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MARIO DEL FRANCO
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A caro prezzo: l’erosione tendenziale del potere d’acquisto dei salari. Linee di ricerca

MARIO DEL FRANCO

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1. La questione salariale

La situazione in cui verte il potere d’acquisto dei salari in Italia è stata riassunta, in tutta la sua consistenza numerica ed evidente drammaticità, nell’aggiornamento1, presentato nel Dicembre 2007 dall’Ires-Cgil, al rapporto sull’andamento delle retribuzioni reali negli ultimi tre anni pubblicato due mesi prima dal medesimo istituto di ricerche2: dal 2002 al 2007, il salario di un lavoratore dipendente3 «con retribuzione annua lorda di 24.890 euro (media 2007)»4 ha perso, in termini di potere d’acquisto, ben 1.896 euro5. La progressiva erosione del potere d’acquisto delle retribuzioni è tuttavia un processo ben noto da diversi anni: già nel 2005 Leonello Tronti6 ne denuncia la gravità nei medesimi termini descritti dall’Ires nel sovracitato rapporto7. Nulla di nuovo sotto il sole, dunque: sebbene un recente rapporto di OD&M Consulting8 rilevi per l’anno 2007, pur nell’ambito di un trend complessivamente negativo, un aumento delle retribuzioni percepite da impiegati ed operai9, tale aumento non è sufficiente a compensare la perdita di valore già in precedenza subita dai salari reali10. Difatti, se l’Istat nel Novembre 2007 rende noto che in tale mese l’andamento delle retribuzioni registra un più 2,0%11, Roberto Tesi, sul Manifesto del 22/1212 nota, in linea con le conclusioni dell’Ires13, che tale aumento non è sufficiente a coprire l’inflazione, registrata per il mese di Novembre a +2,4%14. Tesi ne deduce dunque che, pur in presenza di un aumento della ricchezza del Paese, il cui Pil registra un +1,9%, tale ricchezza «non finisce nelle tasche del lavoro, ma delle rendite e dei profitti»15: le cause di tale fenomeno, a parere del giornalista del Manifesto, vanno ricercate principalmente negli enormi ritardi nei rinnovi contrattuali, ritardi che a Novembre 2007 lasciano ben il 49,9% dei lavoratori privi di un contratto16, e nel crollo verticale «della capacità di lotta dei lavoratori»17, avendo questi ultimi dedicato solo 1,4 milioni di ore al conflitto sindacale, «il 56,1 per cento in meno rispetto al corrispondente periodo del 2006»18. Tali cause discendono a loro volta, come affermato in un articolo apparso sul medesimo numero del quotidiano, soprattutto dal pessimo impianto degli accordi del 1993, e dall’attuale debolezza delle organizzazioni sindacali confederali, debolezza a causa della quale «la Confindustria chiede ancora di più: l’abolizione della contrattazione di primo livello e la valorizzazione di quella aziendale, il prolungamento a tre anni della scadenza del rinnovo salariale. E c’è anche nel sindacato chi abbocca. Se vince la conclusione sarà quella della creazione di una élite, mentre milioni di lavoratori sprofonderanno sempre più»19. A confermare il sospetto che a subire le perdite più importanti sia il reddito da lavoro dipendente, mentre il padronato giunge al contrario a trarre beneficio da una netta sperequazione sociale, arrivano i recenti dati diffusi dalla Banca d’Italia, secondo i quali il reddito da lavoro dipendente in termini reali è «rimasto sostanzialmente stabile»20 nel periodo dal 2000 al 2006, registrando un miserrimo aumento dello 0,3%, laddove il reddito prodotto dai lavoratori autonomi ha beneficiato nel medesimo periodo di un aumento del 13,1%21 Se tali fenomeni incidono sui salari dal punto di vista quantitativo e del valore reale, contemporaneamente la precarietà seguita a minare sempre più pericolosamente la stabilità economica dei lavoratori dipendenti, precarietà in netta espansione, con il 13,1% di contratti a termine rispetto alla totalità dei rapporti di lavoro nel 2006, in maggioranza giovani lavoratori22.

