Macunaima è eroe di un classico della letteratura
brasiliana, creazione originale di Mario di Andrade, scrittore e figura chiave
del Movimento Modernista del ‘22, che ebbe e ha ancora grande ripercussione
sulla cultura, la letteratura e le arti in generale in Brasile. Fotografa un
periodo in cui gli intellettuali avevano a cuore le caratteristiche della
nazionalità, della specificità brasiliana nell’insieme delle nazioni. Eroe
senza nessun carattere (il sottotitolo dell’opera originale, ndt), era nato
nella foresta, figlio d’indigena, ma era nero, caratterizzando così la
contraddizione presente nella mescolanza delle razze in Brasile; e aveva un’espressione
lapidaria “molte sauva (una razza di formiche) e poca salute, sono i mali del
Brasile”. La sauva qui non è metafora del lavoro, ma proprio il contrario:
rammenta l’abbandono delle coltivazioni, la negligenza del potere pubblico, la
“razzia” perpetuata negli anni dalle oligarchie ai danni del patrimonio
nazionale. In questo senso, Luis Inacio Lula da Silva, il nuovo Presidente della
Repubblica Federativa del Brasile, eletto con più di 50 milioni di voti,
rappresenta, prima di ogni altra cosa, il riscatto della probità
amministrativa, di un progetto nazionale, della preoccupazione per i settori
marginalizzati della popolazione brasiliana, che oggi giungono a costituire
circa 54 milioni di persone.
È necessario dire ai lettori di Proteo, in poche parole, chi
è questo leader sindacale che assume la presidenza del paese a partire dal 1°
gennaio 2003. Lula nacque nello Stato di Pernambuco, nel cuore della regione
Nordest del Brasile, che rimase legata al capitalismo mondiale per più di 500
anni come grande centro esportatore di zucchero. Figlio di una famiglia molto
povera e di piccoli agricoltori, come gran parte dei nordestini, negli anni fra
il 1950 e il 1970, emigrò a Sao Paulo, centro industriale del Paese, che
riceveva il grande esercito di riserva senza prospettive di lavoro nel Nordest.
A sette anni partì con la madre, dopo che il padre aveva abbandonato la
famiglia per andare a vivere a Santos, dove ne costituì un’altra. Il viaggio
fu compiuto con un famoso “pau de arara” (più o meno “trespolo”, ndt),
un tipo di camion con pianale scoperto che trasportava i disoccupati nordestini
verso il Sud e il Sudest del paese. Prima di diventare metallurgico, fu
venditore di frutta, di noccioline, commesso e impiegato di una tintoria. A 15
anni, dopo un corso nel Servizio Nazionale dell’Industria (Senai), diventò
tornitore meccanico. È per questa origine, e per aver dovuto lavorare assai
presto, che è giunto a dire che “non ebbe infanzia”.
Fu attraverso il fratello maggiore, legato all’antico
Partito Comunista, che Lula cominciò a fare politica sindacale. Nel 1975
assunse la presidenza del sindacato dei metalmeccanici dell’ABC [1]. Fu rieletto nel 1978 quando
cominciò a emergere come la maggior figura di leader sindacale del paese. Quell’anno,
in piena dittatura militare, cominciano a sbocciare gli scioperi, contro la
stretta salariale, per la riduzione della giornata di lavoro e la garanzia del
posto di lavoro. Il governo si irrigidì e proibì gli scioperi. Nel 1979, il
Sindacato dei Metallurgici, con Lula come leader, convoca uno sciopero generale.
La dittatura mandò la polizia a reprimere gli scioperanti. Nel 1980 Lula fu
preso e condannato, nel quadro della Legge di Sicurezza Nazionale, a 3 anni e 6
mesi di carcere, pena che finì con l’essere revocata dal Superiore Tribunale
Militare, dopo una grande pressione della società civile, della Chiesa
Cattolica e proteste pubbliche degli avvocati, di giornalisti studenti e
parlamentari che combattevano il regime militare. Nel febbraio del 1980 fu
fondato il Partito dei Lavoratori, formato principalmente da sindacalisti,
rappresentanti di organizzazioni di sinistra, il settore progressista della
Chiesa Cattolica, e intellettuali. Nel 1982 si candida al governo di Sao Paulo,
senza successo. Nel 1985 è eletto come il deputato federale più votato del
Paese e già nel 1989 disputa la Presidenza della Repubblica, con Fernando
Collor de Mello, perdendo l’elezione al secondo turno per appena il 6% dei
voti. Le due successive sconfitte, 1994 e 1998, furono contro Fernando Henrique
Cardoso.
