Storia e struttura attuale dei sindacati in Grecia. I risultati di un’ inchiesta di classe
Gorge Liodakis
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I sindacati in Grecia hanno una lunga tradizione. La
militanza dei sindacati e del movimento operaio è stata talvolta molto intensa
a causa, tra l’altro, dell’estrema disuguaglianza economica e sociale in
quel paese. È degno di nota che in Grecia, come in Portogallo, la distribuzione
del reddito è la più diseguale dei paesi della U.E. Secondo dati recenti, il
10% delle famiglie in Grecia dispone di solo il 2% del reddito disponibile
mentre il 10% più ricco dispone del 27%.
Quest’articolo metterà a fuoco la storia e la struttura
attuale del sindacato in Grecia. Incominciamo con alcuni accenni storici. Le
radici del sindacato in Grecia risalgono alla seconda metà del secolo
diciannovesimo, all’associazione dei lavoratori dei cantieri navali fondata
nel 1879, nel contesto dell’isola di Syros. L’attività sindacale si
sviluppò gradualmente e si estese a vari luoghi di lavoro e principalmente nei
maggiori centri urbani del paese. La graduale interconnessione e il
consolidamento dei sindacati che condusse inizialmente alla fondazione di un
certo numero di federazioni, culminò con la fondazione della Confederazione dei
Lavoratori della Grecia nel 1918. Bisogna notare che nel frattempo si fondò l’organizzazione
socialista “Federazione” a Thessaloniki nel 1908 che era in effetti un’associazione
di lavoratori. Ad incominciare dall’insurrezione dei lavoratori senza terra
(coligi) in Kileler in Thessaly, nel 1919, in cui vi furono diverse vittime, nei
primi decenni del ventesimo secolo vi furono frequenti scontri, spesso con
vittime, tra i sindacati da un parte e la polizia e le guardie padronali dall’altra,
come nello sciopero e dimostrazione del 9 Maggio, 1936, a Thessaloniki, dove 30
manifestanti furono uccisi dalla polizia.
L’evoluzione storica dei sindacati in Grecia è stata
caratterizzata e in gran parte determinata da un multiforme intervento statale.
In genere, l’intervento esterno nei sindacati è venuto dalla classe
sfruttatrice (gli industriali e altri capitalisti), da organizzazioni poliche e
da partiti della borghesia, e ancor più importante dalla organizzazione
collettiva della borghesia, lo Stato. La grande importanza dello Stato nel suo
tentativo di intervenire e di controllare i sindacati era forse dovuto al
sottosviluppo e alle restrizioni economiche del capitale greco, in particolare
nel periodo prima della seconda guerra mondiale e nelle prime decadi del
dopoguerra, che non rendevano possibile l’emergere di una aristocrazia operaia
e lo svilupparsi di una sufficente corruzione ideologica. Quindi lo Stato doveva
intervenire direttamente, spesso attraverso la nomina, la corruzione e la
cooptazione di dirigenti sindacali. Il Ministero del lavoro e il Fondo del
Lavoro erano le due istituzioni statali che giuocavano il ruolo più importante
in questi interventi statali e hanno contribuito in gran parte alla
istituzionalizzazione di privilegi scandalosi a favore dei burocrati sindacali,
privilegi che hanno condotto alla corruzione di tali burocrati. Le forme
specifiche di intevento statale nei sindacati comprendono interventi economici
(il ruolo del Fondo del Lavoro, il pagamento obbligatorio dei contributi
sindacali, la detrazione automatica della sottoscrizione sindacale dai salari,
ecc), gli interventi legali, isituzionali e giuridici (la regolamentazione
statale e la ristrutturazione delle relazioni industiali, la sorveglianza
giuridica dei sindacati e l’approvazione della loro costituzione, la
de-legalizzazione della lotta sindacale, ecc), intervent amministrativi (la
sorveglianza da parte delle autorità pubbliche, la nomina di dirigenti
sindacali, la mobilitazione politica, e la violenza e il terrorismo), e
interventi ideologici con lo scopo di incorporare e di controllare i sindacati.
