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Tendenze della competizione globale

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José R. Castillo Águila
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Professore, Dipartimento di Scienze Sociali, Università di Matanzas, Cuba

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Note per il dibattito sul lavoro e democrazia: la via cubana

José R. Castillo Águila

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Risulta indispensabile, per una comprensione adeguata del lettore, dare una idea vaga della realtà di un paese piccolo per dimensioni territoriali, poco più di 114.000 km2, ma un gigante sotto la dimensione dei valori e dei suoi intenti emancipatori. Purtroppo quello che viene pubblicato su Cuba non è molto e di quello buona parte della realtà è resa deformata, manipolata.

Cuba è un paese che negli ultimi 42 anni di dure battaglie è padrone del suo destino, affronta le provocazioni del Golia della modernità. Come ha potuto sopravvivere davanti ad una realtà così crudele e difficile? Per quale motivo non è precipitato di fronte al crollo del modello socialista euro-sovietico? Ci potremmo porre questi e molti altri interrogativi. Ma qualunque risposta che ignori l’inquadramento storico, oltre che anacronistica e superficiale, è oltremodo semplicista.

Che Cuba non possa essere capita attraverso manuali e formule prestabilite, è una verità assoluta. Questa e altre verità ci proponiamo di svelare nel presente e nei saggi futuri per Proteo.

Un tratto caratteristico nella storia delle scienze sociali e particolarmente degli studi politici, è stato l’oscuramento dei termini, dei concetti di significato temporale. Ciò non è casuale, non è neppure il risultato di sotterfugi semantici, ma è la risultante delle spinte dovute alla reazione e alla rivoluzione, del ruolo della politica nella vita sociale - intesa come relazioni rispetto al potere -.

Ruolo che cresce, in un mondo segnato fortemente dal processo di globalizzazione che diviene inarrestabile, persino in tutte le sfaccettature della vita sociale, il sacrosanto spazio della vita sociale ed individuale, convertendola ogni giorno, in sempre più pubblica e sempre meno privata, questione in passato impensabile, -rimettendola alla legge approvata in Gran Bretagna che autorizza le forze dello Stato a controllare le informazioni che circolano per i canali INTERNET.

Una breve osservazione a priori della realtà, ed in particolare della produzione di una parte importante degli scienziati sociali, difensori del pensiero borghese, ci conduce al labirinto di apologie di taglio nichilista politico. Alla faccia del disprezzo e della disonestà. La politica, gli interessi principali degli uomini devono essere concentrati sul terreno dell’economia, dell’efficienza, si legga dei guadagni. In realtà, ciò che sta succedendo non è proprio così, nella visione tradizionale oltre ai classici rosso e nero sono affiorate nuove tonalità.

Insieme alla tradizionale macro-politica statale, - che oggi diviene internazionale con la formazione dei nuovi megablocchi egemonici continentali -, con i governi mondiali in stato di incubazione, - attributo dei decisori delle politiche nazionali cioè i “politici”-, emerge con determinata forza, sotto dissimili forme, non senza opposizione, la micro-politica dei fino ad oggi, predominanti consumatori delle decisioni dei gruppi egemonici del potere, i “non politici”, i lavoratori, i cittadini.

Evidentemente l’aumento e il consolidamento del processo di egemonia assoluta, che prevale fino ai nostri giorni, con l’intento di dare una sfumatura apolitica al fine della storia, fortemente condizionato dagli organismi creditizi mondiali per il Terzo Mondo, hanno obbligato ad accettare pratiche dispotiche che dall’inizio del loro utilizzo evidenziavano l’impossibilità di essere portate a termine. Tali pratiche già oggi fanno emergere con forza i loro sintomi di stanchezza nella concezione e nell’efficienza ed in conseguenza nella ribellione, nelle masse popolari dei paesi in via di sviluppo; allo stesso tempo, si affievoliscono, sempre più nell’universo sociale, le differenze tra le grandi masse popolari indigenti che si avvicinano o si confondono agli strati medi, nei paesi sviluppati e in via di sviluppo, essendone l’esempio più evidente gli avvenimenti ancora non conclusi in Argentina. Al contempo si consolida il fenomeno dei contrasti sociali di un Terzo Mondo all’interno del primo mondo, che cresce in maniera incalzante e si converte in ribellione concomitante del mondo del lavoro, e non solo, secondo il punto di vista di quelli che soffrono le vicissitudini di una simile politica.

Per contro, la caduta del socialismo europeo e in particolare della Russia, si è mostrato “utile” alle forze reazionarie. Che è successo? Cosa sta succedendo? Che succederà tra una generazione? Nell’immediato diventa insensato parlare di bruschi cambi rivoluzionari.

