La reinvenzione del sindacalismo: le Commissioni Operaie all’origine del movimento sindacale spagnolo del dopoguerra
Joaquín Arriola Palomares
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1. Introduzione
Una delle debolezze strutturali del movimento sindacale
spagnolo nell’affrontare la globalizzazione del capitale sta nella sua
struttura organizzativa. Le strutture d’impresa si sono sostanzialmente
modificate, introducendo dinamiche polivalenti, flessibilità, comunicazione
orizzontale, partecipazione, struttura a rete... allo stesso tempo, il capitale
si è politicizzato portando le istituzioni politiche sotto una costante
pressione.
Al contrario, il sindacalismo non è stato capace di
rinnovare le sue strutture organizzative, racchiuse in una funzionalità che
esigeva un modello di negoziato basato su regole di gioco che non esistevano
già più: il lavoro a tempo pieno e di durata indeterminata per tutti i
salariati.
Quindi il sindacalismo, per adattarsi alle nuove condizioni
stabilite dalla globalizzazione capitalista, ha bisogno di imparare attraverso
nuove forme organizzative, dalla nuova cultura istituzionale del capitale. Ma
non bisogna credere che il movimento operaio parta da zero; molteplici sono le
esperienze incontrate in lungo ed in largo per il mondo nelle quali il movimento
sindacale si è saputo adattare in condizioni particolari molto diverse da
quelle che siamo abituati nei paesi del capitalismo sviluppato e del patto
sociale di lunga durata, tra esse possiamo elencare: la conquista dell’identità
sociale che ha rappresentato il COSATU in Sudafrica all’epoca dell’Apartheid,
il nuovo sindacalismo associato ad altri movimenti sociali che si è
cristallizzato nella CUT brasiliana o le molteplici esperienze locali di
articolazione comunitaria del sindacalismo nordamericano.
Più vicino a noi, la rifondazione del movimento operaio
degli anni ’50 e ’60 in Spagna è passato dalla creazione di forme
organizzative originali dei lavoratori per affrontare la situazione di
illegalità e di istituzionalismo eretta dal nazional- sindacalismo spagnolo
durante la lunga dittatura del generale Franco. Ricordare quest’esperienza
può essere utile perché interpretando dal passato possiamo essere capaci di
costruire il futuro.
2. Le origini del movimento operaio spagnolo
Il movimento operaio spagnolo affonda le sue radici nel
processo industriale dell’ultimo quarto del XIX secolo. A partire dal 1878
inizia una importante espansione industriale in sette nuclei della geografia
spagnola (Asturie, Vizcaya e Guipúzcoa nella zona Basca, Alicante, Valencia,
Madrid e Barcelona). Il proletariato spagnolo costruisce le sue organizzazioni
al crescere di questo processo. Le profonde radici agricole degli spagnoli dell’epoca
e le connotazioni anti-statali della mentalità rurale, si uniscono nella
formazione di una grande confederazione di lavoratori di ideologia anarchica (La
Confederazione Nazionale del Lavoro, CNT). Le posizioni socialiste, riunite
attorno il Partito Socialista Operaio Spagnolo (PSOE), trovano il loro correlato
sindacale nell’Unione Generale dei Lavoratori (UGT). Questi due gruppi,
insieme ad una piccola presenza del sindacalismo di taglio nazionalista e di
origine cristiana nella Regione Basca ed in Catalogna, costituiranno il
movimento sindacale fino alla Guerra Civile. Nei primi anni le mobilitazioni
operaie saranno duramente represse direttamente dall’esercito. Inoltre
sarebbero stati i generali ad andare a negoziare con i leader dei sindacati
quando, nel 1890, 1903 o 1906, ci sarebbero state massicce manifestazioni di
lotta dei lavoratori. E sarà proprio la forza di mobilitazione operaia a dare
una giustificazione legittima alla destra e alle classi medie dei regimi
autoritari durante il primo terzo del XX secolo.