È opportuno menzionare gli interventi e il terrorismo
statale negli anni ‘20 e nei primi anni ‘30 che proibì la fusione della
Confederazione dei Lavoratori della Grecia con la Federazione degli Impiegati
Statali. Conseguentemente, una prima mossa verso il consolidamento e la
confederazione degli impiegati statali fu fatta nel 1926 e la Confederazione
degli Impiegati Statali fu fondata ufficalmente solo nel 1945. Quella divisione
tra i due sindacati dei lavoratori dipendenti continua a tutt’oggi. Durante la
dittatura di Metaxa, immediatamente prima della guerra, fu istituzionalizzato il
Fondo per i lavoratori del Sindacato che susseguentemente giuocò un ruolo
cruciale nella corruzione della coscienza di classe dei dirigenti sindacali.
Dopo la guerra e durante la guerra civile, quando il movimento operaio era
particolarmente forte, la nomina da parte dello stato di dirigenti sindacali
divenne una pratica comune. Nelle decadi susseguenti (1959-70), fu istituito l’arbitraggio
giuridico obbligatorio nella contrattazione e nei contratti collettivi tra le
federazioni dei datori di lavoro e i sindacati mentre le forze di sicurezza
perseguirono la divisione dei sindacati e divenne particolarmente attiva nella
intimidazione e controllo dei sindacati. Dopo il 1980 il governo del PASOK
contribuì ulteriormente alla modernizzazione di tali meccanismi di intervento
statale, mentre lo sviluppo di alcuni strati di aristocrazia operaia giuocò un
ruolo addizionale nella degenerazione ideologica e politica dei sindacati. La
dimostrazione più recente di tale intervento statale è data dalla brutale
repressione poliziesca della militanza sindacale negli ultimi mesi, e dall’intervento
statale che ha dichiarato illegali alcuni di questi scioperi!
Questi interventi statali, la crescente burocratizzazione e
corruzione dei sindacati, e la conseguente riduzione della loro militanza sono
alcune delle ragioni cruciali della degenerazione, del declino della
partecipazione, del declino della sindacalizzazione, e della delusione dei
lavoratori. Queste ragioni, assieme ad altri fattori più generali legati alla
congiuntura attuale capitalistica, sono chiaramente legati al declino della
sindacalizzazione che caratterizza la maggior parte delle nazioni europee.
Assieme al Portogallo e alla Francia, che hanno subito un declino della
sindacalizzazione dal 1985 al 1995 del 50,2% (Portogallo) e del 37,2% (Francia)
rispettivamente, vi è stato anche un grande declino, del 33,8%, nei sindacati
greci nello stesso periodo.
Consideriamo ora la struttura attuale e alcune
caratteristiche organizzative e ideologiche dei sindacati greci. I dati che
seguono sono presi da due inchieste fatte nel 1995 e nel 2000 da una società
privata di ricerca e di consulenza per la Confederazione dei Lavoratori della
Grecia. Nell’inchieta del 2000 furono intervistati 2340 dipendenti. Questa
inchiesta rivela un dato deludente, e cioè il 65% dei salariati non è membro
di un sindacato, contro il 35% che è membro. Secondo dati del 1997, dei
2.111.468 salariati, i tesserati erano 756.730 (il 35,8%) e, di questi, 516.730
erano membri della Confederazione dei Lavoratori e 240.463 erano membri della
Confederazione degli Impiegati Statali. Tra il 1995 e il 2000 sembra esserci
stato un cambiamento notevole da un sindacalismo per settori economici o
industriali a uno per imprese. È anche di notevole interesse che il 78% dei
dipendenti del settore pubblico sono iscritti ai sindacati mentre la percentuale
è solo del 31% nel settore privato. È ovvio che il lavoro sicuro e a tempo
indefinito prevalente nel settore pubblico incoraggiano la partecipazione e l’attività
sindacale mentre esse sono più rischiose nel settore privato. Nel settore
privato la bassa partecipazione sindacale è dovuta alla frammentazione dell’attività
economica e industriale (in aziende piccole o di media dimensione) e alla
mancanza di un sindacato nella ditta. Si noti pure che l’attività e l’organizzazione
sindacale è maggiore in quei settori che hanno una tradizione sindacale
storica, quali il settore dei servizi pubblici (luce, gas, traporti, ecc.) e l’edilizia,
e dove vi è un sindacato al livello dell’impresa, differentemente da quei
casi in cui vi è solo una organizazione sindacale settoriale. Vi è anche una
quasi totale assenza di sindacalismo nell’agricoltura. Solo recentemente si
sono formati sindacati e vi sono stati scioperi nell’agricoltura, organizzati
principalmente da immigrati e braccianti.
