Il Lussemburgo (vedi Fig.6) registra una stabilità nell’orario
di lavoro accompagnata da un leggero aumento delle retribuzioni. Va rilevato
che la propensione alla diminuzione del tasso di disoccupazione, che ha avuto
il suo valore minore nel 1991 (1,7%) ha mostrato una leggera inversione di tendenza
nel 1993 anno in cui si è avuto un aumento (2,7%), mentre le spese per prestazioni
sociali per la disoccupazione in rapporto al PIL si mantengono costanti a livelli
bassissimi.
La Gran Bretagna (vedi Fig.7) registra una stabilità
nell’orario di lavoro (i valori sono intorno alle 37 ore settimanali) ed un
leggero aumento delle retribuzioni. Il tasso di disoccupazione ha un andamento
fluttuante in quanto si riduce al massimo nel 1989 raggiungendo il 7% per poi
aumentare di nuovo gli anni seguenti ed arrivare al 10,4% nel 1993. Le spese
sociali per i disoccupati sono molto limitate e mostrano una tendenza alla diminuzione
(nel 1989 arrivano ad appena lo 0,85%) attestandosi poi intorno all’1,3%.
La Danimarca, (vedi Fig.8), ha un andamento abbastanza
stabile dell’orario di lavoro (i valori sono intorno alle 34 ore settimanali);
le retribuzioni mostrano un andamento lentamente crescente mentre il tasso di
disoccupazione ha registrato il suo valore minimo nel 1987 (5,4%) ed è risalito
poi negli anni seguenti (nel 1993 il valore è stato del 10,1%). Per quanto riguarda
le spese sociali i dati mostrano una tendenza alla stabilità registrando valori
intorno al 3%.
Si riportano, infine, i dati riepilogativi al 1996 dei paesi
precedentemente esaminati, potendo così confrontare l’andamento di alcuni parametri
macroeconomici tra i singoli paesi e il dato complessivo dell’Europa dei 15.
Come si può osservare dalla Fig.9 la crescita del PIL
del 1996 in tutti i paesi europei è molto contenuta, tanto è vero che il dato
complessivo dell’Europa dei 15 segna una crescita annua dell’1,6% nettamente
inferiore a quella degli Stati Uniti (2,4%) e del Giappone (3,6%). A fronte
di tali livelli di crescita i dati della disoccupazione ufficiale, sempre per
il 1996, evidenziano per l’Europa dei 15 oltre 18 milioni di disoccupati contro
gli oltre 7 milioni degli Stati Uniti e i 2.259.000 del Giappone, con rispettivamente
un tasso di disoccupazione del 10,9% per l’Europa dei 15, il 5,4% per gli USA
e il 3,4% per il Giappone (si ricorda che nelle rilevazioni USA e giapponesi
qualsiasi forma di occupazione anche a pochissime ore di lavoro mensili fa si
che il lavoratore sia considerato un occupato). Anche tutti gli altri parametri
macroeconomici presenti nella Figura 9 rispecchiano l’andamento dei primi anni
‘90 già presentato precedentemente con, in generale tassi di disoccupazione
maschile e femminile che aumentano fortemente in tutti i paesi europei e retribuzioni
dirette e indirette (in termini salariali e di prestazioni sociali), che si
incrementano in modo assai lento senza assolutamente rispondere ad una equa
redistribuzione ai fattori produttivi capitale e lavoro degli incrementi di
prodotto e di produttività, segnando, infatti, una forte carenza redistributiva
verso le forme di remunerazione al fattore lavoro.

Ciò è anche confermato con l’andamento dei parametri macroeconomici
per il 1997 che segnano un incremento del PIL sull’anno precedente del 3,8%
per gli USA, dello 0,9% per il Giappone, del 2,2% per la Germania, del 2,3 per
la Francia, del 3,3% per il Regno Unito e infine dell’1,5% per l’Italia; rispettivamente
negli stessi paesi si hanno variazioni percentuali sull’anno precedente dell’occupazione
del 2,3%, 1,1%, -1,4%, 0,3%, 1,7 e valori anche estremamente bassi per l’Italia.
Nel 1997 si hanno tassi di disoccupazione del 5% per gli USA,
del 3,4% per il Giappone, dell’11,5% per la Germania, del 12,5% per la Francia,
del 5,6 per il Regno Unito e del 12,3% per l’Italia. Per gli stessi paesi è
infine importante riferire gli indicatori economici relativi al costo del lavoro
per unità di prodotto che vede rispettivamente incrementi dello 0,9% in USA,
del -2,8% in Giappone, del -5,8% in Germania, del -3% in Francia, del 3,3% nel
Regno Unito e del 2% in Italia.
