
Il Piano, infatti, è funzionale all’acquisizione da parte
di Air France-KLM delle attività Alitalia di volo: tratte redditizie, aerei,
traffico passeggeri e merci. Allo stesso tempo si scarica il personale e si
svendono, per fare cassa, le attività strategiche effettuate a terra.
È questa la chiave di volta, a nostro avviso, dell’intera
vicenda: Air France-KLM prima di annettersi l’Alitalia dettano le condizioni,
imponendo anche il prezzo sociale e strategico di tale operazione. Vogliono una
compagnia snella e attraente, alleggerita del suo personale di cui gli
olandesi e i transalpini non saprebbero cosa farne.
A tale proposito ricordiamo che il 7-5-04 il Presidente dell’Aduc
dichiarò che l’Alitalia era stata scambiata con qualche commessa sull’alta
velocità Lione-Torino-Milano-Venezia-Trieste-Kiev.
Una ipotesi che se venisse confermata, rappresenterebbe una
scelta inaccettabile, sottesa non certo dall’intenzione di tutelare gli
interessi generali, dei lavoratori e dell’intero Paese.
Infatti, si assesta in questo modo un definitivo colpo
mortale all’unico settore industriale strategico rimasto in Italia,
disgregandolo completamente e distruggendo quello che, invece, potrebbe essere
un volano per l’economia nazionale.
Riteniamo, d’altra parte, che questo sia l’essenza degli
accordi di vertice, tuttora secretati, tra il nostro Governo e quello francese,
in parte svelati dalle dichiarazioni di Berlusconi del 1 maggio u.s.: “in
Alitalia c’è il doppio del personale necessario”.
Dichiarazioni queste del Presidente del Consiglio che non
incontrarono, purtroppo, il fuoco di fila neppure nell’opposizione
parlamentare, troppo spesso caratterizzatasi nel suo complesso per un basso
profilo in questa vicenda.
Infatti il Piano colpisce inesorabilmente il personale ed in
particolare si accanisce sui dipendenti di terra della Compagnia (cassa
integrazione, mobilità, esternalizzazioni), l’anello debole della catena del
lavoro in Alitalia.
Una cosa è la necessità di costituire un solido sistema di
alleanze, altra cosa è la volontà di cedere un asset strategico per l’economia
del Paese, peraltro dopo aver risolto la questione lavoro con esuberi e
dismissioni.
È urgente pertanto imporre una drastica sterzata a tale
corso, salvando quel patrimonio industriale, di conoscenze e di professionalità
che esiste in Alitalia ed evitare di scaricare sui lavoratori il prezzo di
questa operazione.
È certo infatti che non è il costo del lavoro a
rappresentare il piombo sulle ali dell’Alitalia e ad impedire la risalita
della Compagnia di Bandiera.
Le bugie sull’elevato costo del lavoro del personale di
terra dell’Alitalia non reggono più: è uno dei più bassi delle compagnie di
riferimento dei paesi industrializzati nel mondo.
Tagli salariali, rinunce contrattuali, azioni in cambio di
aumenti, precariato hanno fatto la loro parte e gli aeroporti italiani sono
diventati una giungla senza diritti per chi ci lavora.
Anni di accordi per “assicurare la competitività dell’azienda”
non hanno garantito nulla e nessuno, spianando la strada solo a chi dovrà
comprarci, mettendo le mani sull’affare del Trasporto Aereo italiano.
4. A farla da padrone in Alitalia e in tutto il Trasporto aereo è il
lavoro precario
Lavoratori ricattati e sottopagati, soggetti ad una
flessibilità totale e senza precedenti: oggi negli aeroporti e in altri settori
di terra di Alitalia i precari costituiscono la maggioranza della forza lavoro
impiegata.
Negli aeroporti e addirittura in Alitalia, si utilizza anche
il lavoro nero come emerse dalle indagini dell’Ispettorato del Lavoro,
intervenuto a seguito delle denunce presentate dalla CUB: a Fiumicino con le
cooperative di infermieri utilizzate per il trasporto di materiale aeronautico
in pista, nell’informatica Alitalia con gli appalti gestiti da
dipendenti-quadri aziendali-sindacalisti del settore.
Il precariato è una modernità, in materia di
trattamento dei lavoratori, a cui l’Alitalia non ha rinunciato così che oggi
per molti nostri colleghi, impiegati in Alitalia anche da anni, in occasione
dell’individuazione degli esuberi, non sono neppure considerati tali ma solo
semplici contratti in scadenza.
Ad alcuni di questi, come è il caso dei lavoratori e delle
lavoratrici addette al settore delle prenotazioni Alitalia (la parte dell’attività
che continua ad essere svolta in azienda e non ceduta all’esterno!), la
prospettiva della esternalizzazione ad Alicos (una società solo partecipata AZ)
non fornisce alcuna garanzia. Ciò anche se il passaggio in una azienda dal
futuro incerto e senza prospettive dovesse comportare una eventuale
stabilizzazione del contratto.
5. Il problema di Alitalia non è il costo del lavoro
Dunque, il costo del lavoro totale è il più basso tra le
compagnie europee. Dal bilancio del 2003 si evince che il costo del lavoro in
Alitalia è il 22% dei costi complessivi rispetto al 30% Air France e il 27%
della KLM probabili future alleate di Alitalia. Figuriamoci il costo del
personale di terra ancor più basso di quello delle altre categorie presenti
nella Compagnia di Bandiera.
