Rubrica
Osservatorio sindacale internazionale

Copyright - Gli articoli si possono diffondere liberamente citandone la fonte e inserendo un link all'articolo

Autore/i

Joaquín Arriola Palomares
Articoli pubblicati
per Proteo (2)

Professore di economia, Fac. Economia all’Università dei Paesi Baschi, Bilbao

Argomenti correlati

Classe operaia

Sindacato

Nella stessa rubrica

La reinvenzione del sindacalismo: le Commissioni Operaie all’origine del movimento sindacale spagnolo del dopoguerra
Joaquín Arriola Palomares

Il modello sindacale olandese
Hans Boot

Storia e struttura attuale dei sindacati in Grecia. I risultati di un’ inchiesta di classe
Gorge Liodakis

 

Tutti gli articoli della rubrica "Osservatorio sindacale internazionale" (in tutti i numeri di Proteo)


Home
Autori
Rubriche
Parole chiave

 

 

 

La reinvenzione del sindacalismo: le Commissioni Operaie all’origine del movimento sindacale spagnolo del dopoguerra

Joaquín Arriola Palomares

Formato per la stampa
Stampa

La repressione ha un esito importante nella detenzione dei principali dirigenti e nello smantellamento di molte commissioni provinciali. Le convocazioni per le manifestazioni negli anni 1967 -1969 furono quasi tutte un completo fallimento. Molti davano la colpa all’irresponsabilità del PCE, che mantenne convocazioni aperte e nella strada in un nuovo contesto di repressione rafforzata [1]. Comunque, considero importante tenere in conto altri fattori, in particolare la mancanza di maturità nella coscienza politica dei lavoratori che aveva facilitato la stasi in quanto vennero ottenuti alcuni miglioramenti nelle condizioni di vita [2]. Come viene indicato più avanti, questo fattore tornò a giocare un ruolo importante durante la transizione verso la democrazia.

In ogni caso, gli ultimi anni del decennio del ’60, che conobbero un importante processo di mobilitazione politica in Europa ed in altre parti del mondo, furono in Spagna anni di scarsa mobilitazione. Si riproduce così un fatto, di difficile spiegazione, che si manifesta nel ciclo economico e politico spagnolo del XX secolo, che vive per 2 o 3 anni prima di ogni cambiamento del ciclo politico europeo e mondiale e 2 o 3 anni dopo, cioè il ritardo delle nuove tendenze economiche.

6. La transizione politica verso la normalizzazione sindacale

La perdita di protagonismo diretto dei lavoratori e delle loro lotte si tradusse in un inasprimento del dibattito politico ed ideologico nelle organizzazioni clandestine. È il momento in cui appaiono sulla scena diverse organizzazioni politiche, di tendenza diversa: maoista come il Movimento Comunista (MCE), l’Organizzazione Rivoluzionaria dei Lavoratori (ORT) ed il Partito del Lavoro (PTE); consiglieri come Bandiera Rossa (OCE -BR) o l’Organizzazione della Sinistra Comunista (OIC), trotzkista come la Lega Comunista Rivoluzionaria (LCR), autonomi come i Gruppi Operai Autonomi (GOA)... Tutti raggiungono un certo inserimento nel nuovo movimento dei lavoratori delle Commissioni Operaie, quando non sorgono direttamente da esse stesse.

La lotta per l’egemonia in seno alla sinistra si trasferisce a una lotta per il controllo delle Commissioni Operaie, che fa perdere autonomia ai dibattiti in seno alle stesse. L’organizzazione di maggiori dimensioni, il Partito Comunista, rafforza anche il controllo sulle Commissioni Operaie, pressando con maggior forza per bloccare la dirigenza delle assemblee e delle delegazioni. In termini politici, il dibattito si centra sul considerare le commissioni operaie come un’organizzazione unica di massa, come un fronte unico di massa o come un’unica centrale sindacale.

Allo stesso tempo, la fine dalla dittatura, che si intravede per l’avanzata età e la malattia del dittatore, porta il dipartimento degli Stati Uniti e la socialdemocrazia europea, per mezzo della Fondazione Friedrich Ebert, a preparare una transizione nella quale, il predominio della sinistra comunista tra le forze di opposizione venga controbilanciato da un partito che concordi con l’establishment delle democrazie occidentali.

Senza entrare nei dettagli della transizione politica spagnola (1975 -1977), conviene evidenziare alcuni dati chiave per l’evoluzione del sindacalismo spagnolo:

Nel periodo di transizione tra la morte del dittatore nel novembre 1977 e le prime elezioni democratiche del giugno 1978, i partiti politici, incluso il partito comunista, vennero legalizzati prima delle organizzazioni sindacali. Quello fu un periodo chiave per escludere la possibilità che la legalizzazione delle organizzazioni sindacali portasse all’apparizione di un nuovo movimento sindacale unitario dominato dalle forze comuniste.

