Privatizzare dal globale al locale... e viceversa. Per un quadro di riferimento sulla privatizzazione dei servizi pubblici locali
Rita Martufi
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5. Il settore idrico
Per quanto riguarda il settore idrico si ricorda che questo
comprende:
- le attività di produzione e distribuzione dell’acqua potabile
- le fognature
- la depurazione delle acque reflue.
La legge del 5 gennaio 1994, n. 36 (conosciuta come legge Galli),
è la prima che traccia una disciplina del settore accogliendo la maggior parte
dei principi predisposti in sede europea; sono state infatti introdotte alcune
regole che impongono al settore idrico italiano una riorganizzazione del sistema,
al fine di attuare una maggiore chiarezza in un quadro caratterizzato da una
richiesta di servizi sempre più selezionati ed orientati al cittadino-utente.
L’obiettivo del miglioramento del servizio e della tutela dell’integrità
ambientale non è stato però raggiunto con la legge Galli. Vi è stata una integrazione
con il successivo D.M. del 22 novembre 2001 (Decreto Matteoli) riguardante le
modalità di affidamento in concessione a terzi della gestione del Servizio Idrico
Integrato, a norma dell’art. 20, comma 1, della L. 5 gennaio 1994, n. 36, che
stabiliva le modalità di affidamento in concessione a terzi della gestione del
servizio idrico integrato. Con questo decreto sono anche determinati i criteri
per la assegnazione delle gare, le quali sono determinati in base alla salvaguardia
e al rispetto dell’ambiente, al piano di utilizzo del personale presente nelle
gestioni precedenti, alla capacità dei soggetti concorrenti e ai miglioramenti
del piano economico-finanziario.
Se si analizza il mercato del settore idrico si nota una marcata
differenza della disponibilità delle risorse idriche tra il Nord e il Sud; oltre
la metà delle risorse idriche utilizzabili infatti si concentrano al Nord (53%),
il 21% nell’Italia Meridionale, il 7% nelle isole e il 19% nell’Italia Centrale.
È chiaro che questa differenza è dovuta soprattutto alla diversa intensità delle
precipitazioni (nelle regioni settentrionali vi è il 40% delle precipitazioni,
il 22% nelle regioni centrali, il 12% nelle isole e il 24% nelle regioni meridionali).
La tabella seguente mostra come vengono utilizzate le risorse idriche nel Paese;
è evidente che pur essendo presente al Nord un importante sfruttamento della
risorsa, la situazione diventa critica al Sud in quanto i prelievi arrivano
al 96% della disponibilità.

[1]
Il nostro Paese (insieme al Belgio, alla Spagna e ai Paesi
Bassi) risulta essere tra i primi posti rispetto alla domanda complessiva di
acqua; ciò è dovuto alla forte presenza in questi paesi di un settore agricolo
forte che naturalmente richiede un elevato fabbisogno idrico. La tabella 18
mostra come l’agricoltura assorba la metà dell’uso delle risorse idriche.
È interessante anche notare che per i consumi per settore e
per area geografica mostrano che il Nord utilizza la percentuale più alta di
risorsa idrica dovuto soprattutto agli usi industriali.
Dall’analisi della gestione del servizio idrico risulta evidente
che a tutt’oggi la stragrande maggioranza delle conduzioni degli acquedotti
sono gestiti dai comuni (81,9% ), il 12,4% è gestito dai consorzi, il 2,1% dai
privati, l’1,4% dalle municipalizzate, lo 0,8% dagli enti pubblici e l’1,4%
da altri soggetti. Circa il 60% dei gestori dei servizi idrici appartiene al
Nord, il 29% al Sud e l’11 al Centro. Con riguardo agli operatori va rilevato
che i primi dieci del settore idrico coprono il 25% del mercato; è una quota
importante se si considera che il settore appare molto frammentato.

[2]
Inoltre va evidenziato che non vi è una tariffazione unitaria.
Comunque il livello della tariffa media è minore di quello
degli altri paesi europei.
