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Ignazio Riccio
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Giornalista del “Corriere del Mezzogiorno”

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Forme contrattuali atipiche: precariato e nuove povertà

Ignazio Riccio

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1. Malessere da consociativismo

L’inevitabile caduta del Governo di centrosinistra, guidato dal Presidente del Consiglio Romano Prodi, conferma l’instabilità politica del nostro Paese. Ancora una volta sono saltati i delicati e precari equilibri tra i vari partiti della maggioranza, provocando la naturale sconfitta di un esecutivo debole e inconcludente. Su temi di rilevanza nazionale, come l’emergenza salariale ed il carovita, il Governo Prodi ha nicchiato, fino all’ultimo giorno, percorrendo lo stesso, “perverso”, progetto del centrodestra. Ormai è sotto gli occhi di tutti: i salari in Italia sono troppo bassi. Lo ha detto, a chiare lettere, la Banca d’Italia, lo ha confermato la Confindustria, l’ha certificato l’Ires della Cgil che, seppure in ritardo, ha denunciato che, negli ultimi anni, le retribuzioni di ciascun lavoratore dipendente in Italia ha perso potere d’acquisto per circa 2 mila euro. Questa drammatica situazione la vivono, sulla propria pelle, tutti quei lavoratori che, ormai, non arrivano alla quarta settimana del mese: una crisi salariale ulteriormente acuita dal cronico ritardo con cui vengono rinnovati i contratti pubblici. Mentre le forze politiche e le parti sociali, si riuniscono avviando continuamente tavoli negoziali, analisi e inchieste dicono espressamente che l’inflazione e il carovita crescono a dismisura, mentre gli stipendi subiscono un brusco calo. In pochi anni si è rovesciato completamente il rapporto della distribuzione del reddito tra fattore lavoro e fattore rendita, tanto che gli incrementi di produttività sono stati tutti a favore delle imprese e mai dei salari. Il Corriere della Sera ha chiesto, ad una prestigiosa società di ricerche, di produrre un rendiconto sul potere d’acquisto delle retribuzioni in Italia. I risultati dell’inchiesta evidenziano una perdita di potere d’acquisto dei salari del 13,3% per gli impiegati e del 9,3% per gli operai. L’origine di questo malessere va ricercata nell’accordo di luglio del 1993, con il quale i sindacati confederali hanno garantito la pace salariale e sottoposto i redditi del lavoro alle esigenze delle imprese. Un altro imputato eccellente è il processo di unificazione dell’Europa, con la conseguente introduzione dell’euro che, in un sistema bloccato dagli accordi di concertazione, ha definitivamente determinato la assoluta inadeguatezza dei salari al carovita.

2. Il rapporto Censis

Una delle ultime ricerche del Censis delinea un quadro della società italiana molto critico e problematico. I segnali positivi evidenziati negli ultimi anni sono stati infatti accantonati, o fortemente ridimensionati. Nel 2005 erano state messe in luce le cosiddette «schegge di ripresa», che avevano trovato conferma nel 2006. La ripresa si trasformava due anni fa in un «silenzioso boom» che vedeva protagonista una minoranza di imprese “orientata alla globalizzazione”. Erano decisamente respinte le ipotesi di declino. Il quadro è cambiato l’anno scorso. È continuato il «silenzioso boom» dell’economia e sono anche cresciuti di numero e di forza coloro che hanno tratto vantaggi dallo sviluppo, ma si è trattato di una dinamica che ha riguardato una minoranza, che non si è diffusa verso gli strati più ampi della società. La ripresa è rimasta localizzata in alcune aree del Paese e non si è generalizzata. Il Sud è rimasto fuori, i salari continuano ad essere molto bassi e cresce il lavoro precario. Tra i lavoratori che hanno trovato un’occupazione nell’ultimo anno (quasi 1 milione 900 mila), il 38,2 per cento ha un contratto a termine, l’8,7% un contratto di lavoro a progetto o occasionale e il 36,1% un contratto a tempo indeterminato. La precarietà del lavoro, oggi, riguarda soprattutto i giovani che rappresentano la parte decisamente maggioritaria, il 58,2%, del lavoro atipico in Italia. I redditi reali familiari crescono in misura ridotta (+ 0,5% tasso annuo) e non sono migliori le attese per il futuro. I salari bassi e la diffusione del lavoro precario sono l’altra faccia della strategia delle imprese vincenti: “prezzi alti sull’esterno e costi bassi sull’interno”. Una strategia che per ora appare efficace per adattarsi e sfruttare le opportunità offerte dalla globalizzazione neoliberista.