3. La spaccatura della Guerra Civile
La II Repubblica Spagnola (1931- 1939) è stato l’intento
definitivamente vanificato di connettere la Spagna, e il suo sviluppo
capitalista auto-accentrato, a delle istituzioni proprie dei regimi liberali. La
vittoria delle forze franchiste ha supposto una rottura radicale con il processo
industriale, veramente deteriorato dalla distruzione della maggior parte delle
fabbriche a causa dei bombardamenti delle città fedeli alla Repubblica o delle
forze repubblicane, nella misura in cui perdevano le posizioni, e con l’esilio
e l’esecuzione di massa della forza lavoro più qualificata, precisamente
quella che poteva essere in grado di mettere in marcia il capitale
fisso [1]. Il capitale legato ai militari è il
capitale finanziario, di chi vive di rendita ed è proprietario terriero, mentre
i capitalisti industriali, maggiormente di orientamento liberal- repubblicano,
fanno parte degli spagnoli che partono per l’esilio o per l’ostracismo
interno.
A partire dalla fine della guerra, nel luglio 1939, inizia un
lungo dopoguerra, durante il quale le forze vincitrici si applicano per
liquidare, anche fisicamente, ciò che resta del Fronte Popolare. La feroce
repressione non permette di ricostruire le organizzazioni operaie, che
tarderanno quasi dieci anni per organizzare le prime proteste di un certo
rilievo; così i lavoratori sono sottoposti ad un ferreo controllo, con giornate
da 12 a 14 ore, con parte del loro salario trattenuto per pagare i debiti di
guerra alla Germania (fino al 1945) e soffrendo tutte le conseguenze della
scarsità e del razionamento. Bisognerà aspettare fino al 1947, quando si
producono importanti mobilitazioni operaie in Catalogna e nella Regione Basca,
suscitate dalla protesta contro la carestia e dal mal funzionamento del sistema
di razionamento (“lo sciopero dell’olio”). Quell’anno demarca in un
certo modo un punto di inflessione, per un doppio motivo: la repressione che
distingue il regime finisce con la maggior parte dei già di per se scarsi
nuclei sindacali che rimanevano legati alle organizzazioni operaie prima della
guerra (UGT nella zona basca, CNT a Barcellona). Le organizzazioni sindacali
tradizionali mostrano delle difficoltà strutturali nello sviluppare un’attività
seppur minima in queste condizioni di dittatura, che le rende molto vulnerabili
all’azione delle forze di repressione.
Da parte sua il Partito Comunista, l’organizzazione che
conserva una presenza più attiva all’interno del paese, decide di farla
finita con la guerra fatta dai gruppi guerriglieri che andava sospingendo sin
dalla fine della guerra civile e adottare altre tecniche e strategie. Dopo un
duro dibattito, dentro e fuori del paese, questa nuova posizione si consolida a
partire dal V congresso del PCE, e già nel 1954 i militanti operai comunisti
cominciano ad entrare nel Sindacato Verticale, la struttura di inquadramento dei
lavoratori creata dal regime franchista, riuscendo ad occupare dei posti
importanti da giurato d’impresa all’interno di molte fabbriche importanti.
4. La nuova protesta operaia: gli attori socio-politici
L’utilizzo del sindacato franchista da parte dei militanti
clandestini trova il suo primo frutto in Vizcaya (Regione Basca) con sciopero
del metallo nel 1956, che possiamo considerare come la data di nascita del “nuovo”
movimento operaio spagnolo [2]. Nell’anno
precedente il Sindacato Verticale, al Congresso dei Lavoratori, approva una
proposta di aumento dei salari minimi, che ovviamente non è considerata dal
governo ma che servirà a creare le condizioni della protesta che andrà a
svilupparsi successivamente. L’organizzazione dello sciopero si fa dalla base,
cominciando a non fare ore extra, seguitando con lo sciopero delle “braccia
cadute” e non collaborando alla produzione (sciopero bianco), a partire dalle
grandi imprese ubicate nella zona di maggior concentrazione industriale della
zona basca. Si uniscono i lavoratori dell’Altoforno di Vizcaya -la maggiore
impresa industriale della zona- e, nel suo sviluppo, i lavoratori vanno
eleggendo rappresentanti di impresa e organizzano e dirigono lo sciopero,
arrivando a coordinarsi clandestinamente perché il fenomeno vada ad estendersi
nei paesi, nei bar, nei cinema di tutta la zona.
Sorge così la prima commissione operaia, che porta i
lavoratori a rivendicare non solo migliorie lavorative, ma ad identificare la
suddetta commissione come loro rappresentante e ad esigere dalla parte padronale
che negozi con essa, sorpassando le strutture ufficiali del Sindacato Verticale.
