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SOCIETA’ E PROCESSI IMMATERIALI

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Il valore sociale delle merci.Engels, Lòria e Marx

SANDRO BENEDETTI

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Tra il 1895 e il 1896, poco dopo la morte di Engels, fu pubblicato il suo Ergänzung und Nachtrag zum III. Buche des . 1 In questa sede, ci interesserà sottolineare qualche aspetto della riflessione engelsiana, che se serve da un lato a togliere certi pregiudizi sull’opera di Marx (spesso diffusi anche tra compagni), da un altro aiuta a capire, almeno in parte, cosa si intende sostenere quando si giudica Das Kapital un’opera scientifica. Com’è di norma per gli scritti di Marx ed Engels, anche le pagine che qui consideriamo sono momento di un confronto critico fra l’autore ed altri personaggi che, con maggiore o minore intelligente competenza e penetrazione, hanno sostenuto tesi, antitetiche a quelle di Marx (o, eventualmente, di Engels stesso).2 E, quindi, non per caso, anche il testo che ci interessa inizia con una polemica - non certo con un grande nome della riflessione economica, sì tuttavia con un personaggio sufficientemente noto negli ambienti scientifici dell’epoca: intendo F. Lòria.3 Ciò che, in particolare, suscita lo sdegno di Lòria è la teoria del valore, che Marx propone e che Engels espone in un certo modo nelle pagine, che ci interessano. Codesta teoria nasce, a detta dell’economista italiano, da un falso problema, da un problema che in verità non esiste: “il valore - infatti, sostiene Lòria - non è altro che il rapporto, in cui una merce si scambia con un’altra ed è per questo che la semplice rappresentazione di un valore totale delle merci è una totale assurdità, un non-senso, ecc.”4 Esattamente, Lòria si riferisce a quelle pagine di Marx, in cui questi chiarisce che la legge del valore/lavoro è il punto, intorno a cui oscillano di fatto i molteplici scambi, che avvengono sul mercato, per cui anche se è vero, poniamo, che lo scambio - qui ed ora - fra la merce M e la merce M’ viola la legge del valore/lavoro, se raccogliessimo, però, da un lato tutti i prezzi delle merci e dall’altro tutti i valori, vedremmo una tendenziale uguaglianza tra le due quantità. Si tratta di un’assurdità - sostiene Lòria - perché, ovviamente, se il prezzo è il risultato di un rapporto, non può essere isolato dal rapporto stesso, dunque, non può costituire una quantità a sè stante. Insomma, continua Lòria, il rapporto di scambio tra due merci, il loro valore, è qualcosa di puramente casuale, che cade sulle merci dall’esterno e che può essere oggi questo e domani quest’altro. La misura dello scambio tra due merci non dipende da nessuna proprietà intrinseca alle merci, ma sì da fattori totalmente esterni;5 se non fosse così, allora il valore sarebbe qualcosa di obiettivo, che esisterebbe anche a prescindere dallo scambio - in questo caso, irreale, avrebbe sì senso parlare di un valore totale delle merci.”6 Prima di proseguire, notiamo un equivoco, in cui è proprio Lòria - malgré lui e malgré la sua spocchia accademica - a cadere. Marx ha più volte sostenuto che il valore non è creato dalla scambio; piuttosto che attraverso lo scambio il valore si mostra - e più precisamente, si mostra attraverso le oscillazioni dei prezzi, che sono tali - cioè, oscillazioni-, in quanto a volte vanno al di sopra ed a volte al di sotto di quel punto centrale, definito dalla quantità di lavoro astratto, che la società è disposta ad impiegare per la produzione di quella merce esattamente. Questa distinzione - fra creazione del valore mediante lo scambio con la conseguente identificazione di prezzo e valore e, invece, rivelarsi del valore mediante lo scambio, ovvero le oscillazioni di prezzo, con la conseguente differenziazione fra prezzo e valore -, distinzione centrale nel ragionamento di Marx e che implica una concezione non empiristica della scienza, non è affatto colta da Lòria, il quale - data tale incomprensione - può coerentemente dire che la teoria del valore/lavoro di Marx non è che un modo, un po’ mascherato e inutilmente complicato, di ripetere ciò che dicono tutti gli economisti - e cioè che il valore non è altro, che il prezzo della merce.7 Soffermiamoci a riflettere su queste critiche, che Lòria espone. Potremmo inquadrare la faccenda in questo modo. Tutta l’opera di