2. Le famiglie alla corda

L’inflazione, intanto, non conosce battute d’arresto: a Dicembre 2007 l’Istat ne registra l’attestarsi al 2,6% per il mese corrente23, e al 1,8% per tutto il 200724. In particolare due le voci a registrare i maggiori aumenti in punti percentuali rispetto allo stesso mese dell’anno precedente: “trasporti” (+4,8%), e “alimentari e bevande analcoliche” (+4,1%)25. E sono proprio gli aumenti vertiginosi del prezzo degli alimentari, dei generi di prima necessità, a destare maggiore impressione, aumenti determinati da «una girandola di fattori - dalle politiche agricole alle speculazioni finanziarie, dall’aumento della domanda mondiale di cereali all’uso dell’etanolo come carburante alternativo, dai cambiamenti climatici alla diminuzione di scorte di cibo - che portano alla stessa conclusione: in futuro mangiare ci costerà sempre più caro», vaticina Federica Bianchi, giornalista de L’Espresso e autrice di un articolo sull’argomento26. Ancora, un duro colpo per i bilanci familiari è certamente costituito dal caro-energia galoppante, trainato da un’ascesa del prezzo del petrolio apparentemente irresistibile27: gli ultimi tre mesi del 2007 (ottobre-dicembre) registrano un aumento delle tariffe del 2,4% per l’energia elettrica e del 2,8% per il gas, mentre il superamento della soglia dei 100 dollari per il barile di greggio nei primi giorni del 2008 lascia facilmente prevedere gli aumenti che verranno28. Il caro casa, infine, è forse il peso che grava maggiormente sugli italiani: gli affitti sono aumentati del 128% negli ultimi 8 anni29, e il 42% delle famiglie paga più di 700 euro al mese30; l’acquisto di una casa attraverso l’accensione di un mutuo, inoltre, non comporta alcuno sgravio né vantaggio, visto il forte aumento dei tassi, passati in 10 mesi, per un mutuo di durata superiore a 5 anni, dal 5,09 del gennaio 2007 al 5,65 dell’ottobre 200731. Le conseguenze sono ovvie: alla fine del 2006, secondo i dati Istat, il 14,6% delle famiglie sono in grado di arrivare solo con grandi difficoltà alla fine del mese, addirittura il 28,4% dichiara di non poter assolutamente sostenere spese impreviste32, e nel corso del 2005 il 50% di esse ha percepito un reddito inferiore a 22.460 euro, all’incirca 1.872 euro mensili33, laddove la spesa media mensile per famiglia è, per il 2006, di 2.461 euro (+2,6% rispetto al 2005)34. Ancora secondo l’Istat, il 12,9% dei cittadini vive in condizioni di povertà, essendo in grado di sostenere una spesa inferiore a 970,34 euro mensili, che individua convenzionalmente la soglia di indigenza: «si tratta di 7 milioni 537 mila individui poveri», si afferma in un rapporto sull’incidenza della povertà relativa pubblicato durante lo scorso anno dall’istituto di statistica35. A completare il quadro, i dati sulle istituzioni finanziarie diffusi dalla Banca d’Italia, che certificano ad ottobre 2007 per le famiglie consumatrici sofferenze bancarie per un ammontare di 11 miliardi 292 milioni di euro, ben 880 milioni in più rispetto allo stesso mese dell’anno precedente36; ciononostante, il ricorso a prestiti e mutui da parte delle medesime famiglie aumenta sempre più, e a novembre 2007 è giunto a 25 miliardi 585 milioni di euro per il credito al consumo, ben 4 miliardi 714 milioni in più rispetto a 12 mesi prima37, e a 264 miliardi 125 milioni per i mutui, 24 miliardi 733 milioni in più rispetto allo stesso mese del 200638.

3. Le soluzioni possibili

Sui provvedimenti da adottare per porre rimedio a tale increscioso stato di cose, strano a dirsi, vi è un accordo quasi totale tra Confindustria, governo uscente e la triplice sindacale (Cgil, Cisl, Uil): l’associazione degli imprenditori preme difatti, ammantandosi del vessillo della lotta per l’equità sociale, per una cospicua detassazione delle retribuzioni, che giungerebbe al doppio risultato di aumentare la retribuzione netta e, contemporaneamente, ridurre la pressione salariale sui padroni39. Tuttavia, una detassazione delle retribuzioni potrebbe comportare una diminuzione delle disponibilità per la spesa pubblica, «una strada che apre al peggioramento delle condizioni di vita di milioni di lavoratori (e quindi delle loro condizioni salariali) ed alle privatizzazioni selvagge (quelle per capirci all’americana dove vieni curato in ospedale solo se hai i soldi)»40. Ancora, se da un lato è piuttosto chiaro che buona parte delle questioni riguardanti i redditi discende da un errato impianto degli accordi del 199341, vi sono diverse opinioni su quale tra gli aspetti di tale accordo sia necessario modificare: i sindacati confederali ammettono che il modello concertativo, a lungo difeso, inizia a presentare delle gravi pecche, e aprono ad una revisione del modello che preveda uno spostamento verso il livello decentrato della contrattazione, in accordo con Confindustria e gli ambienti ad essa vicini, nell’ambito dei quali si ritiene necessario tale spostamento per legare alla produttività gli aumenti e le detrazioni fiscali riguardanti le retribuzioni42. Tuttavia, a molti appare chiaro qual è il vero nodo posto dalla crisi del modello contrattuale del ’93: come ricorda Sarli, l’accordo del 1992 tra imprenditori, sindacati e il governo di Giuliano Amato43, che vide l’abolizione della cosiddetta “scala mobile”44, spinse alle dimissioni l’allora segretario generale della Cgil Bruno Trentin, consapevole, così come altri, del grave danno che era stato inferto ai lavoratori attraverso la soppressione di tale meccanismo di protezione, protezione che «sarebbe stata poco più che compensata dal rinnovo biennale della parte economica dei contratti, con il prevedibile risultato di una perdita in prospettiva dei redditi da lavoro dipendente (...)»45. Ciononostante, come nota il coordinatore nazionale Cub Pier Paolo Leonardi, «da più parti, vengono mossi violenti attacchi a chi ha avuto l’ardire di proporre nel nostro paese il lancio di una legge di iniziativa popolare per il ripristino della scala mobile»46. La principale obiezione mossa a chi si esprime a favore di una reintegrazione della scala mobile «è che essa produrrebbe l’aumento dell’inflazione e porterebbe ad una perversa spirale prezzi-salari»47: tuttavia, notano Massimo Capparella e Domenico Pecoraro, «l’analisi macro-economica dimostra che si tratta di accuse infondate»48. Inoltre, l’andamento dell’inflazione a partire dal 1948, anno di introduzione della scala mobile, fino al 1995, mostra chiaramente, secondo i due ricercatori, che «la spirale inflazionistica ha avuto andamenti altalenanti, del tutto indipendenti dalla presenza o dall’assenza della Scala Mobile»49; dunque, se la mancata presa in considerazione di tale meccanismo da parte dei sindacati confederali è indice della loro atavica debolezza di fronte alle pressioni del padronato50, il ripudio di tale meccanismo da parte delle forze politiche di centrosinistra appare dettato, più che da fondati motivi economici, dalla volontà di non inimicarsi i cosiddetti poteri forti della Confindustria, virulentemente, come è ovvio, opposti a tale soluzione51.