È anche sorprendente che sono i tecnici più qualificati e
meglio pagati, il personale amministrativo, gli impiegati e i lavoratori in
uffici che sono più sindacalizzati in confronto ai lavoratori non qualificati e
peggio pagati la cui sindacalizzazione è molto minore. Questo spiega, in parte,
la politica sindacale concertativa e conciliatoria negli ultimi decenni. È
anche degno di nota che la partecipazione sindacale dei lavoratori e degli
impiegati è analoga alla loro età. Quelli più giovani hanno una
sindacalizzazione minore e quest’ultima aumenta con l’età.
Si noti pure che solo una piccola percentuale degli
immigranti e dei rifugiati economici in Grecia (circa 800.000) partecipano a
attività sindacali. Gli immigranti, per lo più illegali, provengono dall’Albania
(il 65%), e dalla Bulgaria, Romania, Pakistan, Ucrania, Polonia, e altri paesi.
Essi in genere hanno lavori saltuari, in condizioni miserabili e senza
previdenza sociale, per lo più nell’edilizia, nell’industria (specialmente
nell’industria tessile), negli alberghi e ristoranti, nell’agricoltura e nei
servizi domestici. Nonostante che tali lavoratori abbiano estreme difficoltà e
interessi comuni con i lavoratori autoctoni, i sindacati non hanno tentato
sufficentemente di incorporarli nella attività e nella lotta sindacale e non
lottano sufficentemente contro politiche discriminatorie e fenomeni razzisti.
È ovvio che la maggioranza della classe operaia ha voltato
le spalle ai sindacati ufficiali. Secondo la ricerca sopra menzionata, le
ragioni di questa bassa partecipazione e sindacalizzzazione sono da attribuirsi
a: la cattiva reputazione dei sindacati ufficiali e la loro insufficente
militanza nel proteggere gli interessi dei lavoratori; la mancanza di un
sindacato nelle imprese (e la frammentazione della produzione o la piccola
dimensione delle imprese); la mancanza di tempo libero; la ristrutturazione
capitalistica che implica maggiore disoccupazione e flessibiltà nel tempo e
nelle condizioni di lavoro; e la intimidazione e terrorismo dei datori di
lavoro. Nonostante che lo sfruttamento intensificato e le cattive condizioni del
lavoro richiedano un rafforzamnto della lotta della classe operaia e della
sindacalizzazione, queste stesse condizioni spesso costituiscono una barriera
notevole per la sindacalizzazione e l’attività sindacale. Si noti che il
10,3% dei lavoratori dipendenti hanno un lavoro part-time e che circa il 20%
hanno lavori flessibili. Si noti pure che la settimana lavorativa media è di 42
ore di cui 11 ore nel fine settimana. I tempi di lavoro più lunghi sono nel
settore privato (43.6 ore). I disoccupati, nel loro lavoro precedente il
licenziamento, avevano lavorato 44,8 ore.
Sebbene la classe dominante capitalista, i responsabili della
politica governativa e anche i burocrati sindacali concordano che una forza
lavoro sindacalizzata ma obbediente, un partner ‘responsabile’ e affidabile,
sia prefereibile ad una forza lavoro non sindacalizzata e non imprevedibile, la
grande maggioranza dei lavoratori (circa l’80%) è ancora dell’opinione che
vi è una contraddizione tra gli interessi del capitale e quelli del lavoro.