E’ proprio a partire da tale ultimo indicatore riferito al
CLUP ( Costo del Lavoro per Unità di Prodotto) che si rende necessario un immediato
raffronto con l’andamento della produttività, degli investimenti, dei ricavi
e dei profitti relativi ai singoli paesi e ai vari settori economici per meglio
capire la forte distorsione distributiva a favore dei profitti che si sta verificando
da ormai moltissimi anni.
E questo sarà l’argomento che verrà trattato nel prossimo numero
di PROTEO (n.1/99) nella Seconda Parte di questa analisi-inchiesta.
Le Tappe dell’Unità europea
Per collocare storicamente l’idea di un’Europa unita si deve
risalire al 1951, anno in cui è stato firmato il Trattato della Comunità Europea
del Carbone e dell’Acciaio; i paesi aderenti alla CECA sono stati: il Belgio,
l’Italia, il Lussemburgo, la Germania Federale, i Paesi Bassi e la Francia.
Nel 1957 i sei stati membri della CECA hanno firmato dei trattati
relativi alla costituzione di un mercato comune per mezzo dell’unione doganale
e nel 1958 si è riunita a Strasburgo per la prima volta l’assemblea parlamentare
della CEE (142 deputati ); la politica agricola comune (PCA) è stata attivata
nel 1961, mentre la prima moneta della Comunità Europea è stata l’unità di conto
(UC).
Nel 1968 si è attuata l’unione doganale tra i sei paesi membri
e nel 1973 entrano a far parte della Comunità Europea il Regno Unito, la Danimarca
e l’Irlanda. Lo SME (sistema monetario europeo) costituito nel 1979 rappresenta
un sistema fondato su tassi di cambio stabile tra le monete degli Stati aderenti
basato su tassi di riferimento disposti in funzione della nuova unità di conto,
l’ECU (European Currency Unit) con una banda di oscillazione intorno al 2,25%.
Sempre nel 1979 per la prima volta vengono eletti direttamente
dai cittadini i 410 deputati del Parlamento europeo; nel 1981 anche la Grecia
aderisce alla comunità europea, nel 1986 la Spagna e il Portogallo (i deputati
salgono così a 518) e nel 1990 , dopo il crollo del muro di Berlino nel 1989,
anche la Germania orientale.
Il Trattato di Maastricht entra in vigore il 1 novembre 1993
ed istituisce l’Unione Europea ( i paesi si impegnano a realizzare una unione
monetaria ed economica con una moneta stabile ed unica e ad attuare politiche
estere comuni in grado di consentire il mantenimento della pace).
Nel 1995 i deputati europei salgono a 626 con l’adesione dell’Austria,
della Svezia e della Finlandia ; in questo stesso anno entra in vigore la convenzione
di Schengen (libera circolazione delle persone entro i confini dell’unione)
e si decide che la moneta comune sarà l’Euro (che dovrà entrare in vigore entro
il 2002 con valutazioni dei singoli Stati per l’ammissione all’Unione Monetaria
nel 1998 sui dati effettivi del 1997).
Il 17 giugno del 1997 si riunisce ad Amsterdam il Consiglio
Europeo che si accorda per un nuovo progetto di Trattato e fissa disposizioni
per un passaggio “più facile” alla terza fase dell’Unione Economica e Monetaria.
Ed infine il 2 maggio 1998 viene redatta la lista dei Paesi
che dovranno adottare l’euro contabile dal 1 gennaio 1999.
A PROPOSITO DI POLITICHE PER L’OCCUPAZIONE
Per quanto riguarda l’occupazione il Trattato di Maastricht
ha istituito il Fondo Sociale Europeo che ha l’obiettivo di “promuovere all’interno
della comunità le possibilità di occupazione e la mobilità geografica e professionale
dei lavoratori.....in particolare attraverso la formazione e la riconversione
professionale”(art.123) al fine di promuovere pari opportunità di lavoro, lottare
contro la disoccupazione e l’esclusione dal mercato del lavoro e favorire la
creazione di nuovi posti di lavoro.
Tra il 1994 e il 1999 il Fondo Sociale Europeo ha messo a disposizione
die paesi dell’Unione Europea circa 93.000 miliardi di lire del bilancio comunitario
per cofinanziare le attività degli stati membri.