La via alle privatizzazioni nel modello capitalistico italiano. Un’indagine statistico-aziendale
Luciano Vasapollo
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Tra le altre attività svolte dall’ENi vi sono le attività di
finanziamento e di assicurazione per le imprese gestite dalle finanziarie Enifin,
Sofid ed Eni International Holding.
Nel 1992 l’Eni è stata trasformata in società per azioni ed,
in base alle leggi emanate per la privatizzazione, il Ministero del Tesoro ha
disposto la vendita al pubblico delle azioni. Il decreto del 10 maggio 1995
ha deliberato la vendita delle partecipazioni detenute dal Ministero del Tesoro
nell’ENI S.p.A., attraverso l’offerta pubblica e il collocamento privato.
Nel 1996 circa 84.000 persone erano occupate nell’ENI S.p.A.
(delle quali 8.200 assunte a tempo determinato) ed all’estero impiegava circa
25.500 dipendenti. La ristrutturazione che si è avuta negli anni che vanno dal
1992 al 1996 ha portato ad una riduzione del personale di circa il 33.5%;
la principale causa di questa situazione va imputata alla chiusura di alcuni
impianti industriali alla cessione di alcune attività e agli incentivi al prepensionamento
ed uscita dall’Ente.
Come si evince dalla Tab 10 e Graf.11,
la diminuzione occupazionale più rappresentativa si è avuta nel settore petrolchimico
e nelle attività in corso di dismissione (si è avuta una riduzione del 53% nel
primo e del 86.4% nel secondo).


E’ interessante anche mostrare attraverso la Tab.11 e
il Graf.12 come sia stata ripartita, tra le varie categorie, la riduzione
del numero degli occupati. Dalla tabella a dal g
rafico
ci si accorge che dal 19
93
al 1996 si è avuta una diminuzione del 23,7% dei dirigenti, del 17,7% degli
impiegati, del 13,8% dei quadri e del 33,7% degli operai.
Va ancora evidenziato che negli anni che vanno dal 1994 al
1996 si registra un aumento di costi operativi derivati dall’incremento
degli acquisti, dalle prestazioni di servizi e costi diversi delle attività
del gas naturale e del petrolio ( ci si riferisce agli aumentati accantonamenti
ai fondi svalutazione crediti, alla crescita del costo del gas naturale e delle
materie prime dei prodotti petroliferi). Diversa è invece la situazione per
quanto riguarda il costo del lavoro che registra un calo di oltre
117 miliardi di lire(l’1,9%).
In sostanza comunque, l’incidenza percentuale dei costi operativi
sui ricavi è aumentata (si passa dal 72,6% al 73%). (Cfr. Graf.13)
La privatizzazione dell’Eni ha avuto, nelle intenzioni formali,
due obiettivi principali: il primo consisteva nell’eliminazione di settori in
perdita e non strategici; il secondo invece intendeva garantire il supporto
finanziario dei settori in sviluppo del Gruppo, rispettando l’equilibrio tra
mezzi propri e debito.
Nella fase di attuazione dell’operazione di dismissione é stato
garantita l’omogeneità di trattamento, predisponendo un’asta suddivisa in 2
fasi:
• la prima, in cui si prevede un offerta preliminare;
• la seconda, più articolata per la definizione dell’offerta
finale vincolante.
In ambedue i casi i potenziali acquirenti hanno ricevuto le
stesse informazioni nello stesso momento. Per consentire all’intera operazione
il massimo della trasparenza è stata attuata una procedura d’asta tramite la
pubblicazione di un annuncio che descriveva le fasi fondamentali e precisava
il calendario.
Nel 1992 si è avviato il processo di cessione di attività nei
settori :chimico, minerario - metallurgico , meccano - tessile e turistico;
una tra le cessioni più importanti è stata quella del Nuovo Pignone.
Le operazioni di dismissioni si sono avute principalmente in
attività che non consolidavano il business dell’ENI, ma operavano su interventi
sociali.
La prima fase di privatizzazioni si è avuta nel dicembre
1995 ed è stata avviata anche grazie al record del bilancio consolidato del’94
,che ha toccato un’utile netto di 3.215 miliardi, il più alto di tutta la storia
e uno dei più alti in Italia. L’operazione di privatizzazione è stata rivolta
all’intero mercato azionario con quotazioni a Milano, New York, Londra, Tokyo.
Il compito di coordinare l’operazione, deciso dal Comitato
Interministeriale (Ministro del Tesoro, del Bilancio, dell’Industria e Presidente
del Consiglio) è stato affidato all’IMI e a Credit SuisseFirt Boston; si è avuta
una offerta pubblica italiana , una offerta pubblica internazionale e una offerta
pubblica negli Stati Uniti.
Va ricordato che i dipendenti del gruppo, (i quali si impegnavano
a mantenere ininterrottamente il possesso azionario per un anno), potevano ricevere
azione gratis ogni 10 acquistate, con un massimo di 300; è stato riservato loro
il 25% delle azioni, ma ne è stato utilizzato solo il 15%. L’Offerta, per la
quota dei dipendenti è stata effettuata tramite la SOFID SIM S.p.A.
E’ stato, inoltre previsto il pagamento delle azioni mediante
anticipo fino al 50% sul TFR.