6. I Rifiuti Solidi Urbani
Il settore dei rifiuti solidi urbani è stato per lungo tempo
caratterizzato da una gestione del ciclo dei rifiuti basata sullo smaltimento
in discarica, sulla pulizia delle strade, sulla raccolta e trattamento. Con
il Decreto legislativo n.22 del 1997 (conosciuto come Decreto Ronchi) si pongono
le basi per la nascita di un sistema integrato di gestione dei rifiuti che si
occupa in modo unitario sia della raccolta, della trasformazione e del recupero.
Questo decreto è stato poi integrato dal Decreto n.389/1997 e dalla legge 426/1998
; con queste norme vengono accolte le indicazioni presenti nella legislazione
europea. I principi che sostengono le nuove norme sono basati sulla possibilità
di riutilizzare, riciclare e se possibile recuperare i rifiuti solidi urbani.
Viene introdotta la nozione di raccolta differenziata che tende
al recupero delle materie per poterle reinserire nel ciclo produttivo. Questo
decreto introduce poi il concetto di "responsabilità condivisa" tra
cittadini, imprese ed Enti Locali.
L’attuazione dei principi emanati dal decreto Ronchi avviene
attraverso la predisposizione di piani provinciali e regionali; al momento la
maggior parte delle Regioni del Sud non hanno ancora attuato tali norme mentre
per le Regioni del Centro -Nord la situazione è migliore.
Il miglioramento delle condizioni di vita e lo sviluppo dell’industria
hanno fatto si che la gestione dei rifiuti sia diventata sempre più complessa
in questi ultimi anni; nel nostro Paese si è avuta infatti una crescita in termini
assoluti dal 1996 al 2000 di circa l’11% con tassi medi annui del 2,3%.
La tabella seguente mostra, ad esempio per il 2000, il riparto
per aree geografiche.


Nel nostro Paese quindi la raccolta in discarica rimane ancora
prevalente, poco è utilizzata la raccolta differenziata ; questo fa si che il
nostro sistema sia uno dei più arretrati a livello europeo. La tabella seguente
mostra infatti che nel 1999 oltre il 74% dei Rifiuti Solidi Urbani è stato raccolto
nelle discariche.
Nel 1999 a fronte di 41 impianti di incenerimento vi erano
in tutta Italia 786 discariche. Gli inceneritori sono presenti soprattutto al
Nord in alcune regioni nelle quali è molto presente la raccolta differenziata;
ci si riferisce al Veneto, alla Lombardia, al Friuli Venezia Giulia e all’Emilia
Romagna. Il Sud del paese, invece, presenta un forte ritardo in quanto a tutto
il 1999 non era presente neppure un impianto di incenerimento.
Per il mercato dei Rifiuti Solidi Urbani va evidenziato che
è presente una alta frammentazione delle attività che ha causato oltre a pochi
investimenti nel settore anche una scarsa efficienza e a condizioni di monopolio
locale.
Considerando che l’attività di gestione dei Rifiuti Solidi
Urbani si può distinguere in raccolta, spezzamento, trasporto, recupero e smaltimento,
vi possono essere due tipologie di operatori che si diversificano a seconda
del tipo del rifiuto:
- " gestori di rifiuti urbani : sono in prevalenza operatori
pubblici, come Comuni, consorzi di comuni e aziende municipalizzate, anche se
non è trascurabile la presenza di soggetti privati;
- gestori di rifiuti speciali: sono quasi esclusivamente privati.
Attualmente è attivo in Italia circa un centinaio di aziende con capacità di
smaltimento ridotte". [3]
La tabella seguente [4] mostra come siano molto diffuse le gestioni in economia
(3.600 su 4000 circa in totale).
Nell’anno 1999 il 44% dei Comuni è stato servito da gestioni
in economia mentre il 32% è stato servito dalle imprese private. Un’analisi
territoriale mostra che le regioni del Centro Nord sono gestite in prevalenza
da imprese private mentre il Nord-Est è gestito in maggioranza dalle imprese
pubbliche (nel 1999 il 58%).