4. Previsioni non rosee

Davanti alle famiglie italiane, intanto, si distende un orizzonte piuttosto oscuro: l’aumento vertiginoso dell’inflazione negli ultimi mesi del 2007 ha determinato un trascinamento in positivo dell’inflazione per il 2008 dell’1,3 per cento, un’eredità pesantissima, se considera che dal 2006 al 2007 il prodotto del medesimo trascinamento era stato una “base” inflazionistica per lo scorso anno solo dello 0,5 per cento52. Ancora, già negli ultimi giorni del 2007 l’Autorità per l’energia elettrica e il gas ha diramato un comunicato informando la cittadinanza di un aumento, per il primo trimestre del 2008, del +3,8% sul prezzo dell’elettricità e del +3,4% per il gas, aumento determinato ovviamente dalla corsa senza freni del prezzo del petrolio53. In un quadro complessivo in cui gli aumenti tra le altre cose di Rc auto, beni alimentari, trasporti, servizi bancari e rate di prestiti a tasso variabile determinerà, secondo Adusbef e Federconsumatori, un aumento di spesa per le famiglie di circa 200 euro in un anno54. Le prime avvisaglie del prossimo futuro non sono, dunque, assolutamente rassicuranti. E la sinistra, e i sindacati? Tentennano, rollano, beccheggiano. Così come la qualità della vita di buona parte dei cittadini.

Aa. vv. Salari e compiti della politica, da www.aprileonline.info, 12/01/2008. Adusbef, Federconsumatori, Prezzi e tariffe consuntivo e previsioni 2007-2008, comunicato stampa del 15/12/2007, www.federconsumatori.it. V. Atella, Famiglie, potere d’acquisto e concorrenza, da www.lavoce.info, 17/07/2006. Autorità per l’energia elettrica e il gas, Per caro petrolio, elettricità +3, 8% e gas +3, 4% nel 1° trimestre 2008, comunicato stampa, 29/12/2007, www.autorita.energia.it. Banca d’Italia, Supplementi al bollettino statistico. Indagini campionarie. I bilanci delle famiglie italiane nell’anno 2006, Nuova serie, anno XVIII, numero 7, 28/01/2008, www.bancaditalia.it. Banca d’Italia, Supplementi al bollettino statistico. Indicatori monetari e finanziari. Istituzioni finanziarie monetarie: banche e fondi comuni monetari, anno XVIII, numero 2, 7/01/2008, www.bancaditalia.it. F. Bianchi, Mangiare sarà un lusso, da L’espresso, 20/12/2007, www.espresso.repubblica.it. T. Boeri e L. Guiso, Salari più alti? È una questione di produttività, da www.lavoce.info, 08/01/2008. L. Campetti, “La ricchezza passa dal lavoro ai profitti”, intervista a Francesca Re David, da Il Manifesto, 22/12/2007. M. Carapella, D. Pecoraro, Difendersi dall’inflazione, rilanciare una nuova Scala Mobile, Proteo 2/2006. Galapagos (pseudonimo), L’emergenza nazionale, da Il manifesto, 22/12/2007. Gli stipendi degli italiani, da Job 24, puntata del 31/10/2007, Radio24, www.radio24.ilsole24ore.com. Inflazione a Dicembre al 2,6%, e per il 2008 “eredità” dell’1,3%, da Repubblica.it, www.repubblica.it, 15/01/08. Istat, Contratti collettivi, retribuzioni contrattuali e conflitti di lavoro. Novembre 2007, 21/12/2007, www.istat.it. Coordinamento Rsu, Lo strano modo per affrontare la questione salariale, 7/01/2008, www.coordinamentorsu.it. Istat, Distribuzione del reddito e condizioni di vita in Italia (2005-2006), 17/01/2008, www.istat.it. Istat, I consumi delle famiglie. Anno 2006, 5/07/2007, www.istat.it. Istat, Indice dei prezzi al consumo. Novembre 2007, 13/12/2007, www.istat.it. Istat, La dinamica dei prezzi al consumo. Dicembre 2007, 15/01/1008, www.istat.it. Istat, La povertà relativa in Italia nel 2006, 4/10/2007, www.istat.it. Istat, Note informative agli indicatori Oros, www.istat.it. Istat, Rapporto Italia 2006, www.istat.it. P. P. Leonardi, Una scala mobile per tutelare salari e contratti, da Liberazione del 14/04/2006. Lira-euro, rincari fino al 93,2% dal 2001. I dati del Codacons su beni e servizi, da www.repubblica.it, 29/12/2006. A. Megale, G. D’Aloia, L. Birindelli, C. Lerico, R. Sanna (curr.), Salari in difficoltà. Aggiornamento dei dati su salari e produttività in Italia e in Europa, Dicembre 2007, da www.ires.it. A. Megale, G. D’Aloia, L. Birindelli, Salari e contratti in Italia e in Europa, 2004-2006. Quale politica dei redditi?, Ires-Cgil, Settembre 2007, www.ires.it. OD&M Consulting, 8° rapporto sulle retribuzioni in Italia 2007, III edizione, 2007. F. Piccioni, Cara casa, quanto mi costi, da Il manifesto del 05/04/2007. F. Piccioni, L’anno del petrolio e dei mutui spazzatura, da Il manifesto del 02/01/2008. F. Piccioni, Luce e gas, rincari “previsti” per ottobre, da Il manifesto del 23/09/2007. F. Piccioni, 2008, obiettivo salario, da Il manifesto del 02/01/2008. M. Sarli, È ora di pensare alle sofferenze delle famiglie, dal blog Diario della crisi finanziaria. Analisi quotidiana della più grave crisi di liquidità dal secondo dopoguerra, diariodellacrisi.blogspot.com, 08/01/2008. M. Sarli, Le due vere cause della perdita di potere d’acquisto dei redditi da lavoro dipendente e da pensione in Italia, dal blog Diario della crisi finanziaria. Analisi quotidiana della più grave crisi di liquidità dal secondo dopoguerra, diariodellacrisi.blogspot.com, 01/01/2008. R. Tesi, I salari rincorrono l’inflazione. E perdono, da Il manifesto del 22/12/2007. L. Tronti, Una nuova questione salariale, www.lavoce.info 18/07/2005.