Dopo un mese e mezzo di sciopero, le imprese si convincono a negoziare ed anche
il governatore civile della provincia riconosce la commissione, chiamandola nel
suo ufficio per annunciare la repressione che andava ad attuare se non avessero
smesso di mantenere quell’atteggiamento. Ci furono 1200 lavoratori arrestati,
600 allontanati dalla provincia di Vizcaya; ciò indica il livello di
mobilitazione e la preoccupazione che era stata provocata nelle fila del regime
dittatoriale.
Bisogna segnalare che a questa mobilitazione parteciparono
anche i nuclei dei lavoratori vincolati al sindacalismo nazionalista e alla UGT,
che si opponevano alla tattica di “entrismo” nelle istituzioni sindacali
ufficiali, promossa dal partito comunista e altre forze. Per questo, nella
storiografia ufficiale, non sempre si riconosce in questa prima commissione
operaia di Vizcaya la nascita del nuovo movimento operaio e si situa detta
origine nello sciopero che ha avuto luogo due anni dopo nella zona mineraria
delle Asturie, quando è stata costituita la corrispondente Commissione Operaia
nella miniera di “La Camocha” che, in questo caso, aveva come leader
direttamente i lavoratori militanti comunisti clandestini.
In ogni caso comunque, le Commissioni Operaie hanno la
caratteristica peculiare che non nascono come organizzazioni, ma come movimento
aperto a tutti i lavoratori, tendenti a raggrupparsi sotto un denominatore
comune di rifiuto delle strutture sindacali ufficiali del regime, di lotta socio
politica per le rivendicazioni lavorative e salariali ma anche per il
raggiungimento della libertà sindacale e un metodo di azione che combina la
lotta legale e la extra legale.
Sarà tra il 1958 e il 1962, il periodo di transizione tra il
sistema autarchico e il sistema del capitalismo liberale, quando vengono
generalizzate le prime commissioni operaie in molti nuclei operai ed industriali
di Spagna. Nel 1958 la dittatura elaborò una legge sui Concordati Collettivi
che chiude le porte alla politica salariale paternalista e che pretende di
vincolare gli incrementi salariali non a motivi di favoritismo politico come
fino ad allora, ma a criteri “tecnici” vincolati alla produttività. La
nuova legge passa agli imprenditori molte attribuzioni che prima erano riservate
allo Stato. La borghesia si sente forte per negoziare con una classe operaia che
è carente di organizzazione ed è forzatamente inquadrata in un “sindacato
verticale” controllato dal regime. Ma ho già indicato come quel sindacato è
considerato uno spazio di lotta dai militanti clandestini comunisti ed anche da
una forza sociale che gioca un ruolo chiave in questo periodo: nei nuovi
quartieri operai, tra la massa dei lavoratori che arrivano ad ondate alle
fabbriche delle città, c’è un nucleo attivo di militanti del Partito
Comunista da un lato e, dall’altro, militanti operai di organizzazioni
cristiane come la Confraternita Operaia di Azione Cattolica (HOAC) o la
Gioventù Operaia Cristiana (JOC), il cui carattere legale, malgrado la ferrea
censura alla quale sono sottoposte, permette loro di ottenere un’importante
grado di ascolto [3].
Il lavoro nelle fabbriche di questi militanti andò a
concretizzarsi nel consolidamento della prima tappa delle Commissioni Operaie
(1958 -1964), in cui le commissioni venivano designate dai lavoratori nell’ambito
specifico di una determinata impresa, per risolvere problemi specifici, e veniva
poi auto-sciolta una volta superato il problema che le convocava. Sarà seguendo
il modello dei minatori delle Asturie e delle fabbriche della zona basca che
vanno generalizzandosi in altri punti (Madrid, Catalogna, Galicia,...) le
commissioni operaie come germogli di organizzazioni microsociali di lavoratori.
Nel 1963 si arrivò a costruire una “Commissione degli Operai licenziati”,
formata da un centinaio di lavoratori licenziati dopo i conflitti del 1962, che
demarcarono l’inizio di una nuova conflittualità sociale in Spagna, e che si
dissolse nel 1965 nel momento in cui si trasferirono in altre imprese gli ultimi
di essi.
