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Tendenze della competizione globale

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Alfredo Eric Calcagno
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Univ. della Plata a Buenos Aires, funzionario dell’ONU

Eric Calcagno
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Scuola Nazionale d’Amministrazione di Francia

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Il tema del mercato interno ci porta al secondo asse del nuovo modello economico, ossia la redistribuzione delle entrate. L’attuale distribuzione della ricchezza e delle entrate è molto diseguale. Il 10% più ricco mantiene il 36% delle entrate (nel 1974 era il 28%) ed il 30% più povero riceve l’8% (nel 1974, riceveva l’11%). Questo non solamente provoca isolamento sociale, ma distorce inoltre fortemente il funzionamento dell’economia e le fa perdere dinamismo. Infatti, la concentrazione delle entrate porta un maggiore consumo di prodotti importati (o con molti componenti importati) e uno minore di beni e servizi di prima necessità, che il paese può produrre in abbondanza; è dunque una delle ragioni (insieme alla sopravvalutazione del peso) dello strangolamento estero nel quale ci troviamo. Ma soprattutto, ha un effetto depressivo sull’economia, comprimendo la domanda di masse crescenti della popolazione.

Uno dei dogmi del neoliberismo è nell’economia dell’offerta: se qualcuno ha la capacità, otterrà il lavoro; se si produce qualcosa, apparirà il compratore. Non viene nemmeno in mente che esista anche l’economia della domanda: anche se l’impresario non stipendiasse i lavoratori ed essi vivessero di sola aria, anche se gli venissero regalati i macchinari ed il costo del denaro fosse zero, nessuno produrrà se nessuno compra. È necessario recuperare il consumo popolare come un fine a sé stante e come motore della crescita.

I modi possibili per migliorare la distribuzione sono molteplici, e possono essere combinati tra loro. Oltre che aumentare i salari bassi, è possibile migliorare rapidamente l’entrata nelle famiglie se si aumenta il numero dei suoi componenti che possiede un impiego e se si migliora la qualità di questi impieghi (passare dall’essere sottoimpiegato in un lavoro di bassa produttività e remunerazione, ad essere un impiegato formale con maggiore produttività). Allo stesso modo, un ristabilimento dei conti fiscali, riscuotendo le imposte idonee ai più ricchi e ristabilendo le priorità di spesa, permetterà di aumentare il “salario indiretto” ed i trasferimenti, così come le pensioni, alcuni salari pubblici, il salario familiare, il sussidio di disoccupazione, i sevizi per la salute e l’educazione, ecc.

Questa strategia implica l’impulso della crescita di settori in grado di creare posti di lavoro, come l’industria, la costruzione, l’opera pubblica e i servizi, che a loro volta richiedono un’altra politica di credito e cambi nei prezzi relativi, che oggi pregiudicano i settori produttori di beni trasferibili (suscettibili di commercio estero). Su questa base produttiva, si generano nuovi lavori in servizi come il commercio ed i servizi personali [1].

Questa politica richiede anche cambiamenti radicali nella politica fiscale; soprattutto, è necessaria una riforma di fondo del sistema fiscale, che oggi fa ricadere la maggiore pressione fiscale sui settori con entrate minori, fatto che si manifesta nella maggiore importanza relativa delle imposte indirette, in particolare l’IVA, e che ha tolto ogni risorsa economica al sistema pubblico delle pensioni.

Oggi, il nodo dello squilibrio fiscale è il crescente importo degli interessi sul debito pubblico (principalmente estero) e la perdita di quotazioni anticipate (11% dei salari) che vanno alle Amministrazioni dei Fondi dei Pensionamenti e Pensioni (AFJP), come risparmio forzato dei lavoratori e sopra cui prendono un esorbitante 30% per “spese amministrative”.

D’altro canto, se si combattesse l’evasione, se si riscuotessero tasse sui guadagni straordinari, sui dividendi ottenuti dagli azionisti dalle società anonime, sui consumi saltuari, sull’eredità e sui trasferimenti netti di divisa delle imprese e se si controllasse la dogana, si otterrebbe una notevole eccedenza. Inoltre, dovranno essere recuperati profitti di cui si appropriano le imprese private. Il profitto annuo del petrolio arriva attorno ai 6.000 milioni di dollari; e se si applicasse un’imposta ragionevole sul profitto derivato dalla svalutazione, si riscuoterebbero 20.000 milioni di pesos. Se tutto ciò, come conseguenza del default del debito estero, venisse ritrattato sospendendo e minimizzando i pagamenti, esisterebbe una massa critica di risorse sufficiente a finanziare un vigoroso sviluppo del paese.

Un’altra piaga che ha colpito l’attività economica e che deve scomparire è la corruzione. È l’altra faccia dell’ingiustizia sociale, ed è normale che prenda vigore nel momento in cui aumenta la disuguaglianza in un paese. Laddove essa venga riscontrata, dovranno essere rivisti gli atti giuridici che risentano di questo vizio, per adeguarli alla legalità.

In sintesi, il modello finanziario della rendita è agonizzante. Quanto tempo ci vorrà perché arrivi un nuovo governo politico veramente repubblicano? José Hernández diceva, nel Martín Fierro: “ Il tempo è il ritardo di ciò che sta per avvenire”.


[1] L’esperienza della crescita del Cile a metà degli anni Ottanta e a metà degli anni Novanta ci porta insegnamenti in questo senso. Si veda CEPAL, Crecimiento económico y difusión social en Chile, Santiago di Cile, dicembre 1994.