Il tema del mercato interno ci porta al secondo asse del
nuovo modello economico, ossia la redistribuzione delle entrate. L’attuale
distribuzione della ricchezza e delle entrate è molto diseguale. Il 10% più
ricco mantiene il 36% delle entrate (nel 1974 era il 28%) ed il 30% più povero
riceve l’8% (nel 1974, riceveva l’11%). Questo non solamente provoca
isolamento sociale, ma distorce inoltre fortemente il funzionamento dell’economia
e le fa perdere dinamismo. Infatti, la concentrazione delle entrate porta un
maggiore consumo di prodotti importati (o con molti componenti importati) e uno
minore di beni e servizi di prima necessità, che il paese può produrre in
abbondanza; è dunque una delle ragioni (insieme alla sopravvalutazione del
peso) dello strangolamento estero nel quale ci troviamo. Ma soprattutto, ha un
effetto depressivo sull’economia, comprimendo la domanda di masse crescenti
della popolazione.
Uno dei dogmi del neoliberismo è nell’economia dell’offerta:
se qualcuno ha la capacità, otterrà il lavoro; se si produce qualcosa,
apparirà il compratore. Non viene nemmeno in mente che esista anche l’economia
della domanda: anche se l’impresario non stipendiasse i lavoratori ed essi
vivessero di sola aria, anche se gli venissero regalati i macchinari ed il costo
del denaro fosse zero, nessuno produrrà se nessuno compra. È necessario
recuperare il consumo popolare come un fine a sé stante e come motore della
crescita.
I modi possibili per migliorare la distribuzione sono
molteplici, e possono essere combinati tra loro. Oltre che aumentare i salari
bassi, è possibile migliorare rapidamente l’entrata nelle famiglie se si
aumenta il numero dei suoi componenti che possiede un impiego e se si migliora
la qualità di questi impieghi (passare dall’essere sottoimpiegato in un
lavoro di bassa produttività e remunerazione, ad essere un impiegato formale
con maggiore produttività). Allo stesso modo, un ristabilimento dei conti
fiscali, riscuotendo le imposte idonee ai più ricchi e ristabilendo le
priorità di spesa, permetterà di aumentare il “salario indiretto” ed i
trasferimenti, così come le pensioni, alcuni salari pubblici, il salario
familiare, il sussidio di disoccupazione, i sevizi per la salute e l’educazione,
ecc.
Questa strategia implica l’impulso della crescita di
settori in grado di creare posti di lavoro, come l’industria, la costruzione,
l’opera pubblica e i servizi, che a loro volta richiedono un’altra politica
di credito e cambi nei prezzi relativi, che oggi pregiudicano i settori
produttori di beni trasferibili (suscettibili di commercio estero). Su questa
base produttiva, si generano nuovi lavori in servizi come il commercio ed i
servizi personali [1].
Questa politica richiede anche cambiamenti radicali nella
politica fiscale; soprattutto, è necessaria una riforma di fondo del sistema
fiscale, che oggi fa ricadere la maggiore pressione fiscale sui settori con
entrate minori, fatto che si manifesta nella maggiore importanza relativa delle
imposte indirette, in particolare l’IVA, e che ha tolto ogni risorsa economica
al sistema pubblico delle pensioni.
Oggi, il nodo dello squilibrio fiscale è il crescente
importo degli interessi sul debito pubblico (principalmente estero) e la perdita
di quotazioni anticipate (11% dei salari) che vanno alle Amministrazioni dei
Fondi dei Pensionamenti e Pensioni (AFJP), come risparmio forzato dei lavoratori
e sopra cui prendono un esorbitante 30% per “spese amministrative”.
D’altro canto, se si combattesse l’evasione, se si
riscuotessero tasse sui guadagni straordinari, sui dividendi ottenuti dagli
azionisti dalle società anonime, sui consumi saltuari, sull’eredità e sui
trasferimenti netti di divisa delle imprese e se si controllasse la dogana, si
otterrebbe una notevole eccedenza. Inoltre, dovranno essere recuperati profitti
di cui si appropriano le imprese private. Il profitto annuo del petrolio arriva
attorno ai 6.000 milioni di dollari; e se si applicasse un’imposta ragionevole
sul profitto derivato dalla svalutazione, si riscuoterebbero 20.000 milioni di
pesos. Se tutto ciò, come conseguenza del default del debito estero, venisse
ritrattato sospendendo e minimizzando i pagamenti, esisterebbe una massa critica
di risorse sufficiente a finanziare un vigoroso sviluppo del paese.
Un’altra piaga che ha colpito l’attività economica e che
deve scomparire è la corruzione. È l’altra faccia dell’ingiustizia
sociale, ed è normale che prenda vigore nel momento in cui aumenta la
disuguaglianza in un paese. Laddove essa venga riscontrata, dovranno essere
rivisti gli atti giuridici che risentano di questo vizio, per adeguarli alla
legalità.
In sintesi, il modello finanziario della rendita è
agonizzante. Quanto tempo ci vorrà perché arrivi un nuovo governo politico
veramente repubblicano? José Hernández diceva, nel Martín Fierro: “ Il
tempo è il ritardo di ciò che sta per avvenire”.
[1] L’esperienza della crescita del Cile a metà degli anni
Ottanta e a metà degli anni Novanta ci porta insegnamenti in questo senso. Si
veda CEPAL, Crecimiento económico y difusión social en Chile, Santiago di
Cile, dicembre 1994.