Le caratteristiche di queste prime commissioni operaie sono [4]:
1. Gli obiettivi esclusivamente lavorativi, sono conosciuti e
condivisi da tutta la base: risolvere un problema lavorativo concreto e
conseguire delle rivendicazioni.
2. Sono spontanee, cioè, sorgono dalla stessa base come
qualcosa di naturale.
3. Sono rappresentative della base. Questa dà loro un
consenso e in esse delega. Le Commissioni da parte loro, rendono conto alla base
in modo permanente.
4. Il funzionamento interno è pienamente democratico.
5. Sono autonome e indipendenti dalle organizzazioni operaie
sindacali e politiche del regime.
6. Il loro obiettivo principale è l’unità della classe
operaia per risolvere i problemi concreti.
Dall’altro lato, nel 1958 si produce un cambiamento
politico ed economico di grande rilievo nel capitalismo spagnolo. Gli Stati
Uniti, decisi ad inglobare la Spagna nello spazio economico del suo perimetro
europeo e includendo il paese nel Fondo Monetario Internazionale, decide di
applicare un piano stabilizzatore che include la modifica dell’orientamento
economico del regime. L’apertura all’esterno, la liberalizzazione del
commercio e degli investimenti e la creazione di una base fiscale capace di
finanziare le infrastrutture fisiche e sociali (educazione media e superiore,
sanità) richieste da un processo di accumulazione del capitale basato sull’industrializzazione
massiccia e rapida.
Questo cambiamento aveva supposto una modifica della
correlazione tra le forze interne del regime: i settori che avevano un più alto
livello ideologico articolati nella Falange Spagnola, perdevano potere a favore
dei settori più tecnocrati del regime, favorevoli all’apertura, installati
nella Banca Spagnola e personificati nei rappresentanti dell’Opus Dei.
Inizia così ciò che è conosciuto come il “miracolo
economico spagnolo”: un decennio di tasso di crescita molto elevato (7,2% di
crescita annuo medio tra il 1961 e il 1972, in questi anni l’Italia arrivò ad
un tasso medio annuo del 5,2%), basato sullo sviluppo del turismo, le
riammissioni degli emigranti e l’investimento straniero. Ciò voleva dire una
alterazione radicale delle strutture sociali spagnole: finalmente, negli anni
’60 la Spagna sostituisce l’accumulazione agricola con l’accumulazione
industriale e di immobili come meccanismo di arricchimento capitalista, in un
processo non molto diverso da quello italiano, sebbene più concentrato nel
periodo più caotico e più subordinato al capitale estero e alle banche che nel
caso italiano.
Una componente di questa evoluzione in un massiccio processo
di migrazioni interne è che libera la manodopera delle campagne per la
costruzione industriale nelle città. Contadini semianalfabeti costituiscono la
prima ondata della nuova classe operaia spagnola, che si installa nei sobborghi
di città come Madrid, Barcellona o Bilbao, e successivamente in altre zone del
Paese. Quella nuova popolazione urbana si vede sottoposta ad un brusco processo
di riciclaggio sociale: dovranno imparare a cambiare il loro modo di vivere, di
relazionarsi, la loro cultura del lavoro e la loro comprensione del mondo in un
rapidissimo processo di inserimento urbano.
In questo contesto l’auge di questo tipo di commissioni
operaie, di organizzazioni temporali e più o meno spontanee ha vita breve, si
cristallizza in una seconda fase (1964 -1967) nella quale si passa alla
formazione di commissioni operaie permanenti e coordinate. In questo periodo le
Commissioni Operaie si convertono in un movimento socio -politico organizzato.
Il dibattito strategico comincia a svilupparsi tra i militanti operai e deriva
da due aspetti centrali: la partecipazione o no nelle strutture di negoziazione
di convegni approvati dal regime e il tipo di organizzazione da sviluppare:
movimento assembleista o organizzazione sindacale più o meno standard. Il
rifiuto della UGT, dei nazionalisti baschi e degli anarco -sindacalisti a
partecipare ai convegni derivanti dalla legalità franchista venne appoggiato
all’argomento di evitare qualunque tipo di legittimità del regime. Ma l’attività
clandestina totale significò l’emarginazione effettiva di queste forze
sindacali delle nuove dinamiche di lotta che si aprivano con la nuova
conformazione della classe operaia industriale.