Il lider cubano Fidel Castro ha detto che sono momenti di calma, di pazienza per i rivoluzionari. Comunque, niente di più estraneo a quella valutazione della realtà mondiale - al potere delle forze della reazione mondiale, dei governi mondiali, delle forze del capitalismo -, che postulare la rinuncia alla lotta di classe, che è e necessariamente deve essere continuata sotto le nuove condizioni storiche che impone la realtà e in virtù degli obiettivi strategici concepiti.

Come è ovvio, attualmente uno degli spazi della lotta di classe dei lavoratori continua ad essere la sfida alla democrazia borghese, da parte della critica rivoluzionaria alternativa dei lavoratori, dalla prospettiva della sinistra responsabile dei destini dell’immensa maggioranza dell’umanità, che non ha niente da perdere, ad esclusione delle sue catene ed ha molto da guadagnare.

Instradare in modo adeguato il flusso ed il riflusso delle forze dei lavoratori in un unico torrente di azione richiede oltre che volontà politica anche spirito di sacrificio; richiede la disposizione ad affrontare i rischi che ciò implica. La borghesia non cede, bisogna strappargli con forza i diritti degli operai, dei lavoratori, sentenziava anticipatamente Lenin.

Il caso cubano, - così denominato non per caso dagli avversari e dai nemici della rivoluzione,- sollevato dalle forze più reazionarie, ha dato sufficiente dimostrazione della capacità di resistenza, di tenacia, di autostima. Una nazione che è stata bloccata - come nessun’altra al mondo - per uno spazio di tempo di 42 anni dagli Stati Uniti d’America, che ancora non cessano il loro intento diabolico di distruggerla. Nella loro incessante e diabolica azione gli Stati Uniti contro Cuba hanno elevato al rango di politica di Stato l’intento di assassinare i suoi dirigenti, anziani, bambini, donne, uomini, mediante la più crudele politica di genocidio, che include la proibizione alla vendita di generi alimentari e medicine. Gli USA, un paese, che paradossalmente non vuole abolire il diritto dei suoi cittadini a portare armi, che non ha mai conosciuto l’attività mondiale e le relazioni tra nazioni indipendenti, nell’era moderna, un paese che ha inasprito a livelli insospettabili ed inimmaginabili il blocco, per più di quarantadue anni, con leggi extraterritoriali ed emendamenti tra i quali si distinguono il Torricelli e l’Helms-Burton.

Tutto ciò e molto di più, nel contesto della peggior crisi economica che abbia mai potuto sopportare un paese come Cuba, dopo la caduta del socialismo europeo ed in particolar modo della Russia, i cui effetti si tradussero in condizioni estremamente critiche. Basti solo pensare che il paese perse l’85% del suo mercato estero.

Bisogna sapere, affinché il lettore possa comprendere, che non si tratta di un mercato contrassegnato dallo stile del mercato che oggi si vende su un piatto d’argento al Terzo Mondo, mi riferisco ad un mercato estero per Cuba non comune, prima d’ora mai conosciuto nella storia dell’umanità tra popoli fratelli, che si sviluppava in condizioni veramente favorevoli attraverso prezzi differenziati, con intercambi commerciali e scambi tecnico-scientifici. Riconoscere ciò significa giustamente secondo José Martí “Onore e stima”.

A tutta questa serie di soprusi, azioni vandaliche, assassini, terrorismo si è saputa imporre Cuba.

In simili circostanze, è evidente, che qualsiasi paese, indipendentemente dal suo segno politico-ideologico, faccia ricorso ad un inevitabile processo di incremento dei livelli di centralizzazione economica, già esistente, necessariamente, dagli albori del trionfo rivoluzionario. Tuttavia, il trattamento tradizionale della relazione economia-politica diviene nella realtà cubana, nuovamente superato. Cuba viene assorbita, necessariamente in questo quadro critico, in una delle azioni di approfondimento e consolidamento della democrazia, cioè la creazione dei Consigli Popolari. Si tratta di enti di potere operaio costituiti da rappresentanti scelti, e le organizzazioni comunitarie, soggette anch’esse agli stessi principi di elezione democratica, vincolano e uniscono eletti ed elettori nei limiti concreti della loro giurisdizione, al fine di rendere, inoltre, i cittadini più partecipi al controllo degli interessi comunitari.

Accostarsi al tema della partecipazione a Cuba, non è né può esser solamente, porsi di fronte ad un processo multi-dimensionale, di fronte ad un concetto sociale che presuppone singoli e collettività in contraddizione ed in probabile conflitto, così come inevitabilmente è stato detto. Se così fosse il suo contenuto e l’azione trasformatrice sarebbero fortemente penetrati dalle soggettività, dalle abitudini e le attività culturali degli individui. Ma è molto più che questo, è rivelare la logica di un processo sociale di cambi qualitativi, con vecchi e nuovi attori sociali in successione generazionale, di un’opera dei lavoratori che si assume delle responsabilità nei confronti del futuro, quindi è un continuo e non una frattura.