Il finanziamento da parte della socialdemocrazia europea servì per la formazione di un insieme di quadri sindacali, organizzare una struttura nazionale per la UGT e per realizzare un “OPA sindacale”, contro la USO, dalla quale si separa un numero importante di quadri di direzione che passano ad ingrossare le fila del sindacalismo ufficiale. Da parte sua, l’Istituto Americano per lo Sviluppo del Sindacalismo Libero (IADSL, finanziato dal Dipartimento di Stato del governo degli Stati Uniti, sebbene formalmente era connesso con la dirigenza della AFL -CIO) promosse la ricostruzione del sindacalismo nazionalista, sia in Catalogna come nella Regione Basca, anche se ebbe fortuna solo in quest’ultima regione.

Infine, gli stessi dissapori interni tra le forze di sinistra fecero si che la corrente maggioritaria potesse realizzare una svolta verso la costituzione di un centro sindacale, che sebbene conservasse alcune caratteristiche del movimento sindacale degli anni passati, sarebbe più facilmente controllabile che un movimento assembleista come quello che si andava costituendo dall’inizio degli anni ‘60 [3].

L’Assemblea dei Delegati delle Commissioni Operaie di Barcellona, luglio 1976, è l’atto fondamentale di una nuova organizzazione sindacale e l’inizio della fine del movimento operaio di nuovo tipo, malgrado la retorica si mantenne per oltre dieci anni. Uno degli aspetti più significativi di questa assemblea fu il riconoscimento degli altri centri sindacali esistenti, o in fase di ricostruzione, per quanto i delegati facessero un appello all’unità, non dei lavoratori, per mezzo dei loro rappresentanti diretti, ma delle organizzazioni sindacali, attraverso il cosiddetto “Coordinamento delle Organizzazioni Sindacali” (COS), che raggruppava la USO e la UGT.

Nell’assemblea venne decisa la costituzione di un “segretariato” delle Commissioni Operaie, composto da 27 membri (tutti uomini, tutti quadri di partiti politici), dei quali 22 sono membri del PCE, 2 del Movimento Comunista,1 della ORT e 1 del Partito Socialista Popolare (PSP piccolo gruppo socialista che dopo pochi anni venne integrato dal PSOE). L’idea di avanzare verso un processo sindacale costituente e la conformazione di una centrale unica di lavoratori venne diluita quando alcuni mesi dopo venne prodotta la legalizzazione delle centrali sindacali e la Commissione Operaia si andò ad iscrivere come una in più.

L’evoluzione decisa in questa Assemblea di delegati facilitò il processo di divisione sindacale tramato dalle fila socialdemocratiche, per quanto definito lo spazio politico dei settori comunisti di opposizione come forze minoritarie nelle prime elezioni legislative del 1977, fu molto più semplice identificare le Commissioni Operaie come la “centrale sindacale comunista”. Solo l’esistenza di un’ampia base di quadri operai presenti nelle fabbriche e riconosciuti dai compagni, permise che anche le CC.OO. soffrissero varie scissioni nel loro seno, che andarono a conformare nuove confederazioni sindacali oggi scomparse [4],si convertisse nella più grande centrale sindacale del paese. Ma tuttavia molto lontano dal carattere unitario e integratore di tutte le correnti socio -politiche presenti nel mondo operaio.

Da parte sua, la lotta per la rottura democratica si diluì quando, in modo simile a ciò che era accaduto alla fine degli anni sessanta, il governo concesse le rivendicazioni più economiciste dei lavoratori, facilitando così una transizione senza rottura dalla dittatura autocratica alla monarchia democratica [5].

L’evoluzione successiva del movimento operaio sarà caratterizzato dai contenuti dello Statuto dei Lavoratori (1980) che autorizza i comitati di impresa, la rappresentanza dei lavoratori nell’impresa e la facoltà di indire le assemblee. La loro composizione sarà decisa mediante un processo di elezioni da impresa a impresa, nella quale i diversi sindacati, di impresa, federali e confederali presentano i candidati ed occupano i posti in maniera proporzionale [6]. Lo Statuto dei Lavoratori sottrae alle assemblee qualsiasi competenza a negoziare, che viene generalmente trasferita ai “rappresentanti dei lavoratori”.

Sebbene le Commissioni Operaie seguitano a considerarsi un sindacato assembleista ed unitario, la nuova legalità va ad orientare poco a poco il lavoro verso i comitati, che sostituiscono con frequenza le assemblee generali in un processo di delega di funzioni e crescente apatia partecipativa da parte dei lavoratori, che entrano in un processo accelerato di non politicizzazione di massa. Questo “potere sindacale” fu concesso in cambio dell’accettazione di un insieme di patti generali tendenti a invertire gli aumenti salariali del periodo di transizione e stabilizzare la politica macroeconomica.