Essi sono anche delusi dalle politiche promosse dal ministero del Lavoro: solo
1l 25,5% dei dipendenti crede che queste politiche vanno nella direzione giusta.
La maggioranza, il 60,6%, crede ancora che i sindacati siano gli agenti più
efficaci per proteggere gli interessi dei lavoratori mentre il 7,4% crede che
possano farlo meglio i partiti politici. Un altro 27,1% è deluso sia dai
sindacati che dai partiti politici. La maggioranza, tuttavia, sembra essere
delusa dall’organizzazione e politiche dei sindacati ufficiali. Contrariamente
alla linea seguita dalla Confederazione dei Lavoratori, circa il 73% dei
lavoratori intervistati rigetta l’idea che l’economia non potrebbe
permettersi aumenti salariali. Un altro 64% pensa che la politica seguita dalla
Confederazione dei Lavoratori ‘non è così militante come dovrebbe essere’
e che ‘sta cedendo alla pressione dei datori di lavoro’.
È anche significativo che la grande maggioranza dei
lavoratori intervistati pensa che la riduzione della settimana lavorativa a 45
ore sarebbe una prospettiva positiva . Ma una maggioranza ancora più alta (il
94,9%) rifiuta la connesione tra tale riduzione ed una riduzione salariale. È
ideologicamente importante, tuttavia, che solo il 20-30% dei lavoratori pensa
che vi sia una comunanza stretta tra i loro interessi e quelli di altre classi o
categorie sociali, come i contadini, gli studenti, gli impiegati statali, e gli
immigranti. Ciò, ovviamente, rende molto difficile formare alleanze politiche.
Dall’analisi e dai dati presentati qui sopra, e a causa
delle condizioni favorevoli generate dalla attuale congiuntura capitalista, è
chiaro che che vi sono le condizioni per una riorganizzazione radicale della
lotta della classe operaia e dei sindacati in particolare, così come per una
rinascita del movimento militante operaio internazionale. Vi sono condizioni
sufficenti, in altre parole, per un ‘nuovo movimento operaio’ organizzato e
controllato ‘dal basso’.
Note
* Professore di Economia all’Università di Creta
George Liodakis*
Storia e struttura attuale dei sindacati in Grecia. I
risultati di un’ inchiesta di classe
I sindacati in Grecia hanno una lunga tradizione. La
militanza dei sindacati e del movimento operaio è stata talvolta molto intensa
a causa, tra l’altro, dell’estrema disuguaglianza economica e sociale in
quel paese. È degno di nota che in Grecia, come in Portogallo, la distribuzione
del reddito è la più diseguale dei paesi della U.E. Secondo dati recenti, il
10% delle famiglie in Grecia dispone di solo il 2% del reddito disponibile
mentre il 10% più ricco dispone del 27%.
Quest’articolo metterà a fuoco la storia e la struttura
attuale del sindacato in Grecia. Incominciamo con alcuni accenni storici. Le
radici del sindacato in Grecia risalgono alla seconda metà del secolo
diciannovesimo, all’associazione dei lavoratori dei cantieri navali fondata
nel 1879, nel contesto dell’isola di Syros. L’attività sindacale si
sviluppò gradualmente e si estese a vari luoghi di lavoro e principalmente nei
maggiori centri urbani del paese. La graduale interconnessione e il
consolidamento dei sindacati che condusse inizialmente alla fondazione di un
certo numero di federazioni, culminò con la fondazione della Confederazione dei
Lavoratori della Grecia nel 1918. Bisogna notare che nel frattempo si fondò l’organizzazione
socialista “Federazione” a Thessaloniki nel 1908 che era in effetti un’associazione
di lavoratori. Ad incominciare dall’insurrezione dei lavoratori senza terra
(coligi) in Kileler in Thessaly, nel 1919, in cui vi furono diverse vittime, nei
primi decenni del ventesimo secolo vi furono frequenti scontri, spesso con
vittime, tra i sindacati da un parte e la polizia e le guardie padronali dall’altra,
come nello sciopero e dimostrazione del 9 Maggio, 1936, a Thessaloniki, dove 30
manifestanti furono uccisi dalla polizia.