I brasiliani nel 2002 hanno votato contro 8 anni deleteri di
Fernando Henrique Cardoso (FHC) che, legato a una politica eminentemente
monetarista, ha lasciato il paese con un debito pubblico che raggiunge il 60 %
del PIL [2], ha rottamato i servizi pubblici,
fatto ristagnare l’economia e fatto esplodere la disoccupazione, sotto la
promessa che avrebbe fatto entrare il Brasile nella Mondializzazione dalla porta
principale.
È ironica, per non dire cinica, l’affermazione dell’ex-Presidente
FHC in una dichiarazione recente, mentre veniva premiato dalle Nazioni Unite,
quando a proposito del nuovo Presidente ha affermato che “egli non ha idea
della dimensione, della profondità del problema”, riferendosi al Brasile.
Oltre al contingentamento di bilancio, derivante dalla
quantità di debito espresso in dollari, i problemi della previdenza sociale,
del ritorno inflazionario degli ultimi mesi che oggi raggiunge il 10%, dell’aumento
della violenza urbana, con grandi aree nelle metropoli di Rio de Janeiro e Sao
Paulo in cui lo Stato non ha il mimimo controllo sul narcotraffico, del
differimento della Riforma Agraria, dell’erosione degli stipendi del pubblico
impiego, non riallineati da 7 anni, pure fanno parte dell’eredità maledetta
di Fernando Henrique Cardoso, che con retorica da intellettuale globalizzato
faceva bei discorsi democratici e avanzati all’estero, mentre penalizzava
fortemente i lavoratori e le classi medie nel Paese.
Lula si portava così dietro le nuvole già pesanti della
congiuntura nazionale, le nubi turbolente che provengono dagli Stati Uniti, con
la politica bellicista e autoritaria di George Bush e la sua minaccia all’Iraq,
che può far esplodere una bomba di effetto sconosciuto sull’economia
mondiale, aumentando il prezzo del petrolio, ampliando una stagnazione economica
assai grave al suo stato attuale.
Ma nonostante le tinte grigie di questa congiuntura, l’elezione
di Lula va controcorrente rispetto al main-stream della politica mondiale, che
ha marciato a destra. Lula è il primo rappresentante della classe lavoratrice
in America Latina ad arrivare alla Presidenza della Repubblica, con un percorso
di lotta contro la dittatura dagli anni 70; e - come lui stesso ha detto quando
è stato eletto - “La nostra vittoria non è solo quella di un presidente
della Repubblica. È la vittoria contro la sfacciataggine, contro il pregiudizio
della elite brasiliana. La nostra vittoria è per mostrare che, avendo diploma o
no, essendo uomini o donne, neri o bianchi, siamo capaci di capovolgere il mondo”.
Il Progetto Lula
Dal punto di vista puramente elettorale, la vittoria di Lula
è stata molto più grande della vittoria del suo partito, il PT. Lula ha dovuto
trovare un accordo con il Partito Liberale [3] - che ha indicato (per la vicepresidenza) l’imprenditore tessile
Jose de Alencar, senatore dello Stato di Minas Gerais - ed ha alleanze col
Partito Socialista Brasiliano e col PPS (post-comunisti), i cui candidati alla
presidenza gli hanno garantito il 25% dei voti al secondo turno.
Considerando gli aspetti federativi della politica nazionale,
il PT ha ottenuto solo quattro governatori in Stati senza grandi espressioni
elettorali. Nel Congresso Nazionale, il PT è cresciuto in misura sostanziale,
giungendo ad essere il primo partito della Camera Federale ed ampliando il
numero dei senatori, ma ha bisogno di stabilire coalizioni per governare, con
partiti di centro come il PMDB (carico di rappresentanti delle oligarchie
regionali insoddisfatte della politica di FHC: ad esempio Jose Sarney, senatore,
ex-presidente della Repubblica 1985-87). Si vede quindi che, oltre all’economia,
le difficoltà di Lula si presentano anche a livello politico, perché queste
forze che momentaneamente lo appoggiano lavoreranno nel senso di raffreddare l’impeto
di riforme del nuovo presidente. Per tutto ciò che si è già spiegato qui,
giova la domanda: dove starebbero le possibilità di trasformazione sociale, di
realizzazione di politiche sociali strutturali?
