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Filippo Viola
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Professore di Sociologia, Fac. di Sociologia, Univ. “La Sapienza”

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Sulla questione sociale delle privatizzazioni

Filippo Viola

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1 - Privatizzazioni ed essere sociale

Per cogliere sino in fondo la questione sociale delle privatizzazioni, bisogna affrontarla “alla radice”, secondo la nota indicazione marxiana. E alla radice c’è in gioco l’essere sociale, cioè il dato associativo che fa stare insieme i soggetti che costituiscono una collettività storicamente determinata.

Rispetto a questo dato associativo le privatizzazioni sono in controtendenza. Privatizzare significa stralciare determinate attività dal corpo sociale. Significa fare per sé. E, nello specifico di una organizzazione sociale capitalistica, significa agire in proprio, sulla base di una motivazione utilitaristica.

Ora, se immaginiamo l’essere sociale come una rete, privatizzare un settore o un ente significa operare un taglio su una maglia della rete sociale. E se le privatizzazioni non sono episodiche, ma rientrano in un progetto, si tratta di tagli alle maglie cruciali dell’assetto societario. Così, attraverso ripetute e mirate operazioni, il grafico a rete si va via via trasformando nel groviglio di un filo, il filo del privato, che segue i percorsi della valorizzazione capitalistica diffusa.

L’esito complessivo è devastante. Una formazione socio-economica storicamente determinata quanto più è privatistica, tanto meno è fondata sull’essere sociale. Al limite, quanto più è modellata sulla logica del privato, tanto meno è società, in senso stretto. Dunque, la società capitalistica, privatistica per eccellenza, è una vivente contraddizione in termini. In quanto società, mette insieme uomini e donne. In quanto capitalistica, li fa stare ed agire non in associazione pubblica, in vista di un bene comune e generale, ma in separazione privata, in vista di un utile individuale e di classe.

2 - La privatizzazione dei servizi essenziali

Questa contraddizione emerge con particolare evidenza quando la logica privatistica va a investire i servizi essenziali.

Esemplare è, al riguardo, il caso della sanità. Qui non si tratta di una attività imprenditoriale qualsiasi. Nel caso della sanità vengono investiti servizi che interessano l’essere delle persone. In pratica, vengono affidate alle convenienze dell’imprenditoria privata la sopravvivenza e la salute degli uomini e delle donne che compongono la collettività. Il che equivale alla espulsione di ogni dato associativo dal corpo sociale, cioè alla radicale dis-sociazione della società.

Fa una certa impressione entrare in un negozio e vedere sul banco della cassa un’urna di vetro per la raccolta di offerte in favore di una bambina che ha bisogno urgente di un intervento costosissimo negli Stati Uniti. È la testimonianza bruciante di una società assente nell’esercizio di funzioni associative primarie, che riguardano la sopravvivenza di esseri umani.

Che società è quella che affida la vita di una bambina all’incrocio casuale e aleatorio fra il buon cuore dei clienti di un esercizio commerciale e l’utile economico di una impresa sanitaria privata, dislocata negli Stati Uniti?

Ancora più acuta, se possibile, è la contraddizione nel caso della privatizzazione dell’istruzione, in quanto sede della formazione personale e collettiva. La formazione ha una dinamica che è incompatibile con la logica privatistica. L’imprenditoria privata progetta e programma l’istruzione in direzione di un utile economico e/o ideologico. In tal senso, la mercificazione della cultura, di cui spesso si parla in ambienti antagonisti, non è uno slogan di lotta politica, ma la semplice trascrizione tecnica di un processo sociale in atto.

Del resto, le campagne a favore della scuola privata si avvalgono di un linguaggio preso in prestito dallo scambio delle merci oppure, su altro versante, dalla propaganda confessionale. Le scuole private, si dice senza pudore da parte dei liberisti, mettono sul “mercato” un “prodotto” migliore, perché devono fare i conti con la “concorrenza”. Fanno eco i propagandisti confessionali con l’appello alla “libertà” per le famiglie di scegliere, per i figli, tra le diverse “offerte” di orientamento culturale.

Tutt’altra è la dinamica della formazione in quanto tale. È finalizzata esclusivamente alla crescita del soggetto, personale e collettivo. E quindi mette in atto interventi pedagogici a misura dei soggetti, adottando tempi e modalità che possono risultare diseconomici e antitetici alla logica di bilancio.