La “normalizzazione” sindacale viene completata nel 1985, quando è approvata la “Legge Organica di Libertà Sindacale” (LOLS), che dà la facoltà alle organizzazioni sindacali “rappresentative” di negoziare nei loro ambiti territoriali (convegni provinciali e statali) e nei rami della produzione (convegni di ramo). La condizione di sindacato “più rappresentativo” è una categoria consentita esclusivamente alle organizzazioni con una rappresentanza tra l’insieme dei delegati superiore al 10%, o al 15% se sono sindacati che si presentano solo in una regione autonoma, come la Regione Basca o la Catalogna. Solamente i sindacati più rappresentativi possono negoziare accordi generali. Di modo che le elezioni a comitati di impresa si riducono ad un esercizio di competenza tra le centrali per determinare la rappresentatività di ognuna, che non si decide né per la capacità di mobilitazione né per l’affiliazione, ma per il voto delegato dei lavoratori.

Con questo nuovo assetto giuridico, i comitati di impresa perdono progressivamente il ruolo di organi di rappresentanza unitaria dei lavoratori, spostando alle sezioni sindacali il potere di negoziazione effettiva. Pertanto negli ultimi 25 anni il movimento operaio spagnolo è andato diluendo il carattere partecipativo, dalle assemblee generali ai comitati di impresa, e da questi alle sezioni sindacali e rafforzando il potere delle direzioni sindacali professionali delle grandi confederazioni sindacali.

Paradossalmente il CC.OO. si opporrà alla LOLS per quanto nel suo discorso permane ancora negli anni ’80 una forte retorica unitaria, e nel suo seno si accumula la maggiore esperienza assembleista del movimento sindacale spagnolo. Ma il processo di adattamento è molto veloce nella pratica e il cambiamento nel discorso si va introducendo poco a poco, senza un’esplicita analisi delle cause del cambiamento e della trasformazione del “sindacalismo di nuovo tipo” in delle pratiche sindacali simili a quelle di altri paesi europei [7].

La decisione di limitare le pratiche sindacali al marchio stabilito dalla legalità vigente si prende senza maggiori riflessioni sulle implicazioni che ha nella perdita di protagonismo diretto dei salariati e in una crescente delegazione di responsabilità nei quadri sindacali professionali, che rafforza la tendenza alla non politicizzazione e all’attitudine passiva dei lavoratori.

La crisi delle organizzazioni comuniste negli anni ’80 determina che l’evoluzione successiva delle Commissioni Operaie, spogliate definitivamente (?) del carattere unitario, e convertite in una confederazione sindacale standard, perdano anche il vincolo con un discorso politico di trasformazione [8], entrando in una dinamica di negoziazione pragmatica non molto differente da quella che troviamo negli altri paesi dell’Unione Europea.

7. Riprendere dal passato gli strumenti per costruire il futuro

Questo breve excursus della ricostruzione del movimento operaio spagnolo permette di dedurre alcune conclusioni utili per una riflessione più generale sul tipo di sindacalismo necessario all’inizio del XXI secolo:

1. I cambiamenti strutturali nelle condizioni sociali e politiche del lavoro devono essere affrontate con cambiamenti correlativi nelle forme di organizzazione dei lavoratori.

2. Le contraddizioni espresse nel processo di lavoro, canalizzate politicamente, sono la forza principale di opposizione alla logica del captale e all’espressione politica di questa.

3. Le mediazioni necessarie, personali e strutturali, per raggiungere la coordinazione, l’organizzazione e l’espressione pubblica dei lavoratori, devono avere come obiettivo prioritario la sviluppo della capacità politica delle persone che integrano il collettivo operaio.

4. L’accumulazione della coscienza dei lavoratori si rafforza con il protagonismo diretto e si debilita con le strategie di sostituzione e di delega.

5. L’impronta prettamente giuridica condiziona l’azione sindacale molto più che l’azione politica che si possa sviluppare in altri ambiti, riducendo gli spazi e i limiti di intervento delle strategie autonome di classe.

La transizione politica spagnola evitò una rottura con il processo di accumulazione capitalista limitando il protagonismo dei lavoratori e il modo di agire alle rivendicazioni salariali, orientando la domanda di cambiamento verso le strutture politiche con ambiti di partecipazione ristretti (principalmente elettorali), limitando la rappresentazione diretta all’ambito della negoziazione collettiva e all’elezione di comitati d’impresa. Una volta ottenuto tutto ciò, è stato facile cancellare la memoria collettiva, depoliticizzare la cittadinanza e modificare la correlazione di forze a favore del capitale, cioè, introdurre il Paese sulla via della normalizzazione neoliberale. Per adesso.