Nella seconda fase del collocamento la composizione
del consorzio internazionale è rimasta uguale a quella della prima trance. Nella
prima trance hanno trovato maggior collocamento i grossi investitori ,in questa
seconda fase si è cercato di favorire i piccoli risparmiatori con 3 strumenti
diversi: sconto sul prezzo ,bonus in azioni e, se possibile, partly paid (pagamento
rateizzato). La quota azionaria offerta dall’ENI , in questa seconda trance,
è stata del 10%, con una parte rilevante destinata ai piccoli risparmiatori.
Il giorno 21 /10/1996 il Tesoro ha deciso un prezzo massimo di 7.425 lire ed
è stato concesso al pubblico uno sconto del 3.5% .
Il terzo collocamento è stato effettuato sulla base
di quello precedente senza particolari cambiamenti. L’offerta pubblica di vendita
è avvenuta dal 23 al 27 giugno 1997; il Ministero del Tesoro ha messo in vendita
un miliardo di azioni, pari al 14,4% del capitale e a un controvalore di 10mila
miliardi circa. In questo modo la quota pubblica è scesa dal 69% ( dopo il secondo
collocamento ) al 51% del capitale.
Le azioni oggetto dell’offerta pubblica , con esclusione della
quota destinata ai dipendenti dell’ENI , sono state collocate tra il pubblico
attraverso il “Consorzio Italiano” di cui fanno parte l’IMI , la Banca Commerciale
Italiana, il Credito Italiano e l’Istituto Bancario San Paolo di Torino. Invece,
le azioni riservate ai dipendenti sono state collocate esclusivamente per il
tramite della SOFID SIM S.p.A.
Le azioni ENI sono state vendute attraverso un collocamento
privato destinato ad investitori istituzionali , riservato ad Italia,
Regno Unito, Europa e Resto del Mondo; un collocamento privato destinato ad
investitori istituzionali riservato al Canada ed una offerta pubblica riservata
agli USA .
I risparmiatori, per la prima volta, hanno potuto comprare
le azioni , oltre che in banca, anche presso gli uffici postali.
In questi giorni è in corso un intenso dibattito fra forze
politiche parlamentari, e altre forze sociali (sindacati confederali, Confindustrial,
Banca d’Italia, ecc.) per dare definitivamente il via alla quarta fase di privatizzazione
dell’ENI.
IL CREDITO ITALIANO
Il Credito Italiano (fondato nel 1870 [1]) è senza dubbio uno dei maggiori
gruppi bancari del mondo; è quotato in Borsa dal 1895 e dal 1989 è quotato al
sistema telematico di contrattazione internazionale dei valori mobiliari di
Londra (SEAQ); nel 1992 il Credito Italiano era il settimo gruppo bancario italiano.
Tra le sue attività bancarie, parabancarie e finanziarie, svolte
sia in Italia sia all’estero, vanno inclusi i finanziamenti, l’intermediazione
in titoli, l’accettazione di depositi, finanziamenti all’import-export, operazioni
di capital market corporate finance, gestione di portafoglio, sconto effetti,
leasing, factoring, assicurazioni ed operazioni di cambio.
Nel 1993 l’IRI possedeva l’81,4% del suo pacchetto azionario
(64,1% azioni ordinarie, e 17,3% azioni di risparmio); la quota restante era
detenuta da circa 40.000 azionisti (cfr. Tab.12 e Graf.14).
Prima del 1990 (anno della legge Amato n.218) la banca e la
sua società finanziaria (Credit Holding Italia S.p.A.) gestivano direttamente
le società controllate, le categorie e le partecipazioni del gruppo. Nel 1992
invece sono state istituite altre due società finanziarie la Credit Holding
Bank S.p.A. e la Credit Holding International S.p.A. che hanno affiancato la
prima; le tre società hanno gestito quindi oltre alle attività bancarie nazionali,
anche le attività non bancarie e le attività internazionali. Il Credito Italiano
inoltre controlla direttamente, oltre alla SIMCredit (società di intermediazione
mobiliare), anche la Banca Popolare di Spoleto.
La dismissione del Credito Italiano ha rappresentato, insieme
a quella dello SME, la principale operazione su cui si è attuato il programma
di privatizzazione in Italia.


Il 6 Dicembre 1993, infatti l’IRI ha messo in vendita il 64%
del capitale azionario della banca; l’offerta delle azioni (con esclusione delle
azioni di risparmio ai dipendenti e degli investitori professionali) si è attuata
solo in Italia; invece il collocamento privato di azioni ordinarie (riservate
agli investitori istituzionali) si è svolta in molti altri paesi europei e degli
Stati Uniti.
Con questa vendita lo Stato ha trasformato una banca di interesse
nazionale in una public companies; l’offerta pubblica che ha riguardato
il 40% delle azioni detenute dall’IRI ha coinvolto i piccoli risparmiatori,
mentre i grandi investitori istituzionali hanno partecipato ad una contemporanea
operazione privata che ha interessato anche gli investitori stranieri (è stato
fissato come limite massimo di acquisto per gli investitori istituzionali ed
esteri una quota pari al 2%). Alcune azioni privilegiate (il 17,4% del totale),
azioni di risparmio convertibili in azioni ordinarie, sono state destinate ai
dipendenti del Gruppo.
[1] L’IRI, che nel 1933
ha assunto il controllo effettivo della Banca, ha stabilito nel 1936 che questo
istituto poteva operare come istituto a breve termine (sino a 18 mesi) o istituto
di credito ordinario, con la possibilità di concedere crediti a medio termine
entro limiti prefissati; sempre nel 1936 il Credito Italiano, insieme alla Banca
Commerciale Italiana e al Banco di Roma, è stato classificato come banca di
interesse nazionale (definizione ora abolita).