Non sarebbe assurdo dire come Celso Furtado che Lula viene
per riprendere la “costruzione interrotta”, nella direzione di politiche
nazionali che, in Brasile, avevano avuto il segno del laburismo di Getulio
Vargas (1930-45 e 1950-54) e Joao Goulart (1960-64). Per questo, Lula conta su
alcune esperienze ben concluse del PT in alcune grandi metropoli del Brasile
(come a Porto Alegre, Brasilia, Sao Paulo, Belem) o in città di media grandezza
(Santo Andre, Riberao preto, Campinas fra le altre). Lì ha acquistato carattere
il modo petista di governare.
Il Bilancio Partecipativo
Considerato uno dei progetti più innnovatori delle
amministrazioni petiste, è stato utilizzato come strumento di lotta al
clientelismo, poiché permette alla popolazione di opinare sul modo in cui i
governanti devono spendere le risorse pubbliche, attraverso riunioni aperte, in
cui sono eletti consigli che analizzano le rivendicazioni e stabiliscono le
priorità. L’esperienza può essere ripresa gia nel Consiglio Sociale,
proposto da Lula, e può sdoppiarsi nei Consigli Settoriali dell’Educazione,
della Salute e dell’Abitazione. Il bilancio partecipativo ha la virtù di
mobilitare le popolazioni di quartieri e comuni nella rivendicazione di propri
diritti, ciò che rafforza la natura democratica della pratica politica in
America Latina.
Programma Fame Zero
Che si compone di tre sotto-programmi specifici:
distribuzione di buoni di alimentazione; consegna di ceste basiche d’emergenza
(la cesta basica in Brasile è anche, come il salario minimo, un’unità di
misura statistica: certa quantità di alcuni prodotti di sopravvivenza,
alimentari e non, e il relativo prezzo d’acquisto; un po’ il nostro paniere,
ma proprio “basico”. ndt); stoccaggio di alimenti come protezione dalle
oscillazioni dei prezzi. Il programma andrà a beneficio del 28% della
popolazione del paese, fra coloro che hanno reddito inferiore a 1 R$ [4] al giorno. Si tratta di un
Programma di compensazione, ma indispensabile, soprattutto per le famiglie senza
lavoro che vivono in miseria quasi assoluta. Questo Programma sarà associato a
quello di Riforma Agraria, nella misura in cui migliaia di famiglie di Senza
Terra saranno insediate e passeranno a produrre alimenti per i mercati di
consumo locali, riducendo il costo dei prodotti alimentari.
Banca del Popolo
Appoggio a micro- e piccoli imprenditori, che passano ad
avere accesso a prestiti bancari a tassi sussidiati; ciò che avrà grande
effetto sull’economia popolare e sul settore informale, che sono grandi
utilizzatori di manodopera non qualificata.
Progetto Abitazione
Diminuzione del deficit abitativo, con impulso alla
costruzione di alloggi, riduzione dei prezzi dei materiali di costruzione,
creazione di un Fondo per l’abitazione che sarà attivato dallla Cassa
Economica Federale (Banca del Governo) per famiglie con reddito inferiore a 12
salari minimi.
Reddito Minimo e Borse di Studio
Programma ideato dal senatore Eduardo Suplicy del PT, che per
togliere i bambini dalla strada o dal lavoro minorile offre la terza parte di un
salario minimo a ogni famiglia di basso reddito che dimostri che i figli minori
di 14 anni studiano. Il Programma è stato inizialmente applicato con grande
successo nel governo di Brasilia,e poi in diverse amministrazioni petiste. Il
successo è stato tanto grande che il Governo FHC ha finito con l’adottare il
Progetto a livello nazionale, ma riducendo la quota per bambino.
Salute nella Famiglia
Che trae ispirazione dalla medicina preventiva cubana, a
partire dalla creazione della figura dell’agente comunitario di salute, e di
medici di famiglia che visitano regolarmente le residenze nelle aree di
povertà; e che ha dato eccellenti risultati nella lotta alla mortalità
infantile.