L’evoluzione storica dei sindacati in Grecia è stata
caratterizzata e in gran parte determinata da un multiforme intervento statale.
In genere, l’intervento esterno nei sindacati è venuto dalla classe
sfruttatrice (gli industriali e altri capitalisti), da organizzazioni poliche e
da partiti della borghesia, e ancor più importante dalla organizzazione
collettiva della borghesia, lo Stato. La grande importanza dello Stato nel suo
tentativo di intervenire e di controllare i sindacati era forse dovuto al
sottosviluppo e alle restrizioni economiche del capitale greco, in particolare
nel periodo prima della seconda guerra mondiale e nelle prime decadi del
dopoguerra, che non rendevano possibile l’emergere di una aristocrazia operaia
e lo svilupparsi di una sufficente corruzione ideologica. Quindi lo Stato doveva
intervenire direttamente, spesso attraverso la nomina, la corruzione e la
cooptazione di dirigenti sindacali. Il Ministero del lavoro e il Fondo del
Lavoro erano le due istituzioni statali che giuocavano il ruolo più importante
in questi interventi statali e hanno contribuito in gran parte alla
istituzionalizzazione di privilegi scandalosi a favore dei burocrati sindacali,
privilegi che hanno condotto alla corruzione di tali burocrati. Le forme
specifiche di intevento statale nei sindacati comprendono interventi economici
(il ruolo del Fondo del Lavoro, il pagamento obbligatorio dei contributi
sindacali, la detrazione automatica della sottoscrizione sindacale dai salari,
ecc), gli interventi legali, isituzionali e giuridici (la regolamentazione
statale e la ristrutturazione delle relazioni industiali, la sorveglianza
giuridica dei sindacati e l’approvazione della loro costituzione, la
de-legalizzazione della lotta sindacale, ecc), intervent amministrativi (la
sorveglianza da parte delle autorità pubbliche, la nomina di dirigenti
sindacali, la mobilitazione politica, e la violenza e il terrorismo), e
interventi ideologici con lo scopo di incorporare e di controllare i sindacati.
È opportuno menzionare gli interventi e il terrorismo
statale negli anni ‘20 e nei primi anni ‘30 che proibì la fusione della
Confederazione dei Lavoratori della Grecia con la Federazione degli Impiegati
Statali. Conseguentemente, una prima mossa verso il consolidamento e la
confederazione degli impiegati statali fu fatta nel 1926 e la Confederazione
degli Impiegati Statali fu fondata ufficalmente solo nel 1945. Quella divisione
tra i due sindacati dei lavoratori dipendenti continua a tutt’oggi. Durante la
dittatura di Metaxa, immediatamente prima della guerra, fu istituzionalizzato il
Fondo per i lavoratori del Sindacato che susseguentemente giuocò un ruolo
cruciale nella corruzione della coscienza di classe dei dirigenti sindacali.
Dopo la guerra e durante la guerra civile, quando il movimento operaio era
particolarmente forte, la nomina da parte dello stato di dirigenti sindacali
divenne una pratica comune. Nelle decadi susseguenti (1959-70), fu istituito l’arbitraggio
giuridico obbligatorio nella contrattazione e nei contratti collettivi tra le
federazioni dei datori di lavoro e i sindacati mentre le forze di sicurezza
perseguirono la divisione dei sindacati e divenne particolarmente attiva nella
intimidazione e controllo dei sindacati. Dopo il 1980 il governo del PASOK
contribuì ulteriormente alla modernizzazione di tali meccanismi di intervento
statale, mentre lo sviluppo di alcuni strati di aristocrazia operaia giuocò un
ruolo addizionale nella degenerazione ideologica e politica dei sindacati. La
dimostrazione più recente di tale intervento statale è data dalla brutale
repressione poliziesca della militanza sindacale negli ultimi mesi, e dall’intervento
statale che ha dichiarato illegali alcuni di questi scioperi!