Marx è percorsa da due orientamenti etico8-teorici fondamentali, il primo dei quali è la contrapposizione fra vivente e/o cristallizzato, ‘morto’.9 La troviamo, questa contrapposizione, nella sua polemica anti-religiosa - per la quale Marx riprende appieno la critica che Hegel aveva fatto alla positività10 della religione, cristiano-giudaica particolarmente11; ma la ritroviamo, anche, nella critica marxiana della politica e dello Stato - che realizzano, nella loro versione moderna, la parità giuridico-formale tra i cittadini, cristalizzandone così le disuguaglanze al livello della società civile. Ed ancora la troviamo, questa stessa critica, a livello economico, quando Marx denuncia la separazione (teorizzata da questa o quella Scuola o tradizione) fra leggi e rapporti economici, spacciati per positivi, cioè - come sappiamo - intesi come quadro oggettivo, indifferente alla volontà umana, a cui quest’ultima deve inchinarsi, adeguarsi, senza velleità di cambiamenti sostanziali. E, sempre in ambito economico, la troviamo nella ricorrente e centrale contrapposizione fra lavoro vivo, forza-lavoro, capacità di lavoro da un lato, e capitale morto, cristallizzato, dall’altro, il quale finisce per essere il dominatore del lavoro lebendige.12 Il fatto è che codesto orientamento etico-teorico è uno dei segni fondamentali della continuità fra Hegel e Marx; il che implica, naturalmente, una concezione non empiristica della scienza13. Abbiamo visto, infatti, che per Lòria non fa alcun problema che il rapporto tra merce e suo prezzo (= valore) sia casuale e che, più in generale, le relazioni tra le categorie economiche siano frutto, sempre, di rapporti esteriori, che non dipendano dalla ‘natura della cosa stessa’. Tutto al contrario, nella prospettiva dialettica (di Hegel e di Marx), la proprietà di un qualcosa è una estrinsecazione del qualcosa, è l’emergere di un suo aspetto proprio, nel momento in cui il qualcosa si relaziona ad altro. Perché la ‘socialità del qualcosa’ - nella prospettiva, che ci interessa - ha un duplice significato:
  il suo nascere da un complesso di relazioni, che ne determina anche i possibili svolgimenti (Entwicklung), che ne definisce le possibili determinazioni (Bestimmung);
  il fatto che il qualcosa vive, si svolge e sviluppa mediante le relazioni con altro in cui, contemporaneamente, va entrando. Per chiarire con un esempio, in quanto prodotto come merce (da scambiare), - all’interno del modo capitalistico di produzione e più generalmente all’interno di un’economia mercantile -, un bene (Gut) aggiunge al valore d’uso (Gebrauchswert), che gli deriva dalle sue proprietà naturali in rapporto a bisogni umani, un valore di scambio (Tauschwert), che è definito da una determinazione storico-sociale del bene stesso: vale a dire la quantità di lavoro sociale mediamente necessario a produrlo, poste certe condizioni tecnico-sociali. A questo punto, al contrario di quanto pensasse Lòria, possiamo dire che esiste un’, una della merce che, però, non ha nulla di metafisico, perché si riduce alla sua storicità, al suo derivare da rapporti umani, poste certe condizioni produttive. Ma da ciò deriva pure che, quali che siano le oscillazioni che il prezzo della merce può subire, esiste un limite entro cui quelle debbono contenersi, ovvero un centro, che pone un limite alle oscillazioni del prezzo, nel senso che se la distanza (in su o in giù) del prezzo rispetto a quel centro (cioè, al valore) supera certi limiti, la merce non risulta più vendibile o comunque non consente più la realizzazione di un certo margine di plusvalore e, quindi, di profitto, che la renda redditizia. A questo punto quel Zufall (caso), su cui tanto insisteva Lòria a proposito del valore (= prezzo, secondo lui) vede drasticamente ridimensionato il suo ruolo, proprio perché - posta una società mercantile e più ancora posta la società capitalistica - una merce è tale - dunque, potenziale fonte di plusvalore e di profitto - se e solo se - almeno nel lungo periodo - il prezzo non si scosta sensibilmente dal valore o tempo di lavoro socialmente necessario per la produzione di quella merce, quale che sia. E questa differente valutazione del ruolo del caso, all’interno della comprensione scientifica degli eventi (non solo economici), segna una sostanziale differenza epistemologica tra la prospettiva empiristica di Lòria e quella dialettica di Marx.