3. I dati Ires sull’emergenza salariale

Una recente ricerca dell’Ires sull’emergenza salariale, ci consegna alcuni importanti spunti di riflessione. Negli ultimi quindici anni, su 16,7 punti percentuali di crescita di produttività, solo 2,2 punti (pari al 13%) sono andati ai salari, mentre alle imprese sono andati ben 14,5 punti (pari all’87%). La questione dei salari bassi, quindi, è legata al tema della ridistribuzione e della giustizia sociale. Dai risultati dell’indagine emerge che la crescita della produttività nel nostro Paese è più lenta che nel resto d’Europa e che la causa principale di questo gap deriva non dalla scarsa produttività del lavoro, ma da quella del capitale (che non sa né vuole introdurre innovazioni sia di prodotto che di processo). L’Ires evidenzia che, per continuare ad essere competitive sul mercato, le aziende italiane - non potendo più ricorrere, in regime di moneta unica, alla svalutazione della lira - strategicamente puntano su politiche di bassi salari, recuperando così sul versante dei costi i margini di profitto, erosi dalla minore competitività. La politica dei bassi salari viene attuata colpendo, in particolare, quattro categorie: i lavoratori del sud, le donne lavoratrici, i lavoratori immigrati e i lavoratori giovani con contratti flessibili e a tempo determinato. Lo stipendio netto mensile di un lavoratore standard è di quasi milleduecento euro al mese. Questo importo subisce per i componenti delle quattro categorie penalizzate riduzioni oscillanti tra il 13,4% (stipendio netto al mese di 969 euro) e il 27,1%, (stipendio netto al mese di 854 euro). Oggi, purtroppo, in Italia, i salari non consentono a migliaia di lavoratori e alle loro famiglie di svolgere un’esistenza libera dal bisogno e dignitosa.

4. Cosa fare per invertire la rotta?

Di fronte a questa situazione difficile, i campi di intervento dovrebbero essere radicali: da un lato, arginando le cause «concorrenziali» che determinano i bassi salari, prime fra tutte le varie forme di lavoro flessibile; dall’altro, (re)introducendo meccanismi di salvaguardia del potere di acquisto dei salari (una nuova scala mobile) e, allo stesso tempo, operando una ridistribuzione più equa della ricchezza attraverso un utilizzo della leva fiscale, orientata contestualmente sulla riduzione della pressione fiscale per i redditi da lavoro e su un adeguamento della tassazione delle rendite finanziarie e dei profitti. Le ultime scelte del Parlamento sul Welfare non sono state certamente felici. Per questo motivo è necessaria una nuova fase, che ristabilisca le priorità dell’agenda politica e che fissi, con nettezza e senza ambiguità, la centralità della questione lavoro e, nell’ambito di questa, quale priorità assoluta, il tema dei bassi salari. Si tratta di una grave questione di democrazia, che una classe dirigente qualificata dovrebbe avere la forza di affrontare e di risolvere. Fino a questo momento si sono mosse solo le associazioni dei consumatori, rischiando sulla propria pelle. Singole persone hanno promosso scioperi della spesa e denunce sui prezzi gonfiati nei passaggi dal produttore ai consumatori. Tutto ciò senza porsi il problema di come adeguare i salari alle esigenze determinate dalla crescita dei prezzi e dall’introduzione dell’euro. È evidente che senza la reintroduzione di un meccanismo automatico di indicizzazione dei salari e delle pensioni, e senza l’istituzione di un reddito sociale per disoccupati e precari, la denuncia dell’eccessivo aumento dei prezzi rimarrà un semplice sfogo, senza nessuna soluzione.

J. Arriola, L. Vasapollo, L’uomo precario nel disordine globale, Jaca Book, Milano 2005 Autori Vari, Lavoro contro Capitale, Jaca Book, Milano 2005 www.rassegna.it, Rapporto Ires Cgil “Salari in difficoltà”, 19 novembre 2007 Roberto Biorcio, L’incertezza che verrà, Left Avvenimenti, 21 dicembre 2007 CENSIS, L’Italia che rischia la bancarotta www.alpcub.com/censis2007 Luca Nuzzi e Vincenzo Pecorella, Sanno i lavoratori che con i bassi salari non si frena la deindustrializzazione? (I parte), Proteo 2005/2

Giornalista, ricercatore dell’Osservatorio Meridionale di CESTES-PROTEO