[1] Così, in un documento dell’epoca leggiamo: “dopo il referendum del 1966 [votazione convocata dal regime come una prova di legittimazione] si abbatté sulla classe operaia una repressione sistematica; i dirigenti più conosciuti furono arrestati e incarcerati e numerosi operai licenziati dalle fabbriche. Questa fu una dura lezione che dimostrò quanto fosse pericoloso uscire allo scoperta senza essere nelle condizioni politiche ed organizzative di difendersi ed attaccare a fondo a sua volta. (...) il cambiamento di situazione del 1966 (...) non venne captato dal movimento operaio e dalle sue organizzazioni. Specialmente il PCE, principale ispiratore del nuovo movimento operaio, accecato da un impossibile Patto per la Libertà, tendeva ad utilizzare la classe operaia come carne da macello e base di negoziato, dimenticandosi di rafforzare l’organizzazione e la politica autonoma e lanciando il nuovo movimento contro la repressione senza nessun tipo di protezione, ciò che decimò il movimento e lo divise politicamente.” Organización Comunísta de España -Bandera Roja: “Comisiones Obreras y la construcción del sindacato”, Bandiera Roja, n.15, settembre 1973, pp.12 -13.

[2] Così l’occupazione, che cresceva dello 0,5% l’anno tra il 1963 e il 1966, crebbe di un tasso superiore all’1% l’anno durante i tre anni seguenti e i costi lavorativi unitari nell’economia spagnola, che erano cresciuti meno dell’1% l’anno tra il 1963 e il 1965, crebbero di circa il 2% nei tre anni seguenti (dati: European Economy n. 71/2000).

[3] Vediamo come analizza il processo una organizzazione presente anche durante gli anni dell’espansione economica spagnola, l’Unione Sindacale Operaia: “La USO partecipò alla creazione del Movimento spontaneo delle Commissioni Operaie in diversi luoghi dove erano sorte in principio: Vizcaya, Asturie, Guipúzcoa. Successivamente, davanti alla tattica del PCE di penetrazione e controllo delle stesse, privilegiando il lavoro sovrastrutturale di coordinamento sullo sviluppo e il consolidamento degli organi di classe nell’Impresa (che supponeva di convertire le Commissioni in una filiale di trasmissione del PCE o di altri gruppi politici, a seconda della regione), la USO si svincolò dalle Commissioni e lanciò, a partire dal 1967, il movimento delle ASSEMBLEE DI FABBRICA e dei comitati delle imprese.” (“Por un sindicalismo de clase. Qué es la USO.”, maggio 1975, pp. 21 -22).

[4] In particolare il Sindacato Unitario, spinto dalla ORT, e la Confederazione Sindacale Unitaria dei Lavoratori, promossa dal PTE.

[5] I costi lavorativi unitari, che erano cresciuti di un tasso annuo inferiore allo 0,2% nel 1972 e 1974, si elevano a 1,1%l’anno tra il 1975 e il 1977 (dati European Economy 71/2000).

[6] Attualmente la Confederazione Sindacale delle Commissioni Operaie ha circa 98.000 delegati eletti in comitati di impresa in tutta la Spagna, l’Unione Generale dei Lavoratori 96.000 e il resto delle forze sindacali 65.000, tra le quali spiccano la USO e la UGT (organizzazione sindacale libera, una scissione della confederazione anarco -sindacalista CNT, che non accetta di partecipare ai processi di elezione sindacale e negoziare nei confini della legislazione vigente), con approssimativamente il 5% di rappresentanza ognuno dei comitati d’impresa, il sindacato nazionalista Basco ELA/STV che ha un 55% dei rappresentanti nella Regione Basca e il sindacato nazionalista gagliego Confederazione Sindacale Gagliego (CIG), con il 30 % dei rappresentanti nella regione galiziana.

[7] Gli attuali statuti della Confederazione Sindacale delle Commissioni Operaie mantengono i seguenti “principi nei quali si ispira il sindacalismo di nuovo tipo della C.S. della CC.OO.: Rivendicativo e di classe; Unitario; Democratico e Indipendente; Partecipativo e di massa; Sociopolitico; Internazionalista”. Inoltre continua affermando che “è orientato verso la soppressione della società capitalista e la costruzione di una società socialista e democratica”.

[8] Non solo si è ridotta al minimo la presenza dei quadri sindacali affiliati ai partiti della sinistra radicale, alcuni proveniente da gruppi maoisti, abbandonarono le Commissioni Operaie per costituire piccole piattaforme sindacali articolate nel CAES -Centro di Assessorato e Studi Sociali- e altri si integrarono nella CGT di orientamento libertario. Inoltre gli affiliati al Partito Comunista (o Sinistra Unita) sono attualmente la “corrente critica” di minoranza nella dirigenza delle CC.OO.