Sia i comunisti che i settori cristiani scommisero sulla
partecipazione, che li pose in una migliore posizione per arrivare all’insieme
dei lavoratori e rafforzare il lavoro organizzativo tra questi. Ma queste nuove
forze si divisero su due posizioni in materia organizzativa. Una parte dei
lavoratori influenzati dalla corrente cristiana di sinistra arrivarono alla
costituzione di un nuovo accentramento sindacale, l’Unione Sindacale Operaia
(USO), di ideologia socialista dell’autogestione, mentre gli altri confluirono
con i comunisti per spingere il movimento assembleare delle commissioni operaie.
5. Un nuovo pensiero sindacale
Le Commissioni Operaie, insieme all’USO, sono le
organizzazioni che vanno a consolidarsi tra i lavoratori durante la fase finale
della dittatura, coincidendo con la fase di ascesa del capitalismo
transnazionale degli anni ’60 e la prima metà degli anni ’70. La
partecipazione nelle strutture del Sindacato Verticale franchista non solo non
aveva legittimato questa istituzione, ma al contrario, la tattica “entrista”
era servita per ammortizzare la repressione e, approfittando anche delle
strutture legali delle organizzazioni operaie cattoliche, per creare migliori
condizioni per mobilitare i lavoratori delle grandi fabbriche delle cinture
industriali, minerarie e dei trasporti.
Il carattere aperto delle Commissioni Operaie si può
constatare per esempio nella prima commissione operaia provinciale di Vizcaya,
costituita nel 1963, alla cui creazione parteciparono 150 “legati sindacali”
(denominazione dei delegati di fabbrica del sindacato verticale franchista),
quadri operai del partito socialista, militanti dell’USO, membri del HOAC
etc [5]. Anche a Madrid nel 1964 si va costituendo la prima Commissione
Provinciale della metallurgia madrilena, coordinando i delegati delle grandi
imprese della zona: Marconi, Standard, Petaso, Perkins, Casa, etc e
posteriormente le commissioni della carta e delle arti grafiche, della
costruzione, della chimica, di banca, del trasporto, dell’insegnamento.
Il carattere aperto e flessibile rende difficile l’azione
repressiva dello Stato autoritario, per la difficoltà di identificare dei “leader”
o dirigenti “naturali” del movimento. Questo è ciò che spiega la capacità
di organizzare nel 1966 uno sciopero che ha fatto la storia del movimento
operaio con un certo carattere mitico: lo sciopero di “Bandas” (impresa
metallurgica di Vizcaya), che iniziava nel novembre 1966 e terminava nel maggio
1967.
Malgrado il decreto dello Stato di Eccezione e la brutale
repressione attivata, in quel momento il movimento operaio acquisisce una nuova
dimensione di maturità e combattività. Ciò spiega come, a partire da allora,
la stessa esistenza della lotta dei lavoratori viene necessariamente concepita
come lotta socio -politica, in quanto la delegittimazione del regime è completa
e il raggiungimento delle rivendicazioni lavorative, del salario in primo luogo,
non viene concepito al di fuori della rivendicazione di libertà e autonomia del
movimento operaio.
Nel 1967 viene indetta la prima Assemblea Nazionale delle
Commissioni Operaie e da quel momento si entra in una nuova tappa, nella quale,
l’estensione della protesta operaia e il consolidamento delle Commissioni
Operaie come veicolo di espressione della lotta di classe in questo momento,
coincide con un processo di dissenso politico interno.
Il comunicato finale della I Assemblea Nazionale delle
Commissioni Operaie segnala i principi di organizzazione che la caratterizzano,
appuntando il germe di un nuovo pensiero sull’organizzazione dei lavoratori.
In un paese influenzato tradizionalmente dal sindacalismo socialista o dall’anarco
sindacalismo, le nuove esperienze di lotta pianificano una nuova concezione del
protagonismo diretto dei lavoratori. L’Assemblea del 1967 raccoglie questa
nuova concezione, che dopo pochi anni si vedrà opacizzata da interessi di
partito e urgenze congiunturali:
L’assemblea, analizzando la linea generale di azione delle
CC.OO. ha riaffermato le caratteristiche che l’hanno distinta fino a quest’ultima
apparizione:
a. Le CC.OO. non sono un’organizzazione, ma una forza
coordinata, un movimento aperto, tendente a vincolare tutti i lavoratori che,
raggruppati sotto il denominatore comune del rifiuto dell’attuale
organizzazione sindacale, sono disposti a lottare per i loro diritti e
rivendicazioni di classe e in particolar modo nel momento attuale per la
libertà sindacale.