Farmacia Popolare
Che, attraverso l’incentivo alla produzione di farmaci
generici, e la vendita a prezzo ridotto di un paniere di medicine di largo
consumo da parte della popolazione non abbiente, ha finito col ridare fiato al
settore farmaceutico nazionale, prima quasi interamente dominato dalle
multinazionali.
È evidente che Inacio Lula da Silva non è un prestigiatore.
Non può fare miracoli. Ma abbiamo la convinzione che il paese si rimetterà sui
binari della crescita economica, con una politica industriale, con una chiara
definizione di sovranità - già segnalata dal nuovo presidente nei difficili
confronti a proposito dell’Area di Libero Commercio delle Americhe (ALCA), ove
le esigenze americane sono draconiane, senza offrire reciprocità alcuna - . In
questo caso particolare, peraltro, il Brasile è il paese della regione che più
ha da perdere, a causa del grado di maturità e complessità del suo parco
industriale. Lula stesso ha detto di recente che, nella forma in cui si
presenta, l’ALCA rappresenta molto più di un’annessione e, così com’è,
non passerà. Il nuovo governo ha inviato segnali per la ripresa del Mercosur,
come progetto politico prioritario, e per uno sforzo di allargamento verso il
Patto Andino. La prima visita di Lula all’estero è stata in Argentina, in una
dimostrazione inequivoca di solidarietà al paese.
Il nuovo governo brasiliano recupera, a mio modo di vedere,
la celebre espressione di Antonio Gramsci, secondo cui dobbiamo dosare il
pessimismo della ragione con l’ottimismo della volontà.
Infine una variabile personale, poco considerata nelle
analisi strutturali, a proposito della personalità del nuovo presidente,
rafforzata dalla forma presidenzialista di governo in Brasile, in cui la figura
del presidente esercita una forza molto grande. Lula ha tentato per tre volte la
corsa alla presidenza, è maturo, preparato ed è oggi un grande conoscitore dei
problemi del paese. Egli ha coscienza della grande speranza che ripongono in lui
i settori diseredati, i lavoratori e le classi medie. È un uomo ostinato nel
voler riuscire e il suo percorso di grande negoziatore ha dimostrato che è
fedele ai propri impegni. Oltre alla lotta alla corruzione e alla sua quasi
ossessione per politiche sociali che non siano meramente compensatorie, sa che
per diventare uno statista deve cercare una nuova dimensione per il paese, una
posizione attiva verso l’America del Sud. Concludo con un passaggio della sua
Lettera al Popolo Brasiliano di giugno 2002: ”C’è nel nostro Paese una
potente volontà popolare di chiudere l’attuale ciclo economico e politico (...)
Siamo coscienti della crisi economica. Per risolverla, il PT è disposto a
dialogare con tutti i settori della società brasiliana (...) Il ritorno alla
crescita è l’unico rimedio per impedire che si perpetui un circolo vizioso
tra obiettivi di bassa inflazione, alti tassi, brusche oscillazioni di cambio e
aumento del debito pubblico (...) La questione di fondo è che, per noi, l’equilibrio
fiscale non è un fine, ma un mezzo. Vogliamo equilibrio fiscale per crescere e
non solo per pagare rate ai nostri creditori”.
[1] ABC è il
nome che si dà alle 3 grandi città industriali della Grande Sao Paulo (Santo
Andre; Sao Bernardo do Campo; Sao Caetano) dove si installarono i grandi
impianti industriali e le montadoras, in Brasile.
[2] Il debito pubblico collocato sul mercato, nel 2002,è stato di 161
miliardi di dollari. Nel 2003 c’è bisogno di riscattarne 52,45 miliardi, dei
quali 73% pagano tassi overnight, e circa il 30 % sono indicizzati al dollaro
(fonte: Valor Economico, 9/10/2002, p.C1).
[3] I partiti che invece hanno dato
sostegno a FHC sono soprattutto il suo stesso partito, PSDB (detto
socialdemocratico), il PMDB (centro), il PFL (centro-destra) e il PSP (destra
malufista).
[4] 1 R$
(real) equivale oggi a 28 centesimi di euro.