Questi interventi statali, la crescente burocratizzazione e
corruzione dei sindacati, e la conseguente riduzione della loro militanza sono
alcune delle ragioni cruciali della degenerazione, del declino della
partecipazione, del declino della sindacalizzazione, e della delusione dei
lavoratori. Queste ragioni, assieme ad altri fattori più generali legati alla
congiuntura attuale capitalistica, sono chiaramente legati al declino della
sindacalizzazione che caratterizza la maggior parte delle nazioni europee.
Assieme al Portogallo e alla Francia, che hanno subito un declino della
sindacalizzazione dal 1985 al 1995 del 50,2% (Portogallo) e del 37,2% (Francia)
rispettivamente, vi è stato anche un grande declino, del 33,8%, nei sindacati
greci nello stesso periodo.
Consideriamo ora la struttura attuale e alcune
caratteristiche organizzative e ideologiche dei sindacati greci. I dati che
seguono sono presi da due inchieste fatte nel 1995 e nel 2000 da una società
privata di ricerca e di consulenza per la Confederazione dei Lavoratori della
Grecia. Nell’inchieta del 2000 furono intervistati 2340 dipendenti. Questa
inchiesta rivela un dato deludente, e cioè il 65% dei salariati non è membro
di un sindacato, contro il 35% che è membro. Secondo dati del 1997, dei
2.111.468 salariati, i tesserati erano 756.730 (il 35,8%) e, di questi, 516.730
erano membri della Confederazione dei Lavoratori e 240.463 erano membri della
Confederazione degli Impiegati Statali. Tra il 1995 e il 2000 sembra esserci
stato un cambiamento notevole da un sindacalismo per settori economici o
industriali a uno per imprese. È anche di notevole interesse che il 78% dei
dipendenti del settore pubblico sono iscritti ai sindacati mentre la percentuale
è solo del 31% nel settore privato. È ovvio che il lavoro sicuro e a tempo
indefinito prevalente nel settore pubblico incoraggiano la partecipazione e l’attività
sindacale mentre esse sono più rischiose nel settore privato. Nel settore
privato la bassa partecipazione sindacale è dovuta alla frammentazione dell’attività
economica e industriale (in aziende piccole o di media dimensione) e alla
mancanza di un sindacato nella ditta. Si noti pure che l’attività e l’organizzazione
sindacale è maggiore in quei settori che hanno una tradizione sindacale
storica, quali il settore dei servizi pubblici (luce, gas, traporti, ecc.) e l’edilizia,
e dove vi è un sindacato al livello dell’impresa, differentemente da quei
casi in cui vi è solo una organizazione sindacale settoriale. Vi è anche una
quasi totale assenza di sindacalismo nell’agricoltura. Solo recentemente si
sono formati sindacati e vi sono stati scioperi nell’agricoltura, organizzati
principalmente da immigrati e braccianti.
È anche sorprendente che sono i tecnici più qualificati e
meglio pagati, il personale amministrativo, gli impiegati e i lavoratori in
uffici che sono più sindacalizzati in confronto ai lavoratori non qualificati e
peggio pagati la cui sindacalizzazione è molto minore. Questo spiega, in parte,
la politica sindacale concertativa e conciliatoria negli ultimi decenni. È
anche degno di nota che la partecipazione sindacale dei lavoratori e degli
impiegati è analoga alla loro età. Quelli più giovani hanno una
sindacalizzazione minore e quest’ultima aumenta con l’età.
Si noti pure che solo una piccola percentuale degli
immigranti e dei rifugiati economici in Grecia (circa 800.000) partecipano a
attività sindacali. Gli immigranti, per lo più illegali, provengono dall’Albania
(il 65%), e dalla Bulgaria, Romania, Pakistan, Ucrania, Polonia, e altri paesi.
Essi in genere hanno lavori saltuari, in condizioni miserabili e senza
previdenza sociale, per lo più nell’edilizia, nell’industria (specialmente
nell’industria tessile), negli alberghi e ristoranti, nell’agricoltura e nei
servizi domestici. Nonostante che tali lavoratori abbiano estreme difficoltà e
interessi comuni con i lavoratori autoctoni, i sindacati non hanno tentato
sufficentemente di incorporarli nella attività e nella lotta sindacale e non
lottano sufficentemente contro politiche discriminatorie e fenomeni razzisti.