Ricercatore dell’Osservatorio Meridionale di Cestes-Proteo A. Megale, G. D’Aloia, L. Birindelli, C. Lerico, R. Sanna (curr.), Salari in difficoltà. Aggiornamento dei dati su salari e produttività in Italia e in Europa, Dicembre 2007, da www.ires.it. A. Megale, G. D’Aloia, L. Birindelli, Salari e contratti in Italia e in Europa, 2004-2006. Quale politica dei redditi?, Ires-Cgil, Settembre 2007. Da tali dinamiche sono escluse le retribuzioni dei dirigenti: l’Ires-Cgil fa difatti riferimento ai dati su Occupazione, Retribuzioni e Oneri Sociali (Oros) diffusi trimestralmente dall’Istat (cfr. Salari in difficoltà, op. cit., pag. 3); nell’ambito di tali dati, nelle Note informative agli indicatori Oros (da www.istat.it), l’Istituto Statistico chiarisce essere «considerati dipendenti gli operai, gli impiegati e gli apprendisti [...]. Sono invece esclusi i dirigenti». Megale, D’Aloia, Birindelli, op. cit., pag. 4. Gli studiosi dell’Ires affermano che «dal 1993 ad oggi, la crescita dei salari è rimasta sostanzialmente in linea con l’inflazione, senza una crescita reale» (ivi, pag. 3): laddove difatti le retribuzioni di fatto sono cresciute del 3,4% (mentre le retribuzioni contrattuali hanno conosciuto un aumento inferiore, equivalente al 2,7%), l’inflazione è cresciuta del 3,2%. Tale fenomeno è determinato da vari fattori: innanzitutto «lo scarto tra inflazione programmata (sulla cui base si rinnovano i contratti) e l’inflazione sia attesa che effettiva» (ivi, pag. 4), a causa del quale nei periodi 1994-1996 e 2001-2004 si accumulò una perdita rispettivamente di 6 e di 4 punti percentuali; i ritardi, in alcuni casi superiori ai 12 mesi, nei rinnovi contrattuali; infine, «l’inadeguata redistribuzione della produttività attraverso la contrattazione di secondo livello». Va inoltre considerato che la cosiddetta “rincorsa salariale”, determinata dalla differenza tra aumento delle retribuzioni e aumento dell’inflazione reale, comporta ciò che nel rapporto viene chiamato «un effetto di trascinamento della perdita di potere d’acquisto» (ivi), non avendo modo i lavoratori di recuperare né la perdita determinata da tale processo per l’anno in corso, né le perdite pregresse subite dai salari negli anni precedenti. A causa di tali fattori, le retribuzioni reali hanno accumulato, nel periodo che va dal 2002 al 2007, una perdita di 1.210 euro, cui va sommato il passivo di 686 euro determinato dalla mancata restituzione del fiscal drag: si giunge così all’astronomica cifra di circa 1.900 euro di passivo accumulato dal potere d’acquisto dei salari in cinque anni. A questo proposito, cfr. ivi, pagg. 2-4. L. Tronti, Una nuova questione salariale, www.lavoce.info 18/07/2005. Il dirigente dell’Istat individua infatti il periodo di maggiore localizzazione cronologica (per le considerazioni riguardo la quale da parte dell’Ires cfr. nota 5) del fenomeno nel triennio 1993-1995, «con il blocco della contrattazione e la crisi occupazionale» (Tronti, op. cit.) e nel quadriennio 2000-2003, «con il passaggio dalla lira all’euro e la ripresa dell’inflazione», e afferma che «nella media dell’intero periodo (1993-2004, ndr), la retribuzione contrattuale reale ha subito un’erosione valutabile in circa 2 decimi di punto l’anno» (Tronti, op. cit.); ne risulta che «nonostante la recente accelerazione, la dinamica complessivamente negativa dei periodi precedenti è stata tale che (...) il valore della retribuzione contrattuale media del 2004 è ancora inferiore di 2,9 punti percentuali rispetto a quello del 1992» (Tronti, op. cit.). Tronti punta inoltre il dito, così come i ricercatori dell’Ires (cfr. nota 5), contro il «progressivo allontanamento dei tassi d’inflazione programmata (Tip) da quella effettiva» (Tronti, op. cit.), oltre che contro il mancato decollo della contrattazione decentrata (cfr. Tronti, op. cit.; per l’Ires a tale proposito, cfr. nota 5). OD&M Consulting, 8° rapporto sulle retribuzioni in Italia 2007, III edizione, 2007. Gli stipendi degli italiani, da Job 24, puntata del 31/10/2007, Radio24, www.radio24.ilsole24ore.com. A tale già fosco quadro vanno inoltre aggiunte quelle che nel rapporto Ires vengono definite “le nuove disuguaglianze” (Megale, D’Aloia, Birindelli, op. cit., pag. 8): rispetto ad un lavoratore dipendente standard, il quale percepisce uno stipendio netto mensile di 1.171 euro, un lavoratore del mezzogiorno ne percepisce invece solo 969 (-13, 4% rispetto allo standard), una lavoratrice 961 euro (-17,9%), un lavoratore di una piccola impresa 866 euro (-26,2%), un lavoratore immigrato 856 (-26,9%), un lavoratore giovane dai 15 ai 34 anni 854 euro (-27,1%). «Nel mese di novembre 2007 l’indice delle retribuzioni contrattuali orarie (...) è