La più grande impresa privata del settore dei Rifiuti Solidi
Urbani è la Waste Italia S.p.a, che è controllata per intero da Italcogin ;
invece le imprese maggiori presenti nel Paese che hanno una gestione a prevalente
capitale pubblico sono :
- l’AMIAT - Torino s.p.a. che, sorta nel 2000 a seguito della
trasformazione dell’azienda speciale del Comune, agisce prevalentemente nel
campo della raccolta e smaltimento dei Rifiuti Solidi Urbani oltre che alla
pulizia delle strade;
- l’AMA - Roma s.p.a. che disciplina la raccolta dei Rifiuti
Solidi Urbani in tutto il territorio del Comune che è il più grande del Paese.
- L’AMSA - Milano S.p.a. che a seguito della trasformazione
avvenuta nel 2000 in società per azioni conta oggi oltre 2.00 lavoratori dipendenti.
Per quanto riguarda le tariffe il Decreto Ronchi ha provveduto
a sostituire la TARSU (TAssa per lo smaltimento dei Rifiuti Solidi Urbani) con
una tariffa che risulti proporzionale alla quantità di rifiuti prodotti ed è
di pertinenza del Comune di appartenenza.
Vi è comunque una distinzione tra le fasce di utenti (domestica
o non domestica) e gli Ambiti Territoriali Ottimali e la tariffa è determinata
quindi come il risultato di una parte fissa e una parte variabile.
7. Alcune riflessioni... Efficienza!? No, come sconfiggere i lavoratori!
Ci auguriamo che questo articolo possa servire a chi è impegnato
nelle battaglie sindacali e sociali per avere elementi in più per capire che
i processi di privatizzazione non attaccano solo il salario, il reddito, lo
Stato sociale ma, attraverso anche la privatizzazione dei servizi pubblici locali,
si vogliono piegare le comunità locali di cittadini a convivere con la diffusione
sociale del paradigma del mercato, per vivere esclusivamente del e nel privato.
I progetti elencati nel libro Bianco sulle privatizzazioni
e dalle politiche del Governo dimostrano che la tendenza è sempre più orientata
verso la liberalizzazione più sfrenata e senza limiti. Una liberalizzazione
che non terrà in alcun conto le esigenze dei lavoratori, delle classi più deboli
della società, "in nome del Dio mercato" continueranno ad essere tolte
anche le minime garanzie di Stato sociale presenti ancora oggi, anche se ormai
in forma quasi residuale. Quando si parla di privatizzare energia, trasporti,
scuola, sanità, si comprende bene quali potranno essere le conseguenze per i
cittadini, per i lavoratori, per i disoccupati e tutte le figure sociali precarie,
marginali e a basso reddito.
Se si vogliono trarre delle immediate considerazioni sul processo
di liberalizzazione e privatizzazione attuato nel nostro Paese dal 1992 in poi
, basterebbe considerare che gli obiettivi proposti dal Libro Verde sulle privatizzazioni
del 1992 non sono stati minimamente raggiunti. Infatti che il cosiddetto miglioramento
nell’efficienza delle imprese, l’aumento della concorrenza e la cosiddetta internazionalizzazione
del nostro mercato sono rimasti sulla carta. Ed allora è lecito pensare che
tutto ciò è servito in una visione prettamente liberista ad affermare il ruolo
sociale dominante dell’impresa imponendo la piena e concreta subalternità del
lavoro. Si tratta, quindi, esclusivamente di un’ulteriore resa di conti nel
conflitto capitale-lavoro, per tagliare i costi del lavoro diretto, indiretto
e differito, per smantellare lo Stato sociale, per affermare definitivamente
il paradigma neoliberista dell’accumulazione flessibile attraverso la precarizzazione
dell’intero vivere sociale , nella società del “malessere da mercato”.
[1] Cfr. "The Times They are a- Changin’....", op. cit., pag.129.
[2] Cfr.
"The Times They are a- Changin’....", op. cit., pag.131.
[3] Cfr. "The Times They are a- Changin’....",
op. cit., pag. 152
[4] Cfr. "The Times They are a- Changin’....",
op. cit., pag.152