A questa realtà politica, con le sue implicazioni socio-economiche per lo sviluppo e il consolidamento del progetto Social-Cubano, non le è estranea una nuova razionalità, quella di rivelarsi come paradigma alternativo all’attuale disordine mondiale. Ciò non è la fine, è il risultato dell’opera di costruzione, ancora non conclusa, con la forza dei lavoratori.

Oggi la crescente interdipendenza mondiale delle indipendenze nazionali, minacciate inoltre dalla travolgente informatizzazione controllata dai poteri egemonici mondiali capitalistici, ha implicato in maniera crescente che il concetto di partecipazione dei lavoratori, dei cittadini, sia un percorso obbligato ricorrente nelle agende dei partiti politici, nazioni, Stati, indipendentemente dal loro segno politico. Sebbene nella pratica politica risulta evidente che i processi di astensione nelle democrazie borghesi costituiscano un risultato della perdita di credibilità, senza che ciò risulti sufficiente per il cambiamento politico, ciò implica necessariamente l’ascesa, lo sviluppo e il consolidamento delle forze operaie, del lavoro e della sinistra, che dopo il tracollo del modello socialista est-europeo e sovietico non hanno raggiunto quel torrente di azione coordinato ed efficace.

La partecipazione popolare a Cuba è un fenomeno oltre che storico, - che si può apprezzare in tutto il processo di lotta per l’indipendenza nazionale dal 1868 fino ai nostri giorni, e dove i lavoratori non sono stati spettatori della lotta e dell’opera di rivoluzione, ma sono stati attori, gestori e costruttori di un progetto che supera abbondantemente la propria utopia di liberazione -, anche culturale perché concretizza le aspirazioni frustrate nella cosiddetta repubblica assoggettata, in una nuova socialità attraverso l’articolazione maggioritaria dei progetti individuali e il progetto sociale cubano di costruzione del paradigma socialista cubano. Questa impronta di ribellione nazionale, che storicamente ha formato gran parte dei cubani non in maniera casuale, ma come risultato della loro lotta per la liberazione nazionale, e che si manifesta come idiosincrasia e psicologia comune, costituisce un sostegno che stimola l’incessante ricerca del cubano autentico, di fronte a cotanto rifiuto delle formule esogene, che niente hanno a che vedere con la nostra realtà e le nostre aspirazioni.

Frequentemente siamo soliti ascoltare nell’ambito della quotidianità e anche della scienza, di taglio borghese, che il carattere democratico di un sistema governativo viene determinato dalle elezioni sostenute nella competitività tra i contendenti, altri autori affermano che la democraticità è associata alla capacità sociale dei cambiamenti che si operano in un paese. Dal nostro punto di vista il problema non è così facile, neanche così poco sostanzioso, quando si tratta della nomina degli eletti, cosa che alcuni autori ignorano quando dicono che la democrazia si riduce a cambiare gli eleggibili e non nel risolvere i problemi. Il democratismo, secondo il nostro punto di vista, è determinato dal grado di partecipazione popolare dei lavoratori realizzato alla selezione dei rappresentanti eletti, dalla capacità dei lavoratori di partecipazione reale nel dibattito e nel controllo degli argomenti principali della politica, da parte degli eletti, attraverso il confronto degli eletti nelle rappresentanze dei differenti settori della società da parte degli elettori. Controllo che implica il diritto a revocare gli eletti, quando questi ultimi cessano di essere creditori della fiducia dei loro elettori, defraudando la fiducia riposta in loro. Ciò non significa forse una nuova e reale lettura dell’ambiguo concetto borghese di democrazia?

È evidente, che noi cubani abbiamo superato abbondantemente gli occidentali che esibiscono una lunga esperienza su questo terreno, cosa per noi inimitabile. Per trovare degli esempi non è necessario fare un grande sforzo, basta una sola occhiata alle più recenti elezioni al seggio presidenziale del “paradigma” della democrazia mondiale, gli Stati Uniti d’America.

Nonostante tutto, ciò non significa che noi cubani abbiamo raggiunto il massimo livello democratico. Continuiamo perfezionando il nostro modello democratico; l’esempio più immediato ed eloquente è costituito dai Consigli Popolari dei lavoratori, che senza ombra di dubbio, costituiscono un veicolo di coinvolgimento di tutti i lavoratori a livello comunitario nell’analisi, il dibattito e la soluzione delle proprie difficoltà e necessità. [1]


[1] Ns. traduzione dall’originale spagnolo