risultato pari a 119,7 euro, con una variazione di più 0, 2 per cento rispetto al mese precedente e un incremento del 2,0 per cento rispetto a novembre 2006», Istat, Contratti collettivi, retribuzioni contrattuali e conflitti di lavoro. Novembre 2007, 21/12/2007, www.istat.it. Cfr. R. Tesi, I salari rincorrono l’inflazione. E perdono, da Il manifesto del 22/12/2007. A proposito delle conclusioni cui sono giunti al riguardo gli studiosi dell’Ires, cfr. nota 5. Cfr. Istat, Indice dei prezzi al consumo. Novembre 2007, 13/12/2007, www.istat.it, pag. 1; Tesi, in I salari rincorrono l’inflazione, op. cit., parla in realtà di un’inflazione a +2,6% per il medesimo mese di novembre, lasciando intendere trattarsi di dato Istat. R. Tesi, op. cit. «la ricchezza si sposta dal lavoro alla rendita e al capitale. In dieci anni questo spostamento ha superato i 10 punti, una valanga di denaro», nota Francesca Re David della Fiom, in L. Campetti, “La ricchezza passa dal lavoro ai profitti”, intervista a Francesca Re David, da Il Manifesto, 22/12/2007. Cfr, Istat, Contratti collettivi, op. cit., pag. 4. Tesi, in op. cit., parla di 6 milioni di lavoratori privi di contratto, per i quali l’attesa media del rinnovo è di circa 13 mesi, cfr. Istat, Contratti collettivi, op. cit. Tesi, op. cit. Ista, Contratti collettivi, op. cit., pag. 7. Facendo Tesi inoltre riferimento, alla fine del proprio articolo, allo scarto tra inflazione programmata ed inflazione reale come una delle cause del calo del potere d’acquisto dei salari, si vede come le conclusioni del suddetto siano in linea con quelle che l’Ires presenta nello studio dello scorso Dicembre, a proposito delle quali cfr. nota 5. Galapagos, L’emergenza nazionale, da Il manifesto, 22/12/2007. Riguardo le cause dell’abbassamento del potere d’acquisto dei redditi, M. Sarli, Le due vere cause della perdita di potere d’acquisto dei redditi da lavoro dipendente e da pensione in Italia, dal blog Diario della crisi finanziaria. Analisi quotidiana della più grave crisi di liquidità dal secondo dopoguerra, diariodellacrisi.blogspot.com, fa riferimento inoltre ai termini del cambio di valuta lira-euro e alle conseguenze di tale cambio: «quando il battitore, come insegnavano gli economisti neoclassici, si trovò a battere il suo strumento, tutti i valori espressi in lire, redditi, valori immobiliari e mobiliari, crediti, debiti e via discorrendo furono tramutati nel loro equivalente in euro, con il risultato che i cittadini dei paesi europei le cui valute che (sic) si erano rafforzate nella tempesta valutaria degli anni ’90 ottennero, in proporzione, più euro per i loro marchi, franchi francesi, franchi belgi, fiorini olandesi, persino per le loro peseta, mentre gli italiani si ritrovarono con redditi del 15-20 per cento almeno più bassi. Lo stesso sarebbe dovuto accadere per i prezzi e le tariffe, ma la storia, come è noto, andò in un altro modo sia per fenomeni speculativi, sia perché, come aveva previsto uno studio della BCE (Banca Centrale Europea, ndr) che non ha circolato molto, l’adozione della moneta unica avrebbe prodotto in tempi relativamente brevi l’innalzamento del livello medio di quei paesi partecipanti che si trovavano ad un livello basso e l’abbassamento del livello medio dei prezzi per quei paesi che si trovavano su livelli viceversa elevati». V. Atella, Famiglie, potere d’acquisto e concorrenza, da www.lavoce.info, 17/07/2006, mette inoltre in connessione dinamiche inflattive e apertura del mercato alla concorrenza, notando che «i servizi e gli affitti hanno fatto registrare tassi di inflazione più elevati degli alimentari. Inoltre, all’interno della catergoria servizi, i prezzi sono aumentati maggiormente per quelli che operano in una condizione di quasi monopolio (ad esempio, trasporti pubblici, servizi postali) o di oligopolio (servizi finanziari e assicurativi). Al contrario, si sono evoluti secondo dinamiche meno accentuate nei servizi soggetti a una maggiore concorrenza (manutenzioni e riparazioni, servizi ricreativi, servizi di assistenza, eccetera)». Atella nota inoltre che l’aumento dei prezzi per i servizi non liberalizzati comporta una diminuzione del consumo di beni di prima necessità: «la quota (di consumo, ndr) per alimentari si è ridotta notevolmente rispetto a quella dei servizi non soggetti a libera concorrenza e agli affitti. Accade in primo luogo perché a molti servizi è difficile rinunciare, tecnicamente si direbbe che sono servizi con curva di domanda rigida. (...) Questi beni pesano di più sui bilanci delle famiglie, ma pesano ancor di più se i loro prezzi aumentano più della media. Soprattutto, hanno pesato sui bilanci delle famiglie del “ceto medio”, spesso lavoratori