Ricercatore indipendente

“Complemento ed aggiunta al III Libro del Capitale”. Per l’ed. tedesca mi servo di F. Engels, Einführungen in von Karl Marx, Berlin Dietz Verlag 1967; per la versione italiana, ottima la traduzione di M. L. Boggeri, in K. Marx, Il Capitale. Libro terzo, Roma Editori riuniti 1966. Questo è uno dei segni del radicamento storico dell’elaborazione di Marx ed Engels, il fatto cioè che essa nasca sempre da un confronto critico con altri testi ed autori contemporanei o del passato, ovvero che si presenta sempre come soluzione di problemi, insuperabili per le teorie tradizionali. Nato nel 1857 e morto nel 1943, Lòria fu docente di economia in varie università italiane ed impegnato anche, a tradurre politicamente le sue teorie, in particolare riguardo alla terra, la cui proprietà egli destinava ai contadini. Il suo orientamento fu certamente eclettico, ma non estraneo ad influenze marxiste, come anche idealistiche. La sua fama superò largamente i confini nazionali. Il testo di Lòria è citato da Engels a p. 124 dell’ed. tedesca. Certamente accostabile alla critica, che Engels muove a Lòria, è quanto scrive Trockij in tutt’altro contesto: “Ma perché fermarci qui? Poiché la legge del valore non determina i prezzi direttamente e immediatamente; poiché le leggi della selezione naturale non determinano direttamente e immediatamente la nascita di un maialino da latte; poiché la legge di gravità non determina direttamente e immediatamente la caduta di un poliziotto ubriaco per le scale, allora ...lasciamo Marx, Darwin, Newton e tutti gli altri innamorati delle astrazioni ...” (L.D. Trockij, In difesa del marxismo, Roma 1969: 208). ibidem. ibiden. Con buona pace di Althusser, che pretese distinguere e separare un Marx umanista - e, dunque, orientato nel senso di una precisa direzione morale - ed un Marx scienziato, che avrebbe analizzato la società per le sue leggi oggettive, nelle quali nessun ruolo è riconosciuto alla soggettività. Ovviamente, con questo suo indirizzo Althusser riesce sia a stravolgere la lezione di Marx, sia a fraintenderne il suo precursore più solido e rilevante, ovvero Hegel. A riprova di quanto sia radicata nella tradizione marxista questa contrapposizione fra vivente e cristallizzato, si consideri in generale la contraddizione vivo/morto,che è il tratto distintivo dell’opposizione fra pensiero metafisico e/o dialettico, nonché la suggestiva analogia tra cinema e dialettica, che propone Trockij nel 1939: “II vizio fondamentale del pensiero comune risiede nel fatto di desiderare di limitarsi a considerare le impronte senza movimento di una realtà la cui essenza è il moto eterno. Il pensiero dialettico fornisce i concetti mediante approssimazioni più accurate, correzioni, concretizzazioni, ricchezza di contenuto e flessibilità, e starei anche per dire una sostanza che, in una certa misura li porta assai vicino ai fenomeni viventi. Non il capitalismo in generale, ma un certo tipo di capitalismo ad un dato stadio di sviluppo. Non lo Stato operaio in generale, ma un determinato Stato operaio in un paese sottosviluppato accerchiato dall’imperialismo, etc. Il pensiero dialettico può essere paragonato al pensiero comune nello stesso modo in cui il cinema si paragona alla fotografia.” (Trockij, In difesa del marxismo, Roma 1969: 112). Il termine tedesco è Positivität e deriva dal latino ponere. Faccio riferimento ad Hegel e non a Feuerbach, perché sarebbe ben difficile indicare cosa di nuovo contenga esattamente la critica feuerbachiana alla religione, rispetto a quella già condotta da Hegel. Le mort saisit le vif. Un elemento di conferma è, certamente, il fatto che fin dai Pariser Manuskripte (meglio noti in Italia col titolo Manoscritti economico-filosofici del 1844), Marx distingue un conoscere empiristico - attribuito all’economica politica - ed espresso emblematicamente dal verbo fassen da un lato, e dall’altro un conoscere, che è comprensione del concetto, espresso compiutamente dal verbo begreifen. Non sorprende certamente che la distinzione in questo senso tra fassen e begreifen la si trovi già in Hegel.