3 - La cultura del privato

Un progetto complessivo di privatizzazione della struttura sociale, cioè di progressiva soppressione di ogni dato associativo, può avere una prospettiva realistica solo se nella coscienza collettiva viene interiorizzata la cultura del privato. Una tale operazione ideologica passa per uno stravolgimento della soggettività sociale. Nella realtà dell’essere sociale, cioè nella concretezza esistenziale degli uomini e delle donne in carne e ossa, la soggettività vive essenzialmente due dimensioni complementari: una dimensione personale ed una dimensione collettiva. Il vissuto personale ha bisogno di arricchirsi continuamente attraverso esperienze intersoggettive. Ha bisogno di aprirsi a prospettive sociali, in cui l’approccio ai problemi della vita quotidiana abbia la possibilità di avvalersi dello scambio interpersonale di esperienze e di riflessioni. Ma se il connotato intersoggetivo della dimensione personale si sviluppasse in pieno, entrerebbe in collisione con la struttura privatistica dell’organizzazione capitalistica della società. Da qui la necessità di imprigionare il personale nell’individuale e costringerlo a muoversi entro la sfera dell’utile privato1.

Questa strategia mira a smantellare la solidarietà di classe che si è sedimentata, attraverso le lotte operaie e proletarie, nella coscienza delle masse popolari. Per richiamare l’attualità politica, significative sono al riguardo le precisazioni che, a proposito della privatizzazione integrale del mercato del lavoro, vengono fatte dagli organi governativi. Tale riforma, si ripete in modo ossessivo, non tocca gli attuali occupati, i quali non hanno nulla da temere, perché la loro situazione è “blindata”. Sappiamo che le cose non stanno così. Ma, a prescindere dal merito della questione, il messaggio è chiarissimo: “Che ve ne viene a fare scioperi ed a perdere quote di salario per una faccenda che non lede il vostro utile privato?”.

4 - Privatizzazioni ed assetto sociale

Le privatizzazioni si collocano nel quadro di un passaggio storico all’interno dell’assetto sociale capitalistico. Si viene da un assetto dominato dagli interessi della grande industria e della finanza, segnato dal solidarismo cattolico e condizionato dalle lotte operaie e proletarie. Si va in direzione di un assetto privatistico e liberista integrale, marcatamente funzionale alla valorizzazione capitalistica a tutti i livelli e, per giunta, sovvenzionato dallo Stato.

In questo contesto, l’attacco alle aree di protezione dei servizi essenziali assume un significato che va al di là dell’intervento economico, pure rilevante. Mira ad abbattere le tettoie sociali sotto le quali riparano i bisogni primari ed a spingere allo scoperto i soggetti portatori di forza-lavoro, in modo da renderli più facilmente ricattabili sul piano della sussistenza.

E, per questa via, mira a piegare la soggettività sociale alla logica di un mercato del lavoro emancipato da qualsiasi condizionamento normativo.

Operazioni tutte che convergono su un obiettivo di fondo: da una parte rimodellare la struttura sociale su base mercantilista e dall’altra ridefinire l’identità collettiva a misura della valorizzazione capitalistica.

5 - Interesse egoistico e solidarietà di classe

Come si vede, la partita si gioca su un piano in cui la condizione materiale che viene investita dalla privatizzazione di un settore o di un ente può andare ad incrociarsi, nella sfera immateriale, con l’interesse egoistico o, al polo opposto, con la solidarietà di classe.

L’alternativa è cruciale. Il progetto di privatizzazione complessiva della struttura sociale si avvale di una strategia ideologica volta a contrapporre artificiosamente interessi materiali all’interno della classe operaia e proletaria: i figli contro i padri, i giovani contro gli anziani, i disoccupati contro gli occupati.

Quanto più è pesante l’intervento nella sfera degli interessi materiali, tanto più è raffinato e complesso l’apparato ideologico chiamato a sostenerlo. Spezzare, nella pratica politica, tale artificio è impresa tutt’altro che semplice.

Si tratta di riuscire a fare emergere, contro l’appello all’interesse egoistico e privato, il punto di vista di classe, solidale e pubblico. La posta in gioco è la salvaguardia della condizione esistenziale di tutte le donne e di tutti gli uomini che dispongono soltanto della propria forza-lavoro.