dipendenti, per le quali i redditi in termini reali sono diminuiti». L’autore conclude: «se è vero che la bassa crescita dei redditi dipende da cause di natura strutturale, legate al più ampio discorso della competitività italiana, è altrettanto vero che la mancanza di concorrenza in una larga parte del settore dei servizi ha rappresentato un aspetto tutt’altro che marginale della perdita di potere d’acquisto». Banca d’Italia, Supplementi al bollettino statistico. Indagini campionarie. I bilanci delle famiglie italiane nell’anno 2006, Nuova serie, anno XVIII, numero 7, 28/01/2008, pag. 12, www.bancaditalia.it. Cfr. ivi. In particolare «le famiglie con capofamiglia lavoratore autonomo/artigiano o titolare di un’impresa familiare o imprenditore hanno visto il reddito crescere dell’11,2 per cento in termini reali», ivi. Qusto dato fa il paio con quello - inquietante - che vede il 10% delle famiglie possedere «quasi il 45 per cento dell’intera ricchezza netta delle famiglie italiane (nel 2004 era il 43 per cento)», indicativo rispetto alla sperequazione di cui nel testo. «L’incidenza del lavoro a termine sul totale dei dipendenti è ulteriormente cresciuta, portandosi al 13,1 per cento dal 12,3 del 2005. L’aumento dell’occupazione indipendente è quasi interamente dovuto a un maggiore ricorso ai contratti di collaborazione a progetto, coordianta e continuativa e occasionale, che ha coinvolto per lo più lavoratori italiani con meno di 35 anni», Istat, Rapporto Italia 2006, pag. 42, www.istat.it. Cfr. Istat, La dinamica dei prezzi al consumo. Dicembre 2007, 15/01/1008, pag. 2, www.istat.it. La percentuale è superiore dello 0,3% al dato sull’inflazione riferito al mese precedente (2,4%), e giunge ad eguagliare l’elevato risultato dell’Ottobre 2003 (appunto, 2,6%, cfr. Inflazione a Dicembre al 2,6%, e per il 2008 “eredità” dell’1,3%, da Repubblica.it, www.repubblica.it, 15/01/08). Cfr. La dinamica dei prezzi al consumo, op. cit., pag. 2. Ivi. «In particolare, il prezzo del pane risulta aumentato del 12, 6 per cento rispetto al 2006 (più 12,1 per cento a novembre), mentre quello della pasta è cresciuto dell’8,6 per cento (7,6 per cento il mese precedente)», ivi. Ancora, aumenti importanti riguardano, nell’ambito degli alimentari, in particolare latte (+7,7%, novembre +6,3%), carne (3,5%) e frutta (4,8%). Riguardo l’aumento dei prezzi al consumo e le cause di esso, il Codacons nel Dicembre 2006 ha diffuso dei dati che proverebbero rincari, riguardanti diverse tipologie di prodotti, del 93,2% dal 2001 al 2006, rincari concentrati nei mesi immediatamente seguenti all’entrata dell’Italia nell’euro e determinati, secondo l’associazione dei consumatori, da speculazioni da parte di grossisti e commercianti, cfr. Lira-euro, rincari fino al 93,2% dal 2001. I dati del Codacons su beni e servizi, da www.repubblica.it, 29/12/2006. A proposito dell’effetto del cambio lira-euro sui rincari, cfr. anche nota 19. F. Bianchi, Mangiare sarà un lusso, da L’espresso, 20/12/2007, www.espresso.repubblica.it. Grano e mais, tra le materie prime, hanno conosciuto aumenti di prezzo senza precedenti, raggiungendo nel settembre 2007 rispettivamente i 400 (+75% dall’inizio dell’anno) e i 200 dollari la tonnellata: tra le cause degli aumenti, la diminuzione delle riserve mondiali di materie prime, dovuta sia all’impennarsi dei consumi legato alle crescenti esigenze da parte dei paesi in via di sviluppo, sia al «cambiamento delle politiche agricole di questi ultimi cinque anni» (ivi), e la speculazione finanziaria, con i forti investimenti sugli Etc, obbligazioni legate alle variazioni del prezzo di una materia prima o di un paniere di più materie prime, e sugli Etf, i fondi che contengono tali obbligazioni, preferiti dagli operatori finanziari «perché offrono una rosea alternativa agli andamenti deludenti dei mercati azionari di mezzo mondo» (ivi). Investire sulla fame, è la morale, rende. Il 2007 ha registrato un aumento del prezzo del greggio al barile del 100%; il medesimo aumento è consistito nel 500% del totale durante gli ultimi sei anni, cfr. F. Piccioni, L’anno del petrolio e dei mutui spazzatura, da Il manifesto del 02/01/2008. Cfr. infra. F. Piccioni, Luce e gas, rincari “previsti” per ottobre, da Il manifesto del 23/09/2007 nota, a proposito del caro-energia, che «l’aumento delle tariffe (...) ha effetti inflazionistici che vanno ben al di là del semplice aumento della bolletta. Tutti i costi energetici, infatti, entrano nella formazione del prezzo di tutte le altre merci. In parole povere, ogni impresa subirà un analogo aumento delle tariffe nella sua produzione quotidiana ma - al contrario delle famiglie - potrà scaricare questi maggiori costi sul prezzo finale