b. Il suo carattere unitario, intendendolo non nel senso di
una federazione di gruppi o forze, ma in quello della partecipazione comune nel
movimento dei lavoratori in quanto tali, senza distinzioni di ideologie
politiche, concezioni filosofiche o credenze religiose.
c. L’indipendenza, nell’attuazione, da qualsiasi gruppo
politico, sindacale o religioso. Tale attività verrà guidata esclusivamente
dalla volontà dei lavoratori che partecipano al movimento e, in generale, per i
sentimenti e le aspirazioni di tutti i lavoratori spagnoli. Ciò non vuol dire
che in situazioni specifiche le CC. OO. rinuncino a mantenere, sempre nell’indipendenza,
le relazioni che credono convenienti con altre forze o gruppi di opposizione, o
a propiziare l’intesa di questi ultimi tra di essi.
d. Lo spirito democratico, sarà in tutte le attività.
Partirà in ogni momento dalla base operaia, particolarmente cominciando da un’Assemblea
di Lavoratori.
e. La sua azione, aperta e non clandestina, che rifiuti,
nelle particolarità di ogni caso specifico e in qualsiasi caso momentaneo, ogni
intento a spingere verso la clandestinità.
f. Il suo sentimento di rivendicazione nel campo sindacale e
sociale, senza che impedisca in determinati momenti la definizione dell’attitudine
di fronte a quelle opzioni politiche che riguardino direttamente gli interessi
della classe lavoratrice.
L’assemblea ha riaffermato quindi, una volta ancora, che le
CC.OO. sono un movimento aperto, unitario, democratico, indipendente e
rivendicativo [6].
In questo stesso anno, l’ambigua legalità che circondava
le commissioni operaie scompare e il regime, attraverso il Tribunale Supremo, le
dichiara illegali, facilitando così un processo di repressione contro un
movimento che cominciava a causare importanti difficoltà politiche di
legittimazione interna.
[1] Solamente nella zona Basca non si produsse questa desertificazione
industriale avendo pattuito il nazionalismo egemonico la resa, evitando l’esecuzione
e l’esilio massiccio della forza operaia chiedendo in cambio di mantenere
intatte le fabbriche, che passarono nelle mani delle forze franchiste quasi
intatte. Ad eccezione della provincia basca di Guipúzcoa, le altre sei
provincie industrializzate persero 20.000 persone durante la guerra, alle quali
si dovrebbero aggiungere le 2500 esecuzioni in media nelle Asturie, Madrid e
Barcelona fino al 1948: la scarsità di manodopera qualificata non fu minore
della scarsità di beni durante il lungo periodo del dopoguerra spagnolo, è un
fattore di prim’ordine che spiega la sospensione e la retrocessione del
processo di industrializzazione (si veda Armando Fernández Steinko, Continuidad
y ruptura en la modernización industrial de España. El sector de la maquinaria
mecánica, CES, Madrid, 1997, pg. 69)
[2] Posta da Txemi Cantera in: M. Tuñon de Lara (dir.):
“I Jornada del Movimento Obrero en las Nacionalidades Históricas”, Unión
Local de Comisiones Obreras, El Ferrol 1981, pp. 65 -68.
[3] Come indicatore di ciò, il giornale edito dalla HOAC, il TU
(Lavoratori Uniti) aveva raggiunto a metà degli anni ’60 una tiratura di
40.000 copie.
[4] “CC.OO.
en sus documentos. 1958 -1976”, Ediciones Hoac, Madrid, 1977.
[5] Il carattere unitario di dette Commissioni si riflette anche nella
partecipazione nelle stesse di una Alleanza Sindacale Operaia (ASO), integrata
dal CNT, UGT, Solidarietà dei Lavoratori Baschi (STV) e USO, che tra le altre
cose, pretendeva di contarrestare l’influenza del PCE nelle commissioni
operaie.
[6] “Comunicado Final de la I Asamblea Nacional de CC.OO., Madrid,
junio de 1967” in: Documentos Básicos de Comisione s Obreras, pp. 13 -14.