Che non sia il costo del personale il problema lo comprovano
anche altri dati comparati con quelli dei principali vettori europei. Non solo
il numero di dipendenti per aeromobile (120 per AZ contro 244 per Lufthansa e
173 per British) ma anche il fatturato per dipendente (213.000 Euro per AZ
contro 172.000 Euro per Lufthansa e 195.000 Euro per British) confermano che il
problema è altrove.
Una conferma che arriva anche dalla comparazione dei dati
relativi al rapporto tra fatturato e costo del lavoro durante l’ultima
semestrale.
Un confronto riferito ad un periodo che, nonostante l’aumento
generalizzato degli indici di traffico e l’arrivo dell’alta stagione
turistica, ha segnato per Alitalia un periodo tutt’altro che brillante a causa
di una gestione dell’azienda per nulla lucida e responsabile, tesa più a
giustificarne una profonda ristrutturazione piuttosto che il suo rilancio. Nel
suddetto periodo risulta, infatti, che in Alitalia il rapporto tra costo del
lavoro e fatturato supera solo di un punto percentuale quello della Lufthansa e
di un paio di punti quello della British: un dato che smonta il feroce attacco
sferrato dall’informazione contro i diritti acquisiti dalla categoria dei
lavoratori dell’Alitalia, dipinti come strenui difensori di enormi privilegi.
Anche la comparazione del provento prodotto da ogni singolo
dipendente, dimostra che l’Alitalia nel 2001 era dietro sola a Lufthansa e KLM
ma sopravanzava British, Air France e Iberia mentre nel 2002 la nostra Compagnia
di Bandiera era addirittura seconda solo a Lufthansa ma seguita da KLM, Iberia,
Air France e British.
Altro che esuberi e bassa produttività del personale AZ: non
è questo il problema di Alitalia, nonostante Cimoli si ostini a martellare su
tale questione. Una denuncia strumentale e priva di senso come è dimostrato dai
dati appena esposti.
A tale proposito si rifletta sul fatto che mentre in Alitalia
si dichiara che esiste un gran numero di esuberi, il Presidente di British,
riconoscendo il carattere pubblico del servizio offerto dalla compagnia, seppur
privatizzata, si è scusato con l’utenza per i gravi disagi prodotti durante
il periodo di ferragosto a causa del pesante sott’organico esistente in
compagnia. Un fatto che dimostra la strumentalità delle argomentazioni
sostenute contro Alitalia, alla quale si chiede di tagliare il personale
nonostante i numeri indichino che per ogni aeromobile della flotta è impiegato
oltre il 42,5% di personale in meno rispetto, ad esempio, alla British.
Il problema, quindi, della Compagnia è altro.
Consulenze, sprechi e allegra gestione finanziaria si
sommano ad una pessima gestione della vendita del prodotto. Si ricordi, a tale
proposito, la recente vertenza tra agenti di viaggio e Compagnia di Bandiera.
Quest’ultima, decidendo di tagliare le provvigioni degli agenti di viaggio, in
risposta ha subito un vero e proprio boicottaggio che ha favorito la
commercializzazione del prodotto offerto dalla concorrenza.
Una rappresaglia subita da Alitalia che ha messo in evidenza
la scelta suicida di rinunciare ad avere una propria rete vendite, caduta sotto
la scure di uno dei tanti tagli “intelligenti” operati negli ultimi anni.
6. Il trasporto aereo italiano ha enormi potenzialità
Il problema di Alitalia non è neppure quello di operare in
un mercato privo di prospettive di crescita. Anzi, tutt’altro.
Agli indici previsionali medi europei che segnalano nei
prossimi anni un incremento del 4-5% del traffico passeggeri, si deve
aggiungere la potenzialità specifica del mercato italiano visto che nel nostro
Paese attualmente viaggia solo il 5% della popolazione e, primi solo alla
Grecia, siamo in fondo alla graduatoria dei maggiori Paesi europei.
Anche per il traffico delle merci in Italia si prevede
una enorme espansione, nonostante il progetto della Compagnia di Bandiera sia
quello di dismettere, in favore di Air France-KLM, il settore Cargo che, non
più tardi di 2 anni fa, aveva un valore di mercato che si aggirava intorno 400
mln di Euro: la stessa cifra del prestito ponte.
Basti considerare che, riguardo a tale questione, il
Sole24Ore Trasporti titolava il 25-7-04: “MERCI, ASSALTO STRANIERO.
Vettori e aeroporti degli altri Paesi fanno shopping sul nostro mercato”.
Quanto esposto, dunque, comprova che non stiamo parlando,
complessivamente di un settore industriale decotto e privo di prospettive di
crescita. Tutt’altro.
È per questo che riteniamo necessario che le istituzioni,
nazionali e locali, il Parlamento, insomma la Politica, impongano un effettivo
rilancio del Trasporto Aereo e della Compagnia di Bandiera.
A nostro avviso tale rilancio non può prescindere dal ritiro
del Piano di liquidazione di Alitalia.
Altro che creazione di Best e Bad company di tremontiana
memoria. Altro che smembramento della Compagnia di Bandiera, Alitalia Fly e
Alitalia Service.
Altro che “migliaia di esuberi” come sembra voler imporre
addirittura la Commissione Europea, con una pesantissima ingerenza sul futuro
dell’Alitalia e del nostro Paese.