delle merci prodotte». Cfr. F. Piccioni, Cara casa, quanto mi costi, da Il manifesto del 05/04/2007. Cfr. ivi. Cfr. Banca d’Italia, Supplementi al bollettino statistico. Indicatori monetari e finanziari. Istituzioni finanziarie monetarie: banche e fondi comuni monetari, anno XVIII, numero 2, 7/01/2008, pag. 28, www.bancaditalia.it. Cfr. Istat, Distribuzione del reddito e condizioni di vita in Italia (2005-2006), 17/01/2008, pag. 15, www.istat.it. Cfr. ivi, pag. 2. Cfr. Istat, I consumi delle famiglie. Anno 2006, 5/07/2007, pag. 1, www.istat.it. Istat, La povertà relativa in Italia nel 2006, 4/10/2007, pag. 1, www.istat.it. Cfr. Banca d’Italia, Supplementi al bollettino statistico, op. cit., pag. 22. M. Sarli, È ora di pensare alle sofferenze delle famiglie, dal blog Diario della crisi finanziaria, 08/01/2008, definisce l’aumento delle sofferenze bancarie per le famiglie italiane «un dato allarmante, poiché siamo di fronte ad una crescita che supera di poco meno di tre volte quella relativa alle sofferenze dell’intero settore privato». Cfr. ivi: si fa riferimento ai prestiti di durata superiore ai 5 anni; la cifra in questione appare essere, essendo posta tra parentesi, una previsione, facendo riferimento lo studio specificamente al mese di ottobre 2007. M. Sarli, È ora di pensare alle sofferenze delle famiglie, op. cit., fa riferimento, per il credito al consumo, ad «una crescita di circa tre volte il dato del 1999», e nota che in tale ambito «è preoccupante il ruolo sempre più crescente che stanno assumendo i prestiti personali e le carte di credito revolving (quelle che prevedono la restituzione rateale dell’importo dovuto), mentre è addirittura inquietante, la rapida crescita dell’indebitamento a fronte della cessione del quinto dello stipendio, mentre è relativamente molto più modesta la crescita dei finanziamenti finalizzati, quelli cioè che vengono erogati a fronte dell’acquisto di un’automobile, di un motociclo o di altri beni durevoli». Per quanto riguarda l’aumento tendenziale del ricorso al credito al consumo da parte delle famiglie, Sarli riscontra quattro questioni fondamentali, costituite: «dall’assenza di limiti cogenti sul rischio di concentrazione di obbligazioni che la famiglia viene ad assumere accedendo alle diverse forme di finanziamento esistenti (mentre il mutuo viene concesso, in generale, solo se la rata non eccede una certa percentuale del reddito del richiedente), con seri rischi di default; dalla diversità delle soglie di riferimento per la determinazione del tasso di usura tra banche e società finanziarie, per cui si giunge a tassi consentiti per determinate tipologie di prestiti elevatissimi ove si abbia come controparte una finanziaria; dall’esplosione, su tutti i tipi di media, di forme di pubblicità che sarebbe un eufemismo definire ingannevoli e che, nel caso dei messaggi televisivi, forniscono informazioni distorte unite alla completa impossibilità di leggere distintamente i tan e taeg relativi al finanziamento proposto; dalla prassi prevalente che prevede l’esclusione delle varie spese a carico del contraente (quasi sempre rese obbligatorie, come quelle per la polizza assicurativa) dal calcolo del tasso effettivo sostenuto dal debitore». Di fronte a tali questioni, le soluzioni proposte dall’autore dell’articolo sono essenzialmente: «da un lato, il superamento dell’individuazione delle soglie di riferimento a seconda del soggetto erogante, per passare a soglie di riferimento riferite esclusivamente al prodotto, o, in alternativa, l’inclusione tra le banche di quelle società finanziarie possedute o controllate da banche (cfr. il resto dell’articolo di Sarli su banche e società finanziarie come soggetti eroganti prestiti). La seconda misura è rappresentata dall’obbligo dell’inclusione di tutte le spese nel tasso effettivo, una terza riguarda obblighi di informazione del cliente più stringenti, mentre la quarta dovrebbe riguardare l’introduzione di regole più severe sulle informazioni pubblicitarie». Cfr. ivi: si parla ancora dei mutui di durata superiore ai 5 anni. Cfr. Coordinamento Rsu, Lo strano modo per affrontare la questione salariale, 7/01/2008, www.coordinamentorsu.it. Ivi. F. Piccioni, 2008, obiettivo salario, da Il manifesto del 02/01/2008, nota che «la riduzione delle entrate dello stato non potrà che incentivare una generale riduzione della spesa (con inevitabili ricadute sulla gestione di sanità, istruzione, ricerca, ecc.)». Cfr. anche l’appello Aa. vv. Salari e compiti della politica, da www.aprileonline.info, 12/01/2008, dove si identifica tale eventualità con «un’ulteriore diminuzione del salario reale», e si auspica che le risorse per la detassazione delle retribuzioni sia tratta