È ovvio che la maggioranza della classe operaia ha voltato
le spalle ai sindacati ufficiali. Secondo la ricerca sopra menzionata, le
ragioni di questa bassa partecipazione e sindacalizzzazione sono da attribuirsi
a: la cattiva reputazione dei sindacati ufficiali e la loro insufficente
militanza nel proteggere gli interessi dei lavoratori; la mancanza di un
sindacato nelle imprese (e la frammentazione della produzione o la piccola
dimensione delle imprese); la mancanza di tempo libero; la ristrutturazione
capitalistica che implica maggiore disoccupazione e flessibiltà nel tempo e
nelle condizioni di lavoro; e la intimidazione e terrorismo dei datori di
lavoro. Nonostante che lo sfruttamento intensificato e le cattive condizioni del
lavoro richiedano un rafforzamnto della lotta della classe operaia e della
sindacalizzazione, queste stesse condizioni spesso costituiscono una barriera
notevole per la sindacalizzazione e l’attività sindacale. Si noti che il
10,3% dei lavoratori dipendenti hanno un lavoro part-time e che circa il 20%
hanno lavori flessibili. Si noti pure che la settimana lavorativa media è di 42
ore di cui 11 ore nel fine settimana. I tempi di lavoro più lunghi sono nel
settore privato (43.6 ore). I disoccupati, nel loro lavoro precedente il
licenziamento, avevano lavorato 44,8 ore.
Sebbene la classe dominante capitalista, i responsabili della
politica governativa e anche i burocrati sindacali concordano che una forza
lavoro sindacalizzata ma obbediente, un partner ‘responsabile’ e affidabile,
sia prefereibile ad una forza lavoro non sindacalizzata e non imprevedibile, la
grande maggioranza dei lavoratori (circa l’80%) è ancora dell’opinione che
vi è una contraddizione tra gli interessi del capitale e quelli del lavoro.
Essi sono anche delusi dalle politiche promosse dal ministero del Lavoro: solo
1l 25,5% dei dipendenti crede che queste politiche vanno nella direzione giusta.
La maggioranza, il 60,6%, crede ancora che i sindacati siano gli agenti più
efficaci per proteggere gli interessi dei lavoratori mentre il 7,4% crede che
possano farlo meglio i partiti politici. Un altro 27,1% è deluso sia dai
sindacati che dai partiti politici. La maggioranza, tuttavia, sembra essere
delusa dall’organizzazione e politiche dei sindacati ufficiali. Contrariamente
alla linea seguita dalla Confederazione dei Lavoratori, circa il 73% dei
lavoratori intervistati rigetta l’idea che l’economia non potrebbe
permettersi aumenti salariali. Un altro 64% pensa che la politica seguita dalla
Confederazione dei Lavoratori ‘non è così militante come dovrebbe essere’
e che ‘sta cedendo alla pressione dei datori di lavoro’.
È anche significativo che la grande maggioranza dei
lavoratori intervistati pensa che la riduzione della settimana lavorativa a 45
ore sarebbe una prospettiva positiva . Ma una maggioranza ancora più alta (il
94,9%) rifiuta la connesione tra tale riduzione ed una riduzione salariale. È
ideologicamente importante, tuttavia, che solo il 20-30% dei lavoratori pensa
che vi sia una comunanza stretta tra i loro interessi e quelli di altre classi o
categorie sociali, come i contadini, gli studenti, gli impiegati statali, e gli
immigranti. Ciò, ovviamente, rende molto difficile formare alleanze politiche.
Dall’analisi e dai dati presentati qui sopra, e a causa
delle condizioni favorevoli generate dalla attuale congiuntura capitalista, è
chiaro che che vi sono le condizioni per una riorganizzazione radicale della
lotta della classe operaia e dei sindacati in particolare, così come per una
rinascita del movimento militante operaio internazionale. Vi sono condizioni
sufficenti, in altre parole, per un ‘nuovo movimento operaio’ organizzato e
controllato ‘dal basso’.