dalla lotta all’evasione e da «un aumento del peso fiscale sui redditi da capitale (profitti e rendite, a cominciare dalle plusvalenze, che in Italia godono di un intollerabile regime di privilegio)». Cfr. supra. Soprattutto Cisl e Uil sono favorevoli a tale cambiamento, in particolare Raffaele Bonanni, segretario generale Cisl, ritiene necessario introdurre un meccanismo che spinga a «lavorare di più per guadagnare di più, pagare meglio chi lavora di più ed è più flessibile» (F. Piccioni, 2008, obiettivo salario, op. cit.), laddove Piccioni, ivi, nota giustamente che «come si commenta in ambiente metalmeccanico, “è il modello Thyssenkrupp”, quello che ha portato a lavorare anche per 12 ore al giorno, monetizzando rischio, fatica e salute». Intanto, solo la Cgil mostra ancora segni di titubanza di fronte a tali ipotesi: Carla Cantone, segretaria confederale, parla di «salvaguardia del contratto nazionale» e di «manutenzione del modello contrattuale», cfr. Coordinamento Rsu, Lo strano modo per affrontare la questione salariale, op. cit.. Riguardo la posizione del padronato, T. Boeri e L. Guiso, Salari più alti? È una questione di produttività, da www.lavoce.info, 08/01/2008, propongono, come “soluzione virtuosa” al calo di potere d’acquisto dei salari, la detassazione dei guadagni di produttività per un periodo di tempo prestabilito, che, nell’ottica imprenditoriale, favorirebbe un aumento dei consumi da parte dei lavoratori e degli investimenti da parte degli imprenditori, determinando così la ripresa ciclica, oltre a incoraggiare la produttività: «poiché la detassazione è condizionata agli incrementi di produttività, se ben articolata nei dettagli, potrebbe incentivare le imprese e i lavoratori, ad accrescere l’offerta di lavoro e la produttività. Questo favorirebbe l’inversione del trend negativo della produttività (a tale proposito, cfr. il resto dell’articolo citato)». I contenuti dell’accordo del 1992 furono perfezionati nel secondo accordo, stipulato nel 1993 sotto il governo Ciampi, attraverso il quale si introduceva il «biennio economico nell’ambito del contratto normativo a valenza quadriennale», Marco Sarli, Le due vere cause della perdita del potere d’acquisto dei redditi da lavoro dipendente e da pensione in Italia, op. cit.. «La Scala Mobile è uno strumento essenziale di tutela e di salvaguardia dei salari e delle pensioni: è il meccanismo di adeguamento automatico delle retribuzioni al costo della vita avente come obiettivo quello di mantenere inalterato il potere d’acquisto del salario (salario reale) in presenza di oscillazioni dei prezzi», M. Carapella, D. Pecoraro, Difendersi dall’inflazione, rilanciare una nuova Scala Mobile, Proteo 2/2006. Cfr. ivi. Nel ’93 alla scala mobile fu sostituito il rinnovo sulla base dell’inflazione programamata (meccanismo riguardo i cui esiti cfr. supra) cfr. P. P. Leonardi, Una scala mobile per tutelare salari e contratti, da Liberazione del 14/04/2006. Da qui l’ironia di Leonardi in un comunicato del novembre 2007 diffuso dalla Rdb-Cub Federazione Nazionale, in cui, al diffondersi dei dati contenuti nel rapporto Ires di cui cfr. supra, il coordinatore della federazione attribuisce al modello concertativo promosso proprio dai sindacati confederali le cause della perdita del potere d’acquisto dei lavoratori: «l’Ires Cgil scopre l’acqua calda! È possibile che un prestigioso istituto di ricerca si sia accorto solo oggi di come vivono i lavoratori italiani e quanto abbiano perso dall’accordo del luglio 93 ad oggi? Diciamo piuttosto che la Cgil è pienamente responsabile con Cisl e Uil di questa condizione e che la sua scellerata politica di compatibilità e concertazione ha prodotto un arretramento nelle condizioni materiali di vita dei lavoratori che non ha precedenti». P. P. Leonardi, Una scala mobile per tutelare salari e contratti, op. cit.. M. Carapella, D. Pecoraro, Difendersi dall’inflazione, op. cit.. «La Scala Mobile non crea e non può creare inflazione da domanda per il semplice motivo che la quantità domandata dei beni resta invariata. Infatti l’adeguamento salariale avviene solo dopo che si sono già verificati gli incrementi dei prezzi, determinando un aumento solo nominale del reddito. Ma la quantità complessiva dei beni che le famiglie possono acquistare resta immutata», ivi. Ivi. Cfr. supra. Cfr. ivi. Cfr. Istat, La dinamica dei prezzi al consumo, op. cit., pag. 10. Cfr. Autorità per l’energia elettrica e il gas, Per caro petrolio, elettricità +3, 8% e gas +3, 4% nel 1° trimestre 2008, comunicato stampa, 29/12/2007, www.autorita.energia.it. Cfr. Adusbef, Federconsumatori, Prezzi e tariffe consuntivo e previsioni 2007-2008, comunicato stampa del 15/12/2007, www.federconsu